II
DOTTRINA TRASCENDENTALE DEL METODO
Del non essere possibile tranquillare la ragione pura in contraddizione con sé stessa
Del capo primo
Sezione III – Della disciplina della ragione pura, rispetto alle ipotesi
Sezione IV – Della disciplina della ragione pura risguardo ai di lei ragionamenti
Capo II – Canone della ragione pura
Sezione I – Dell’ultimo scopo dell’uso puro dell’umana ragione
Sezione II – Dell’ideale del sommo bene, come causa determinante lo scopo ultimo della ragione pura
Capo III – Architettonica della ragione pura
Capo IV – Storia della ragione pura
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Ho posto questo capo e titolo semplicemente per indicare un posto, che rimane ancora vuoto nel sistema e sarà da riempirsi col tempo. Il perché da un punto di vista puramente trascendentale, qual
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si è la natura della ragione pura, mi limito a percorrere di uno sguardo fuggitivo(1) l’insieme dei la vori, che si fecero sino ad ora sulla medesima, i quali per verità offrono bensì edifizi a’ miei occhi, ma già tutti rovinati o minaccianti rovina.
(1) Questo cenno, però indica il modo più istruttivo e convenevole, con che scrivere la storia della filosofia, mentre serve particolarmente alla critica dell’antica filosofia contemplatrice, rapporto alle di lei basi ed al suo vero spirito e significato, e potrebbe dirsi, essere noi debitori a Kant della possibilità di eseguire siffatto lavoro. Ben avevamo, di fatto, i mezzi, pei quali determinare i caratteri dei sistemi filosofici dell’antichità, non però quelli, pei quali perfettamente comprenderli e renderli comprensibili altrui, finché ci era impossibile dichiarare la cagione dell’origine loro dalle disposizioni della ragione pura. La filosofia trascendentale ne ha indicato il solo punto fisso possibile d’ogni vera filosofia, quello
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Egli è ben degno di maraviglia, quantunque non potesse naturalmente
dal quale si possono rilevare tutte le aberrazioni, ond’è suscettiva la ragione contemplativa, e riconoscere nella stessa di lei natura le cause di quante, nelle quali essa fu trascinata. Kant stabilisce tre punti, ai quali ridurre tale storia, l’oggetto, cioè, delle cognizioni razionali, l’origine loro ed il metodo filosofico. Sotto il primo rapporto si distinguono gli antichi filosofi in sensualisti, i quali non ammettevano che la realtà del sapere acquistato di sensi, e negl’intellettualisti, che lo dichiaravano invece illusorio e non riconoscevano vere se non le idee razionali, ammettendo un’intuizione del puro intelletto, resa confusa dai sensi e non esprimente quindi la realtà che indipendentemente da esse. Vengono sotto il secondo rapporto gli empiristi, che tutto dalla sperienza derivarono (Aristotile fra gli antichi, Locke fra i moderni), ed i noologisti, che tutto attingevano dalla ragione (Platone e Leibnizio); senza che per la soddisfacessero e resistessero alla critica né gli uni né gli altri. Rispetto al metodo, il cosìdetto
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accadere altrimenti, che nella fanciullezza della filosofia gli uomini prendessero le mosse dal punto, nel quale ameressimo attualmente assai meglio di poter terminare; voglio dire, ch’ei coltivassero prima di tutto, negli studi loro, la cognizione di Dio e la speranza, ove non anzi le qualità e prerogative, di un altro mondo. Per quanto potessero essere grossolane le nozioni sulla religione, state introdotte quandomai dalle costumanze antiche, le quali saranno rimaste alla tuttavia rozza condizione dei popoli,
naturalistico sarebbe quello, che ricusa ogni mezzo artificiale, per cui accrescere le cognizioni, e lo scientifico si dividerebbe in iscettico e dogmatico, aventi per modello Aristotile e Volfio il primo, Sesto Empirico ed Hume il secondo. Ma niuno di essi avrebbe ottenuto il suo scopo, e sarebbe questo riserbato al solo metodo critico.
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ciò però non valse impedire perché il ceto illuminato si dedicasse a libere investigazioni su questo argomento. Né si durò fatica a rilevare, alcun’altra non esservi né fondata né più sicura maniera, per cui piacere alla potestà invisibile, che regge l’universo, affine di per lo meno trovarsi più felici un giorno, in un altro mondo, che il condursi probamente in questa vita. Per la qual cosa la teologia e la morale furono le due molle o, dirò meglio, i due centri, ai quali tutte si riferivano e facevan capo le indagini, comunque astratte o parziali, della ragione; ond’è che gli uomini di tutte le età sono sempre stati ligi alle due scienze or ora mentovate. Quella però, che trasse poco a poco a sé le fatiche della ragione meramente speculativa, è stata propriamente la prima, la quale divenne sì celebre in seguito, sotto nome di metafisica.
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Per ora non voglio distinguere i tempi, quando ebbero luogo i diversi cambiamenti nella metafisica; ma non farò che abbozzare in iscorcio le differenze accadute nell’idea, come quelle, che diedero motivo alle principali fra le accennate rivoluzioni. E qui trovo un triplice rapporto, al quale si riferiscono le più celebri mutazioni, occorse in questa scena di combattimenti.
1) Risguardo all’oggetto di tutte le nostre cognizioni razionali, alcuni filosofi furono meramente sensuali, altri meramente intellettuali. Epicuro può avere il principato nella sensualità, come siede sovrano Platone nella setta intellettuale. La qual distinzione scolastica, per quanto sembri anche fina, ebbe tuttavia principio da tempi remotissimi e si è poi lungamente conservata e senza interruzione. Quelli della prima setta sostenevano, comeché
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la verità (effettività) non esistesse che negli oggetti subordinati ai sensi e che tutto il rimanente fosse mera immaginazione. Quelli della seconda pretendevano, all’opposto, non esservi che apparenza nei sensi ed il solo intelletto conoscere la verità. Con tutto ciò, peraltro, i primi non affatto contrastavano qualunque realtà alle nozioni dell’intendimento; ma questa realtà non era per essoloro che logica, mentre gl’intellettisti la reputavano mistica. Queglino accordavano i concetti intellettuali, ammettendo però solamente gli oggetti sensibili: questi pretendevano, i soli oggetti veri essere intelligibili, avvisando, comeché si desse un’intuizione di puro intendimento, secondo essi alquanto confusa; però senza la minima scorta dei sensi.
2 ) Rispetto all’origine delle cognizioni della ragione pura, in
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quanto esse derivassero dalla sperienza, oppure avessero indipendente da questa la sorgente loro nella stessa ragione, Aristotele può essere considerato come il caposcuola degli empiristi, e Platone dei noologisti. In tempi a noi più vicini, Locke fu seguace dei primi e Leibnizio degli ultimi (però mantenendosi questi ad assai lunga distanza dal mistico sistema di quelli); quantunque non giungessero a tuttavia decidere la controversia. Dal canto suo, Epicuro fu assai più conseguente, se non altro, al prediletto sistema sensuale (giacché non si attentò mai di portare le sue conclusioni al di là delle barriere della sperienza) che non lo fossero né Aristotele, né Locke (e specialmente quest’ultimo). Imperocché Locke, dopo avere derivati, senza eccezione, i concetti e le massime fondamentali dalla sperienza,
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ne allarga siffattamente l’impiego, da sostenere persino, potersi dimostrare, colla stessa evidenza di qualsivoglia proposizione matematica, l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima (quantunque oggetti affatto stranieri, sì l’una che l’altro, alla sperienza e posti oltre quanti sono i di lei confini possibili).
3) Rapporto al metodo, se dobbiamo dar nome di metodo a qualche cosa, lo dobbiamo certamente ad un procedere, che sia conseguente alle massime fondamentali. Ora i metodi, che signoreggiano in questo ramo d’investigazioni, si possono dividere nel metodo naturalistico (dei filosofi della natura) e nello scientifico. Il naturalista della ragione pura adotta per massima che rispetto alle quistioni le più elevate, le quali costituiscono il gran problema della metafisica, possa colla ragione del volgo e priva
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di scienza (scambiando egli questo nome con quello di sana ragione) ottenersi davvantaggio che non mediante la ragione contemplatrice. Esso dunque pretende, potersi meglio e con più di sicurezza determinare, colla semplice scorta e misura dell’occhio, la grandezza e distanza della luna che non con quanti ha calcoli e rigiri la matematica. Questo metodo consiste in una misologia ridotta a massime; dove (ciò che costituisce il massimo degli assurdi) si onora del nome di metodo, atto ad estendere le proprie cognizioni, una totale abdicazione a quanti sono i sussidi dell’arte. Quindi è che non vi sarebbe ragione alcuna, per cui far carico ai naturalisti, rispetto alla mancanza, in ch’ei si trovano di maggiore perspicacia e di migliori cognizioni. Essi tengono dietro alla ragione ordinaria, senza vantarsi dell’ignoranza loro, come
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di una via metodica, nella quale si dovesse trovare il secreto, per cui la verità cavare dalla profondità stessa del pozzo di Democrito.
Quod sapio satis est mihi: non ego curo
Esse quod Arcesilas, aerumnosique Solones(1).
Questo è il loro simbolo; e ben possono eglino vivere ad esso contenti e i degni estimarsi d’approvazione, senza né darsi briga della scienza, né recar confusione alle di lei bisogne.
Perciò poi che risguarda i seguaci di un metodo scientifico, è loro costì libera la scelta di essere dogmatici o scettici; rimanendo però ad essi anche l’obbligo di sistematicamente,
(1) Pers. Satir. III.
Ne so d’avanzo e più mi fan paura
Arcesila e Solon, co’ suoi malanni,
Che uguagliarne il saper mi prenda cura.
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in ogni caso, procedere. Nominando quivi rispetto ai primi l’illustre Volfio, e Davide Hume fra i secondi, credo consentaneo al mio scopo attuale il dispensarmi dal far cenno degli altri. La sola via, che rimane tuttora aperta, è quella della critica. Il leggitore, che fu non meno cortese che paziente nel meco percorrerla, potrà ora decidere se, quando gli prendesse vaghezza di contribuirvi del suo, affine di ridurre questo sentiero a strada maestra, non fosse per conseguirsi, anche prima che decorra l’attuale, quanto non furono al caso di ottenere le cure di tanti secoli: di, cioè, pienamente appagare l’umana ragione, in ciò che fu sempre scopo ed occupazione, sinora però inutilmente, alla di lei bramosia di sapere.
Fine della Critica della Ragione Pura.