Prima contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia prima
Seconda contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia seconda
Terza contraddizione delle idee trascendentali
Scolio dell'antinomia terza
Quarta contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia quarta
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Ben volentieri decamperessimo dal pretendere, perché fossero dogmaticamente riscontrate le nostre dimande, se dato ci fosse di comprendere in prevenzione, qualmente, comunque riesca la risposta essa non potrebbe se non che accrescere vieppiù la nostra ignoranza e trascinarci da un incomprensibile in un altro, da una in altra maggiore oscurità, e fors’anche in contraddizioni. Se la nostra inchiesta fosse posta in maniera da non aspettarci che l’affermativa o la
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negazione, sarebbe saggio, anzi che no, divisamento il trasandare, in luogo di prima discutere, i fondamenti della risposta ed, in vece, incominciare dal porci ad esaminare, qual mai ne ridonderebbe utilità, cadendo a favore dell’un partito il riscontro, e quale, ove riescisse questo favorevole all’altro contrario. Se pertanto accadesse, che in ambidue i casi non sortissero che frivolezze o cose vuote di senso avressimo allora fondato motivo di criticamente inquirire la stessa dimanda e vedere, se non poggiasse questa pure sopra una supposizione lubrica e priva di fondamento e se la non consistesse che nel giuoco di un’idea; la fallacia della quale venisse ad iscorgersi meglio, sia nell’applicazione sia nelle relative conseguenze, che non la si tradisce nella rappresentazione isolata. Ed è questo il sommo vantaggio,
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cui arreca la maniera scettica di trattare le quistioni, che la ragione pura esibisce alla ragione pura; poiché maniera, che serve, con lieve dispendio, a sollevarne dalla immensa farragine dogmatica e pone al di lei posto una critica sobria e vigile; che, alla maniera di vero ed opportuno catartico, sa eliminare felicemente il capriccio del saper gran cose, con tutto il suo gran seguito.
Se in grado fossi, per conseguenza, di, rispetto ad un’idea cosmologica, prevedere, che, da qualunque lato la si applichi dell’assoluto, nella sintesi regressiva delle apparizioni, essa riescirebbe tuttavia troppo grande o soverchiamente picciola per un concetto intellettuale, sarei fatto scorto, in tal caso, qualmente, non avendo siffatta idea che fare se non con un oggetto della sperienza, la quale vuol essere adatta
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e corrispondente ad un concetto possibile dell’intelletto, essa idea dev’essere vuota e priva di significazione; come quella, cui non sarà mai proporzionato e congruente l’oggetto, per quanto io m’affatichi ad accomodarglielo. Ed è ciò, che positivamente accade con quanti sono i concetti cosmici; i quali anche perciò, sinché loro aderisce la ragione, l’avviluppano inevitabilmente in una qualche antinomia.
Date infatti, primieramente, che il mondo non avesse avuto alcun principio; e lo stesso mondo riescirà troppo grande pel vostro concetto, consistendo il quale in un regresso consecutivo, non sarà mai ch’esso abbracci tutta quanta la trascorsa eternità. Supponete, invece, avere il mondo avuto incominciamento, e sarà esso piccolo troppo, in tal caso, pel vostro concetto intellettuale, nel regresso empirico necessario.
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Conciossiaché, siccome l’incominciamento suppone sempre un tempo anteriore al medesimo, così esso è tuttora indeterminato (non assoluto); ma la legge dell’uso empirico dell’intelletto v’impone di farvi alle traccie di più ancora lontana condizione, rispetto al tempo: e manifesta ne risulta la conseguenza, essere piccolo troppo il mondo, risguardo a questa legge.
Così va pure la faccenda risguardo ad ambedue le risposte alla domanda intorno alla grandezza del mondo, relativamente allo spazio. Esso è troppo grande, in fatti, per qualunque possa essere concetto empirico, se lo voglio infinito e senza limiti, mentre, se lo giudico limitato e finito, avrete poi da chiedermi ragione: in cosa consistano cotesti limiti? Perciocché lo spazio vuoto non costituisce un per sé stesso consistente correlativo alle
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cose, né può essere condizione, alla quale potessimo, arrestarci, e molto meno condizione empirica, che avesse parte in una sperienza possibile. (Chi mai può, di fatto, avere sperienza dell’assolutamente vuoto?). Ma, per la totalità assoluta della sintesi empirica, è di tutta sempremai necessità, perché sia sperimentale il concetto dell’assoluto: dunque pel vostro concetto sarà picciolo troppo un mondo limitato.
Secondariamente, se ogni nello spazio apparizione facciamo consistere di molte parti all’infinito, il regresso della divisione riescirà sempre soverchio al nostro concetto; e, se dee lo scompartimento dello spazio far punto ed aver fine in una qualche parte del medesimo, sarà esso piccolo di troppo, rispetto all’idea dell’assoluto; perciocché la detta parte lascia ognora indietro, qual residuo, un regresso ad altre parti contenute nella medesima.
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Ammettiamo, in terzo luogo, per altro assolutamente non essere, se non per conseguenza e legge di natura, che accade ogni cosa nell’universo, e sarà sempre tuttavia qualche altra cosa di accaduto al di là di quel tutto, l’efficienza, cioè, della causa; la qual efficienza rende indispensabile, che retrogradiamo (rende necessario il regresso) ad una causa più sublime; come questa causa rende necessario, senza mai posa né interruzione, il prolungamento della serie delle condizioni antecedenti (a parte priori). La natura efficiente, per sé sola, è dunque soverchia per ogni nostro concetto nella sintesi degli avvenimenti dell’universo.
Che se preferiamo, essere gli accidenti prodotti qua e là per sé medesimi, ammettendo, per conseguenza, generarsi le cose in forza di libertà, ne perseguita subito il
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perché risguardante ad una legge inevitabile di natura e ci obbliga trasmigrare, su questo punto, ad una legge causale di sperienza; nel qual caso, troviamo essere soverchiamente piccola, pel nostro concetto empirico necessario, una simile totalità di congiunzione.
In quarto ed ultimo luogo: se ponete un essere assolutamente necessario (sia poi questo lo stesso mondo o qualche cosa nel mondo o la cagione del medesimo), in tal caso, voi riponete quest’essere in un tempo infinitamente lontano da ogni dato punto dello stesso tempo; poiché, altrimenti, esso verrebbe a dipendere da un’altra più ancora provetta e remota esistenza. Ma sì fatta esistenza è quindi già troppo grande, stanteché inaccessibile al nostro concetto empirico, in maniera, che mai non arrivereste, per qualunque lungamente continuato regresso, ad arrivarla.
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Se però portaste opinione, comeché fortuito fosse tutto quanto (sia poi come condizione o come assoluto) appartiene all’universo, trovereste piccola troppo qualunque data ed al vostro concetto esibita esistenza. Giacché dessa vi costringe alla ricerca di via sempre qualche altra esistenza, onde quella prima derivi e dipenda.
In tutti questi casi ho detto, che l’idea cosmologica, per quello, che ha rapporto col regresso empirico e con ogni possibile concetto intellettuale, per conseguenza, o riesce troppo grande od anche piccola troppo, rispetto agli stessi regresso e concetto. Perché mo’ non espressi, direte, all’opposto la cosa e non dissi, essere ognora piccolo troppo, nel primo caso, il concetto empirico per l’idea, ma troppo grande nel secondo, affine di quindi farne quasi gravame al regresso empirico,
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invece che abbiamo incolpata l’idea cosmologica, perch’essa declinasse di troppo nel più o nel meno dal proprio scopo, voglio dire, dalla sperienza possibile? Eccovi di ciò il motivo. La possibile sperienza è la sola, onde può realtà provenire al nostro concetto, a meno di che si risolve in mera idea ogni concetto e non ha né verità né rapporto con alcun oggetto. Quindi è che il concetto empirico possibile costituiva la norma od il criterio, dietro cui giudicare l’idea e definire, s’ella non fosse che mera idea ed ente del pensiero o se fosse per incontrare nel mondo il proprio oggetto. Perciocché non si dichiara essere, in proporzione di qualche altra cosa, troppo grande o piccola troppo, se non quella, che viene unicamente ammessa in grazia di quell’altra e deve adattarsi con essolei. Ai giuochi
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dialettici delle antiche scuole apparteneva eziandio la quistione: Cosa debba dirsi, allorché non può una palla passare attraverso ad un buco, se fosse, cioè, troppo grossa la palla o troppo ristretto e piccolo il buco? Gli è però tutt’uno, in questo caso, che preferiate in un modo esprimervi piuttosto che nell’altro; perciocché non sapete, fra i due, quale sia destinato prestarsi a favore dell’altro. Ma non direte già, essere troppo grande un tale per il proprio vestito, bensì, troppo stretto il vestito per lui.
Eccone dunque per lo meno condotti al ragionevole sospetto, che altro non abbiano, per avventura, fondamento le idee cosmologiche e tutte con esse le respettive argute asserzioni, che si trovano in vicendevole fra loro contesa, tranne un facilmente vuoto e soltanto immaginario concetto, simulante, comeché
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dato, l’oggetto di siffatte idee. Il qual sospetto potrà ora esserci di scorta e le vere orme indicarci, dietro le quali scovrire il prestigio, che ne ha per età così lunga ingannati.