I. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di composizione delle apparizioni di un tutto cosmico
II. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità della divisione di un dato tutto nell'intuizione
Scolio finale alla soluzione delle idee matematico-trascendentali, e premonizione alla soluzione delle idee dinamico-trascendentali
III. Soluzione delle idee cosmologiche della totalità di derivazione degli avvenimenti del mondo dalle cause dei medesimi
Possibilità dell'efficienza, mediante libertà, in combinazione colle leggi universali della necessità della natura
Dichiarazione dell'idea cosmologica di una libertà in combinazione colla necessità universale della natura
IV. Soluzione dell'idea cosmologica della totalità di dipendenza delle apparizioni, secondo la loro esistenza, in genere
Scolio finale a tutta l'antinomia della ragione pura
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Non ostante la sì urgente necessità, in che si trova la ragione, di alcunché presupporre, onde pieno abbia l’intelletto fondamento alla ugualmente piena ed universale determinazione de’ suoi concetti, non ristà però essa dal travedere leggiermente quanto ha di meramente fittizio ed ideale una tale premessa. Né la si lascierebbe adescare per essolei a così di botto risguardare,
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qual essere positivo, un mero prodotto spontaneo del proprio pensiero se qualche altra cosa fosse, che la spinge alle tracce di un asilo di riposo per sé stessa nel regresso dal condizionale, di un già dato, all’assoluto, che, nel vero, non è dato come positivo in sé stesso e giusta il suo mero concetto; ma che solo è capace di compiere la serie delle condizioni ricondotte ai loro fondamenti o motivi. Ed è questo l’andamento, cui prende naturalmente ogni umana ragione, anche fra le più volgari, quantunque non tutte atte ad ugualmente sostenerlo. Non è già dai concetti che incominci la ragione, bensì dalla sperienza usuale, ponendo quindi a fondamento alcunché di esistente. Se non che piega e s’inabissa il terreno di siffatte fondamenta, ove non poggi esso medesimo sullo scoglio irremovibile dello
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assolutamente necessario. Che anzi tentenna e penzola essa pure questa rupe, sempreché appoggio non abbia e non sia che spazio vuoto al di sotto e d’intorno di lei e ch’ella medesima non lo riempia in maniera da non più lasciare il minimo posto ad alcun perché, se non è, cioè, nella sua realtà infinito l’assolutamente necessario.
Posto ed accordato, esistere una qualche cosa, qualunque poi siasi, non si può a meno di eziandio accordare, qualche cosa esistere necessariamente. Inperocché il fortuito esiste unicamente sotto la condizione di un altro, qual cagione del medesimo; ed ha quindi successivamente valore la stessa conclusione, sino a che giungi ad una causa, che fortuita non sia, abbia luogo senza condizioni e necessariamente. Ed è questo l’argomento, sul quale fonda ragione
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i suoi passi progressivi all’ente originario.
Eccoti pertanto la ragione alle tracce del concetto di un essere, al quale addicasi un privilegio di tanta importanza, nell’esistenza, quanta ne ha quello dell’assoluta necessità. E non è soltanto scopo a tale ricerca il poter poscia dal concetto di un tal essere inferire del medesimo l’esistenza (ché, se di ciò si ripromettesse la ragione, le basterebbe investigare generalmente, soltanto frammezzo a semplici concetti, e non le sarebbe guari bisogno di sottoporre a fondamento una data esistenza): ma trattasi di, fra quanti mai sono i concetti delle cose possibili, trovare quello, che nulla in sé contenga di ripugnante all’assoluta necessità. Che debba in fatti esistere ad ogni modo alcunché di assolutamente necessario, la ragione sel tiene per già bello
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è deciso dalle prime conclusioni. Se dunque le riesce di via rimuovere tutto quanto non è conciliabile con siffatta necessità, eccetto alcunché di unico, in tal caso, questo unico è l’essere assolutamente necessario, sia poi che se ne concepisca o no la necessità, voglio dire, che si possa o non possa derivarla dal solo suo concetto.
Ora ei pare, qualmente ciò, nel cui concetto cape ogni causa e d’ogni perché la ragione, dove non è difetto in veruna parte, né sotto alcun rapporto, e che giunge, qual condizione, da per tutto, sia per ciò appunto l’essere, cui si addice l’assoluta necessità. Imperocché non è d’uopo a lui stesso la menoma condizione pell’intimo e proprio possedimento di quante si vogliono condizioni a tutte cose possibili, anzi non sarebb’esso neppure atto a siffatta condizione. Per conseguenza,
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un tal essere soddisfa, per una parte certamente, all’assoluta necessità, nè avvi alcun altro concetto, che valesse in ciò pareggiarlo; essendo che, manco e bisognevole di compimento, non può alcun altro esibire, poiché in lui non cape, un tal criterio d’indipendenza da tutte ulteriori condizioni. Vero bensì, non conseguire, né potersi con sicurezza dedurre, da tutto questo, qualmente ciò, che in sé non cape la suprema e sott’ogni rapporto perfetta ed assoluta condizione, debba per ciò appunto andar soggetto egli stesso a condizioni (essere condizionale), risguardo all’esistenza. Ma non gli è, ciò non di meno, inerente l’unico dell’assoluta esistenza indizio, di cui è capace la ragione, onde per assoluto riconoscere un essere, mediante un concetto a priori.
Fra tutti adunque i concetti delle
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cose possibili, quello, che meglio di tutti si addirebbe al concetto di un essere assolutamente necessario, sarebbe il concetto di un essere della massima realtà. E, dato che neppur questo soddisfi pienamente a quel primo concetto, non ci rimane più scelta, ma ci troviamo costretti attenerci al medesimo; a meno che osassimo dar prezzo al vento l’esistenza di un essere necessario. Questa però ammettendo, certo non troveremo, in quanto è vasto il terreno delle possibilità, che potesse avere più fondato diritto ad un tanto privilegio nell’esistenza.
Ecco, pertanto, com’è costituito e procede l’andamento dell’umana ragione. Prima di tutto, ella si convince dell’esistenza di alcun essere necessario; nel quale riconosce poscia una esistenza libera e sciolta da condizioni (assoluta). Dopo ciò essa cerca il concetto dell’indipendente
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da qualsivoglia condizione e lo trova in quanto costituisce la condizione di tutte le altre, vale a dire, in ciò, che in sé contiene ogni realtà. Ma il tutto, senza limiti, consiste in assoluta unità e gli sta già inerente il concetto di certo qual uno, voglio dire, dell’ente supremo; e così la ragione conchiude, che, in qualità di causa prima, l’essere supremo esiste per assoluta necessità.
A questo concetto non può ricusarsi un certo fondamento di verità, sinché non si tratta che del decidersi a qualche pensamento, essendo, cioè, posta una volta e concessa l’esistenza di un essere necessario qualunque ed avendo convenuto, che vuolsi prendere un partito sul dove un tal ente riporre. Perocché, in tal caso, non può sciegliersi niente meglio o non si ha, per dir vero, scelta veruna; ma
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si è costretti annuire col proprio voto per l’assoluta unità della realtà perfetta, come sorgente primitiva di ogni possibilità. Ma se nulla ci spingesse a dichiararci e fossimo anzi disposti soprassedere sul merito dell’argomento, sinché venissimo necessitati all’assenso dal valore di prove decisive, con che intendo a dire, se non si tratta che di semplicemente giudicare di quanto sappiamo intorno alla quistione in discorso o di quanto ci gloriamo saperne, in tal caso, la proposizione di poc’anzi è ben lungi dal presentarsi con aspetto sì vantaggioso ed ha mestieri di essere favoreggiata, onde compensare col favore i difetti di sue legittime ragioni.
Stiamoci, di fatto, contenti a tal qual è quanto le dianzi premesse ci posero sott’occhio: ammettiamo, cioè, primieramente, aver luogo ed
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essere giusta la conclusione all’esistenza di un essere assolutamente necessario da una qualch’esistenza data (anche dalla mia propria, quandomai); in secondo luogo, doversi per noi risguardare come assoluto ad ogni modo un ente, quando esso tutte comprende le realtà, non che tutte eziandio, per conseguenza, le condizioni; e che siasi dunque trovato, con questo, il concetto della cosa, quale si confà coll’assoluta necessità. Con tutto ciò, non può già quindi argomentarsi e conchiudere, come che il concetto di un essere circoscritto, al quale non compete la massima delle realtà, sia per ciò in contraddizione coll’assoluta necessità. Conciò sia che, sebbene io non riscontri nel di lui concetto l’assoluto, che ha già per sé stesso inerente la totalità delle condizioni, tuttavia non è da quinci per verun conto arguirsi, comeché
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ché debba la di lui esistenza essere ciò appunto condizionata: nello stesso modo, per cui non posso in un raziocinio ipotetico asserire, qualmente non abbia luogo neppure il condizionale, dove non si trova una certa condizione (costì sarebbe quella della perfezione, secondo i concetti). Che anzi ci sarà piuttosto libero di lasciare ugualmente valere, come assolutamente necessari, tutti gli altri esseri limitati, non ostante che nulla ci autorizzi alla necessità loro inferire dal concetto universale, cui possediamo dei medesimi. In tal guisa però non ci avrebbe questo argomento procacciato il minimo dei concetti delle proprietà di un essere necessario, né ci sarebbe stato, in pieno, di giovamento per alcun verso.
Con tutto ciò, rimane pure sempre al detto argomento una certa importanza ed autorità, che
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non può essergli ancora tolta di slancio, a malgrado di questa insufficienza obbiettiva. Date in fatti, esservi obbligazioni, affatto giuste nell’idea della ragione, ma che fossero senza ogni realtà nell’applicazione a noi medesimi; vale a dire, senza stimoli e molle, a meno di presupporre un ente supremo, che potesse imprimere energia alle leggi morali e renderle efficaci. In tal caso, stringerebbe noi pure l’obbligo di piegare a concetti, che, sebbene obbiettivamente, per avventura, insufficienti, contrappesassero tuttavia la pochezza di nostra ragione; quando massime nulla conoscessimo né di meglio, né di più convincente, al paragone. Il dovere di scegliere sarebbe quivi una come spinta morale, che farebbe sbalzare dall’equilibrio la contrapposta irresolatezza della speculativa. Che anzi non troverebbe la stessa ragione
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che la giustificasse appo sé medesima, comeché giudice indulgentissimo, se, trattandosi di così urgenti cause motrici, non ostante che manchevoli, rispetto alle viste, essa non fosse tuttavia secondata negli accennati motivi del suo giudizio, non avendosi altronde nulla di meglio da contrapporre ai medesimi.
Quantunque trascendentale, per verità, quest’argomento, come quello che poggia sulla intrinseca insufficienza dell’accidentale, esso è tuttavia così semplice e consentaneo alla natura, come lo si trova corrispondere al senso comune degli uomini più volgari, tosto che vengano questi scorti a prenderne contezza. Si veggono cambiarsi, nascere e perire le cose dunque le debbono avere una causa, o deve averla, per lo meno, lo stato delle medesime. La qual riflessione può replicarsi, in via di domanda, rispetto
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a tutte le cause, a quelle però, che possono essere mai date nella sperienza. Ora, dove mai sarebbe da noi collocata più opportunamente la suprema causalità, se non dove già si trova la massima dell’efficienze; vale a dire, in quell’essere, che già originariamente contiene in sé stesso la sufficienza per ogni effetto possibile ed il concetto del quale sì di leggieri consegue anche all’unico abbozzo di una perfezione, che abbraccia tutto quanto. E così reputiamo assolutamente necessaria questa somma fra le cause; perciocché troviamo assolutamente necessario a noi stessi di sino a lei sollevarci e non abbiamo alcun fondamento, per cui più lungi trasportarci al di là della medesima. Quindi è che anche presso tutte le nazioni avviluppate nel più cieco politeismo, tralucono pur sempre alcune scintille di monoteismo,
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o che vien fatto finalmente astrazione da qualunque sperienza e da meri concetti si conchiude, affatto a priori, l’esistenza della unicamente potissima fra le cause. Il primo argomento è fisico-teologico, è cosmologico il secondo ed ontologico il terzo. Più di questi argomenti non se ne danno, e non ve ne possono essere davvantaggio.
Mi farò a provare; ugualmente poco essere sì ciò, che alla ragione riesce di ottenere sopra una strada (l’empirica), sì ciò, cui essa conseguisce nell’altra (la trascendentale), e com’ella stende indarno i suoi vanni, onde via trasmigrare dal mondo sensibile colla sola forza della contemplazione. Per ciò poi che risguarda l’ordine; col quale debbono essere presentati all’esame cotesti argomenti, atterrommi appuntino all’opposto di quello, cui segue la ragione, quando essa va mano
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o che vien fatto finalmente astrazione da qualunque sperienza e da meri concetti si conchiude, affatto a priori, l’esistenza della unicamente potissima fra le cause. Il primo argomento è fisico-teologico, è cosmologico il secondo ed ontologico il terzo. Più di questi argomenti non se ne danno, e non ve ne possono essere davvantaggio.
Mi farò a provare; ugualmente poco essere sì ciò, che alla ragione riesce di ottenere sopra una strada (l’empirica), sì ciò, cui essa conseguisce nell’altra (la trascendentale), e com’ella stende indarno i suoi vanni, onde via trasmigrare dal mondo sensibile colla sola forza della contemplazione. Per ciò poi che risguarda l’ordine; col quale debbono essere presentati all’esame cotesti argomenti, atterrommi appuntino all’opposto di quello, cui segue la ragione, quando essa va mano
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mano allargandosi, e nel quale ho esposti già da principio i detti argomenti. Imperocché sarà dimostrato, che, sebbene desse a ciò primieramente ansa la sperienza, non è tuttavia che il solo concetto trascendentale quello, che serve alla ragione di guida in questi suoi conati e che fissa il punto per la meta, ove tutti mirano i suoi tentativi. Prenderò pertanto le mosse dall’esame dell’argomento trascendentale; indi vedrò quanta possa energia recare al valore delle sue prove il sussidio successivo dell’argomento empirico.