I. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di composizione delle apparizioni di un tutto cosmico
II. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità della divisione di un dato tutto nell'intuizione
Scolio finale alla soluzione delle idee matematico-trascendentali, e premonizione alla soluzione delle idee dinamico-trascendentali
III. Soluzione delle idee cosmologiche della totalità di derivazione degli avvenimenti del mondo dalle cause dei medesimi
Possibilità dell'efficienza, mediante libertà, in combinazione colle leggi universali della necessità della natura
Dichiarazione dell'idea cosmologica di una libertà in combinazione colla necessità universale della natura
IV. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di dipendenza delle apparizioni, secondo la loro esistenza, in genere
Scolio finale a tutta l'antinomia della ragione pura
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Allorquando imprendo a dividere un tutto, che sia dato nella visione, da un condizionale, procedo alle condizioni di sua possibilità. La divisione delle parti (subdivisio oppure decompositio) consiste in un
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regresso nelle serie delle mentovate condizioni. La totalità assoluta di questa serie sarebbe data non prima ed allora solamente, che fosse in grado il regresso di sino alle parti semplici arrivare. Ma se via sempre di bel nuovo divisibili rimangono le parti, anche sotto una continuamente protratta decomposizione, gli è giuoco forza convenire, qualmente all’infinito progredisca la divisione, vale a dire, il regresso dal condizionale alle condizioni, ond’esso dipende. Imperocché le condizioni (le parti) sono contenute nel condizionale medesimo; e, dato essendo pienamente cotesto in una visione, compresa ed inchiusa fra i suoi limiti, sono pure date insiememente anche tutte quelle condizioni. Il regresso adonque non è da semplicemente chiamarsi un regresso indeterminabile (in indefinitum), siccome unicamente
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permetteva l’idea cosmologica di poc’anzi; dove mi era mestieri progredire dal condizionale alle sue condizioni, le quali erano date fuori del medesimo e non perciò insieme con lui, ma venivano solo aggiunte ad esso lui e non prima che nel regresso empirico. Tutto ciò non pertanto egli non è assolutamente permesso neppure asserire, intorno ad un tutto cosiffatto, perché divisibile all’infinito, esso consistere di parti infinite (infinitamente molte). Conciossia che, sebbene la visione del tutto contenga tutte quante le parti, essa però non contiene l’intiera divisione, come quella che solo è costituita per la decomposizione progressiva o dal regresso medesimo, che rende finalmente positiva e di fatto la serie. Ora, essendo infinito questo regresso, è ben vero che tutte le membra (parti), alle quali esso perviene,
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sono contenute in un dato tutto, in qualità di aggregati, non però vi cape l’intiera serie della divisione, la quale è successivamente infinita, intiera e compiuta non mai; e non può, in conseguenza, dimostrare alcuna moltitudine infinita, come né alcuna relativa collezione (di cose) in un tutto.
Questa premonizione generale può applicarsi, prima di tutto, assai facilmente allo spazio. Ogni spazio, ravvisato ne’ suoi confini, costituisce un tutto cosiffatto che, in qualunque decomposizione, sono sempre spazi di bel nuovo le di lui parti ed esso è perciò divisibile all’infinito.
Del che è conseguenza, naturale affatto, la seconda applicazione ad una esterna e ne’ suoi limiti compresa apparizione (ai corpi). La divisibilità di tali apparizioni è fondata sulla divisibilità dello spazio,
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il quale costituisce la possibilità del corpo, come di un tutto esteso. Questo è dunque divisibile all’infinito, senza che perciò esso consista di parti infinite.
Egli pare, nel vero, qualmente, siccome un corpo debb’essere, come sostanza, rappresentato nello spazio, così, per ciò che ha risguardo alla legge della divisibilità dello spazio, lo stesso corpo dovesse in ciò da questo distinguersi. Conciossia che ben si può ad ogni modo accordare, non togliersi mai colla decomposizione ogni e qualunque insieme (composizione) nello spazio; ché, in tal caso, cesserebbero pure tutti gli spazi (locché non è possibile), come quelli, che non hanno niente di consistente per sé stesso. Che però, togliendo col pensiero qualunque composizione della materia, non dovesse rimanere indietro il gran nulla, non pare poterselo combinare
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col concetto di una sostanza; nella quale dovrebbe anzi consistere propriamente il subbietto di ogni composizione: ond’è che la non potrebbe a meno di residua rimanere ne’ suoi elementi; non ostante che fosse tolta la congiunzione dei medesimi nello spazio, in grazia di cui essi costituiscono un corpo. Ma in ciò, cui nell’apparizione chiamiamo sostanza, la bisogna non va, per dir vero, come si potrebbe immaginare, mediante concetto puro dell’intendimento, di una cosa in sé stessa. Non è soggetto assoluto la sostanza dell’apparizione; ma consiste in un’immagine perseverante della sensibilità e non è che visione; nella quale non è parte, ove s’incontri alcunché di assoluto.
Ora però, sebbene abbia luogo, a né per ombra dubitarne, questa regola per la progressione all’infinito
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nella suddivisione di un’apparizione, considerata qual riempimento dello spazio, tuttavia essa non può avere valore per ogni qualvolta ne prendesse vaghezza di estenderla eziandio alla moltitudine delle parti già separate, in qualche guisa, nel tutto dato, con che vengono esse a constituire una quantità segregata (un quantum discretum). Ammettere, che in un tutto articolato (organico) sia di bel nuovo articolata ogni parte e che, in tal maniera, nella decomposizione delle parti all’infinito abbiano sempre ad incontrarsi nuove parti artifiziali (organizzate), in una parola, che trovisi artico lato (costrutto di organi) all’infinito il tutto, gli è un ammettere quanto non si lascia né tampoco pensare; quantunque si possa benissimo ammettere, non che raffigurarsi, essere nella decomposizione loro all’infinito articolate le parti della
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materia. Imperocché la infinità della divisione di una data, nello spazio, apparizione poggia unicamente nell’essere data per tale apparizione la sola divisibilità, vale a dire, una per sé assolutamente indeterminata copia di parti; le quali però non vengono date e determinate esse medesime se non mediante sulla circostanza dell’essere già in sé stesso diviso il tutto. Il perché può la divisione determinare nel medesimo tal moltitudine, la quale vada sì lungi che si avesse mai voglia di progredire nel regresso della divisione. Viene, all’opposto, già rappresentato come diviso, mediante questo stesso concetto, un corpo organico, articolato all’infinito, e s’incontra in esso lui una per sé stessa determinata, ma infinita, copia di parti, anteriormente ad ogni regresso dello scompartimento. Con
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che si finisce per contraddire a sé medesimi; dacché si risguarda questo infinito avviluppamento, quasi come una serie da non potersi mai ridurre a compimento (infinita), e lo si risguarda, nello stesso tempo, come compiuto in una collezione. La divisione infinita indica soltanto l’apparizione, qual quantità continuata (quantum continuum); ed è inseparabile dal riempimento dello spazio; essendo appunto riposta in tale occupazione di spazio la causa della divisibilità infinita. Tosto però che si ammette qualche cosa, come quantità segregata (quantum secretum), è in essa già determinata la moltitudine delle unità, ed è questa perciò anche sempre simile ad un qualche numero. Sin dove possa dunque protrarsi l’organizzazione, in un corpo articolato, non è che la sperienza che valga deciderlo; e, quando pure
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non arrivasse mai questa con sicurezza ad una parte inorganica, deggiono però siffatte parti essere per lo meno contenute nella sperienza possibile. Ma sin dove si estenda la divisione trascendentale di un’apparizione, in genere, non è punto affare di sperienza; essendo anzi un principio della ragione, che non debbasi giammai reputare come assolutamente compiuto il regresso empirico nello scomponimento di quanto è dotato di estensione, conforme alla natura della respettiva apparizione.