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Parte prima

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Indice

Introduzione

Parte I Esposizione della Filosofia di Kant

Art. I. Teoria della Sensibilità pura. Modo con cui si formano in noi le percezioni degli oggetti sensibili. Dello Spazio e del Tempo

Art. II. Teoria dell’Intelletto puro. Generazione delle leggi universali che regolan gli oggetti sensibili. Categorie e forme del pensiero. Schematismo. Riflessione trascendentale. Natura

Art. III. Teoria della Ragione pura. Della legge dell’assoluto. Delle Idee trascendentali. Paralogismi, antinomie, e ideale della Ragione pura. Delle prove specolative dell’esistenza di Dio

Art. IV. Teoria della Ragione pratica. Sentimento fondamentale della coscienza. Libero arbitrio. Imperativo categorico. Unione necessaria delle due tendenze verso la felicità e verso il dovere. Immortalità dell’anima. Dio

Parte II Esame della Filosofia di Kant

Art. I. Esame della Teoria della Sensibilità pura

Art. II. Esame della Teoria dell’Intelletto puro

Art. III. Esame della Teoria della Ragione pura

Art. IV. Esame della Teoria della Ragione pratica

Art. V. Esame della Filosofia sperimentale opposta alla trascendentale di Kant


ARTICOLO I.

Teoria della Sensibilità pura.

Modo con cui si formano in noi le percezioni degli oggetti sensibili. – Dello Spazio e del Tempo.

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Le sensazioni e percezioni nostre, segue Villers, sono tutte in noi. Or come diventano esse oggetti fuori di noi? Tutti questi oggetti son percepiti dal medesimo Essere conoscitore, percepiti nel medesimo punto, nella medesima intima coscienza; onde viene che gli uni appaion fuori degli altri? La mia sensazione, la mia percezione è un sentimento in me; come mai il sentimento mio divien egli esteso, corporeo, fuor di me?

Tutti i corpi da me si percepiscono nello spazio; se fo astrazione dallo spazio, tutti i corpi scompaiono, e con essi pur si dilegua ogni loro possibilità. Al contrario io posso fare astrazione, quanto m’aggrada, da tutti i corpi; ma lo spazio mi resta sempre, lo spazio assoluto, indeterminato, infinito.

Or questa rappresentazione dello spazio assoluto, infinito onde mi viene ella? L’ho io acquistata dall’esterno? Ma qual oggetto può avermi destata mai la rappresentazione generale dello spazio?

Né io l’ho pure acquistata per via d’astrazione. Perciocché l’astrazione supporrebbe che lo spazio fosse una semplice qualità da me percepita negli oggetti, e che potessi da

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quelli staccare. Ma lo spazio assoluto non è una semplice qualità, egli è la base, l’essenza di tutti i corpi, la condizione senza di cui non vi ha nessun corpo. Sarebbe contraddittorio il dire che noi caviamo la rappresentazione dello spazio da quella de’ corpi; poiché questa di necessità presuppone la prima, né verun corpo noi ci possiamo rappresentare, senza prima rappresentarci lo spazio.

Taluno opporrà, che se mai non avessimo sensazione, mai non percepiremmo veruno spazio. Sia pur così: lo spazio nasce all’occasione della sensazione, colla sensazione di ciò che è diverso da noi; ma non ne segue egli già, che lo spazio sia dato dalla sensazione. Concedendo che la sua rappresentazione si desti nel medesimo tempo che la prima delle nostre sensazioni, non si concede per questo che l’una nasca dall’altra.

S’aggiunga che questa rappresentazione è per noi infinita e senza limiti: al di là di tutti i corpi, di tutti i mondi che possiam concepire, siamo sempre forzati a rappresentarci lo spazio, e sempre il medesimo spazio unico, indiviso, rigorosamente continuo. Or questa rappresentazione necessaria dell’infinito, come può ella venirci da una sensazione o percezione necessariamente finita?

Convien adunque conchiudere, che la rappresentazione dello spazio è intima a noi medesimi, indipendente dagli oggetti, anteriore a qualunque rappresentazione degli oggetti; che è subbiettiva, non obbiettiva; che è una condizione necessaria della nostra Facoltà di

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conoscere, la forma di cui il nostro senso esterno veste per sua natura tutte le sue sensazioni.

Egli è, che vestendo le proprie sensazioni di questa forma, le trasporta nello spazio; attribuisce loro le tre dimensioni dello spazio in lungo, largo, e profondo; ne fa quindi nascere le rappresentazioni degli oggetti estesi, le rappresentazioni de’ corpi. Questi ci appaiono gli uni fuori degli altri, perché essendo ciascuna sensazione vestita della sua porzione d’estensione, non può una sensazione divenir l’altra. E siccome pure la prima porzione d’estensione non può divenir la seconda, da ciò consegue, che anche l’impenetrabilità dee parerci una legge generale di tutti gli oggetti che son nello spazio. Egli è facile per questo modo il dedurre tutte le proprietà universali e necessarie de’ corpi dalle proprietà della nostra propria facoltà di percepire e di sentire.

Allora la certezza apodittica, cioè necessaria e a priori della geometria è chiaramente stabilita. La geometria è la scienza delle proprietà estensive dello spazio puro. Ella è ugualmente vera per tutti gli uomini, perché lo spazio puro è la forma del senso esterno di tutti gli uomini.

Per mezzo dello spazio puro e subbiettivo noi abbiam dunque trovata la possibilità di un fuor di noi, quella di un corpo in generale, e della percezione d’un corpo, quella della proprietà della materia, e della certezza geometrica.

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Passiamo al senso interno, o alla seconda facoltà della nostra Sensibilità, che consiste nel percepire la nostra propria maniera d’essere, le nostre diverse affezioni, i cangiamenti in noi succedono.

Non essendo più qui nostro istromento la sensibilità esterna, la sua forma non ha più influenza su questo novello ordine di percezioni; noi non collochiamo più i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre affezioni nello spazio; le percezioni che abbiamo di questi oggetti non ci sembran più corpi.

Contuttociò anch’esse hanno una forma, che stabilisce fra loro un ordine. Questa forma è il tempo: tutte le nostre affezioni interne debbono comparirci come esistenti o insieme, o l’una dopo l’altra; vale a dire o nella stesa parte del tempo, o in parti di tempo consecutive.

Il posso fare astrazione da qualunque percezione di me medesimo, de’ miei pensieri, delle mie affezioni; e il tempo resta. Se fo astrazione dal tempo, non posso più percepir me medesimo; non accade più nulla in me che io possa sentire. Il tempo è adunque assolutamente necessario all’esistenza delle percezioni che ho di me stesso; mentre queste percezioni non sono poi necessarie all’esistenza del tempo, che esiste indipendentemente da esse.

Ma per qual de’ miei organi esteriori ho io acquistata la cognizione del tempo? dov’è un oggetto da me percepito, che sia il tempo?

Né ho pure acquistata questa cognizione per astrazione, poichè il tempo non è un

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composto, un risultato della percezione di più individui; non v’ha per me che un sol tempo, che abbraccia tutto, in cui si collocano tutte le mie affezioni interne, che è il loro sostegno, il lor continente, ma che non è formato di esse, poichè è necessario ch’egli esista, perché elle sieno possibili.

Finalmente la conformità del tempo collo spazio è perfetta sopra tutto ciò che può stabilire la sua subbiettività, e possono a lui applicarsi tutti gli argomenti che si sono impiegati rispetto allo spazio. Il tempo è una rappresentazione che porta rigorosamente i caratteri di universalità e di necessità; egli è la base indispensabile di tutti gli oggetti che noi percepiamo col nostro senso interiore. Conchiuderemo adunque allo stesso modo, che il tempo è una condizione subbiettiva della nostra Facoltà di conoscere, è la forma, di cui il nostro senso interiore veste per sua natura tutte le sue interne percezioni.

Ma pel tempo si offre una considerazione di più che per lo spazio. Noi abbiamo la coscienza, la percezione interna anche di tutti gli oggetti che trasportiam nello spazio. Questa percezione interna veste anch’essa come tutte le altre la forma del tempo. Il tempo adunque diviene per questo modo la forma comune di tutte le nostre percezioni (o più esattamente intuizioni) tanto interne, quanto esterne; delle prime immediatamente, delle seconde mediatamente.

Dacchè il tempo è in noi subbiettivo e a priori, dacché è il nostro proprio modo di

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percepire tutte le nostre affezioni, è la forma del nostro senso interiore, egli è facile il comprendere, come tutti i nostri pensieri, le nostre azioni gli stessi oggetti esterni ci appariscano in un ordine di successione.

Il tempo non ha che una sola dimensione, non è suscettibile d’altra varietà che di parti eguali o ineguali, tutte sopra una medesima direzione: si può somigliare ad una linea retta.

Il solo tempo rende possibile la ripetizione successiva della medesima percezione, della medesima cosa; egli è adunque il sostegno e il generatore del numero; e sovra di esso e delle sue proprietà si fonda la certezza apodittica della scienza de’ numeri, ossia dell’aritmetica.


Lo spazio ci fornisce la base della coesistenza di una cosa fuori dell’altra; il tempo quella della successione di una dopo l’altra; da quella nasce la rappresentazione di vicinanza di luogo, da questa la rappresentazione di prima e poi.

L’unità sistematica, legge fondamentale dell’Essere conoscitore si mostra qui evidentemente; poiché il senso esteriore dispone tutti i suoi oggetti in un solo e medesimo spazio, e il senso interiore i propri in un solo e medesimo tempo. Può avervi una gran quantità e diversità d’oggetti; ma convien sempre che in qualche modo si trovi legata ed unita in un solo complesso, in un sol tutto.

Se non avessimo che lo spazio, non avremmo che una geometria limitata e stagnante:

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l’applicazione del tempo allo spazio è quella che apporta unità, numero, e generazione alle figure estese, che dà la possibilità di scorrere successivamente e numerare le parti di una linea, i gradi di una circonferenza, i cubi contenuti in un altro cubo, di tirar delle libee, di costruire ec.

Colla rappresentazione dello spazio nasce quella delle sue dimensioni. Or una dimensione è una linea retta. La linea retta, ed il punto, che la termina son dunque dati dalla rappresentazione pure dello spazio, e con essi tutta la geometria. Le proprietà geometriche della linea sono vere soltanto rispetto a questa linea pura, archetipa; se si mescola ciò che è dato dalla sensazione esteriore, non si ha più il punto fisico, la linea materiale, rispetto a cui niuna geometria è possibile.

Eppure a questo sono ridotti quei che ammettono l’esperienza, la sensazione, e gli oggetti le nostre cognizioni. Tostoché lo spazio ed il tempo si han per oggetti, è tolta alla geometria ogni possibilità, ogni certezza apodittica, e portano gli evidenti caratteri di universalità e di necessità. Dunque dee dirsi, che sono fondate nella natura medesima del subbietto conoscitore, non in quella degli obbietti. E poiché le proposizioni geometriche non hanno luogo che per mezzo dello spazio, e le

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aritmetiche per mezzo del tempo, si dee conchiudere, che lo spazio ed il tempo sono essi medesimi non già fondati nella natura delle cose, ma in quella del subbietto conoscitore, nell’Uomo.


Il primo risultato delle nostre ricerche trascendentali è dunque, che lo spazio, ed il tempo sono puramente subbiettivi e a priori, sono le due forme originali della nostra Sensibilità, sono prodotti del nostro sensorio. Per noi, e negli oggetti in quanto percepiti da noi, essi hanno tutta la realità. Fuor di ciò non ne hanno veruna, e quando si vuol trasportarli agli oggetti in se stessi, diventano illusione, fantasma, nulla.

Gli oggetti da noi percepiti, e vestiti così dalle forme dello spazio e del tempo, si chiamano oggetti, apparenze sensibili, fenomeni. Nello stato presente non arriveremo noi mai a conoscere ciò ch’esser possano in se medesimi e indipendentemente dalla nostra maniera di percepirli, non conoscerem mai le cose in sé stesse, che da Kant si chiaman noumeni. Un noumeno che si manifesta alla nostra Sensibilità è subito vestito delle forme necessarie dello spazio e del tempo, e divien quindi per noi un fenomeno: stato che non ha più per conseguenza è da noi impercettibile.

Kant ha chiamata estetica trascendentale questa teoria della Sensibilità da aisthetos parola greca che significa sensibile, come ha

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chiamato logica trascendentale le due teorie seguenti dell’Intelletto e della Ragione.

Da questa estetica si deduce che le distinzioni fatte sin qui della materia e dello spirito, dell’anima e del corpo, non sono appoggiate a nulla di reale, ed effettivamente esistente fuori di noi nelle cose.

2. Che per conseguenza il materialismo posa sopra una base illusoria, facendo obbiettivo ciò che è puramente subbiettivo, ed è un’opinione radicalmente sfornita di senso.

3. Che le quistioni tanto dibattute, se la materia possa pensare; se l’anima sia materia; se Dio sia materia ec. sono parimente illusorie e senza senso.

4. Che quella di pieno e di voto nello spazio non ha maggior consistenza. Lo spazio puro e a priori è vuoto; lo spazio empirico e applicato agli oggetti sensibili non può apparirci che pieno.

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