TRATTATO

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La Pedagogia, o scienza dell’educazione, si distingue in fisica e in pratica. L’educazione fisica è quella che l’uomo ha comune con gli animali, e risguarda le cure della vita corporea. L’educazione pratica o morale (si chiama pratica tutto quello che si riferisce alla libertà) è quella che risguarda la cultura dell’uomo, perché costui possa vivere come ente libero. Quest’ultima è l’educazione della persona, l’educazione d’un ente libero, che può bastare a sé stesso e tenere il suo vero posto in società, ma che altresì è capace d’avere per sé un valore intrinseco.

Quindi l’educazione consiste: 1° nella cultura scolastica e meccanica, che risguarda l’abilità; essa pertanto è didattica (e sta nell’opera del maestro); 2° nella cultura prammatica, che si riferisce alla prudenza (e sta nell’opera del governatore); 3° nella cultura morale, e si riferisce alla moralità.

L’uomo ha bisogno della cultura scolastica o della istruzione, per mettersi in grado di conseguire tutti i suoi fini. Essa gli dà un valore come individuo umano.

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La cultura della prudenza lo prepara a diventare cittadino vero, dacché gli conferisce un valore pubblico. In questo modo egli impara a trar partito pei suoi fini dalla società civile e a conformare sé stesso a quelli sociali. Finalmente, la cultura morale gli dà un valore che risguarda tutta la specie umana.

Prima viene la cultura scolastica. Difatti, la prudenza presuppone sempre l’abilità. La prudenza è la facoltà di usar bene e con profitto l’abilità propria. Per ultimo viene la morale, in quanto si fondamenta su principii che l’uomo stesso deve riconoscere; ma finché riposa unicamente sul senso comune, dev’essere praticata fin da principio, anche nell’educazione fisica, ché altrimenti parecchi difetti si radicherebbero a segno da render poi vani tutti gli sforzi e tutta l’arte dell’educazione. Rispetto all’abilità e alla prudenza, tutto dee venire a suo tempo con gli anni. Mostrarsi nell’infanzia abile, prudente, paziente, senza malizia, come un uomo adulto, sarebbe lo stesso che voler conservare nell’età matura la sensibilità di un fanciullo.