Art. I. Teoria della Sensibilità pura. Modo con cui si formano in noi le percezioni degli oggetti sensibili. Dello Spazio e del Tempo
Art. II. Teoria dell’Intelletto puro. Generazione delle leggi universali che regolan gli oggetti sensibili. Categorie e forme del pensiero. Schematismo. Riflessione trascendentale. Natura
Art. III. Teoria della Ragione pura. Della legge dell’assoluto. Delle Idee trascendentali. Paralogismi, antinomie, e ideale della Ragione pura. Delle prove specolative dell’esistenza di Dio
Art. IV. Teoria della Ragione pratica. Sentimento fondamentale della coscienza. Libero arbitrio. Imperativo categorico. Unione necessaria delle due tendenze verso la felicità e verso il dovere. Immortalità dell’anima. Dio
Art. I. Esame della Teoria della Sensibilità pura
Art. II. Esame della Teoria dell’Intelletto puro
Art. III. Esame della Teoria della Ragione pura
Art. IV. Esame della Teoria della Ragione pratica
Art. V. Esame della Filosofia sperimentale opposta alla trascendentale di Kant
ARTICOLO V.
Della Filosofia sperimentale opposta alla trascendentale di Kant.
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La Filosofia trascendentale di Kant si appoggia, siccome abbiamo veduto, al supposto, che tutto il mondo sensibile sia un’illusione, che tutte le rappresentazioni che abbiam degli oggetti sien puri fenomeni, pure apparenze, che tutti i concetti che ne formiano sien pura opera del nostro Intelletto.
La Filosofia sperimentale al contrario sostiene, che il mondo sensibile è una vera realità, che gli oggetti di cui abbiamo le rappresentazioni entro di noi, esistono fuor di noi realmente, e che tutti i concetti che formiamo hanno origine dalle impressioni che realmente da essi riceviamo, non dalle forme della Sensibilità pura o dell’Intelletto puro gratuitamente immaginate da Kant.
Per vedere se la Filosofia sperimentale sia appoggiata a miglior fondamento, convien esaminare, se veramente esistano questi oggetti fuori di noi, in qual modo se ne conosca da noi l’esistenza, e se di tale esistenza possiam veramente esser certi.
L’Ab. Condillac nel suo Trattato delle sensazioni dopo aver dimostrato, che la sua Statua animata, qualora fosse determinata al solo odorato, o al solo udito, o alla sola vista, o al solo gusto, mai non potrebbe con alcuno di questi sensi né separati né uniti arrivare a conoscere l’esistenza né del proprio
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corpo, né degli altri corpi esteriori, dimostra poi, come vi arriverebbe col tatto per la sensazione di solidità e di resistenza che proverebbe applicando la mano ora a varie parti del proprio corpo, ed ora a’ corpi che sono fuori di lei.
Ma una cosa in quella sua dimostrazione egli ha tralasciato, per cui lungamente io sono stato in dubbio, se alla scoperta dell’esistenza de’ corpi il solo tatto potesse bastare.
Egli non parla mai di ostacolo che la sua Statua incontri, né di forza che faccia per superarlo, né di accorgimento dell’opposizione che ne riceve, e dell’inutilità de’ suoi sforzi per vincere tale opposizione. Ei suppone che la sua Statua applichi semplicemente la mano ora a sé stessa, ora ad altri corpi, e mostra di credere, che la sensazione di resistenza o solidità procedente da questa semplice applicazione sia sufficiente a dar corpo alle sue modificazioni, e che il sentire che quando con una mano tocca una parte di sé medesima, l’io si risponde dall’una all’altra, e quando tocca un corpo estrinseco non si risponde, debba condurla senz’altro a distinguere il proprio corpo da’ corpi esteriori.
Ma finché la Statua applica semplicemente la mano a sé stessa o ad altri, non mi parea che quella sensazione di tatto potesse avere per lei maggior corpo di qualunque altra sua sensazione. Non sapendo ella di toccar cosa alcuna, anzi pur non sapendo nemmeno di aver tatto, sembravami che dovesse provare in sé una modificazione cui avesse a
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riguardare come tutta sua propria, in quella guisa che farebbe con un odore, o un colore, od un suolo; né questa sua modificazione potesse condurla a inferir l’esistenza di cosa alcuna fuori di sé. L’io che si risponde quand’ella tocca sé stessa, e nega risposta allorché tocca tutt’altro, pur non parevami che una poetica immaginazione. Avrà tutt’al più, diceva io, due sensazioni nel primo caso, una n’avrà nel secondo; ma senza idearsi che quelle vengano da due parti del proprio corpo, che non sa ancora d’avere, né che questa venga da un corpo esterno, di cui non ha ancora potuto sospettar l’esistenza.
Per queste ragioni io credeva, che a conoscere l’esistenza de’ corpi il tatto avesse mestieri pur del soccorso degli altri sensi. Ma nel 1794, mentre in questa ricerca io m’era più di proposito occupato, parvemi che aggiugnendo alla sensazione di resistenza o solidità il sentimento della opposizione sopraccennato, anche il solo tatto bastar potesse a far che la Statua incominciasse a sospettare, indi ad assicurarli dell’esistenza de’ copri, cui dalla semplice sensazione summentovata non avea potuto argomentare.
«La Statua, diss’io, allora comincerà a sospettare che esista qualche cosa fuori di lei, quando sentirà l’opposizione che i corpi le fanno, quando dopo essersi mossa in un luogo liberamente, o avere liberamente steso il braccio e la mano, incontrerà improvvisamente un ostacolo che le vieti d’andar più oltre, o di stendere il braccio e la mano più innanzi,
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quando provandosi a vincere questo ostacolo, vedrà di non poter superarlo. Il sentimento di una tale opposizione al libero esercizio de’ suoi voleri e de’ suoi moti si è quello che prima d’ogn’altra cosa dee infonderle il sospetto che ciò che a lei contrasta sia fuor di lei e da lei diversi, non potendo ella attribuire a sé medesima, o riguardar come identico con essolei ciò che s’oppone a’ suoi voleri, e ch’ella anzi fa ogni sforzo per vincere, senza poter superarlo. Questo sospetto diverrà poi certezza a misura che incontrando novelli ostacoli, l’attenzion sua si sentirà determinata a cercare di riconoscerli, e con queste ricerche riuscirà a scoprire la loro posizione, la loro figura, la lor grandezza, la maggiore, o minore lor consistenza, e le altre qualità che si scopron col tatto. La diversa sensazione che avrà toccando sé stessa, e toccando i corpi esteriori le farà allora distinguere ciò che appartiene al proprio corpo, e ciò che spetta a tutt’altri. E siccome il sentimento dell’opposizione o del contrasto è preceduto sempre dalla sensazione di semplice tatto; così per accorgersi della presenza d’un corpo non sarà allora più necessario il premerlo onde sentirne l’opposizione, ma basterà il toccarlo semplicemente, onde averne la comune sensazione di tatto».
Queste ch’io diedi come semplici congetture(1), ho avuto poi il piacere di veder
(1) Congetture intorno al modo con sui si scopre dell’animo l’esistenza de’ corpi. Vol. IV. delle Istituzioni di Logica ec., Milano presso Marelli 1794.
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pienamente confermate in una dotta dissertazione di Destutt-Tracy impressa nel Tomo III. delle Memorie dell’Istituto Nazionale di Francia spettanti alle scienze morali e politiche(1), nella quale egli mostra che al medesimo sentimento dell’opposizione noi dobbiamo la cognizione de’ corpi.
Ma al tempo stesso che questo sentimento serve a farci conoscere l’esistenza de’ corpi, non ci offre egli spontaneamente una prova evidentissima della realità d’una tale esistenza? Eccome mai potè Kant non sentire tutta la forza di questa prova, egli che più d’ogni altro da’ suoi Principi era guidato a dovere e sentirla e riconoscerla?
In mezzo al suo universale scetticismo, egli ammette, siccome abbiamo veduto, che ognuno di noi è certo della propria sua esistenza. E a che appoggia egli questa certezza? Alla ragione giustissima (benché non unica) che ognuno è consapevole a sé medesimo delle sue proprie azioni; e come sarebbe contraddizione che esistesse l’azione senza l’agente, così dalla coscienza delle sue azioni ognuno ha l’immediata certezza, che come autore di esse egli esiste.
Ma in quel modo che noi siam consci delle azioni che facciamo noi medesimi, non siam noi consci altresì delle azioni, che tutto giorno, che ad ogni momento soffriamo dagli altri? Quelle azioni singolarmente che contrastano a’ nostri voleri, che siam costretti a
(1) Parigi presso Baudouin An. IX. 1801.
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soffrire nostro malgrado, possiam noi dubitare, che non ci vengano da oggetti esistenti fuori di noi, e da noi diversi? Io mi sforzo di stendere un braccio; un ostacolo me lo ferma: mi sforzo d’alzarlo; un legame me lo trattiene. Un prigioniere vorrebbe uscir dalla carcere; trova l’inesorabile porta che glielo vieta: un delinquente ripugna a sottomettersi alla giustizia vendicatrice; fugge da chi lo insegue, lotta con chi l’arresta, fa ogni sforzo onde sottrarsi a chi vuol condurlo tra quelle mura ch’egli detesta e paventa; ma a suo dispetto si sente là strascinato a viva forza. Chi mai in simili casi può dubitare che esistan gli oggetti da cui è forzato a soffrire azioni così contrarie a’ suoi voleri? Ma i casi, ne’ quali da noi si sente l’azione o reazione degli oggetti esteriori sopra di noi, sono infiniti e continui. E questi per la stessa ragione che non può esistere l’azione senza l’agente, non sono eglino altrettante certissime prove che siffatti oggetti esistono realmente? Eccome mai potè Kant ignore o dissimulare una verità, che da’ suoi stessi Principi sì evidentemente e spontaneamente nasceva?
In qual guisa poi dall’azione di questi oggetti derivino in noi tutte le sensazioni e percezioni, e da esse le nozioni e l’idee, io non mi fermerò a dimostrarlo, giacché estesamente l’han dimostrato e Locke e Condillac, e molt’altri illustri Metafisici, n’è v’ha oggimai più Filosofo, o mezzanamente pure iniziato ne’ Principi filosofici, che l’ignori.
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Conchiudiamo pertanto che i corpi esistono veramente; che la loro esistenza è conosciuta da noi con certezza; che dalle loro impressioni sui nostri organi o esterni o interni hanno origine tutte le nostre sensazioni e percezioni, tutte le nostre idee e nozioni; che per conseguenza la Filosofia sperimentale è appoggiata a fondamenti solidi e reali; ch’ella sola è la vera Filosofia; e che la Filosofia trascendentale di Kant non può aver luogo che nella regione de’ sogni e delle chimere.
IL FINE.