I. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di composizione delle apparizioni di un tutto cosmico
II. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità della divisione di un dato tutto nell'intuizione
Scolio finale alla soluzione delle idee matematico-trascendentali, e premonizione alla soluzione delle idee dinamico-trascendentali
III. Soluzione delle idee cosmologiche della totalità di derivazione degli avvenimenti del mondo dalle cause dei medesimi
Possibilità dell'efficienza, mediante libertà, in combinazione colle leggi universali della necessità della natura
Dichiarazione dell'idea cosmologica di una libertà in combinazione colla necessità universale della natura
IV. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di dipendenza delle apparizioni, secondo la loro esistenza, in genere
Scolio finale a tutta l'antinomia della ragione pura
114
Rispetto a tutto quanto non cape in essolui, ogni concetto è indefinito e soggiace al principio della determinabilità, che stabilisce, qualmente, fra due per vicendevole ripugnanza contrari predicati, uno solo possa competere al detto concetto. Il che avendo fondamento sull’assioma di contraddizione, il detto principio risulta essere un mero principio logico, facente astrazione
115
da ogni materiale o contenuto nella cognizione ed altro non avente sott’occhio se non la forma logica della medesima.
Ogni cosa però, in quanto è possibile, sottogiace in oltre al principio della determinazione universale; dietro il qual principio dee uno ad essa competere, fra tutti gli attributi possibili delle cose; in quanto vengono questi posti al paragone dei loro contratti. E tal principio non poggia soltanto sull’assioma delle ripugnanze; perciocché, oltre la relazione in fra due vicendevolmente contradditori attributi, esso considera ogni cosa in rapporto eziandio colla possibilità di tutte, come col complesso di quanti generalmente sono delle cose i predicati. E mentre la premette, qual condizione a priori, esso principio rappresenta ogni cosa, comech’essa derivi la propria possibilità
116
dalla parte, ch’ella prende alla possibilità complessiva di tutte quante(*) Per conseguente il principio della determinazione universale ha risguardo al contenuto (alla materia) e non solamente alla forma logica. Esso consiste nel principio della sintesi di tutti gli attributi, che debbono costituire il pieno
(*) Con questo principio adunque vengono riferite quante sono le cose ad un correlativo comune, voglio dire, alla possibilità complessiva di tutte; incontrandosi la quale (vale a dire, il materiale di tutti gli attributi possibili) nell’idea di una singola cosa, verrebbe a provarsi un’affinità fra tutte le cose possibili, stante l’identità della causa determinante universale di tutte. La determinabilità di ogni concetto è subordinata all’universalità del principio fondamentale dell’esclusione di un intermedio a due predicati opposti, ma la determinazione di una cosa soggiace all’università (totalità), voglio dire, al complesso di tutti gli attributi possibili.
117
concetto di cosa e non della sola rappresentazione analitica, mediante uno dei due predicati contradditori, e contiene una premessa trascendentale, quella, cioè, della materia d’ogni possibilità; la quale dee pure a priori contenere i dati della possibilità particolare di ogni cosa.
La massima, che stabilisce determinato per ogni verso tutto quanto esiste, dinota competere sempre alla cosa una coppia di non solamente ripugnanti fra loro attributi, ma sì anche di quanti sono attributi possibili. Il perché vengono, confrontati logicamente i predicati fra loro non solo, ma è posta la stessa cosa in paragone trascendentale con quanti mai possono essere predicati. Essa dinota ed esprime, che, per conoscere pienamente una cosa, è mestieri conoscere tutto quanto è
118
possibile, per quindi e con tal mezzo affermativamente o negativamente la cosa medesima determinare. La determinazione universale costituisce, per conseguenza, un concetto, cui non siamo in grado mai di presentare in concreto nella sua totalità; e perciò la si fonda sopra un’idea, la quale ha sua stanza unicamente nella ragione, che prefigge all’intelletto la regola, dietro la quale debba esso in tutto e con tutto esercitarsi.
Ora, non di meno che tale idea del complesso d’ogni possibilità (in quanto è su di questo fondata, come sopra condizione, la determinazione universale di ogni singola cosa) sia, per vero dire, tuttavia indeterminata essa medesima, rispetto ai predicati, che potessero mai la cosa costituire, e tuttoché non essa ne giovi più in là che a raffigurarci un complesso di quanti
119
possono essere generalmente i predicati, esaminando però l’argomento più davvicino, troviamo che questa idea, nella sua qualità di concetto primitivo, ributta ed esclude copia di attributi, o derivati per altri già dati, o che vicendevolmente ricusano qualunque fra loro comunanza. E troviamo andarsi tale idea mano mano depurando, sino ad un concetto determinato in tutto e per tutto a priori, che diventa quindi concetto di un singolare oggetto; venendo il quale onninamente determinato, mediante la sola idea, è giusto che lo si dica un ideale della ragione pura.
Se ci facciamo a considerare tutti gli attributi possibili, non solamente in senso logico, ma sì anzi nel trascendentale, voglio dire, in quanto al contenuto (alla materia), che può essere in essoloro pensato a priori, ci avvediamo rappresentarsi
120
per alcuni dei medesimi un essere e per altri un semplice non essere. La negazione logica, siccome quella, che viene soltanto indicata colla particella negativa (non), non è mai, a dir vero, inerente al concetto, ma unicamente al di lui rapporto con un altro in qualche giudizio; essa è quindi ben lungi che bastasse dinotare un concetto, avuto risguardo al di lui contenuto. Allorché dico: non mortale, son ben lontano dal con ciò significare la semplice rappresentanza del non essere nell’oggetto; poiché anzi non alludo punto alla materia del medesimo. La negazione trascendentale, all’opposto, indica non essere per sé stesso quello, a cui si contrappone la trascendentale affermativa; la quale consiste in qualche cosa, il cui concetto esprime già in sé medesimo un essere. Il perché la si chiama realtà (Sachheit);
121
essendo per lei sola, e per quanto la si estende, che gli oggetti sono alcunché (cose); dove che la negazione, contraria non dinota, invece, fuorché un semplice difetto e che viene rappresentato il cessare o togliersi d’ogni cosa, tuttavolta che il pensiero non verte che sulla detta negazione.
Ora non è mai chi pensi determinatamente una negazione, a meno ch’egli abbia di ciò fondamento nell’affermativa opposta. Il cieco nato non può farsi la menoma rappresentazione delle tenebre, non egli avendone alcuna della luce; né sa il selvaggio rappresentarsi la povertà, come quello che non conosce l’opulenza(*). Non ha
(*) Ben sono parecchie le cose mirabili, che abbiamo dalle osservazioni e dai calcoli degli astronomi apparato. Ma la più senza forse importante si è, che ci hanno aperto
122
idea lo zotico della propria ignoranza, poiché non ne ha della scienza e così via discorrendo. Sono dunque derivati anche tutti i concetti delle negazioni; e le realità contengono i dati, e per così dire, il materiale, ovvero il contenuto trascendentale, della possibilità e determinazione universale di tutte le cose.
Ogni qualvolta, pertanto, alla determinazione universale, nella ragione dell’uomo, venga posto a fondamento un sottostrato trascendentale, che in sé quasi abbracci l’intiera suppellettile della materia, onde possono essere dedotti quanti sono i predicati possibili delle cose,
l’abisso dell’ignoranza e vasto, qual mai non se lo avrebbe rappresentato l’umana ragione, senza coteste cognizioni. Il riflettere alla qual cosa dee produrre i gran cambiamenti nella determinazione degli scopi finali dell’impiego di nostra ragione.
123
in tal caso, il detto sottostrato non è altro se non l’idea di un tutto della realtà (omnitudo realitatis). E non sono altro, per conseguente, le vere negazioni che limiti; né sarebbe lecito chiamarle con tal nome, se non servisse loro di base l’illimitato (il tutto).
Ma, con questo pieno possedimento della realtà, viene rappresentato in oltre, come determinato in tutto e per tutto, il concetto di una cosa per sé stessa; e quello di un ente superlativamente reale (entis realissimi) è concetto di un essere unico: essendoché, di quanti sono possibilmente al medesimo contrari attributi, uno se ne trova; quello, cioè, che appartiene onninamente all’essere. Gli è dunque un ideale trascendentale quello, che sottostà, in foggia di base, alla piena e perenne determinazione di tutto quanto esiste e costituisce
124
la suprema e perfetta condizione materiale di sua possibilità; la condizione, alla quale vuol essere di necessità ricondotto qualunque pensare generalmente agli oggetti, secondo il contenuto dei medesimi. È però questo anche l’unico ideale proprio, di cui sia suscettiva la ragione umana; poiché non è che in questo solo caso, quando venga in tutto e per tutto determinato un concetto intrinsecamente universale di cosa per sé stessa e riconosciuta qual rappresentazione di un individuo.
La determinazione logica di un concetto, mediante la ragione, poggia sopra un raziocinio disgiuntivo; dove la preposizione contiene uno scompartimento logico; voglio dire, la divisione della sfera di un concetto universale. Questa sfera poi viene circoscritta dall’assunzione (minore) ad una sola parte; e la conclusione
125
determina con queste il concetto. Ora non può essere diviso generalmente a priori il concetto universale di una realtà; imperocché senza sperienza non conosciamo alcuna delle determinate specie di realtà, le quali comprese fossero sotto quel genere. Non è dunque altro la preposizione (maggiore) trascendentale della determinazione universale di quante sono le cose, fuorché la rappresentazione del complesso di tutte le realtà. Né consiste già in un mero concetto, che tutti sotto di sé comprendesse i predicati, giusta il contenuto loro trascendentale; ma è un concetto che tutti gli abbraccia in sé medesimo. E la determinazione universale di ogni singola cosa è riposta nella circoscrizione di questo tutto della realtà; attribuendosi qualche di lei parte alla cosa, con esclusione però delle rimanenti. Il che s’accorda sì cogli
126
ossia della preposizione disgiuntiva, sì colla determinazione dell’oggetto nella minore, la mercé di una delle parti della divisione. L’impiego pertanto della ragione, quando ella fonda la determinazione di tutte le cose possibili sull’ideale trascendentale, è analogo a quello, col quale usa essa procedere ne’ raziocini disgiuntivi. Ed è questa la proposizione, sulla quale ho basato, più sopra, il riparto sistematico di tutte le idee trascendentali, e giusta il quale vengono esse generate corrispondenti e parallele ai tre generi di raziocini.
Si fa da sé stesso comprendere, qualmente la ragione, a questo suo proposito, quello, cioè, di semplicemente rappresentarsi la necessaria determinazione universale delle cose, non premette la esistenza di un essere cosiffatto che all’ideale corrisponda; ma ch’ella pone unicamente
127
l’idea del medesimo, per derivare da una totalità indefinita ed assoluta di universale determinazione la totalità limitata le condizionale, quella, cioè, del circoscritto. L’ideale pertanto è per la ragione la imagine originaria (il prototipo) di tutte le cose; che, in qualità di copie (ectypa), difettose tutte quante, attingono da quella il materiale di loro possibilità; e, tutto che se le avvicinino esse, qual più qual meno, sono però sempre infinitamente lontane dall’arrivarla.
Ora tutta pertanto la possibilità delle cose (della sintesi del moltiplice, in quanto al di lui contenuto) è risguardata come derivata; e considera, quale originaria, la possibilità solamente di quello, che tutte perocché non consistono che in circoscrizioni di una realtà maggiore,
128
sinché finalmente lo sono della massima, tutte le negazioni (nelle quali finalmente consistono i soli predicati, che servono ad ogni altro essere distinguere dal sovra tutti reale o perfettissimo); quindi è ch’esse presuppongono la realtà suprema e non vengono derivate che unicamente dalla medesima, rispetto al contenuto. Ogni delle cose varietà è per l’appunto un altrettanto moltiplice maniera di circoscrivere il concetto della massima delle realtà; poiché sottostrato loro comune tale concetto; come non sono possibili tutte le figure, tranne in qualità di altrettante maniere diverse, onde circoscrivere lo spazio infinito. Per lo che all’ideale della ragione, siccome ad oggetto che nella sola ragione s’incontra, diamo nome di essere primitivo (ens originarium), in quanto non ha esso alcun altro ente al di sopra di sé; lo diciamo
129
essere supremo (ens summum) e lo chiamiamo essere degli esseri (ens entium), avuto risguardo allo stargli tutto quanto esiste, in qualità di condizionale, subordinalo. Tutto questo però non significa relazione obbiettiva di un oggetto positivo e reale con altre cose, ma solo dinota l’idea, onde hanno d’uopo i concetti, e ne lascia nella più squisita ignoranza, per ciò che risguarda l’esistenza di un essere di così distinte prerogative(1).
(1) Quando la ragione cerca l’infinito, servendosi di raziocini disgiuntivi, finisco arrivando ad un insieme di tutte le possibilità, il quale costituisce l’ideale della pura intelligenza, come quello, al di là del quale non trova la ragione altra idea più elevata e sublime, cui analizzare o dividere. Giunta però a quest’ideale, Kant vede a ragione ubbidire ad una particolare tenenza e lasciarsi come guidar per mano un parimenti speciale interesse, che la
130
Così, poiché non può dirsi, un ente originario venir costituito da esseri derivati, essendo quello supposto e premesso da cadauno di questi, né potendo quindi alcuno di essi costituirlo, ne viene in olire che l’ideale dell’essere primigenio vuol essere pensato come semplice.
Quindi è che, volendo esprimerci con esattezza, la derivazione di
induca cercare un essere assolutamente necessario, dal quale dipenda l’esistenza di tutto quanto è variabile. Sforzata così la ragione a possibilmente realizzare il proprio ideale, non farebbe che seguire una come intrinseca propensione a raffigurarsi un oggetto corrispondente al medesimo ed a giovarsi degli attributi, quali fluiscono dall’idea di un insieme di realtà (sebbene di satura trascendentale questi attributi), onde sostenere l’esistenza obbiettiva d’un essere primitivo, assolutamente necessario e più reale di tutti gli altri.
131
tutte le altre possibilità, da questo essere originario, non potrà né tampoco risguardarsi per una limitazione di sua realità suprema o quasi come divisione della medesima. Perciocché l’ente primitivo sarebbe altrimenti considerato come una semplice aggregazione di esseri derivati: la qual cosa non è possibile in forza delle premesse, non ostante che incominciassimo dal rappresentarcelo, come tale, nel primo e rozzo abbozzo, che abbiamo di lui ombreggiato. Che anzi la massima delle realtà sarebbe piuttosto base assoluta che non complesso di fondamenti alla possibilità delle cose; e la varietà moltiplice di coteste non istarebbe già riposta nella circoscrizione dello stesso ente originario, ma nel pieno di lui conseguimento. E sarebbe quindi conseguenza del medesimo tutta la nostra sensibilità, unitamente a quante
132
sono le realtà nell’apparizione; la quale non può appartenere, in qualità d’ingrediente, all’idea dell’essere supremo.
Ché se, mentre ne facciamo una ipotesi, terremo dietro davvantaggio a questa mostrar idea, giungeremo a tal segno da potere, col solo concetto della realtà suprema, difinire l’essere primitivo, come unico, semplice, bastevole a tutto, eterno ecc. , lo definiremo, a dir breve, nella sua perfezione assoluta, con quanti vi si vogliono predicamenti. Il concetto di un essere cosiffatto è il concetto di Dio, pensato in senso trascendentale; e così l’ideale di ragione pura costituisce, come ho già più sopra indicato, l’oggetto di una teologia trascendentale.
Frattanto questo adoperamento dell’idea trascendentale oltrepasserebbe, ciò non di meno, i di lei destini ed ogni convenienza, non che
133
ragione, del medesimo. Conciossiaché non è che qual concetto di qualunque siasi realtà che ragione la sottopose a fondamento dell’assoluta determinazione delle cose in generale; senza ch’ella però si attentasse pretendere, comeché dovessero tutte coteste realtà essere date obbiettivamente e costituire persino alcuna cosa. Ma tal cosa non è che mera finzione, colla quale raccogliamo le moltiplici varietà della nostra idea e le realizziamo in un’ideale, come in un essere particolare. Al che non è però che ci autorizzi e né tampoco a direttamente ammettere la possibilità di una tale ipotesi né tutte quindi le conseguenze, che fluiscono da siffatto ideale; senza che per nulla risguardino alla determinazione universale delle cose in genere, in grazia della quale soltanto era necessaria l’idea, e senza che neppure le vi abbiano la minima influenza.
134
Ma non si fece abbastanza, la dialettica descrivendo ed il procedere di nostra ragione; perocché gli è in oltre mestieri, perché procuriamo di scovrire le di lei sorgenti, onde in grado porci di quindi spiegare, come un fenomeno dell’intendimento, questa stessa illusione: attesoché l’ideale, onde facciamo parole, ha fondamento, sopra una meramente arbitraria non già, ma sopra un’idea naturale. Ed è perciò che io dimando: in qual modo arrivi a tal punto la ragione, da cui risguardare la possibilità delle cose, quasi che derivata da una sola, che a tutte serva di base, voglio dire, dalla possibilità della realtà suprema; e cosa poi l’autorizzi a questa realtà presupporre contenuta in un ente originario particolare?
La risposta emana e si esibisce, come spontanea, dalle cose già trattate
135
nell’analitica trascendentale. La possibilità degli oggetti dei sensi consiste in una relazione dei medesimi oggetti col nostro pensare; nel quale può essere immaginata per anticipazione una qualche cosa (vale a dire, la forma empirica). È però necessario che dato sia ciò, che la materia costituisce, che sia, cioè, data la realtà nell’apparizione (che alla sensazione corrisponde); giacché, senza tal materia e realtà, non potrebbe neppur essere pensato l’oggetto, né quindi rappresentata la possibilità del medesimo. Ora non può un oggetto dei sensi essere, per ogni verso, determinato, se non in quanto esso è posto a confronto con tutti gli attributi dell’apparizioni e, mediante questi, rappresentato affermativamente o negativamente. Essendo però mestieri, perché dato sia ciò, che nell’oggetto costituisce proprio la cosa
136
(nell’apparizione), voglio dire, il reale, senza di che la non si potrebbe guari volgere nel pensiero; e siccome non è che nella tutto abbracciante sperienza, ove dato viene il reale di quante sono le apparizioni; così la materia, per la possibilità di tutti gli oggetti dei sensi, vuol essere presupposta come data in un complesso: e non è che nella di lui circoscrizione, ove possono aver fondamento sì ogni possibilità di oggetti, empirici, sì la reciproca loro differenza e sì la determinazione universale dei medesimi. Ma non potendo, nel fatto, esserci dati altri oggetti se non quellino dei sensi e non altrove che nel contesto di una sperienza possibile, ne viene di conseguenza, nulla essere oggetto per noi, se per esso non si premette, qual condizione di sua possibilità, un complesso di quante sono le realtà empiriche.
137
Ora gli è in forza di una quasi naturale illusione che noi reputiamo qual principio fondamentale, che aver debba valore per tutte le cose in generale, quello, che propriamente non vale se non rispetto alle cose, che vengono date in qualità di oggetti dei nostri sensi. Ommessa pertanto l’accennata limitazione, risguarderemo qual principio trascendentale della possibilità delle cose in generale il principio empirico de’ nostri concetti della possibilità delle cose, come apparizioni.
Che poi ne facciamo un ipostasi, di questa idea del complesso di tutte le realtà, ciò deriva dal trasformare dialetticamente, siccome abbiamo io uso, l’unità distributiva dell’impiego sperimentale dell’intelletto nella unità collettiva di un tutto della sperienza; raffigurandone in questo tutto dell’apparizione una cosa unica e singolare, che in
138
sé tutta contenga la realtà empirica. La qual cosa poi, mediante l’accennata illusione surrettizia trascendentale, viene scambiata nel concetto di ciò, che trovasi all’apice della possibilità di quante sono le cose, e fornisce le condizioni reali alla possibilità universale delle medesime(*).
(*) Quantunque non consista che in una semplice rappresentazione questo ideale di un ente sovra tutti realissimo, esso viene tuttavia reso da prima reale, cioè oggetto, poscia ipostasi e sì anche personificato finalmente, mediante un passo progressivo naturale della ragione al perfezionamento dell’unità; come sarà quanto prima dimostrato. Imperocché l’unità regolatrice della sperienza non è già riposta nelle stesse apparizioni (della sola sensibilità), ma sì anzi nel congiungimento di sue moltiplici varietà, mediante l’intelletto (in un’appercezione); il perché l’unità della realtà suprema e la determinabilità universale
139
(possibilità) di tutte le cose hanno l’aria di esseri inerenti ad un qualche intendimento supremo e, per conseguente, alla stessa natura di un’intelligenza.