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DELLA CRITICA 

ELEMENTARE TRASCENDENTALE

PARTE SECONDA

LOGICA TRASCENDENTALE

DIALETTICA TRASCENDENTALE
DELL’ANTINOMIA DELLA RAGIONE PURA

avanti

Indice

Scolio generale risguardo al passaggio dalla psicologia razionale alla cosmologia

Cap. II. Antinomia della ragione pura 

Sezione I. Sistema delle idee cosmologiche

Sezione II. Antitetica della ragione pura

Prima contraddizione delle idee trascendentali

Scolio all'antinomia prima

Seconda contraddizione delle idee trascendentali

Scolio all'antinomia seconda

Terza contraddizione delle idee trascendentali

Scolio dell'antinomia terza

Quarta contraddizione delle idee trascendentali

Scolio all'antinomia quarta

Sezione III. Dell'eccitamento, che ne viene alla ragione, da queste sue contraddizioni

Sezione IV. Delle quistioni trascendentali della ragione pura, in quanto importa, perché le si possano assolutamente risolvere

Sezione V. Sposizione scettica delle quistioni cosmologiche per tutte quattro le idee trascendentali

Sezione VI. Dell'idealismo trascendentale, come chiave pello scoprimento della dialettica cosmologica

Sezione VII. Decisione critica del contrasto cosmologico della ragione con sé stessa

Sezione VIII. Principio regolativo della ragione pura, rispetto alle idee cosmologiche

PRIMA CONTRADDIZIONE DELLE IDEE TRASCENDENTALI

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Tesi

Il mondo ha un principio, nel tempo, e termini, che lo circoscrivono, in quanto allo spazio.

Prova

Ammettiamo di fatto, non avere il mondo principio alcuno, secondo il tempo, e bisognerà pure ainmettere, che, sino a qualunque dato punto del tempo, sia trascorsa un’eternità, quindi, che sia pure trascorsa una serie infinita di stati consecutivi nelle cose del mondo. Ora la infinità di una serie consiste appunto nel non potersela compiere giammai col mezzo di sintesi consecutiva. Dunque non può essere 

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infinita una serie trascorsa nel mondo ed è quindi condizione indispensabile della di lui esistenza un principio; il che è quanto importava provare, in primo luogo.

Diamo l’opposto, anche rispetto alla seconda proposizione, e dovrà il mondo consistere in un dato tutto infinito di cose coesistenti, esistenti, cioè, simultaneamente. Ora non evvi altro modo, per cui raffigurarci la grandezza di un quanto, che non sia dato entro certi confini di qualunque visione(*), tranne solo mediante la sintesi delle

(*) Sempreché trovisi da limiti circoscritto, ci è lecito ravvisare (avere intuizione di) un quanto indeterminato, come (di) un tutto, senza che ne sia mestieri costruirne la totalità; mediante misurazione, mediante, cioè, la sintesi consecutiva delle sue parti. Come quelli, di fatto, che rescindono qualunque di più, i confini determinano già il compimento (la totalità).

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parti; e non possiamo immaginare la totalità di un tal quanto, se non mediante intiera e compiuta sintesi o mediante addizione ripetuta dell'unità a sé medesima(*). Per la qual cosa onde pensare, come un tutto, il mondo, che tutti riempia gli spazi, bisognerebbe considerare quasicome compiuta la sintesi consecutiva delle parti di un mondo infinito; voglio dire, che sarebbe da necessariamente considerarsi, come già trascorso, un tempo infinito, nella enumerazione di quante

(*) Il concetto della totalità non è altro, in questo caso, tranne la rappresentazione dell’intiera e piena sintesi delle di lei parti; perciocché, non essendoci permesso di sottrarre il concetto dalla visione del tutto (come quello che non sarebbe guari possibile, nel detto caso), così non lo possiamo concepire, nell’idea per lo meno, se non mediante la sintesi delle parti, sino al compimento dell’infinito.

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sono le cose coesistenti; ciò che non può essere. Quindi è che non può nemmeno risguardarsi come un tutto dato, quindi neppure come dato simultaneamente, un aggregato infinito di cose positive. Non è dunque infinito il mondo, stando all’estensione di lui nello spazio, ma è circoscritto ne’ suoi termini; locché doveva, in secondo luogo, provarsi.

Antitesi

Il mondo non ha né principio né limiti nello spazio; mi è infinito, rispetto sì al tempo che allo spazio.

Prova

Diamo, di fatto, che il mondo abbia un principio. Siccome il principio costituisce un’esistenza e che deve a questa precedere un tempo,

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nel quale non fosse la cosa, così dev’essere precorso un tempo, nel quale il mondo non era; deve dunque avere preceduto un tempo vuoto. Io un tempo vuoto, però, non è mai possibile, che nasca qualche cosa; stanteché non è parte di un tal tempo, la quale contenga io sé, prima di una qualche altra parte, una condizione dell’essere, distintiva da quella del non essere. (È indifferente il supporre, che la cosa nasca per sé stessa o che prodotta sia per altra cagione). Dunque nel mondo possono avere incominciamento parecchie serie, ma non può aver principio lo stesso mondo, ed esso è, per conseguenza, infinito, rispetto al passato.

Per ciò, che risguarda la seconda parte, cominciamo dall’ammettere l’opposto, ammettendo il mondo come finito e circoscritto nello spazio, 

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e sarà mestieri, ch’esso esista in uno spazio vuoto ed illimitato. Nel qual caso, dovremmo in contrare una relazione delle cose, nello spazio non solo, ma sì eziandio collo spazio. Ora, siccome il mondo costituisce un tutto assoluto, fuori del quale non può trovarsi verun oggetto di visione, quindi nessun correlativo del mondo, con che fosse lo stesso mondo in rapporto; così la di lui relazione ad uno spazio vuoto sarebbe relazione a nessun oggetto. È però nullo un tal rapporto, ed è pure nulla, per conseguenza, la circoscrizione del mondo, mediante uno spazio vuoto: dunque il mondo non è limitato, rispetto allo spazio, vale a dire, che, risguardo all’estensione, il mondo è infinito(*).

(*) Lo spazio è soltanto la forma dell’esterna visione (è visione formale); ma non 

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è oggetto positivo, cui potesse ravvisarsi esteriormente. Prima di tutte le cose, che lo determinano (riempiono, ovvero, circoscrivono) o che piuttosto gli danno un’empirica visione, corrispondente alla di lui forma, sotto nome di spazio assoluto, non è altro lo spazio, se non la mera possibilità delle apparizioni, quante sono, secondoché od esistono elle di per sé o le si possono aggiungere ad apparizioni date. Dunque la visione empirica non consta di visioni e di spazio (non è cioè composta di percezione e di apparizione vuota). Ché non è già l’uno il correlativo della sintesi dell’altro, ma sono meramente collegati ambedue in una sola empirica visione, in qualità di materia ed anche della forma della medesima. Non prima ti fai a riporre l’una

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fuori dell’altra, queste due parti (lo spazio fuori di tutte le apparizioni), che ti nasce copia di determinazioni sì vane dell’esterna visione che le non ti saranno perciò mai percezioni possibili. Prendi ad esempio il moto, oppure la quiete, del mondo in uno spazio infinitamente vuoto, ed avrai tal determinazione del rapporto vicendevole d’ambidue, che non ti sarà mai possibile percepirla; e, per conseguenza, ciò non consiste in altro, che in un mero oggetto del pensiero (ens rationis).

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