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DELLA CRITICA 

ELEMENTARE TRASCENDENTALE

PARTE SECONDA

LOGICA TRASCENDENTALE

DELL’IDEALE DELLA RAGIONE PURA

avanti

Indice

Dell'antinomia della ragione pura

Sezione IX. Dell'uso empirico del principio regolativo della ragione, risguardo a tutte le idee cosmologiche

I. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di composizione delle apparizioni di un tutto cosmico

II. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità della divisione di un dato tutto nell'intuizione

Scolio finale alla soluzione delle idee matematico-trascendentali, e premonizione alla soluzione delle idee dinamico-trascendentali

III. Soluzione delle idee cosmologiche della totalità di derivazione degli avvenimenti del mondo dalle cause dei medesimi

Possibilità dell'efficienza, mediante libertà, in combinazione colle leggi universali della necessità della natura

Dichiarazione dell'idea cosmologica di una libertà in combinazione colla necessità universale della natura

IV. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di dipendenza delle apparizioni, secondo la loro esistenza, in genere

Scolio finale a tutta l'antinomia della ragione pura

Del secondo libro della dialettica trascendentale

Cap. III. Dell'ideale della ragione pura

Sezione I. Dell'ideale in genere

Sezione II. Dell'ideale o prototipo trascendentale

Sezione III. Degli argomenti della ragione contemplatrice, dai quali conchiudere l'esitenza di un essere supremo

Sezione IV. Dell'impossibilità della prova ontologica per l'esistenza di Dio

Sezione V. Dell'impossibilità di una prova cosmologica dell'esistenza di Dio

Scoverta e spiegazione dell'illusione dialettica in tutte le prove trascendentali dell'esistenza di un essere necessario

Sezione VI. Dell'impossibilità della prova fisico-teologica dell'esistenza di Dio

Sezione VII. Critica mossa dai principi della ragione contemplatrice a qualunque teologia

SEZIONE PRIMA
DELL’IDEALE IN GENERE

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Fummo fatti scorti, più sopra, come la sola mercé dei concetti puri dell’intelletto, senza veruna delle condizioni della sensibilità, non può esserne rappresentato alcun oggetto; mancando le condizioni della realità obbiettiva degli oggetti medesimi, né venendo riscontrata in essi che la mera forma del pensare. Ei si possono tuttavia presentare in concreto, sempreché applicati alle apparizioni; perocché già cape in esso loro il 

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materiale del concetto empirico; il quale non è altro se non concetto intellettuale in concreto. Le idee però trovansi ad anche maggiore distanza, che le categorie, dalla realità obbiettiva; atteso che non si dà per niun verso apparizione, ove si potessero esse idee in concreto rappresentare. È loro tuttavia inerente una certa compitezza o perfezione, alla quale non è mai che arrivi alcuna possibile sperienza empirica: né ad altro mira in esse la ragione che ad avvicinare ad essa la unità empirica possibile; senza però mai riescire ad affatto con questa giungere a quella.

Ma, più ancora che l’idea, pare dalla realtà obbiettiva lontano essere ciò, cui do nome d’ideale, comprendendo sotto questa voce l’idea, in concreto non individualmente (in individuo); 

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vale a dire, un ente singolare e determinabile, se non anzi determinato, per la sola idea.

Nella sua piena integrità e perfezione la natura umana cape in sé stessa non solamente l’amplificazione di tutte le proprietà essenzialmente appartegnenti a quest’ente e costituenti il concetto, cui abbiamo del medesimo, sino alla piena congruenza coi di lui scopi; ciò che verrebbe a costituire la nostra idea di una perfetta umanità: ma contiene pure tutto ciò, che, oltre questo concetto, appartiene generalmente alla determinazione dell’idea. Conciossia che di tutti gli attributi opposti non ve n’ha che uno solo, il quale potesse addirsi e quadrare all’idea del più perfetto fra gli uomini. Ciò, cui noi diciamo ideale, reputavasi da Platone un’idea della divina intelligenza, un oggetto unico nella visione 

109

pura della medesima, quanto v’ha di più perfetto in ogni specie possibile di esseri e la causa originaria (modello, prototipo) di tutte le imagini analoghe (copie) nell’apparizione.

Onde però non sollevarne ad altezza tale, da poi smarrirsi nella discesa, ci è giuoco forza confessare, che la umana ragione abbraccia non solamente idee, ma sì pure ideali, ai quali, non compete una forza creatrice, come già tempo ai platonici, bensì tuttavia una facoltà pratica (ovvero attiva, nella qualità loro di principi regolativi), e ch’ei servono di base alla possibilità della perfezione di certe azioni. I concetti morali non costituiscono concetti affatto puri dell’intendimento, avendo quelli a fondamento alcun che di empirico (piacere o disgusto). Avuto ciò non di meno risguardo al principio, col quale 

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ragione prescrive limiti alla da ogni legge per sé indipendente libertà (dunque avuto soltanto risguardo alla di lei forma), i concetti morali possono benissimo servire ad esempio di concetti puri intellettuali. La virtù e, con essa, l’uman senno, in tutta la sua purezza, costituiscono idee. Ma il saggio (degli stoici) consiste in un’ideale, in un uomo, cioè, non avente che nel pensiero esistenza; il quale però s’accorda e corrisponde pienamente coll’idea della saggezza. Siccome l’idea fornisce la regola, così l’ideale serve, in tal caso, di prototipo alla determinazione generale dell’imagine successiva (copia, ectypus): e non abbiamo altra norma di nostre azioni, tranne il contegno di questo in esso noi umano divino. Perciocché ci poniamo a confronto con siffatto esemplare, giudichiamo da esso di noi medesimi 

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e procuriamo di per esso emendarci; quantunque non riescianio ad arrivarlo giammai. Anche non volendo concedere agl’ideali, onde si tratta, realtà obbiettiva (esistenza), tuttavia ei non debbono perciò risguardarsi, comeché fossero chimere; poiché son’essi, che anzi forniscono un modello indispensabile alla ragione; la quale abbisogna di un concetto di quanto è perfettissimo nel suo genere, per quindi apprezzare, non che misurare, il grado ed i manchi della perfezione. Se non che il pretendere di realizzare l’ideale cogli esempli, voglio dire, dell’apparizione, come sarebbe il voler positivo un saggio da romanzo, gli è un pretendere a ciò, cui non può conseguirsi: prescindendo pure da quanto v’ha già di assurdo e men che lecito in tale pretesa; dacché i cancelli naturali, che ostano incessantemente al perfezionamento 

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nell’idea, fanno impossibile qualsivoglia illusione in un tentativo di questa fatta e rendono quindi già sospetto e poco dissimile dalle mere finzioni quello stesso, che c’è di buono, inerente all’idea.

Così va la faccenda rispetto all’ideale della ragione; come a quello che dee sempre poggiare sovra concetti determinati, non che servire di regola e modello, rispetto sì all’esecuzione che al giudizio. È pero tutt’altra la sua maniera di comportarsi coi prodotti dell’immaginazione, intorno ai quali non è chi sappia opportunamente spiegarsi, né somministrare alcun concetto comprensibile. Quasi come si trattasse di monogrammi, consistendo i quali in getti isolati, non fossero però determinati a norma di qualche regola presumibile, costituiscono essi piuttosto un abbozzo quasi galleggiante frammezzo a differenti 

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sperienze, anziché una di quelle immagini determinate, cui dipintori e fisionomi danno a credere di avere impresse nell’animo; come che le consistessero in dipinti ombreggiati, non però comunicabili altrui, di loro creazione o de’ loro giudizi. A siffatte immagini, quantunque non con tutta proprietà di significazione, può tuttavia concedersi nome d’ideale della sensibilità; poiché destinate a modello inarrivabile di visioni empiriche possibili; quantunque non forniscasi per esse veruna regola, che suscettiva fosse di spiegazione od esame.

Nell’ideale della ragione, per lo contrario, il di lei scopo consiste nella piena ed universale determinazione, in forza di regole a priori. Per la qual cosa ella si raffigura nel pensiero un oggetto, che debba essere determinabile in tutto e per tutto, a norma di principi; a malgrado 

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che manchino le condizioni a ciò necessarie nella sperienza: quindi è che lo stesso di lui concetto è trascendente. 

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