Prima contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia prima
Seconda contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia seconda
Terza contraddizione delle idee trascendentali
Scolio dell'antinomia terza
Quarta contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia quarta
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Affine di comprovare l’esistenza di un essere necessario, mi è come obbligo il non d’altro argomento prevalermi, se non cosmologico, siccome di quello, che, da quanto è nell’apparizioni soggetto a leggi e condizioni, sale a quanto è da queste libero ed assoluto nel concetto, essendo che ciò si risguarda quale appunto condizione indispensabile pella totalità assoluta della serie. L’argomento, cui tentasi dedurre da una mera idea di un essere superiore a tutti generalmente gli esseri, appartiene ad un altro principio di ragione, col qual principio dobbiamo quindi specialmente incontrarsi.
Ora il puro argomento cosmologico non può altrimenti provare
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l’esistenza di un essere necessario, tranne lasciando indeciso, nello stesso tempo, se nel mondo medesimo consista un tal essere, oppure in cosa diversa dal mondo. Onde infatti argomentare quest’ultima proposizione, richieggonsi principi fondamentali, che più non sono cosmologici e non progrediscono lunghesso la serie delle apparizioni; ma gli è duopo ricorrere a concetti di esseri accidentali in genere (in quanto sono questi considerati quali oggetti dell’intendimento), non che ad un principio; in forza di cui, e la mercé di soli concetti, accoppiare siffatti esseri con un ente necessario. Le quali cose appartengono tutte ad una filosofia trascendente, alla quale non è quivi ancor luogo.
Intrapreso però, che si abbia una volta, l’argomento cosmologico, e posta quinci a fondamento la serie
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delle apparizioni ed il regresso nelle medesime, giusta le leggi empiriche della causalità, non è più lecito il recedere dal detto argomento; né il far passaggio a cosa, che non fosse parte od anello della detta serie o catena. Giacché gli è necessario, che risguardisi, come condizione, a qualche cosa nel medesimo significato, in cui la relazione del condizionato colla propria condizione verrebbe ad esser preso nella serie, che indi conducesse in continuata e non interrotta progressione sino a quella condizione su prema. Ora, se l’or ora indicato rapporto è sensitivo, ed appartiene a quanto può essere l’uso empirico dell’intelletto, non è guari possibile conchiudendo, riferire né la causa o condizione suprema, tranne secondo le leggi della sensibilità, né, per conseguenza, il regresso, tranne come appartenente alla serie
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del tempo; e l’ente necessario dev’essere considerato per il più alto degli anelli nella catena o serie del mondo.
E si osò non di meno un tal salto (μεταβάσεως εις αλλο γενος). Si conchiuse, cioè, dai cambiamenti nel mondo, inferendo all’accidentalità empirica, voglio dire, alla dipendenza dei medesimi da cagioni empiricamente determinate; ond’è che si ebbe, com’era giustissimo una serie ascendente di condizioni empiriche. Ma, siccome in siffatta serie non era punto fattibile il trovare né alcun primo incominciamento, né alcuna parte, che fosse capo supremo, abbandonossi di slancio il concetto empirico dell’accidentalità e diessi di piglio issofatto alla pura categoria, la quale produsse quindi una serie meramente, intelligibile; la cui perfezione (totalità) stava riposta nel
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l’esistenza di una causa assolutamente necessaria; non essendo la quale tenuta più oltre a condizioni sensitive, la si dispensò eziandio dall’obbligo d’incominciare la sua propria efficienza dalla condizione del tempo.
Nella categoria pura è fortuito quello, il cui opposto contradditorio è possibile. Ora non v’è ragione, che autorizzi dal fortuito empirico a dedur conclusione di fortuito intelligibile. Perciocché il contrario (allo stato) di quello, che cangia, è positivo (ha luogo) in un altro tempo, è conseguentemente anche possibile; né quindi lo si può dire l’opposto (contradditorio) allo stato antecedente: essendo perciò necessario, che, nel medesimo tempo, in cui esisteva lo stato antecedente, avesse potuto, in vece del medesimo, esistere il proprio contrario. Un corpo, il quale si trovava in
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movimento = A, viene ad essere in quiete = non A. Ora, perché uno stato contrario allo stato A tenga dietro a questo, non può già conchiudersi che possibile sia l’opposto contradittorio di A e che A sia conseguentemente accidentale. Conciossiaché per tal conclusione si richiederebbe, che in quel medesimo tempo, nel quale aveva luogo il movimento, avesse potuto, in di lui vece, aver luogo la quiete. Noi però altro non sappiamo, tranne che la quiete fu positiva in seguito al movimento e ch’essa, per conseguenza, era possibile. Ma il movimento in un tempo, e la quiete in un altro, non sono già opposti vicendevolmente contradditori. Dunque la successione di contrarie determinazioni, vale a dire, il cambiamento, non prova in veruna maniera l’accidentalità per via di concetti del puro intendimento,
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e non può conseguentemente neppure condurre, per la stessa via dei concetti del puro intendimento, all’esistenza di un essere necessario. Il cambiamento indica solamente l’accidentalità empirica; indica, cioè, qualmente senza una causa, che appartiene al tempo trapassato, non sarebbe stato guari possibile il nuovo stato, in conseguenza della legge di causalità. Ma, quando pure la si ammetta per assolutamente necessaria, è pure necessario, in tal caso, perché la detta causa venga trovata nel tempo e che ad una serie d’apparizioni appartenga.