A.
DELL’EDUCAZIONE FISICA

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Chi intraprende un’educazione come precettore, sebbene non tolga a dirigere così presto i fanciulli per occuparsi anche della loro educazione fisica, giova per altro ch’egli sappia tutto quello che si richiede nella educazione da principio alla fine. Quando anche un precettore non debbasi occupare che di fanciulli adulti,

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può accadere ch’ei veda nascere altri figli nella stessa famiglia, e che, s’egli ha meritato per la sua condotta di essere il confidente dei genitori, questi non manchino di consultarlo sull’educazione fisica dei loro figli; poiché si dà spesso il caso che il precettore sia l’unica persona dotta della casa. Occorre adunque che il precettore abbia cognizioni su questa materia.

L’educazione fisica consiste propriamente nelle cure date ai bambini, o dai genitori, o dalle nutrici, o dalle bambinaie(1).

In quanto all’educazione dello spirito, che si può in certo modo chiamare fisica, bisogna soprattutto curare che la disciplina non tratti i fanciulli come schiavi, e far sì ch’e’ sentano sempre la loro libertà, ma in guisa tale da non ledere quella degli altri: ne segue pertanto che conviene abituarli alla resistenza. Parecchi genitori ricusano tutto a’ loro figliuoli per esercitare così la loro pazienza, esigendo da questi più che da se stessi. Ma è una crudeltà. Date al bambino quanto gli abbisogna, e poi ditegli: Tu ne hai abbastanza. Ma è assolutamente necessario che questa sentenza sia irrevocabile. Non fate alcuna attenzione alle grida dei bambini e non cedete loro, quando credano di ottenere qualcosa per questa via; ma se lo dimandano con dolcezza, date ai medesimi ciò che loro torna utile. Si avvezzeranno così ad essere sinceri; e, come non importuneranno

(1) Qui l’Autore parla di cure esclusivamente fisiche da praticarsi coi bambini, le quali non risguardano la Pedagogia intellettuale e morale, e che però noi tralasciamo.

(Nota del traduttore).

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alcuno colle grida, ciascuno sarà, in compenso, benevolo con essi. La Provvidenza pare veramente abbia dato ai fanciulli un aspetto piacevole per incantare le persone adulte. Nulla v’ha di più funesto per essi che una disciplina ostinata e servile, intesa a piegare la loro volontà.

Per ordinario si grida ai medesimi: Eh via! non ti vergogni, questa cosa è indecente! e somiglianti espressioni, le quali non dovrebbero mai adoperarsi nella prima educazione. Il bambino non ha ancora idea alcuna di vergogna e di convenienza; non ha di che arrossire, non deve arrossire; e diventerà solamente più timido. Si troverà impacciato dinanzi agli altri, e fuggirà volentieri la loro presenza. Quindi nasce in lui una riservatezza male intesa ed una molesta dissimulazione. Non osa più dimandar nulla, mentre dovrebbe poter dimandar tutto; nasconde i propri sentimenti, e si mostra sempre diverso da quello che è, mentre dovrebbe poter dire tutto francamente. Invece di star sempre appo i suoi genitori, li evita e si getta nelle braccia dei domestici più compiacenti.

Né meglio di questa educazione irritante giovano la burla e le continue carezze. Tutto ciò rende tenace il fanciullo nella sua volontà, lo rende finto, e, manifestandogli una debolezza ne’ suoi genitori, gli toglie il rispetto dovuto ai medesimi. Ma, se viene educato in modo che nulla possa ottenere con le grida, egli diverrà libero senza essere sfacciato, e modesto senza essere timido. Non si può tollerare un insolente. Certi uomini hanno un aspetto così insolente da far sempre temere qualche villania; ve n’ha degli altri, all’opposto, che al solo vederli si giudica siano incapaci di dire una

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villania a qualcuno. Possiamo sempre mostrarci aperti e franchi, purché vi si unisca una certa bontà. Si sente dire spesso che i grandi hanno un aspetto veramente regale; ma questo in essi altro non è che un certo sguardo insolente, a cui si abituarono da giovani, non avendo trovato alcuna resistenza.

Tutto ciò risguarda solamente l’educazione negativa. Difatti, molte debolezze dell’uomo non provengono da quanto non gli s’insegna, ma da quel tanto che gli comunicano le false impressioni. Così a mo’ d’esempio, le nutrici spaventano i bambini, parlando dei ragni, dei rospi, e via dicendo. I bambini potrebbero certamente prendere i ragni, come pigliano le altre cose. Ma, siccome le nutrici, veduto un ragno, palesano nella faccia il loro spavento, questo si comunica al bambino con una certa simpatia. Molti lo conservano per tutta la vita e, sotto questo rispetto, rimangono sempre fanciulli. Imperocché i ragni sono certamente dannosi alle mosche, e il loro morso è per esse velenoso, ma l’uomo non ha di che temerne. In quanto al rospo, è un animale innocuo al pari di una rana verde o di qualunque altro animale.

La parte positiva dell’educazione fisica è la cultura; per questa l’uomo si distingue dal bruto. La cultura consiste principalmente nell’esercizio delle facoltà dello spirito. Quindi i genitori debbono porgerne ai figli occasioni favorevoli. La prima regola e principale si è di fare a meno, per quanto è possibile, d’ogni strumento. Bisogna dunque abolire l’uso delle dande e delle girelle, lasciando che il bambino si trascini per terra finché impari a camminare da sé, giacché a questo

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modo camminerà più sicuramente. Gli strumenti riescono dannosi all’abilità naturale. Così, ci serviamo d’una corda per misurare una certa estensione, ma si può fare ugualmente colla semplice vista; ricorriamo ad un oriolo per determinare il tempo, ma basterebbe guardare la posizione del sole; ci serviamo d’un compasso per conoscere in qual regione è situata una foresta, ma si può anche sapere, osservando il sole se di giorno e le stelle se di notte. Aggiungiamo che invece di servirci di una barca per passare nell’acqua, si può nuotare. Il celebre Franklin si maravigliava che l’esercizio del nuoto, così piacevole ed utile, non fosse appreso da ognuno: e ne indicava così il modo facile per apprenderlo. Si lasci cadere un uovo in un fiume dove, stando tu ritto e toccando co’ piedi il fondo, la testa almeno ti rimanga fuori dell’acqua. Cerca allora quell’uovo. Nell’abbassarti, fa risalire i piedi in alto, e, perchè l’acqua non ti entri in bocca, solleva la testa sulla nuca, ed avrai così la giusta posizione necessaria a nuotare. Allora basta mettere in moto le mani, e si nuota. — L’essenziale sta nel coltivare l’abilità naturale. Il più delle volte basta una semplice indicazione; spesso il fanciullo stesso e fecondo d’invenzioni, e si crea da sé gli strumenti.

Ciò che bisogna osservare nell’educazione fisica, e però in quella del corpo, si riferisce o all’uso del moto volontario, o all’uso degli organi del senso. Nel primo caso il fanciullo deve sempre aiutarsi da sé. Quindi ha bisogno di forza, di abilità, di celerità, di sicurezza. Egli deve, per esempio, poter traversare luoghi stretti, salire su altezze a picco, donde si scorge l’abisso

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dinanzi a noi, camminare su palchi vacillanti. Se un uomo non può far tutto questo, egli non è veramente quello che potrebbe essere. Da che l’istituto filantropico di Dessau ne ha dato l’esempio, molti sperimenti di questo genere sono stati fatti coi fanciulli negli altri Istituti. Restiamo assai meravigliati in leggendo come gli Svizzeri sino dall’infanzia si avvezzino a salire sulle montagne e fin dove li spinga la propria agilità, con quanta, sicurezza traversino i luoghi più stretti e saltino al di là dei precipizi, dopo aver giudicato con un’occhiata di potervi riuscire senza pericolo. Ma la più parte degli uomini han paura d’una caduta presentata loro dalla imaginazione; e questa paura ne paralizza talmente le membra che per essi ci sarebbe davvero pericolo di saltare oltre. Questa paura cresce ordinariamente coll’età, e si riscontra in specie negli uomini che hanno molte occupazioni mentali.

Simili sperimenti nei fanciulli in realtà non sono i più pericolosi. Per l’età loro, il corpo è meno pesante del nostro, e non cadono tanto gravemente. Inoltre, hanno le ossa né così dure né cosi fragili, come sono quelle degli adulti. I fanciulli sperimentano da sé stessi le loro forze. Ad esempio, li vediamo spesso arrampicarsi senza un fine determinato. La corsa è un moto salutare e che fortifica il corpo. Saltare, alzar pesi, tirare, lanciare, gettar sassi verso una mira, lottare, correre, e tutti gli esercizi di questo genere sono eccellenti. La danza regolare non pare convenga ancora ai fanciulli.

Il tiro a segno, vuoi per la distanza, vuoi per colpire il bersaglio, esercita pure i sensi, e particolarmente la vista. Il giuoco della palla è uno dei migliori pei fanciulli, perché richiede una corsa salutare. In

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generali i migliori giuochi sono quelli che, oltre sviluppare l’abilità, sono ancora esercitazioni pei sensi; ad esempio, quelli che esercitano la vista nel giudicare esattamente la distanza, la grandezza e la proporzione, nel trovare la posizione dei luoghi secondo le regioni, il che si può fare coll’aiuto del sole, e via dicendo. Tutti questi esercizi sono eccellenti. Assai vantaggiosa è pure la imaginazione locale, ossia l’abilità di rappresentarci tutte le cose nei rispettivi luoghi dove si sono vedute; essa dà, per esempio, la soddisfazione di ritrovarci in una foresta, osservando gli alberi vicino ai quali siamo prima passati. Dicasi lo stesso della memoria locale, onde sappiamo non solamente in qual libro si è letta una cosa, ma altresì in qual parte del libro stesso. Così, il musico ha il tasto in mente, onde non ha più bisogno di cercarlo. È del pari utilissimo di coltivare l’orecchio dei fanciulli, e d’insegnar loro a discernere se una cosa è lontana o vicina ed in qual direzione.

Il giuoco alla mosca cieca dei fanciulli era già noto appo i Greci. In generale, i giuochi dei fanciulli sono pressoché universali. Quelli noti e praticati in Germania ritrovansi anche in Inghilterra, in Francia, ed altrove. Hanno la propria origine da una certa naturale inclinazione dei fanciulli: il giuoco alla mosca cieca, per esempio, nasce in essi dal desiderio di sapere come potrebbero aiutarsi, se fossero privi d’un senso. La trottola è un giuoco particolare; ma queste sorta di giuochi da bambini forniscono agli uomini argomento di riflessioni ulteriori e sono talvolta occasione d’importanti scoperte. Il Segner, per esempio, ha scritto una dissertazione sulla trottola, e questa ha pur fornito ad un capitano di vascello inglese l’occasione d’inventare uno

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specchio, col quale si può misurare sopra un vascello l’altezza delle stelle.

I fanciulli amano gli strumenti rumorosi, come le piccole trombette, i piccoli tamburi, e cose simili. Ma questi strumenti non hanno alcun valore, perché i bambini stessi li rendono disadatti. Meglio sarebbe che imparassero da sé medesimi a tagliare una canna, dove potrebbero soffiare.

Anche l’altalena è un buon esercizio; può giovare alla salute dei fanciulli nonché delle persone adulte; ma i fanciulli han qui bisogno d’essere sorvegliati, perché il moto che vi cercano può essere molto rapido. L’aquilone è un giuoco innocentissimo; serve a coltivare la destrezza del corpo, stanteché il sollevarsi in aria dell’aquilone dipende da una certa posizione riguardo al vento.

Pigliando interesse a questi giuochi il fanciullo rinunzia ad altri bisogni, e così a grado a grado si avvezza a privarsi di altre cose di maggiore importanza. Di più, acquista l’abito a star sempre occupato, ma i suoi giuochi debbono avere anche un fine. Imperocché, più il suo corpo si fortifica e s’indurisce in questa guisa, più e’ divien sicuro contro le conseguenze corruttive della mollezza. La ginnastica stessa deve ristringersi a guidar la natura; non deve procurare grazie forzate. Alla disciplina, e non alla istruzione, spetta il primo passo. Educando il corpo dei fanciulli, non va più dimenticato che li formiamo per la società. Rousseau dice: «Non arriverete mai a formare dei savi, se prima non fate dei monelli». Ma da un fanciullo svegliato si caverà piuttosto un uomo dabbene, che da un impertinente un cameriere discreto. Il fanciullo non ha da

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essere importuno in società, ma non deve mostrarsi neppure insinuante. Verso quanti lo chiamano a sé, deve mostrarsi familiare, senza importunità; franco, senza impertinenza. Per ottenere questo da lui, bisogna non guastarlo in niente, non ispirargli idee di decoro, che varranno solo a renderlo timido e selvaggio, o che, d’altra parte, gli suggeriranno il desiderio di farsi valere. In un fanciullo niente v’ha di più ridicolo che una prudenza senile, od una sciocca prosunzione. Nel secondo caso è nostro dovere di far maggiormente sentire al fanciullo i suoi difetti, ma procurando insieme di non fargli troppo sentire la nostra superiorità ed autorità, perché egli si formi da sé stesso, come un uomo che dee vivere in società; perocché se il mondo è abbastanza grande per lui, dev’essere non meno grande anche per gli altri.

Toby, nel Tristram Shandy, dice a una mosca che l’aveva molestato per lungo tempo e che lascia scappare dalla finestra: «Va’, cattivo animale, il mondo è abbastanza grande per me e per te!». Ciascuno potrebbe pigliare questo detto per divisa. Non dobbiamo renderci importuni gli uni agli altri; il mondo è abbastanza grande per tutti.

Siamo così arrivati alla cultura dell’anima, che in certa maniera può dirsi anche fisica. Si deve ben distinguere la natura dalla libertà. Altra cosa è dar leggi alla libertà, ed altra coltivar la natura. La natura del corpo e quella dell’anima si accordano in questo: coltivandole devesi cercare d’impedir loro che si guastino, e l’arte aggiunge ancora qualcosa alla natura del corpo ed a quella dell’anima. Si può dunque, in un certo senso,

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dimandar fisica la cultura dell’anima quanto quella del corpo.

Ma questa cultura fisica dell’anima si distingue dalla cultura morale, poiché l’una si riferisce alla natura, l’altra alla libertà. Un uomo può essere coltissimo fisicamente; può avere ornatissimo lo spirito, ma esser privo di cultura morale, ed essere un cattivo uomo.

Bisogna distinguere la cultura fisica dalla cultura pratica, che è prammatica o morale. Quest’ultima si propone di render l’uomo più morale che colto.

Divideremo la cultura fisica dello spirito in cultura libera e in scolastica. La cultura libera si riduce, sto per dire, ad uno svago; mentre la cultura scolastica è cosa seria. La prima è quella che ha luogo naturalmente nell’allievo; nella seconda, egli può essere considerato come soggetto ad un obbligo. Anche nel giuoco possiamo essere occupati, il che si chiama occupare i nostri ozi; ma possiamo essere obbligati ad occuparci, e questo dicesi lavorare. La cultura scolastica sarà dunque un lavoro pel fanciullo, e la cultura libera uno svago.

Sono stati proposti vari sistemi di educazione per cercare, cosa davvero lodevolissima, il miglior metodo educativo. Si è pensato, fra gli altri, di lasciare che i fanciulli apprendano tutto come un divertimento. Lichtenberg, in una puntata del Magazzino di Gottinga, deride l’opinione di quanti vogliono che si tenti di lasciar fare ogni cosa ai fanciulli come un divertimento, mentre dovrebbero essere abituati per tempo a serie occupazioni, dovendo essi entrare un giorno nella vita seria del mondo. Quel metodo produce un effetto detestabile.

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Il fanciullo deve giuocare, aver le sue ore di ricreazione, ma deve anche apprendere a lavorare. E bene certamente di esercitare la sua abilità e di coltivare il suo spirito; ma a queste due sorta di cultura vogliono esser dedicate ore diverse. La tendenza alla infingardaggine costituisce per l’uomo una grande infelicità; e più egli è abbandonato a questa tendenza, più gli torna poi difficile di mettersi al lavoro.

Nel lavoro l’occupazione non è piacevole per sé stessa, ma s’intraprende per un altro fine. L’occupazione nello svago è piacevole in sé, né quindi c’è bisogno di proporsi alcun fine. Se vogliamo passeggiare, la passeggiata stessa è fine; e quindi più lunga è la strada fatta, più ci torna piacevole. Ma se ci occorre andare in qualche luogo, fine del nostro cammino è la società che si trova in quel luogo, od un’altra cosa; e allora scegliamo volentieri la strada più corta. Dicasi il somigliante del giuoco delle carte. È cosa proprio singolare vedere come uomini ragionevoli rimangano seduti per ore intere ed occupati a scozzar carte. Il che dimostra che gli uomini non cessano così facilmente d’esser fanciulli. Ed invero, in che questo giuoco è superiore al giuoco della palla dei fanciulli? Vero è che le persone adulte non vanno a cavallo sopra un bastone, ma hanno altri cavalli da bambini.

Avvezzare i fanciulli a lavorare è di somma importanza. L’uomo è il solo animale dedito al lavoro. Prima di arrivare a goder le cose necessarie alla sua vita, l’uomo dee fare molti lavori diretti a quel fine. La questione, se il cielo non sarebbesi mostrato assai più benigno verso di noi, offrendoci ogni cosa bella e preparata, onde non avremmo avuto più bisogno di lavorare, deve

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essere certamente risoluta in modo negativo; imperocché l’uomo ha bisogno di occupazioni, anco di quelle che suppongono un certo costringimento. È parimente falso l’immaginare che se Adamo ed Eva fossero rimasti nel paradiso terrestre, non avrebbero fatto altro che star seduti insieme, cantare canzoni pastorali e contemplar la bellezza della natura. L’ozio li avrebbe tormentati, come tormenta gli altri uomini.

L’uomo dev’essere occupato in modo che, tutto compreso del fine a cui mira, non senta più sé stesso, e che il miglior riposo per lui sia quello che succede al lavoro. Vuolsi pertanto avvezzare il fanciullo a lavorare. E dove la tendenza al lavoro può esser meglio coltivata che nella scuola? La scuola è una cultura obbligatoria. Si renderebbe al fanciullo un cattivo servigio se l’avvezzassimo a considerar tutto come uno svago. Egli deve certamente avere i suoi momenti di ricreazione, ma anco le sue ore di lavoro. Se non comprende subito l’utilità di quell’obbligo, la comprenderà più tardi. Voler sempre rispondere alle dimande dei fanciulli: Perché ciò? A qual fine?, sarebbe lo stesso, in generale, che procurar loro abitudini di curiosità indiscreta. L’educazione dev’essere obbligatoria; il che peraltro non vuol dire che i fanciulli si abbiano a trattare come schiavi.

In quanto alla libera cultura delle facoltà dello spirito, convien badare a che progredisca di continuo. Essa deve particolarmente esser rivolta alle facoltà superiori. Si coltiverà ad un tempo le inferiori, ma solo in ordine alle superiori, lo spirito (Witz) a mo’ d’esempio, in ordine alla intelligenza. Regola principale si è questa: non

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coltivare separatamente alcuna facoltà per sé stessa, ma coltivare ciascuna di esse in ordine alle altre, come la imaginazione a profitto della intelligenza.

Le facoltà inferiori non hanno per sé alcun valore. A che giova, per esempio, che un uomo abbia molta memoria, ma poco discernimento? Egli non è che un dizionario vivente. Questa specie di asini del Parnaso sono, d’altra parte, assai utili; dacché, se non possono da sé stessi produrre alcunché di ragionevole, almeno recano de’ materiali onde altri può far qualcosa di buono. — Lo spirito non fa che sciocchezze, quando non sia accompagnato dal giudizio. L’intelletto è la cognizione del generale. La immaginazione applica il generale al particolare. La ragione è la facoltà di scorgere il nesso tra il generale e il particolare. Questa libera cultura prosegue il suo corso dall’infanzia dell’uomo fino a che cessa per lui ogni educazione. Per esempio, quando un giovane parla d’una regola generale, gli si può far citare dei casi tratti dalla storia o dalla favola dove quella è nascosta, squarci di poeti dove si trova espressa, e così fornirgli occasione d’esercitare il suo ingegno, la sua memoria, e va dicendo.

La massima tantum scimus quantum memoria tenemus (tanto sappiamo quanto riteniamo a memoria) ha certo la sua verità, e quindi la cultura della memoria è necessarissima. Le cose han natura siffatta che l’intelletto segue prima le impressioni sensibili e la memoria deve conservarle. Lo stesso avviene, per esempio, nelle lingue. Possiamo impararle con un metodo formale cioè mediante la memoria, o praticamente nel conversare, e questo secondo metodo è da preferirsi nelle lingue viventi. Per fermo lo studio dei vocaboli è necessario,

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ma i fanciulli assai meglio li imparano quando li ritrovano nell’autore che hanno sotto gli occhi. Bisogna che la gioventù abbia uno scopo fisso e determinato. Specialmente la Geografia s’insegna con un certo meccanismo. La memoria ha una certa predilezione per questo meccanismo, che in molti casi torna utilissimo. Finora non si è trovato alcun meccanismo proprio a facilitare lo studio della Storia; si è tentato l’uso di certi specchi e cataloghi, ma non pare abbia dato buoni risultamenti. La Storia è un mezzo eccellente per esercitare l’intelletto a ben giudicare. La memoria è molto necessaria, ma non conviene farne un puro esercizio pei fanciulli, tal sarebbe quello di far loro imparare i discorsi a memoria. Il che serve a renderli più arditi; mentre la declamazione si conviene solo agli uomini. Va detto lo stesso di tutte quelle cose che s’imparano per sostenere un futuro esame o per dimenticarle in progresso (in futuram oblivionem). La memoria va occupata in cognizioni che ci preme di conservare e che hanno attinenza colla vita reale. Funestissima pei fanciulli è la lettura dei romanzi, perché riesce soltanto a divertirli fino a che li leggono. Essa indebolisce la memoria. Sarebbe infatti ridicolo di volerli tenere a mente e raccontarli agli altri. Bisogna dunque ritirare tutti i romanzi dalle mani dei fanciulli. Leggendoli, nel romanzo e’ fanno a sé stessi un nuovo romanzo, poiché ne ordinano altrimenti le circostanze, e, lasciando così vacare la loro fantasia, si nutrono di chimere.

Le distrazioni non devono esser’ mai tollerate, almeno nella scuola, perché finiscono per degenerare in una certa tendenza, in una certa abitudine. Anche le più belle qualità dell’ingegno si perdono in un uomo soggetto alla distrazione. Quantunque i fanciulli si

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distraggano nelle ricreazioni loro, non tardano a raccogliersi di nuovo; ma vediamo che sono maggiormente distratti quando e’ meditano qualche cattivo tiro, giacché pensano come potranno nasconderlo o come rimediarvi. Allora essi non intendono che a metà, rispondono in senso contrario, non sanno quello che leggono, e somiglianti.

La memoria devesi coltivare per tempo, procurando bensì di coltivare insieme anche la intelligenza.

Si coltiva la memoria: 1° facendole ritenere i nomi che trovansi nelle narrazioni; 2° mercé la lettura e la scrittura, esercitando i fanciulli a leggere attentamente e senza bisogno di compitare; 3° con lo studio delle lingue, che i fanciulli debbono capire, avanti di passare, a leggerne qualcosa. Quello che dicesi il mondo dipinto (orbis pictus), quando sia descritto convenientemente, rende i più grandi servigi, e possiamo incominciarlo dalla Botanica, dalla Mineralogia e dalla Fisica generale. Per descriverne gli obbietti, fa mestieri d’imparare a disegnare e a modellare, e quindi vi abbisognano le Matematiche. Le prime cognizioni scientifiche debbono soprattutto aver per obbietto la Geografia così matematica come fisica. I racconti di viaggi, spiegati per via d’incisioni e di carte, condurranno poi alla Geografia politica. Dallo stato presente della superficie della terra si risalirà al suo stato primitivo, e si arriverà alla Geografia antica, alla Storia antica, e via dicendo.

Nell’istruzione del fanciullo bisogna cercare d’unire a grado a grado il sapere e il potere. Fra tutte le scienze la Matematica, pare sia la più adatta a far conseguire questo fine. Inoltre, bisogna unire la scienza e la parola (la facilità del dire, l’eleganza, l’eloquenza).

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Ma occorre altresì che il fanciullo impari a distinguere perfettamente la scienza dalla semplice opinione e dalla credenza. A questo modo si formerà in lui una mente retta, e un gusto giusto, se non fine, o delicato. Il gusto da coltivarsi sarà prima quello dei sensi, degli occhi specialmente, e infine quello delle idee.

Vi debbono essere norme per tutto ciò che può coltivare l’intelletto. E anche utilissimo di astrarle, affinché l’intelletto non proceda in modo puramente meccanico, ma abbia coscienza della regola che segue.

Riesce ancora di grande utilità l’esprimere le norme con una certa formula e tramandarle così alla memoria. Se abbiamo in mente la regola e ne dimentichiamo l’uso, non si pena molto a ritrovarla. E qui si domanda: Convien principiare dallo studio delle regole astratte, o le si devono apprendere dopo averne fatto uso, oppure conviene far procedere di pari passo le regole e il rispettivo uso? Quest’ultimo è il solo partito conveniente: nell’altro caso l’uso rimane incertissimo finché non siamo arrivati alle regole. Occorre altresì, ove si presenti l’occasione, ordinare per classi le regole; perché a volerle ritenere, è necessario siano unite fra loro. Dunque, sotto questo rispetto, la grammatica precederà sempre lo studio delle lingue.

Dobbiamo dare ancora un’idea sistematica del fine intero dell’educazione e del modo in che conseguirlo.

Cultura generale delle facoltà dello spirito, diversa dalla cultura particolare. Quella ha per fine l’abilità e il perfezionamento; non insegna alcun che di particolare all’alunno, ma ne fortifica le potenze dello spirito. Essa è fisica o morale.

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a) Nella cultura fisica tutto dipende dalla pratica e dalla disciplina, e il fanciullo non ha bisogno di conoscere alcuna massima. È cultura passiva pel discepolo, che deve seguire l’altrui direzione. Altri pensano per lui.

b) La cultura morale si fonda sulle massime, e non sulla disciplina. Tutto è perduto, quando la si voglia fondare sull’esempio, sulle minacce, sulla punizione, e via dicendo. Sarebbe allora una pura disciplina. Bisogna fare in modo che l’allievo operi bene secondo le proprie sue massime e non per abitudine, e che non faccia solamente il bene, ma che lo faccia perché è bene in sé. Imperocché tutto il valore morale delle azioni risiede nelle massime del bene. Tra l’educazione fisica e l’educazione morale corre questo divario: la prima è passiva per l’allievo, mentre la seconda è attiva. Fa d’uopo ch’egli veda sempre il principio fondamentale dell’azione e il vincolo che la rannoda all’idea del dovere.

Cultura particolare delle facoltà dello spirito. Questa cultura risguarda l’intelligenza, i sensi, la imaginazione, la memoria, l’attenzione e lo spirito (Witz) come qualità peculiare. Abbiamo già parlato della cultura dei sensi, per esempio, della vista. In quanto alla imaginazione, devesi notare una cosa ed è, che i fanciulli son dotati di una imaginazione potentissima, e però non ha bisogno d’essere sviluppata ed estesa con favole e novelle. Piuttosto dev’essere frenata e sottoposta a regole, senza lasciarla però disoccupata del tutto.

Le carte geografiche sono una grande attrattiva per tutti i fanciulli, anche pei bambini. Benché stanchi d’ogni altro studio, essi imparano ancora qualcosa per mezzo delle carte. Questa pei fanciulli è una

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distrazione eccellente, dove la imaginazione, senza divagar troppo, trova da fermarsi su certe figure. Potrebbesi effettivamente far loro incominciare gli studi dalla Geografia, cui sarebbero unite figure di animali, di piante, eccetera, destinate a vivificare la Geografia stessa. La Storia dovrebbe venire più tardi.

Riguardo all’attenzione, vuolsi notare ch’essa ha bisogno d’essere fortificata in generale. Unire fortemente i nostri pensieri ad un oggetto meglio che una prerogativa è una debolezza del nostro senso interiore, il quale si mostra indocile in questo caso e non si lascia applicare dove noi vogliamo. Nemica d’ogni educazione si è appunto la distrazione. La memoria suppone l’attenzione.

Ora passiamo alla cultura delle facoltà superiori dello spirito, che sono l’intelletto, il giudizio e la ragione. Si può cominciare dal formare in qualche modo passivamente l’intelletto, chiedendogli esempi che si applichino alla regola, o al contrario la regola che si applichi agli esempi particolari. Il giudizio mostra l’uso che dee farsi dell’intelletto. E necessario di capir bene quello che s’impara o si dice, e di non ripetere alcuna cosa senza averla già compresa. Quanti leggono ed ascoltano certe cose che poi ammettono senza capirle! E qui fa mestieri di ricordare la differenza tra le imagini e le cose stesse. 

La ragione ci fa conoscere i principi! Ma bisogna por mente che qui si tratta d’una ragione non ancora diretta o educata. Essa pertanto non deve sempre voler ragionare, ma badare di non ragionar troppo su quanto è superiore alle nostre idee. Qui non si parla ancora della ragione speculativa, ma della riflessione su ciò che

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avviene secondo la legge degli effetti e delle cause. V’ha una ragione pratica sottoposta al suo impero ed alla sua direzione.

Il miglior modo di coltivare le facoltà dello spirito consiste nel far da sé tutto quello che si vuol fare; per esempio, mettere in pratica la regola grammaticale che abbiamo imparata. Si capisce segnatamente una carta geografica, quando possiamo eseguirla da noi. Il miglior mezzo di comprendere è quello di fare. Quello che s’impara e si ritiene più stabilmente e meglio è appunto ciò che s’impara in qualche maniera da noi stessi. Ma pochi sono gli uomini che siano in grado di far da maestri a sé medesimi. Questi chiamansi grecamente autodidascali (αύτοδίδακτοι).

Nella cultura della ragione bisogna praticare il metodo di Socrate. Costui infatti, che chiamava sé stesso l’ostetricante della intelligenza de’ suoi uditori, ne’ suoi dialoghi, conservatici in qualche maniera da Platone, ci dà esempi del come si può guidare anco le persone d’età matura a tirar fuori certe idee dalla loro propria ragione. Su molti punti non è necessario che i fanciulli esercitino la mente loro. Non devono ragionare su tutto. Non hanno bisogno di conoscere le ragioni di quanto può conferire alla loro educazione; ma quando si tratta del dovere, necessita farne loro conoscere i principi. Tuttavia si deve in generale fare in modo da cavar da loro stessi le cognizioni razionali, piuttosto che d’introdurvele. Il metodo socratico dovrebbe servir di norma al metodo catechetico. Esso è certamente un po’ lungo; e torna difficile il condurlo in maniera tale da fare imparare agli altri qualcosa, mentre si cavano le cognizioni dalla mente d’uno. Il metodo meccanicamente catechetico

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giova pure in molte scienze, come nell’insegnamento della religione rivelata. Nella religione universale, al contrario, devesi praticare il metodo socratico. Ma per tutto ciò che dev’essere insegnato storicamente, si raccomanda il metodo meccanicamente catechetico.

Dobbiamo qui trattare anche la cultura del sentimento del piacere o del castigo. Dev’essere negativa; il sentimento non dev’essere effeminato. La inclinazione alla effeminatezza è per l’uomo il più funesto di tutti i mali della vita. Dunque preme sommamente d’avvezzare per tempo i giovani al lavoro. Quando non sono già effeminati, amano in realtà i divertimenti misti di fatica e le occupazioni che richiedono un certo uso di forze. Non dobbiamo renderli incontentabili nei loro piaceri e lasciarne loro la scelta. Qui le madri guastano per ordinario i loro figli e generalmente li rendono troppo delicati. E tuttavia si osserva che i figli, specie i giovinetti, amano più il loro padre che la madre; forse perché la madre non permette loro di saltare, di correre da un punto all’altro, per timore che non accada loro qualcosa di sinistro. Il padre, invece, che li sgrida, che li picchia quando non sieno stati buoni, li conduce talvolta in campagna, e quivi li lascia correre, giuocare e divertirsi a loro posta, conforme alla loro età.

Si crede di esercitare la pazienza de’ giovinetti facendo loro attendere una cosa per lungo tempo. Il che non dovrebbe essere punto necessario. Ma essi han bisogno di pazienza nelle malattie e in altre contingenze della vita. Di due sorta è la pazienza: consiste o nel rinunziare ad ogni speranza, o nel prendere nuovo coraggio. La prima non è necessaria, quando si desideri

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unicamente il possibile; e si può aver sempre la seconda, quando non altro si desideri che il giusto. Ma tanto funesto è il perdere la speranza nelle malattie, quanto è favorevole il coraggio al ristabilirsi della salute. Chi è capace di mostrarne ancora nel suo stato fisico o morale, non rinuncia alla speranza.

Non bisogna render più timidi i fanciulli. Questo accade principalmente quando ci rivolgiamo ad essi con parole ingiuriose e quando si umiliano spesso. Conviene pertanto biasimare quelle parole che molti genitori indirizzano ai loro figli: Eh, non ti vergogni! Non vedesi di che i fanciulli potrebbero vergognarsi, quando, per esempio, mettono in bocca il loro dito. Si può dir loro che ciò non sta bene, questo non essendo l’uso; ma dobbiamo dir loro che si vergognino solamente quando mentono. La natura ha dato all’uomo il rossore della vergogna, perché si palesi quand’egli mente. Se dunque i genitori parlassero di vergogna ai loro figli solamente quando mentono, essi conserverebbero fino alla morte questo rossore per la menzogna. Ma se li facciamo arrossire di continuo, si darà loro una timidezza che non li abbandonerà più.

Come abbiamo detto qua sopra, non deesi piegare la volontà dei fanciulli, ma dirigerla, per modo che ella sappia cedere agli ostacoli naturali. Sulle prime il fanciullo deve obbedire ciecamente. Non è conforme a natura ch’egli comandi con le sue grida, e che il forte obbedisca al debole. Dunque non va mai ceduto alle grida dei fanciulli e dei bambini stessi, perché ottengano così ciò che vogliono. Qui i genitori per lo più s’ingannano, e credono di poter rimediare al male più tardi ricusando ai loro figli quanto dimandano. Ma

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è assurdo il negar loro senza ragione quello ch’essi attendono dalla bontà dei genitori, coll’unico intento di far loro provare una resistenza e far loro sentire che sono più deboli. 

Guasta i fanciulli chi lascia far loro quello che vogliono, e li educa malissimo chi va sempre contro la loro volontà ed i loro desideri. Il che avviene ordinariamente sino a che i figli sono un trastullo pei genitori, segnatamente nel periodo in cui cominciano a parlare. Ma questa indulgenza reca loro un gran danno per tutta la vita. L’opposizione ai voleri loro certamente impedisce ch’essi manifestino il proprio cattivo umore; ma ciò non fa che renderli più adirosi. Non hanno ancora imparato a conoscere come debbono governarsi. — Impertanto la regola da praticarsi coi bambini è questa: andare a soccorrerli quando gridano e si teme che non accada loro qualche male, ma lasciarli gridare quando lo fanno per cattivo umore. E una somigliante condotta bisogna costantemente tenere più tardi. La resistenza che in questo caso trova il bambino è affatto naturale e propriamente negativa poiché rifiuta semplicemente di cedere a lui. Molti figliuoli, invece, ottengono dai loro genitori quello che desiderano, mercé le preghiere. Ove si lasci ottenere. loro ogni cosa con le grida, essi divengono cattivi; ma, sé ottengono tutto con le preghiere, diventano dolci. Bisogna dunque cedere alla preghiera del fanciullo, salvo che non ci sia qualche potente ragione in contrario. Ma quando ci siano queste ragioni per non cedere, non bisogna lasciarsi più commuovere da molte preghiere. Ogni rifiuto dev’essere irrevocabile. Ecco un mezzo certo per non ripetere così di frequente il rifiuto.

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Supponete che vi sia nel fanciullo (cosa da potersi ammettere assai di l’ado) una tendenza naturale alla indocilità; il miglior partito si è, quando egli non faccia niente per rendersi a noi piacevole, di non far niente per lui. — Piegando la sua volontà, gl’ispiriamo sentimenti servili; la resistenza naturale, al contrario, genera la docilità.

La cultura morale vuolsi fondare su certe massime, non sulla disciplina. Questa impedisce i difetti; quelle formano la maniera di pensare. Bisogna fare in modo che il fanciullo si avvezzi ad operare secondo le massime, e non secondo certi motivi. La disciplina non genera che gli abiti, i quali svaniscono con gli anni. Necessita che il fanciullo impari ad operare secondo certe massime, di cui veda egli stesso la convenienza. Non occorre dimostrare come sia difficile di ottenere questo dai bambini, e come la cultura morale richieda molte cognizioni da parte dei genitori e dei maestri.

Quando un fanciullo mente, per esempio, non si deve punire, ma trattarlo con disprezzo, dirgli che in avvenire non gli crederemo più, e somiglianti. Ma se lo castighiamo quando fa male, e lo ricompensiamo quando fa bene, egli allora fa il bene per essere ben trattato; e quando più tardi entrerà nel mondo dove le cose procedono altrimenti, dove cioè egli può fare il bene ed il male senza riceverne ricompensa o castigo, non penserà che ai mezzi per conseguire il suo fine, e sarà buono o cattivo secondo l’utile proprio.

Le massime della condotta umana vanno desunte dall’uomo stesso. Devesi cercare per tempo d’inculcare ai fanciulli, mediante la cultura morale, l’idea di ciò che è bene o male. Se vogliamo fondare la moralità, non

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bisogna punire. La moralità è alcun che di così santo e sublime che non si deve abbassare a questo punto e metterla al pari colla disciplina. I primi sforzi della cultura morale debbono tendere a formare il carattere, il quale consiste nell’abito d’operare secondo certe massime. Queste dapprima sono le massime della scuola e poi quelle dell’umanità. Sul principio il fanciullo obbedisce a certe leggi. Anche le massime sono leggi, ma personali o soggettive, perché derivano dall’intelligenza stessa dell’uomo. Ninna trasgressione alla legge della scuola deve restare impunita, ma la pena vuol essere sempre proporzionata alla colpa.

Quando si vuol formare il carattere dei fanciulli preme assai di mostrar loro in tutte le cose un certo disegno, certe leggi, che essi ponno seguire fedelmente. Quindi, a mo’ d’esempio, si stabilisce loro un tempo per dormire, per lavorare, per ricrearsi; questo tempo, stabilito che sia, non devesi più né allungare né abbreviare. Nelle cose indifferenti si può lasciare l’elezione ai fanciulli, a patto bensì che poi osservino sempre la legge che han fatto a sé stessi. — Non bisogna tentare, per altro, di dare a un fanciullo il carattere di un cittadino, ma quello di un fanciullo.

Gli uomini che non si sono proposti certe regole non potrebbero inspirare molta fiducia; spesso ci accade di non poterli comprendere, né mai sappiamo da qual verso conviene pigliarli. Vero è che non di rado si biasima la gente che opera sempre secondo certe regole, come un tale che ha sempre un’ora ed un tempo stabilito per ogni azione; ma sovente questo biasimo è ingiusto, e quella regolarità è una favorevole disposizione al carattere, benché sembri una tortura.

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Elemento essenziale del carattere d’un fanciullo, e segnatamente d’uno scolare, e soprattutto l’obbedienza. Questa è di due sorta: prima, un’obbedienza alla volontà assoluta di chi dirige; seconda, un’obbedienza ad una volontà risguardata come ragionevole e buona. L’obbedienza può venire dal costringimento, dall’autorità, e allora è assoluta; o dalla fiducia, e in questo caso è volontaria. Importantissima è la seconda; ma anche la prima è assolutamente necessaria, perché questa prepara il fanciullo al rispetto delle leggi che dovrà più tardi osservare come cittadino, quand’anche non gli andassero a genio.

Si deve dunque sottoporre i fanciulli ad una certa legge di necessità. Ma questa legge dev’essere universale, e bisogna averla sempre dinanzi alla mente nelle scuole. Il maestro non deve mostrare alcuna predilezione, alcuna preferenza per un fanciullo tra molti: ché diversamente la legge cesserebbe d’essere universale. Quando il fanciullo vede che tutti gli altri non sono sottoposti alla medesima legge come lui, diviene ostinato.

Si dice sempre che ogni cosa va presentata in modo tale ai fanciulli che la facciano per inclinazione. Il che in molti casi è certamente bene, ma parecchie cose vogliono esser loro prescritte come doveri. E ciò in progresso tornerà loro utilissimo per tutta la vita. Imperocché nei servizi pubblici, nelle funzioni unite alle cariche, ed in molti altri casi il dovere solo può guidarci e non la inclinazione. Ove supponessimo che il fanciullo non comprendesse il dovere, sarebbe sempre meglio di fornirgliene l’idea; e d’altra parte egli sa che ha doveri come fanciullo, quantunque veda più

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difficilmente d’averne come uomo. Se comprendesse ancor questo, il che solo con gli anni è possibile, l’obbedienza sarebbe ancor più perfetta.

Ogni violazione d’un ordine per un fanciullo è un mancare di obbedienza, che porta seco una punizione. Ma non è inutile di punire anche una semplice negligenza. La pena è fisica o morale.

La pena è morale quando si attutisce la nostra inclinazione ad essere onorati ed amati, due aiuti della moralità, come quando si umilia, o si accoglie freddamente il fanciullo. Tale inclinazione va, finché si può, conservata. Ora questa sorta di pena è la migliore, perché aiuta la moralità; per esempio, se un fanciullo mente, castigo sufficiente ed il migliore per lui è un’occhiata di disprezzo.

La pena fisica consiste o nel ricusare al fanciullo ciò che desidera, o nell’infliggergli una certa punizione. La prima sorta di pena si avvicina a quella morale, ed è negativa. Le altre pene vanno adoperate con precauzione, affinché non generino disposizioni servili (indoles servilis). Non conviene dar ricompense ai fanciulli perché ciò li rende interessati e genera in essi disposizioni mercenarie (indoles mercenaria).

Inoltre, l’obbedienza risguarda ora il fanciullo, ora il giovinetto. Il mancare d’obbedienza deve sempre avere la sua pena. Questa punizione, che si merita l’uomo per la sua condotta, o è affatto naturale, come sarebbe la malattia che si procura il fanciullo quando mangia troppo; e questa specie di pena è la migliore, perché l’uomo la subisce non solamente nella infanzia, ma per tutta la vita. O la pena è artificiale. Il bisogno di essere stimati ed amati è un espediente sicuro per

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rendere i castighi durabili. Le pene fisiche vanno adoperate solo come rimedio alla insufficienza delle pene morali. Quando il castigo morale non ha più efficacia e si ricorre alla pena fisica, bisogna rinunziare per sempre a formare con questo mezzo un buon carattere. Ma sulle prime la pena fisica serve a riparare la mancanza di riflessione nel fanciullo.

Non approdano i castighi inflitti con segni manifesti di collera. I fanciulli non vi scorgono allora che gli effetti della passione altrui, e considerano sé stessi come vittime di questa passione. In generale, bisogna fare in modo che i fanciulli stessi vedano come il fine vero e ultimo delle pene inflitte sia il loro miglioramento. È assurdo pretendere che il fanciullo da voi punito vi renda grazie, vi baci le mani, e via dicendo; sarebbe un volerne fare uno schiavo. Quando le pene fisiche sono di frequente ripetute, formano caratteri ostinati e intrattabili, e quando i genitori puniscono i figliuoli per l’egoismo loro, non fanno che renderli ancora più egoisti. Non sono sempre i più cattivi quegli uomini che si dicono intrattabili, ma questi spesso arrendonsi facilmente con le buone maniere.

L’obbedienza del giovinetto è diversa da quella del fanciullo, e sta nel sottomettersi alle regole del dovere. Fare una cosa per dovere equivale ad obbedire alla ragione. Parlar di dovere ai fanciulli è fiato sprecato; essi alla fin fine concepiscono il dovere come una cosa da farsi sotto pena di essere frustati. Unicamente dai suoi istinti potrebbe esser guidato il fanciullo; ma, quando cresce, gli necessita l’idea del dovere. Parimente, non devesi cercare di mettere innanzi ai fanciulli il sentimento della vergogna, ma riserbarlo alla

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età giovanile. Difatti non può aversi tal sentimento se prima non siasi radicata la nozione dell’onore.

Una seconda qualità, cui bisogna sopratutto mirare nella formazione del carattere del fanciullo, è la veracità. Questo infatti è il trattato principale e l’attributo essenziale del carattere. Un uomo che mente non ha carattere, e se v’ha in lui qualcosa di buono lo deve al suo temperamento. Molti fanciulli hanno una tendenza alla menzogna, che spesso deriva unicamente da una talquale vivacità d’imaginazione. È dovere dei padri segnatamente di badare che i figli non contraggano questo abito, poiché le madri non vi annettono per ordinario che ninna o poca importanza; se pure esse non vi trovino una prova lusinghiera delle attitudini e delle capacità superiori dei loro figli. Qui torna opportuno di ricorrere al sentimento della vergogna, poiché il fanciullo in questo caso lo comprende benissimo. In noi si manifesta il rossore della vergogna quando mentiamo, ma questa non è sempre una prova di aver mentito o di mentire. Sovente arrossiamo della impudenza onde altri ci accusa d’una colpa. Non devesi cercare a verun costo di trar di bocca ai fanciulli la verità per via di punizioni, avesse pure a cagionare qualche danno la loro menzogna: e’ saranno allora puniti per questo danno. La sola pena che ai mendaci convenga è la perdita della stima.

Possiamo dividere le pene ancora in negative e in positive. Le negative si applicherebbero alla infingardia o alla mancanza di moralità o almeno di gentilezza, come la menzogna, il dispetto di cortesia, la insocialità. Le pene positive sono riservate alla malvagità. Preme sommamente di non tener rancore verso i fanciulli.

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Una terza qualità del carattere del fanciullo è la socialità. Egli deve pur conservare con gli altri relazioni di amicizia, e non vivere sempre e tutto per sé. Parecchi maestri, è vero, sono contrari a questa idea; ma è ingiustissimo. I fanciulli debbono così prepararsi al più dolce di tutti i piaceri della vita. Dal canto loro, i maestri non hanno da preferire alcuno di essi per le sue qualità intellettuali, ma pel carattere; diversamente ne risulterebbe una gelosia contraria all’amicizia.

I fanciulli debbono essere anche ingenui, aperti, e nello sguardo sereni come il sole. Un animo contento è solo capace di trovar piacere nel bene. Ogni religione che renda cupo l’uomo è falsa, poiché egli deve servire Dio con piacere e non per forza. Non bisogna sempre comprimere l’allegria sotto la dura soggezione della scuola, che allora sarebbe presto annientata. La libertà la conserva. Di qui la utilità di certi giuochi, dove il cuore si manifesta e si allarga, e dove il fanciullo studiasi di superare i compagni. L’anima ritorna allora serena. Molte persone risguardano il tempo della loro gioventù come il più felice e piacevole della vita. Ma in realtà non è così. Gli anni giovanili sono i più penosi, perché allora siamo sotto il giogo, di rado possiamo avere un amico vero e più di rado ancora godere la libertà. Orazio aveva già detto:

Multa tulit fecitque puer, suclavit et alsit.

I fanciulli hanno da essere istruiti solo in quelle cose che si addicono all’età loro. Molti genitori si rallegrano tutti vedendo i loro figli parlare col senno proprio de’ vecchi. Ma da’ figliuoli di questa sorta per lo più non si ricava niente. Un fanciullo non può avere

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che la prudenza di fanciullo: e’ non dev’essere un cieco imitatore. Ora un fanciullo, che vi pone davanti le massime del senno proprio degli uomini, va fuori della via tracciata alla sua età, e non fa che imitare servilmente. Egli non dee avere che la intelligenza d’un fanciullo, e non mettersi in evidenza così presto. Un fanciullo cosiffatto non diventerà mai un uomo illustre e d’una mente serena. Non si può egualmente tollerare un fanciullo che voglia già seguire tutte le mode, per esempio, farsi radere, portare anelli ed anche una tabacchiera. E’ diviene così un individuo affettato, che non rassomiglia punto ad un fanciullo. Una vera società civile per lui è un peso, e finisce per mancargli del tutto il vero coraggio dell’uomo. Bisogna dunque combattere per tempo la sua vanità, o, meglio ancora, non fornirgli occasione di diventar vano. Il che appunto avviene quando non facciamo che ripetere ai fanciulli che sono belli, che questa o quella acconciatura di capelli torna loro a meraviglia, o che si promette e si dà loro quella parrucca come un premio. Essi devono risguardare i propri abiti come belli o brutti solo in quanto son necessari al corpo. Ma i genitori stessi non debbono spendere molte cure pei loro abiti, ed evitare di specchiarsi a lungo alla presenza de’ figli; dacché qui, come per tutto, l’esempio ha grandissima efficacia e fortifica o distrugge le buone dottrine.