Prima contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia prima
Seconda contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia seconda
Terza contraddizione delle idee trascendentali
Scolio dell'antinomia terza
Quarta contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia quarta
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Ritenuto, consistere la tetica in ogni complesso di opinioni o dottrine dogmatiche, sotto nome d’antitetica non intendo già le parimenti dogmatiche asserzioni dell’opposto;
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ma intendo lo stesso contraddirsi di cognizioni aventi aspetto di dogmatiche (thesin, cum antithesi), in modo, che stiamo in forse, quale abbia fra esse, di preferenza, diritto al nostro assenso. Non si occupa dunque punto, l’antitetica, di asserzioni parziali ed isolate, bensì di nozioni universali della ragione, considerando però solamente quanta è ripugnanza vicendevole, fra di loro, e quali possano essere le cause di tale ripugnanza. Così l’antitetica trascendentale sarà un’indagine in torno all’antinomia della ragione pura, non che intorno alle sorgenti ed alle risultanze di tale antinomia. Ogni qualvolta la ragione adoperiamo, non solo ad uso dei principi fondamentali del nostro intelletto, intorno agli oggetti della sperienza; ma che ci attentiamo estenderla oltre di questa i confini, eccoti pascere teoremi sofistici pei
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quali non abbiamo né da sperare conferma, né confutazione da temere, nella sperienza, e ciascheduno dei quali, preso isolatamente, non solo non inchiude in sé stesso contraddizione, ma incontra persino le condizioni della propria necessità nella natura della ragione; solché abbiamo la disgrazia di pure incontrare, dall’altra parte, corredato e ricco di ragioni ugualmente autentiche, non che necessarie, il teorema e la dottrina, che sostengono tutto l’opposto.
Riduconsi, pertanto, alle seguenti le quistioni, quali naturalmente si offrono, in tale dialettica della ragione pura.
1. Quali sieno propriamente le proposizioni, nelle quali trovisi la ragione pura esposta e soggetta necessariamente ad un’antinomia.
2. Quali sieno le cause di tale antinomia.
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3. Se tuttavia, ed in qual modo, aperta rimane alla ragione una strada, che guidi alla certezza intorno alla data contraddizione.
Per la qual cosa, un teorema dialettico di ragione pura deve, in primo luogo, avere inerente a sé stesso una circostanza, che lo distingua da quante altre sono proposizioni sofistiche. La qual circostanza consiste in ciò, ch’esso non risguarda una quistione arbitraria, emessa, cioè, per un certo quale scopo a piacere, ma si riferisce ad una di quelle, nelle quali non può a meno di abbattersi ne’ suoi progressi l’umana cagione. Deve, in secondo luogo, il teorema in discorso costituire, in concorrenza col suo contrario, non solo un’artificiosa illusione di quelle preste a sì tosto svanire che ravvisate, ma deve per sé stesso costituire una indispensabile, non che naturale, illusione. Talché,
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allora eziandio, quando questa non ci conduca più in errore, ne illude però sempre, se non c’inganna; il perché ci sarà possibile renderla innocua, non però pienamente distruggerla.
Tale dottrina dialettica non è destinata riferirsi alla unità dell’intelletto, nei concetti della sperienza, bensì anzi alla unità della ragione, in quelle idee soltanto, la condizione delle quali, poiché già da prima consentanea coll’intelletto, nella sua qualità di sintesi, conforme alle regole del medesimo, e dovendo nello stesso tempo accordarsi eziandio colla ragione, come coll’assoluta di lei unità, verrebbe a riuscire soverchia pell’intelletto, sempreché adeguata e corrispondente a quest’ultima unità, e troppo riuscirebbe dappoco per la ragione, ov’essa fosse al solo intelletto proporzionata. Dal che non può quindi
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a meno che sorga una contraddizione; cui non potremmo evitare, cammin facendo, qualunque sia la parte onde prendessimo le mosse. Aprono dunque le asserzioni sofistiche (ratiocinantes)(1) un campo di battaglia dialettica, ove tutto il vantaggio è per quello, fra i combattenti, cui è concesso di primo sull’arena esporsi ad incominciare l’attacco, e dove può reputarsi di soccombere certo chiunque trovisi costretto starsi unicamente sulle difese. Quindi è che, ove discretamente agguerriti gli atleti, sia pur buona o cattiva la causa, a tutela della quale si danno prezzo, purché venga loro accordato il privilegio dell’ultimo assalto e che non sieno
(1) In questa significazione il testo esprime sempre vernünftelnd , cui renderebbesi forse meglio per arguto che non per sofistico.
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essi più tenuti ad aspettare nuovi attacchi per parte dei competitori, hanno con tutta sicurezza da contare sulla corona del trionfo. Può ciascuno facilmente immaginarsi, che tale arena fu bene spesso calcata già tempo, che vi furono conquistate parecchie vittorie, sì dall’una che dall’altra delle parti combattenti, che però furono prese ognora misure tali per quella, a cui favore era poi decisa la lite, perché il propagatore della buona causa (vincitrice) rimanesse padrone unico del terreno, in quanto era vietato al competitore di ulteriormente impugnare le armi. Come giudici equi ed imparziali, dobbiamo lasciare per ora da banda, se combattessero i campioni per la buona o per la cattiva causa, e dobbiamo lasciare ch’essi prima la decidono fra di loro. Dopo essersi l’un l’altro più affaticati che nociuto, chi sa ch’ei non rilevino
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da per sé stessi, per avventura, la verità, per la quale si battono, e che non finiscano per accommiattarsi da buoni amici.
Questa maniera di assistere al certame delle opinioni o di anzi dar loro motivo e spinta, vello stesso tempo, allo scopo di non già finir decidendo a favore di questa parte o di quella; bensì di esaminare, non fosse per avventura un mero capriccio un fantasma, quello che accaffa ciascheduna delle parti, e nel quale non vi è per nessuna da guadagnare, quando pure non fosse chi glielo contrastasse, questa maniera, diceva, di procedere può essere chiamata metodo scettico. Tal metodo è però tutt’altro che scetticismo; consistendo questo in un principio fondamentale di artificiosamente scientifica ignoranza e che dalle fondamenta rovescia ogni sapere, mirando quasi a che niuna in verun
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luogo rimanga sicurezza e consistenza pelle umane cognizioni. Il metodo scettico, per lo contrario, tende alla certezza, in quanto si propone di scovrire il punto della sinistra interpretazione, in un contrasto intrapreso dalle due fazioni con fini ugualmente onesti e sostenuto con ugual senno che probità; e fa come quei saggi legislatori, che dalle dubbiezze dei giudici, nei dibattimenti del foro, istruiscono sé stessi ed utili deducono argomenti sui difetti o la non precisa determinazione di loro leggi. Perciocché ne’ cancelli, fra’ quali sta rinserrata la nostra sapienza, l’antinomia, che si manifesta nell’applicazione delle leggi è il miglior tentativo, al quale cimentare la nomotetica (legislazione); onde fare scorta la ragione sui punti ed articoli, che ne determinano i principi, tanto più non essendo quella
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sì presta e facile ad avvedersi de’ suoi errori, quando assorta in astratte speculazioni.
Ma questo metodo scettico, in oltre, è assolutamente proprio e, direi, essenziale alla sola filosofia trascendentale; giacché potrà farsene senza, per avventura, in qualunque altro genere di ricerche, fuori certamente che in queste. Sarebbe assurdo il farne uso delle matematiche, siccome in quelle, ove non è asserzione fallace, che possa invisibile rendersi e mantenersi occulta, dovendo ivi le prove progredire ognora colla scorta della visione pura e sempre, ciò che più rileva, mediante sintesi evidente. Per ciò che risguarda la filosofia sperimentale, può bensì tornarle a profitto il dubbio della dilazione; ma vi sono, se non altro, impossibili male intelligenze tali, che non sieno da facilmente allontanarsi; perciocché
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stanno alla fine riposti nella sperienza gli ultimi rimedi pei quali decidere la lite e debbono tardi o tosto incontrarsi questi rimedi. La morale può di fatto somministrare in una sperienza, per lo meno possibile, tutti quanti i suoi principi fondamentali anche per ogni singolo caso (in concreto), insieme calle conseguenze risguardanti alle azioni, e può essa quindi schermirsi dalle sinistre interpretazioni dell’astrazione. Le asserzioni trascendentali, per lo contrario, comeché già si arroghino cognizioni e viste, che via sempre dilatansi al di là dei confini d’ogni sperienza possibile, ben son lungi dall’essere costituite alla foggia delle precedenti, né quando l’astratta sintesi loro può a priori esser data in una qualche visione, né perché fossero di tal tempra le sinistre interpretazioni loro, che una qualche sperienza valesse a scovrirle.
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La ragione trascendentale adunque non ammette altra pietra di paragone, tranne il tentativo di fra di loro congiungere le sue stesse asserzioni, combinando perciò in prevenzione le non interrotte, anzi libere, contese delle medesime; il che è quanto attualmente imprendiamo(*).
(*) Le antinomie si succedono, a vicenda, secondo l’ordine delle più sopra indicate idee trascendentali.