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L’intelligenza è sublime: lo spirito è bello. L’arditezza è grande e sublime: picciola è la destrezza, ma bella. La circospezione, diceva Cronwell, è la virtù d’un borgomastro; la sincerità e la rettitudine sono semplici e nobili. La celia e la spiritosa lusinga sono delicate e belle. La buona grazia è la bellezza della virtù. Nobile è lo zelo disinteressato a render servigio: belle sono la politezza e l’onestà. La stima sveglia il nostro sentimento del sublime: e l’amore, quello del bello. Le persone fatte per conoscere principalmente il bello, non ricercano i loro amici sinceri, costanti e d’un serioso carattere se non che negl’imbarazzi della vita: si fanno però di preferenza circondare da esseri scherzevoli, amabili, e d’un temperamento facile ed accorto. Evvi tal uomo che stimasi veramente troppo per poterlo amare: desso ispira l’ammirazione; epperò è egli posto assai al di sopra di noi, perché osiamo di avvicinarlo colla confidenza dell’amore.
Coloro che riuniscono in essi tali due specie di sentimenti, troveranno che l’emozione prodotta dal sublime è molto più forte che quella del bello, ch’essa termina collo stancare lo spirito, e che di essa non si saprebbe godere per lungo
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tempo se non si alterna coll’ultima, o se non umanizza, in certo modo, la sua grandezza mercé di questa alleanza(1). I nobili sentimenti, alla elevatezza di cui innalzasi qualche fiata il conversare in una scelta società, debbono bentosto confondersi con un amabile scherzare; ed amici, insieme rallegrandosi, possono fare, colla fisonomia d’uomini più fortemente commossi, il bel contrasto che risulta dalla felice e facile successione di quei due sentimenti. L’amicizia vestesi essenzialmente de’ tratti del Sublime; e l’amore de’ due sessi, di quelli del Bello. Ciò nullameno la tenerezza accompagnata di stima communica all’ultima una dignità ed una certa elevatezza che non le sconvengono. Le leggieri piacevolezze, l’allegria e la famigliarità non portano, al contrario, su questo sentimento, che il colorito del bello.
La tragedia, secondo io penso, differisce essenzialmente dalla commedia in questo, che nell’una è messo in azione il sentimento del sublime, e
(1) Il sentimento del Sublime tende con maggior forza le molle dell’anima, e per conseguenza la stanca più presto. La lettura d’un poema pastorale si continuerà per più lungo tempo, senza fastidio, che quella del Paradiso perduto di Milton; e la mano rilascerà men presto un la Bruyere che un Young. Sembrami pure che costui abbia commesso un errore, come poeta moralista, tenendosi in un modo troppo uniforme ne’ tuoni elevati; giacché la forza dell’impressione non può esser prolungata se non per tanto che lo spirito si è riposato su di passi d’un carattere più dolce. Nulla più stanca, nel Bello, quanto l’arte penosa che non ha avuta la destrezza di dissimularsi; ed allora fin la pena che altri si dié per allettare, è ben risentita in un dispiacevole modo.
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nell’altra quello del bello. La prima fa quasi sempre rilucere il generoso sacrifizio di sé stesso ad un benessere che sovente è estraneo per noi, ardite risoluzioni nel pericolo e la fedeltà messa a pruova. L’amore vi è melanconico, tenero e pieno di stima; la disgrazia degli altri risveglia, nell’animo dello spettatore, simpatici sentimenti; e fa battere il tuo cuore, reso accessibile alla pietà, per una pena che non gli accade di soffrire. Allora la nostra emozione sublima, a’ nostri propri occhi, la dignità della nostra natura nel mentre che la commedia limitasi a presentarci sottili artifizi, misteriose complicazioni, uomini di spirito ch’evitano un cattivo passo, balordi che prendonsi a scherno, argute celie, e caratteri che si vestono del ridicolo. Raramente in duolo vi si mostra l’amore; più impegnasi di interessare mercé la sua gaiezza, mercé la sua stessa famigliarità, che col suo dolore. Tuttavolta, in questo genere del pari, il nobile ed il bello possono ben collocarsi.
I vizi stessi e le morali imperfezioni improntano sovente i tratti del sublime e del bello, almeno, come colpiscono i nostri sensi, senza andar sottoposti all’esame della ragione. La collera d’un valoroso, come è quella d’Achille nell’Iliade, inspirando un sentimento di timore, risveglia quello del sublime. L’eroe di Omero mi spaventa e commuove; quello di Virgilio, tutto al più, offresi agli occhi miei con aspetto di nobiltà. Evvi certo che di grande in una aperta vendetta e coraggiosa dopo un violento oltraggio; e per quanto possa essere illecita, cagiona nel racconto che la riferisce un sentimento frammisto di terrore e piacere. Quando
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Schah-Nadir fu la notte assalito nella sua tenda da alcuni congiurati, rapporta Hamvay ch’egli esclamò, dopo aver già riportate alcune ferite e d’essersi difeso colla rabbia della disperazione «Pietà di me! Io voglio a tutti perdonare». Uno di quegli rispose, alzandogli il fendente sulla testa; «Tu non mostrasti giammai pietà per alcuno, or non ne meriti affatto».
Una temerità armata di risolutezza è estremamente pericolosa in uno scellerato; però non saprebbesi sentire, con un’interessata emozione, parlare di ciò che egli fa intraprendere, e allora pure ch’ei subisce una vergognosa morte, sembra, in certo modo, nobilitarla, ricevendola con disdegnoso coraggio. D’altra parte, un progetto ingegnosamente concepito ed eseguito con destrezza, anche allor che si propone una frode, in sé contiene certa finezza che eccita l’allegria. La cochetteria, nel suo vero senso, cioè l’applicazione a piacere ed a soggiogare, presso una donna, d’altronde tutta grazie, è forse biasimevole, ma non lascia però di avere la sua bella parte, ed a dispetto della ragione che la condanna, la si preferisce comunemente ad un saggio contegno, ed al rispetto delle sociali convenienze.
L’apparenza delle persone, che mercé il loro esterno lusingano altrui, trovasi in rapporto con l’uno de due sentimenti, de’ quali noi ci occupiamo. Se un’alta statura impone il riguardo, l’altra ispira più confidenza. Esiste pur dell’affinità, tra il color bruno, gli occhi neri e ’l sublime, il color biondo, gli occhi blù ed il bello. Una età avanzata si collega colle proprietà del Sublime; la gioventù con quello del bello.
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Non vi è situazione della vita, che non rientri in uno di questi dati, in cui deve pur collocarsi la differenza dell’abbigliamento. Ad una nobile semplicità vanno obbligate le persone constituite in dignità ed imponenti per il loro carattere; sarebbe assai se si promettessero esse la ricchezza negli abiti loro; una certa ricercatezza è, per contrario, tollerabile negli individui di una classe, che va meno esposta agli altrui sguardi. Uniformità, e foschi colori sono dicevoli alla gravità di una età avvanzata, nel mentre, che la gioventù fiera pe’ suoi colori risplendenti, può pur brillare mercé il vivo contrasto delle diverse parti del suo vestimento. Eguale di fortuna e di rango, conviene che l’Ecclesiastico s’intrattenghi in una grande semplicità, e l’uomo di stato in tutto il lusso ed in tutto l’apparato della magnificenza. Colui, che corre intrighi amorosi può vestirsi come gli piace. Non abbiamo noi consigli a dargli.
L’esterne accidentali circostanze della fortuna provocano pure, per conseguenza dell’opinione, analoghi sentimenti a quelli che abbiamo esaminati: un’alta nascita, e de’ titoli trovano comunemente i popoli disposti al rispetto. Le ricchezze, non fossero pure accompagnate dal merito ottengono gli omaggi degli esseri più disinteressati, senza dubbio, perché l’idea che se ne fa, collegasi da sé stessa a quella delle grandi cose, di cui posson esse divenire principale istromento. Questa considerazione, in virtù dello stesso motivo occasionale, si riflette su molti opulenti bricconi, da cui non vi ha nulla di simile ad attendere, ed ai quali non darà mai il lor cuore il consiglio d’abbandonarsi ad un nobile impiego
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della propria fortuna. Quello che aggrava la disgrazia della povertà si è il disprezzo, che vi si attacca, disprezzo, che non vien contrabilanciato agli occhi del volgo dalle più solide virtù, che bisognerebbe quasi ingannare per suo vantaggio, per distaccarlo dai ranghi, e dai titoli, dai quali gli è dolce di lasciarsi offuscare.
Non esiste nell’umana natura alcuna lodevole qualità, senza che non si abbia a temere di vederla discendere, per insensibili e gradate variazioni, all’estrema imperfezione. Proprietà del Sublime spaventevole, da che cessa di essere naturale, è di cadere nella Stravaganza. S’egli eccede i limiti conosciuti, o se il bello medesimo quelli oltrepassa che gli assegna la ragione, si mettono entrambi sotto il nome di romanzesco. Povertà sono le cose che non hanno un tuono di verità, quando vi si annette il Sublime, fosse pur un risparmio. Colui, che ama e crede il bizzarro, è un visionario. La disposizione a credere cose sprovviste di probabilità, costituisce l’allocco. Qualche fiata il Sentimento del bello se non proponsi alcun nobile od utile fine degenera in puerilità. L’uomo, presso di cui questa tendenza è in maggior grado, chiamasi frivolo; e quando trovasi in una mezzana età, per poco che vi metta prevenzione, ha il titolo di sciocco. Siccome il grande, il Sublime è quel che vi ha di più necessario per una carriera che avvicinasi al suo declino; la più dispregevole delle creature che possa in questo mondo incontrarsi è un vecchio sciocco, al medesimo modo un giovane vizioso n’è la più fastidiosa e la più insopportabile.
L’allegria e la giocondità sono in rapporto col sentimento del BELLO. Ciò nulladimeno gran fondo
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d’intelligenza vi si scorge qualche volta, e possono allora più o meno ravvicinarsi al SUBLIME. Colui, nella cui allegria non vi si immette alcuna tinta di questo miscuglio, non è che uno stolido; colui che ha sempre il riso in sulle labbra, non è che uno sciocco. Altri può facilmente osservare che gli uomini il di cui giudizio è più rassettato permettonsi qualche volta di celiare; e non è proprio d’una piccola forza di spirito il far discendere in questo modo l’intelligenza dal suo elevato posto, senza ch’ella travi. Colui i di cui discorsi e le cui azioni discolorate né commovono né aggradano, è un uomo fastidioso. Costui, lorché a dispetto della natura, sforzasi di produrre questi due effetti, è un essere insipido. Se a tutto ciò egli aggiugne della presunzione, ci offre precisamente un pazzo(1).
Voglio provarmi a distendere questo singolare sbozzo delle umane debolezze, più facile ad esser
(1) Osservansi da prima che questa onorevole famiglia dividesi in due logge, quella dei visionari e quella dei stolidi. Si dà, per discrezione, il nome di pedante a un dotto visionario. Quando assume l’orgoglioso volto della saggezza, come il Dunce de’ tempi antichi e moderni, il cappuccio a sonagli a meraviglia conviengli. Nel gran mondo assai più numerevole dell’altra è la classe degli sciocchi; e forse ancora ha più dritti all’indulgenza, non fosse per altro che pel motivo di avervi almeno a guadagnare con essa qualche cosa in allegria. Nulladimeno, in questa varietà di caricature e di maschere che s’incrocicchiano, in sensi differenti, nel cammin della vita, fa l’una sovente le smorfie all’altra, che le rende concambio, ed urta, colla sua testa vuota, quella del fratel suo, che non trovasi per avventura meglio in arnese.
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compreso mercé degli esempi; giacché colui, che non possiede il pennello di Hogarth, deve supplire con delle applicazioni, al tratto imperfetto del suo disegno. Affrontare con coraggio i perigli per difendere i propri dritti naturali, ed acquisiti, quelli della patria, e de’ propri amici, è SUBLIME; i tratti dell’antica cavalleria sono bizzarri(1); i duelli, resti malaugurati di quest’ultima, figli di una falsa idea dell’onore, sono crudeli sciempiaggini. Il tristo allontanamento dal chiasso del mondo, quando ha per causa una giusta sazietà, è nobile. La pietà solitaria degli antichi eremiti non era che bizzarra. I chiostri, e tutti gli avelli a fior di terra, distinti a rinserrare l’esistenza tutta viva, sono follie. Egli è sublime di dominar le proprie passioni, senza alcun altro soccorso, che quello dei principi: le mortificazioni della carne, i voti, e tante altre virtù monacali di questa importanza, sono delle follie:(2) carcami ammassati così all’avventura, alcuni stracci, certi amuleti, ed ogni altro cencio di simil natura, senza eccettuare le stelle del gran Lama, sovrano del
(1) Osservate che Kant si attacca a questa espressione perché già pose nella categoria de’ visionari quei che si compiacciono del bizzarro.
(Keratry)
(2) Crediamo qui dover dissimulare alcuna espressione del professore di Koenigsberg. E avvertasi che l’autore è protestante. Noi che viviamo in senso alla Cristiana cattolica religione, al pari delle virtù che loda il nostro autore e che sono in onore tra gli uomini, apprezziamo pure quelle che emergono dal dispregio del mondo, onde ne sia dato e di contemplare la divina sapienza e di temerci lungi dalle lusinghe dei piaceri.
(Il traduttore)
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Thibet, sono follie. Nell’opere di spirito e di gusto, le poesie di Virgilio e di Klopstok, appartengono al nobile; quelle di Omero, e di Milton al genere gigantesco. Le metamorfosi di Ovidio sono mellonagini(1), e i racconti delle fate nate da quelle francesi frenesie, sono le più miserevoli di tutte le scempiagini che siansi mai immaginate. Le poesie anacreontiche(2) sono ordinariamente vicinissime a quel che chiamasi goffaggine.
Le produzioni dell’intelligenza applicata agli oggetti i più Sublimi, secondo, ch’essi s’indiriggono, con più, o meno successo al sentimento del bello e del sublime, possono ricevere
(1) La severità eccessiva di questo giudizio sa dell’ingiustizia. Il poema delle metamorfesi è il capo d’opera di Ovidio. Era così permesso a questo scrittore scegliere il suo soggetto nella credenza religiosa della sua nazione, come a Milton ed a Gessner trattare biblici soggetti, come al Tasso domandare il suo al cristianesimo. Per altri riguardi il Sulmonese poeta malia delle immagini, e qualche volta di quello del sentimento. Tra le altre, la sua favola di Filemone e Bauci è commovente per la sua verità. Pur con sua riuscita, rimaneggiò la Fontaine, dopo di lui, questa pagina della cronaca pagana: noi però crediamo che Ovidio è sempre rimasto l’antico. Noi stessi abbiamo avuto
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egualmente queste diverse denominazioni. L’idea metafisica della grandezza incommensurabile dell’universo, le meditazioni della metafisica, dell’eternità, la provvidenza, l’immortalità dell’anima, presentansi con dignità e brillano di un vero Sublime: di più, vien disonorata la filosofia da una folta di sottigliezze vuote di senso, e il pretendere alla profondità non impedisce che le quattro figure sillogistiche non meritano d’esser poste tra le scolastiche scioccherie.
Nelle qualità morali, la sola virtù è Sublime. Ciò nullameno alcune ve ne sono che sono amabili e belle, che, quando accordansi colla virtù, le si possono considerar come nobili, senza aver precisamente il dritto d’essere annoverate tra i sentimenti virtuosi. Dilicata e complicata insieme è la materia da doversi esaminare: mal saprebbesi certamente chiamar virtuosa una disposizione dell’anima, sorgente di azioni tali cui possa bene collegarvisi la virtù, ma che, non entrando con essa in lega se non che occasionalmente, potrebbero offendere le immutabili regole della giustizia e del dritto. Una certa bontà, la di cui origine trovasi ordinariamente in un vivo sentimento di pietà, per sua natura è bella ed amabile; giacché mostra, per la sorte degli altri uomini, quell’interesse di benevolenza, cui guidano egualmente i principi d’una sana morale; e pure tal felice disposizione, cieca alle volte, sovente ravvicinasi alla debolezza. Supponghiamo in fatti che tal sentimento a modo vi signoreggi che vi inclini a soccorrere co’ vostri danari un paltoniere, essendo voi al tempo stesso indebitato, e che vi ponete pel soccorso che voi gli offrite, nell’impotenza di satisfare
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personalmente ai rigorosi doveri della rettitudine; è omai evidente che la vostra risoluzione non ha potuto emergere da un divisamento senza dubbio virtuoso, giacché questo non v’impegnerebbe già a sacrificare una sacra obbligazione a quel momentaneo offuscamento. Per contrario, lorché una universal benevolenza pel genere umano è divenuta, per voi, un principio al quale sommettereste del continuo le vostre azioni, resta ancor la pietà per gl’infelici; occupando però un punto di vista più sublime, bilanciasi in una giusta proporzione colla massa de’ vostri doveri; se la generale amorevolezza di cui siete voi largo alla specie vostra, è un motivo di dividere le altrui sofferenze, lo è pur d’obbedire a quella giustizia, alle cui leggi le azioni d’ogni dabbenuomo debbono andar sottoposte. Da che questo sentimento ha preso il carattere di generalità che conviengli, esso è Sublime, e per la stessa ragione, più freddo; giacché sarebbe difficile che ci gonfiasse il nostro seno ogni giorno di tenerezza per privati interessi, e che nell’occasione di ogni male straniero, i nostri occhi si affogassero nel pianto. Altrimenti il destino dell’uom virtuoso sarebbe di sciogliersi in lagrime senza fine, a guisa di Eraclito, e tutta questa bontà d’un cuor compassionevole per tutti non perverrebbe che a farne un tenero poltrone(1).
(1) Un pù rigoroso esame della pietà ci farà conoscere che la sua qualità, per quanto amabile possa essere, non porta pertanto con se la dignità della virtù. Un bamboletto che soffre, una graziosa donsella sventurata e non compianta, imprimeranno all’anima nostra quella sorte di tristezza nel tempo stesso che ci perviene
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Una seconda sorte di sentimento, in rapporto col precedente, e che, come quello, non manca né di bellezza, né di amabilità, ma in cui non rinviensi la base di alcuna solida virtù, è la compiacenza, o vero quella inclinazione che ci porta a renderci piacevoli agli altri mercé di amichevoli modi, d’una deferenza ai loro desideri, e d’una conformità della nostra condotta alle loro opinioni o ai loro interessi. Questo principio, d’un amenità seducente, è bello, e la pieghevolezza d’un simile cuore procede da un naturale benevolente; tuttavolta indarno aspirerebbe quest’ultimo all’onor della virtù, da che può aprir le dighe ad ogni fatta di vizi, quando una più elevata morale e più severa per conseguenza, non pone a loro dinanzi il limite che non è loro permesso di oltrepassare. Giacché, senza il pensare che questa compiacenza per la società, in cui abbiam noi le nostre abitudini, divien sovente ingiustizia per gli esseri collocati al di fuori di questo stretto precinto, l’uomo il quale sacrifica, senza alcuna misura, a tale umore, è suscettibile di darsi in preda ai più deplorabili eccessi,
la nuova a sangue freddo, d’una gran battaglia, in cui a ciascuno facilmente ricorre al pensiero che un immenso numero d’uomini avranno dovuto gemere sotto il peso de’ più spaventevoli e immeritati mali. Quel principe, il di cui viso, con invisibili segui di emozione, s’è altrove rivolto al mirare una sola infelice persona, ha nondimeno e forse nell’istante medesimo, dato l’ordine ai suoi ministri di dichiarare una guerra per privati motivi. Da che non avvi alcuna proporzione negli effetti, come dir si potrà che il sentimento dell’umanità generale abbia qualche parte della prima di quelle due impressioni?
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non per immediata inclinazione, ma per un effetto della sua lusinghiera e deplorabile facilità a uniformarsi a tutti i gusti. Il desio troppo vivo di piacere altrui il condurrà a vicenda ad essere un buggiardo, uno sfaccendato, un bevitore, se col rendersi il tristo scherno d’una inclinazione, bella sì in sé stessa, ma frivola, da che non lasciasi guidare da principi, non s’impone le regole che formano la salvaguardia d’ogni buona condotta.
In conseguenza, la vera virtù non può esser fondata che sui principi che la rendono d’altrettanto più sublime e più nobile quanto saranno essi universali. Non si riferiscono questi a regole speculative, ma all’intima coscienza di un sentimento ch’esiste in seno a tutti gli uomini, e che si allarga ben più lungi che le particolari sorgenti della pietà e della compiacenza. Stimo di abbracciare tutto quello ch’io intendo nella mia denominazione quando io dico essere Il sentimento della bellezza e della dignità dell’umana natura, in cui trovasi da prima un principio d’universale benevolenza, ed in seguito di stima generale per la specie; e se tal sentimento sarebbe pervenuto alla sua più grande perfezione in qualche umano cuore, quest’uomo in vero amerebbe e stimerebbe sé stesso, ma solo perché farebbe parte di quel bell’insieme di esseri sui quali si spargerebbe il suo vasto e nobile sentimento. Subordinando sì fattamente le nostre picciole inclinazioni personali e particolari ad una sola che assunse quel grado di latitudine, ci è dato di lusingarci di contenere ogni nostra benevola inclinazione in giusti limiti, di assegnare a ciascuna di esse convenevoli
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proporzioni, e di dare al nostro carattere quella grazia imponente, che forma la bellezza della virtù.
In considerazione della debolezza dell’umana natura, e della poca forza che il generale sentimento della morale, come l’abbiam noi annunziato, potrebbe avere sul comune degli uomini, mise la Provvidenza nel nostro seno le ausiliarie disposizioni, come supplemento della virtù, le quali, destinate a inclinare verso le belle azioni certi uomini poco suscettibili di lasciarsi diriggere dai principi, hanno pure per impiego di accelerare, presso gli altri, lo slancio e la tendenza verso le grandi cose. Due sorgenti di belle azioni sono la compiacenza e la pietà, che, senza quelle, affogate sotto il peso d’un vile interesse, forse non si osserverebbero mai; ma, come lo si è da noi osservato, non portano essa l’augusta impronta della virtù, sebben vadano annobilite dalla loro affinità che vi hanno e ne ricevono egualmente il suo nome. Posso io dunque chiamarle virtù adottive, e quella che fondasi sui principi, vera e pura virtù. Quelle sono seducenti e belle; questa poi è sol sublime e rispettabile. Dinotasi il naturale in cui allignano i primi sentimenti colla qualificazione di Buon cuore; e con quella di Buono l’uomo che ne va dotato; nel mentre che ragionevolmente si attribuisce un cuor nobile all’uom virtuoso per principi, e che vien decorato col bel titolo di Giusto. Queste virtù adottive rassomigliano pertanto alla vera in questo che egualmente contengono il sentimento d’immediato piacere nelle buone e benevole azioni. In fatti, l’uomo animato da questo spirito, senza alcuna mira ulteriore
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e per solo effetto di quel dolce istinto di compiacimento, tratterà con voi in un modo civile ed amichevole, e proverà un sincero dolore all’aspetto dell’altrui malanno.
Ma intanto, siccome questa moral simpatia non è sufficiente a determinare l’infigarda natura dell’uomo alle azioni d’un generale interesse, la Provvidenza pur pose in noi un sentimento assai dilicato, onde il nostro zelo può venir stimolato in alcuni rincontri, e in altri servire a controbilanciare il particolare interesse ad una volgar voluttà. È questo il sentimento dell’onore, al quale da noi si aggiunge quello del pudore. Motore di gran potenza formano le idee che gli altri sono nel caso di prendere del merito nostro, e il giudizio che hanno il dritto di pronunziare sulle nostre azioni. Ciò basta perché pure ci vengano imposti sacrifizi numerevoli. Quello che una considerevol parte degli uomini non avrebbe fatto né per ultraneo e subitaneo movimento di bontà, né per rispetto che si ha pe’ principi, sovente accade per una semplice deferenza alla pubblica opinione, in sua essenza utilissima, sebben assai secca sia in sé stessa; ma altri piegasi al suo cospetto e limitasi ad apparenze, come se dipendesse da altri il fissare la natura del nostro merito di dare un prezzo alle nostre azioni. Non è affatto virtuoso quello che accade per forza di questo impulso: ed è pel motivo che colui il quale cerca a passare per tale, nasconde con assai cura un tal molla, e impegnasi a dissimulare il suo vivo desiderio della gloria. Ben si comprende che una tal disposizione non è pure intimamente collegata alla pura virtù, come la bontà, giacché non
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saprebbe a suo esempio determinarsi dalla bassezza delle azioni, e perché non obbedisce che alla speranza di conciliare per sé una estranea approvazione. Posso io dunque, lorché questo sentimento dell’onore non pecca contro la delicatezza, chiamarlo simile alla virtù, e quel che ne risulta avrà agli occhi nostri presso a poco lo splendor della virtù istessa.
Paragonando ora i differenti naturali degli uomini, in tanto che l’una di queste tre specie di sentimenti vi domina e forma il loro morale carattere, trovaremo che ciascuno di essi è collegato con uno de’ temperamenti, come si è nell’uso di classificarli, e in tal modo che l’assenza d’ogni sentimento morale diverrebbe proprietà del flemmatico; non che il segno distintivo di questi diversi naturali unicamente consiste nelle fisiche opposizioni (giacché non siam noi vaghi di esaminare in questo trattato, sentimenti più grossolani, come quella del personale interesse e della volgare voluttà, etc.; inclinazioni specialmente qualificate negli scritti de’ moralisti), ma perché le morali tendenze, di cui abbiam noi parlato, meglio si accordano con gli altri temperamenti, e perché vi si trovano realmente più sovente riunite.
Un profondo sentimento per la bellezza e per la dignità dell’umana natura, una ferma risolutezza, una forza di spirito per rapportarvi tutte le nostre azioni, a guisa di un principio universale, sono seriose e male si affanno con una leggiera allegria, o colla leggerezza d’uomo distratto. Queste qualità si avvicinano pure alla malinconia, sentimento tenero e nobile, destinato a nudrirsi di quel dolce terrore che infreddarebbe
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gli animi ristretti, e che è lungi d’abbattere l’anima, quando con occhio fermo contempla i disastri verso cui va a progredire, già godendo, nel cuore della difficile vittoria, epperò gloriosa, riportata dalla virtù su di sé stessa! Il merito vero o sia quello che deriva da un gran rispetto de’ principi, in sé contiene qualche cosa di proprio a porlo, di preferenza, in armonia coll’umor melanconico, preso in un senso addolcito.
La bontà, quella bellezza, quella dilicata irritabilità del cuore, quella facoltà di rimanere commosso, secondo le occasioni che presentansi ne’ casi particolari, dalla pietà e dalla benevolenza, è suscettibilissima di abbandonarsi al cangiamento degl’incontri. Da che l’emozione dell’anima non riposa su d’un principio generale, facilmente si presta a tutte le forme, secondo che v’è dessa determinata dalle cause accidentali di cui subisce la impressione. Quando questa tendenza inclina verso il Bello, pare che più naturalmente si colleghi col temperamento che chiamasi sanguigno, e ch’è riconosciuto per leggiero e inchinato ai piaceri. Avrem noi a ricercare, in questo temperamento, le amabili qualità che abbiamo chiamate virtù adottive.
Il sentimento dell’onore, nel suo esaltamento, quasi sempre lo si risguarda come un segno pronunziato di complessione collerica o biliosa. Per dipingere un tal carattere, non sarebbe inutile l’esaminare con certa accuratezza, le naturali conseguenze del delicato sentimento che gli va affetto, sentimento inchinevole al fasto ed ai successi di opinione.
Non esiste alcun uomo, in cui non rinvengasi qualche traccia di quei sentimenti che formano
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il bel corredo della nostra natura: la loro assenza assoluta, conosciuta sotto il nome d’insensibilità, sarebbe la miserevole dote del temperamento flemmatico, che riguardasi pure, generalmente, come privo delle men depurate inclinazioni, com’è l’amore dell’oro e la ricerca di grossolana voluttà. In ogni caso, gli abbandonaremmo noi quel tristo corteggio con tutte le altre inclinazioni della stessa famiglia, senza farne l’enunciazione, che non appartiene al piano dell’opera nostra.
Esaminiamo pertanto più davvicino i sentimenti del Sublime e del Bello, principalmente nei loro morali rapporti, colla classificazione dei diversi temperamenti, come si è ammessa da noi.
L’uomo il di cui sentimento rientra nel melanconico, non riceve questa denominazione, perché allontanato dalle gioie della vita, abbandonasi ad una scura tristezza, ma perché i suoi sentimenti, dovessero pure ingrandirsi sin a un certo grado, o pur obbedire ad ogni altra nuova influenza, lo riporrebbero egualmente verso tale disposizione. Ei possiede, sopra ogn’altro, un sentimento pel Sublime. La stessa bellezza che sente egualmente con forza, non deve solo incantarlo, non farà essa nulla meno che il commoverlo, colpirlo, soprattutto quando sarà di una natura a spingerlo all’ammirazione. Il godimento de’ piaceri, per essere per lui più grave, non lascerà d’essere intimo e profondo. Le forti emozioni del Sublime hanno alcun che, il quale meglio si addica alla sua anima, che la viva attrattiva del Bello; troverà la sua felicità piuttosto nel contento che nell’allegrezza; e, per lo stesso motivo ch’egli è costante, vorrà subordinare
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tutti i suoi sentimenti ai principi. Saranno questi tanto meno esposti alle vicissitudini quanto l[a] base, su cui riposano è larga e solida. Una grande idea domina ed abbraccia presso lui tutte le altre. Siccome essa comanda alle disposizioni volontarie, rattenute da essa nel lor freno, ella si accresce e si fortifica ancora in forza di loro a sua volta. I principi particolari delle nostre inclinazioni, da che cesserebbero di derivare da quel principio superiore, anderebbero soggetti ad una moltitudine di eccezioni e di pericolosi cangiamenti; il vivo e spiritoso Alceste così dice. «Io amo e stimo la mia sposa, perché è bella, carezzevole e sensata.» Non potrebbe accadere che, se venisse il malore ad alterare i tratti incantevoli di questa giovane sposa, se l’abbandonassero le sue grazie, se l’età la rendesse affannosa e se le lusinghe della prima seduzione fussero svanite, cessasse Alceste di trovar la sua donna sì sensata e sì amabile in preferenza di ogni altra? Da che disparve la cagione del prestigio, che diverrà mai l’inclinazione che il fe nascere? Volgendovi per contrario al saggio e benevolo Adrasto, la cui riflessione lo trasse a dire a sé stesso: «Io amerò e rispetterò costei, perché è mia sposa». Questo sentimento è d’un anima grande; e dalla sua stessa nobiltà gli viene la garantia d[e]lla sua durata; le momentanee attrattive possono ecclissarsi presso colei che n’è l’oggetto: con ciò resterà sempre sua sposa, e sempre degna degli omaggi suoi, non fusse pure che a questo titolo solo; giacché il principio sublime resta sempre, senza mai obbedire all’inconstanza da cui van regolate le cose esterne della vita.
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Tale è la natura de’ principi, comparati alle emozioni passeggiere di un cuore che fanno ligio all’impero delle posizioni accidentali, e tale è l’uomo che si costituì regole di virtù, all’opposto di colui che si contenta di lasciarsi trarre dal corso de’ suoi movimenti buoni ed amabili. No ’l vedremo noi pur risalire ad una più elevata altezza nel pensier nostro, quando presso a poco in questo modo parlerà a sé stesso: «Io andrò a soccorrere quell’uomo, non perché io credo di trovare in lui una conformità di sentimenti; non perché sembrami naturalmente portato a divenirmi amico ed a pagare il mio benefizio con dolce riconoscenza; ma unicamente perché egli soffre; ciò basta: non è qui il momento di ragionare e di arrestarsi a delle quistioni; egli è un uomo, e tutto quello che agli uomini accade ha un eguale diritto al mio interesse». Ei conferma allora la sua condotta alla più bella regola che esiste, quella d’una immensa e universal benevolenza per l’umana natura; ed ei divien sublime al più alto grado, tanto a ragione della invariabilità del principio che lo dirigge, che per la bella applicazione che ne ha fatto.
Continuo le mie osservazioni. L’uomo d’una melanconica costituzione, poco curantesi dell’altrui giudizio e di quel ch’essi stimano per vero e per giusto, se ne rapporta alle sue proprie nozioni nella stima degli oggetti. Siccome le cagioni motrici del suo opinare partecipano in lui della natura dei principi, sarebbe estremamente difficile di ricondurlo a sentire altre influenze. Voi vedrete allora la sua costanza degenerare in caponaggine, o prendere i caratteri dell’ostinatezza.
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Eccitano raramente la sua attenzione, e quasi sempre il suo disprezzo la volubilità delle usanze e le variazioni della moda. L’amicizia, per ciò ch’essa contiene in sé stessa certo che di sublime, sarebbe fatta pel suo sentimento. Se gli accade a doversi rincrescere d’un animo leggiero nei suoi gusti, non è già da lui che sarà cominciato il raffreddamento, e non se ne staccherà che lungo tempo dopo averlo perduto. Rispettabili ancora agli occhi suoi sono le tracce d’una spenta amicizia. Pieno d’ammirazione per la beltà della parola, quando fa sentirsi da una bocca virtuosa ed eloquente, egli trova sublime un silenzio pieno di pensieri; padrone del suo secreto, non è mai depositario infedele di quello degli altri; ricolmo del nobile sentimento della dignità umana, la verità presenterassi a lui dinanzi sotto sublime aspetto e sotto tratti bruttissimi la mensogna o la semplice dissimulazione; e siccome acquistò il dritto di apprezzare sé stesso, vedrà in ogni essere della sua specie una creatura, la quale reclama gli stessi riguardi. Antipatico ad ogni bassa soggezione, il suo seno generoso gonfiasi e respira d’esser libero: e in questo modo che le dorate catene della corte gli pesarebbero tanto quanto quelle di ferro di cui caricansi i membri d’un infelice forzato. Lo spirito di giustizia non l’abbandonerà mai: severo per altrui, non sarà indulgente per sé stesso, e, più d’una fiata, vi sembrerà sì malcontento della sua propria persona, che di quella degli individui co’ quali avrà avuta la disgrazia d’essere in contatto.
Da che questo carattere pecca per eccesso, la gravità vi degenera in tristezza, la pietà in fanatismo,
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e il caldo amore della libertà slanciasi oltre l’entusiasmo. Nell’odio suo contra l’ingiustizia, nell’irritazione che gli cagiona una ingiuria, nutrirà implacabile desio di vendetta. Di tanto più pericoloso ch’ei dispregia il pericolo, e che il disprezzo della morte erra continuamente sulle sue labbra, sotto le forme d’un disdegnoso sorridere, rivolge il suo sentimento contro l’oggetto delle sue primitive ricerche, e a meno che non sia arrestato da fortissima ragione nel bizzarro, abbandonasi alle ispirazioni, ammette le apparizioni fantastiche, e lasciasi trasportare dal trambusto de’ suoi spiriti. Ma, se la sua intelligenza è d’una debol misura, non ammette essa se non che la più miserevol parte di questo delirio, come i sogni profetici dell’avvenire, gl’intersegni, i presentimenti e i miracoli. In due parole, voi avrete a gemere sotto un fantastico o sotto un visionario.
L’uomo d’una sanguigna costituzione è tratto irresistibilmente verso il Bello. Ridenti e vive son sempre le sue gioie. Da che la sua allegria abbandonalo, è un soffrire per lui; giacché è raro e quasi impossibile che si rinserri in un silenzioso contento. Sensibile alle lusinghe della verità, ama il cangiamento. Siccome gli è d’uopo del piacere, in lui, a sé d’attorno, è portato naturalmente a provocarlo presso gli altri, e con ciò a mantenersi in una moral simpatia che spande una gran dolcezza sul suo commercio; sì fattamente voi il vedrete tutto gioia del contento di coloro che lo avvicinano e triste dei loro affanni. Senza ricusare una vera bellezza a tal sentimento morale, siam noi forzati di riconoscere che, non emanando da un principio fisso,
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va soggetto a divenire ludibrio di momentanee impressioni. Tutto agirà su di lui. Amico di tutti gli uomini, corre rischio di non esserlo d’alcuno a malgrado della sua natural benevolenza. Incapace di mascherarsi, non mancherà oggi di augumentare il vostro benessere; ma se vi accade di cadere ammalato, o se per avventura vi colpisce la sorte, per quanto sincero volete che sia il dolore ch’ei sentirà de’ vostri malanni, dolcemente si allontanerà da voi, parendo che abbia pena a respirare in un elemento col quale il suo umore non è in rapporto, deciso pertanto ch’ei deve a voi ritornare in giorni più illuminati dal sole più brillante. Guardati di farlo assidere su d’un tribunale: non scorrerebbe indarno sulla sua mano una lagrima, e più la legge sovente che il colpevole s’avrebbe il torto agli occhi suoi. Sarebbe a voi egualmente difficile d’aggregarlo al sacro calendario, poiché incapace di completa perversità, lo è pure di assoluta bontà; nelle sue follie, ne’ suoi vizi perfino, voi scovrirete facilmente più compiacenza che inclinazione al male; nella sua generosità e nelle sue aderenze, il rinverrete pure inesattissimo calcolatore de’ suoi debiti; giacché generalmente egli accorda molto più alla bontà che non rende alla giustizia. Del resto, ei non trattasi assai severamente nel suo proprio pensiero, ed in ciò d’accordo con lui, voi sarete obbligato di ricusargli la vostra stima che non saprete troppo come trattenervi d’accordargli la vostra amicizia.
L’ultima degenerazione di tal carattere lo immerge nel frivolo. Dal burlesco cui sempre avvicinasi, è ben da presso da cader nel ridicolo. Se l’età non tempera la vivacità dell’essere che
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vi è inchinevole, se il suo giudizio non acquista qualche maturità, io non sarei garante ch’ei non divenisse un vecchio sciocco rimbambito.
Il temperamento che suol dinotarsi colla denominazione di collerico, o pur bilioso, ha un sentimento dominante per quella specie di sublime, che si fa trarre dal grandioso e dal magnifico. Quel che presso di noi dà luogo a tale impressione non è, per esattamente parlare, che lo splendore della stessa sublimità od un calore vivissimo ed assai deciso, proprio a velare l’interno della cosa o della persona, che sovente, privo d’un voler reale, non ha che il merito d’una fastosa apparenza. Ricoverto un tale edifizio d’intonaco figurativo di scolture, ingannando l’occhio, tanto più piace come se fusse realmente ciò che sembra di essere; attaccati i suoi pilastri alle pareti della muraglia, le sue cornici applicate al comignolo, mancano inutilmente d’una real solidità; la delusa immaginazione prestasi alla menzogna: così brillano le virtù fattizie, vero concettino di saggezza e merito in dipintura.
Il bilioso ha cura del suo proprio merito, di quello delle cose che gli appartengono e delle sue azioni, sotto il rapporto dello splendore, e dell’apparenza che debbono colpire gli altrui sguardi. In quanto a ciò che riguarda la proprietà della cosa, o i motivi della reale apprezzazione che il soggetto contiene in sé stesso, ei resta freddo. Niun sentimento di benovolenza riscalderà il suo cuore; niuna emozione di rispetto no ’l porterà a inclinarsi innanzi ad una nobile superiorità. Non stimerà felice sé stesso che per quanto piaccia agli altri il riguardarlo come tale. Tutto è calcolo presso di lui; ei prenderà
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tutti i punti di vista, per giudicare il suo contegno e l’effetto che ne attende, secondo le diverse posizioni dei spettatori; giacché assai poco si cura di quel che è, molto però di quel che deve apparire. Sente perciò l’alta importanza in cui rattrovansi di mettere a suo giusto valore l’impressione che va a produrre sulle menti. Sotto l’egida di questa prudente circospezione, e siccome non si lascerà giammai acciecar dell’amore, dalla compassione e dalla simpatia, dolce legame de’ cuori, si preserverà pure da molte follie e da noiosi accidenti, somigliante all’uomo sanguigno che lascia sovente ingannarsi dal suo immediato sentimento. Ecco perché l’essere di cui noi presentemente ci occupiamo, sembra comunemente migliore che non è in effetti; la sua benevolenza non è che politezza, il suo rispetto una cerimoniale deferenza, e l’amor suo una studiata adulazione. Sempre pieno di sé stesso, quando assume l’aspetto d’un amante o d’un amico, non è giammai né l’uno né l’altro. Volendo porre a profitto i soccorsi delle mode, non otterrà che successi per mettà, privo del naturale e dalla facoltà necessaria per adattarle al suo uso. Sempre il tradiranno la sua rozzezza e la sua poca civiltà nel trattare. Avrà tuttavolta sull’uomo sanguigno, quasi sempre dominato da impressioni occasionali, il vantaggio di lasciarsi guidare da principi. Questi non essendo quelli della virtù, appartenenti però all’onore, ne risulterà che la sua vita sarà più dipendente dall’opinione che dal puro sentimento, mercé il quale si determinano la bellezza e il merito delle azioni degli uomini; ma pure, come la sua condotta, la di cui sorgente resta nascosa, è
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d’altronde d’una utilità quasi generale, come quella della stessa virtù, otterrà presso il volgo, il riguardo accordato a servigi più disinteressati. Gl’impone in vero la parte ch’ei fa tra gli uomini l’obbligo di starsi in guardia contro gli occhi che ne potrebbero penetrare l’artifizio; giacché ignorasi da lui che la scoverta d’uno sfrenato desio di riputazione, sola molla del suo vivere, abbatterebbe in un momento tutto quell’apparecchio d’onore sì penosamente innalzato. Sì fattamente, dissimulato per abitudine, ipocrita in materia di religione, adulatore nel commercio del mondo, passando da un partito politico all’altro, secondo le loro conseguenze, si farà volentieri lo schiavo titolare de’ grandi per pagar loro il suo dritto d’oppressione su gl’infimi. La franchezza, bella e nobile sincerità che porta l’impronta della natura e non quella dell’arte (giacché la franchezza non s’apprende(1), gli è totalmente straniera.
In seguito, lorché questo tal sentimento s’approssima al suo tralignamento, vivissimo e duro d’un modo dispiacevolissimo, e quasi offensivo, diviene il suo lustro(2). Il suo stile caderà in
(1) Un bellissimo dettato del principe di Telleyrand, parrebbe insinuare il contrario; ma come,, nel senso di quest’uomo di Stato, trattavasi soltanto della immmunità sopravvenuta ad un ministro, pensiamo bene che ben potrebbe impararsi.
(Keratry)
(2) Non sarebbe questo carattere del cardinale di Richelieu dipinto da mano maestra, soprattutto se gli si ravvicinano i differenti tratti di cui Kant ha fatto uso per disegnare il temperamento bilioso)
(Keratry)
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anfanamenti, come in affettazione il suo assetto, specie di follia, che è al magnifico quello che il bizzarro o le chimere sono al sublime d’una nobile severità. Sul semplice sospetto del torto lo più leggiero a suo riguardo, ei ci trarrà al tribunale ove vi chiamerà a campo chiuso. Non sarà a voi accaduto di averlo visto due fiate, ch’ei non faccia risuonare a voi dinanzi il suo rango, il suo titolo e ’l nome dei suoi antenati. S’ei si limitasse a nutrirsi di vanità e all’abbandonarsi a voler conseguire ardentemente dell’onore, se gli bastasse d’attirar su di lui a largo prezzo gli altrui sguardi; il trovereste forse qualche volta sopportabile; ma, da che ha la disgrazia, come accade sovente, di unire pretese innalzate ad una totale nullità di mezzi, fa appunto quella figura tra gli uomini di cui si credette tenersi lontano di più, cioè non sarà che uno stravagante.
Come non risulta dalla costituzione flemmatica, alcun tratto che possa indicare una tendenza verso il Bello e ’l Sublime, in un grado almeno che merita di fissare l’attenzione, questo temperamento non avrà alcun posto nel collegamento delle nostre osservazioni.
Qualunque sia la natura de’ sentimenti dilicati, di cui ci siamo sinora occupati che ci avvicinano al Sublime o al Bello, dividono sempre la sorte comune in ciò che vanno soggetti ora ad essere mal estimati, ora a trasformarsi in oggetti di poca importanza, e qualche volta dispregevoli, per chiunque non n’ebbe in sorte il prezioso germe.
Un uomo portato di sua natura, verso una tranquilla applicazione, solo scopo di cui è l’interesse,
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mancherà d’organi per sentire quel che v’è di nobile in bei versi e negli atti eroici che offrono ai nostri sguardi. Abbandonerà Grandisson per Robinson, e Catone non sembragli che un pazzo incocciato. Per effetto d’una simile cagione, accaderà che caratteri più seri, in ciò che reca blandimento ad alcune persone, non vedranno che frivolezza, e giudicheranno scipitezza l’amabile naturalezza d’un azione personale.
Ove il sentimento dilicato, ch’è proprio a porci in rapporto colle cose sublimi, non sarà stato spartito in una certa misura, voi vedrete pur nascere gradi diversi nei godimenti di cui sarà la sorgente e nell’espressione che servirà ad indicarli. Di modo che, lo stesso oggetto dall’uno giudicato nobile e d’una bella convenienza di proporzioni, sarà per l’altro grande sì, ma gigantesco e bizzarro.
Le occasioni che i prodotti materiali dell’arte e della natura ci forniscono continuamente d’osservare l’altrui gusto, possono servirci a determinare in un modo assai probabile, qual sarebbe il suo sentimento, chiamato a più sublimi vedute, nel dominio vasto del pensiero e del cuore. Così, assai si sospetterebbe che i prestigi dello stile e gl’incantesimi dell’amore resteranno per sempre ignorati dall’essere pel quale una bella musica non sarebbe che occasione di noia.
Esiste certo spirito di cose picciole (spirito di bagattelle), che non lascia d’essere accompagnato da un delicato sentimento; noi però pensiamo ch’ei si neghi assolutamente al Sublime. È il gusto di tutto ciò ch’è fatto con molta arte e ricercatezza, di quei versi che si leggono a ritroso, degli enigmi, de’ logogrifi, delle chaines à puces,
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delle mostre in anelli(1); è il gusto di tutto ciò ch’è misurato ed ordinato in un modo penoso, senza lasciar ravvisare uno scopo reale di utilità; de’ libri sistematicamente e con proprietà messi a livello nei scaffali d’una biblioteca, ove, ogni mattina, una testa scema li contempla in una immobile estasi, e ne gode nell’animo suo; d’un appartamento del continuo lavato e fregato, in cui i mobili son situati a guisa d’istromenti matematici in uno astuccio, ed ove un padrone senza sentimenti d’ospitalità s’offre a’ vostri sguardi con fronte austera; è il gusto, per fine delle cose rare, ma sprovviste di ogni intrinseco valore. La lucerna d’Epitteto, uno stivale del re Carlo XII, appartengono in certo modo alla scienza numismatica: sarebbe intanto altri autorizzato a temere che le persone appassionate di possedere tal genere di cose non fussero, negli studi loro, minuziosi e visionari, e nella morale privi d’ogni sentimento per ciò ch’è bello e nobile in se stesso.
(1) Boverick, meccanico d’una destrezza e d’una perseveranza prodigiosa, fabbricò una catena di duecento anelli, che col suo catenaccio e la sua chiave pesava circa un terzo di grano. Questa catena era destinata ad imbrigliare una pulce. Egli fece una carozza che s’apriva e si chiudeva a molla, veniva tratta da sei cavalli, portava quattro persone e due lacché, era condotta da un cocchiere ai piedi del quale stava assiso un cane, e il tutto strascinavasi da una pulce esercitata a questo travaglio. – Di simili opere intende parlare il nostro autore, senza eccettuar pure le più fine chinchiglierie, le quali meriterebbero al loro artefice ricompensa pari a quella che si meritò un soldato d’Alessandro ch’erasi addestrato a trapassare una cruna di un aco con un acino di miglio spiccato da un arco.
(Il traduttore)
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Assai sovente commettesi il torto (ed è quasi sempre reciproco) d’accusare altrui di non mostrarsi molto sensibile al merito che ci commove od alla bellezza che c’incanta, senza pensare che una tal differenza nelle osservazioni meno dipende dall’intelligenza con cui da noi si procede ai nostri esami, che dall’interna disposizione onde le nostre percezioni hanno a sentir l’influenza. Ciò nullameno le facoltà dell’anima hanno una tal connessione tra loro, che può ben giudicarsi della capacità dei talenti dal modo onde manifestasi il sentimento; giacché è indarno che i doni dell’intendimento sarebbero stati prodigati all’uomo, presso cui non esisterebbe una forza irresistibile d’impulso verso ciò che, essendo veramente Nobile e Bello, può dar solo un degno esercizio a quelle facoltà(1).
Si è sventuratamente convenuto di chiamar Utile ciò solo che soddisfa a grossolani bisogni, ciò che assicura per noi un superfluo di mezzi di alimento, o ciò che, dopo aver per noi
(1) Ecco perché certa dilicatezza di sentimento fu sempre riiguardata qual merito. Che un uomo dopo abbandonevol desinare, possa dormire di un sonno profondo, altri si guarderà di sapergliene grado, e si limiterà solo a riconoscere nella sua robusta costituzione grande energia digestiva. Che un altro per converso tolga alle ore del suo pranzo un tempo consacrato a sentire dolce melodia, od a scorrere un museo ricco e di quadri e di statue; ch’ei si limita a cercare semplice distrazione in una piacevole lettura, non avesse pure sotto i suoi occhi che poetiche bagattelle, sarà riguardato per uomo più dilicato del precedente, e, senza fallo, si formerà di esse un assai più favorevole opinione.
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formato il lusso dell’abbigliarci e degli appartamenti, ci permette d’abbandonarci a prodigalità, e di chiamare estranei ad una tavola sontuosa; io non veggo perché tutto ciò ch’è bramato dal mio più vivo e più dilicato sentimento non sarebbe posto egualmente fra ’l numero delle cose utili. Bisogna tuttavia riconoscere ch’è impossibile di ragionare su questo sentimento con tal essere ch’è padroneggiato da un interesse personale e presente. Sicuramente che un tal uomo porrà stima maggiore alla gallina della masseria che al grazioso pappagallo del palazzo; farà più caso d’una pignatta che d’un vaso di porcellana di Sassonia o di Sèvres; tutte le dotte teste dell’Europa riunite non bilancerebbero agli occhi suoi il merito d’un campagnolo; e assai inclinerebbe che si citasse in giudizio lo studio del planisfero fino a che si sarebbe ricevuto un miglior vantaggio dall’aratro. Ma non sarebbe una vera follia l’entrare in tali discussioni, in cui ciascuno presentandosi con una diversità sì caratteristica di sentimenti, impossibile ne diviene l’accordo delle opinioni?
Tuttavolta, non è d’uomo, sì sprovvisto d’un gusto fino e delicato, che si possa supporre, che ei non iscorga l’importanza data generalmente a quelle piacevolezze della vita di cui non sembrano che la superfluità. Occupano esse tal luogo nelle nostre cure giornaliere, formano di modo il blandimento d’ogni uomo che esiste, che se altri s’avvisasse di tornele vie di mezzo, quasi tutti i nostri sforzi sarebbero e senza motivi e senza scopo. Si avrebbe pure qualche pena ad incontrare un uomo assai grossolano per non sentire che una morale azione, almeno in altrui,
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tanto più ci commove ch’è sciolta da un motivo materiale e che vi si facci riconoscere un nobile impulso.
Lorché io osservo alternativamente i nobili e deboli lati ed imperfetti de’ miei simili, ne incolpo me stesso di non poter prendere il giusto punto di vista, onde mi venisse dato di scorgere, nel suo tutto, quel gran quadro dell’umana natura, destinato a produrre un vivo interesse, mercé la sola espressione della sua general fisonomia; giacché volentieri mi và a grado che il medesimo carattere di nobiltà non domini in tutte quelle figure, per tanto che forse apparterrebbo al piano primitivo; e malgrado alcuni tratti grotteschi, l’effetto delle masse non ne sarebbe meno imponente, se fosse dato alla nostra vista assai limitata d’abbracciare tutte le loro proporzioni.
Ridotto a dar loro un colpo d’occhio rapido e limitato, io credo di potere avventurare le seguenti osservazioni. Quel numero di uomini, la di cui condotta si determina con de’ principi, è poco considerevole, e questo è un bene, perché non è che assai facile il traviare in tali principi, e le conseguenze che ne emergono si estendono tanto più di lontano, che l’applicazione n’è più generale, e che più ostinato è il carattere che vi và sottomesso.
Egli è ben più ordinario nella vita, obbedire ad una semplice impulsione di bontà, cosa che non è meno ammirevole che utile al gran sistema, sebbene non si possa meno tenerne conto alle persone che si trovano sotto questa influenza; giacché gl’istinti virtuosi non vanno sempre esenti di torti; ma l’uno nell’altro, conseguono
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lo scopo della conservazione della natura; in che, potrebbero benissimo essere assimigliati a quei ciechi istinti, incaricati dalla provvidenza di mantenere la regolarità di ogni materiale ed organica creazione.
Quelli sono senza fallo più numerevoli i quali, arrestando uno guardo fisso sulla lor cara individualità, vi scorgono il punto centrale ove debbono terminare tutti gli sforzi loro. Tutto fanno essi rivolgere nell’orbita dell’interesse personale; è quello il loro unico asse: non ci guarderemo noi di lagnarci di questa disposizione, tanto più vantaggiosa per l’universale, che tali esseri vi uniscono sempre l’attività al metodo ed alla prudenza. Se non entra nelle loro vedute il concorrere al bene generale, non ne danno minor solidità alla massa; il loro costante travaglio ravvicina del continuo gli elementi d’un benessere cui altri partecipano, e in certo modo si và ad essi debitori de’ bruti materiali d’un edifizio, sul quale una mano più abile, più dilicata e più generosa, spargerà l’incanto proprio a convertirlo in un tutto armonico.
Finalmente la passion dell’onore, animatrice del cuore di tutti gli uomini, vi esercita l’impero suo in gradi e per motivi differenti: ma da questa stessa diversità nasce un accordo meraviglioso ed una particolare bellezza; giacché, sebben vi sia qualche casa di poco riflesso nella bramosia del riguardo, sebben possa ancora esser tacciata di follìa, come ausiliaria impulsione non lascia nullostante d’essera utilissima. Così, nel mentre che ciascun uomo agisce su questo gran teatro, in conformità delle sue passioni dominanti, cede al tempo stesso ad un mobile
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secreto che lo spinge a cercare nel suo esterno, un punto d’osservazione, dal quale possa esaminare la sua propria condotta, scorgere le sue più fuggitive apparenze, e giudicare della impressione che produrrà sullo spettatore. Sì fattamente i vari gruppi si riuniscono in un quadro d’ammirabile effetto, in cui l’unità regna in seno alla varietà, e nel di cui insieme risplendono al tempo stesso e la bellezza e la dignità dell’umana natura.