II
DOTTRINA TRASCENDENTALE DEL METODO
Del non essere possibile tranquillare la ragione pura in contraddizione con sé stessa
Del capo primo
Sezione III – Della disciplina della ragione pura, rispetto alle ipotesi
Sezione IV – Della disciplina della ragione pura risguardo ai di lei ragionamenti
Capo II – Canone della ragione pura
Sezione I – Dell’ultimo scopo dell’uso puro dell’umana ragione
Sezione II – Dell’ideale del sommo bene, come causa determinante lo scopo ultimo della ragione pura
Capo III – Architettonica della ragione pura
Capo IV – Storia della ragione pura
159
Sotto nome di architettonica intendo l’arte dei sistemi. Siccome l’unità sistematica è quella, che rende finalmente scientifiche (od in forma di scienza) le cognizioni ordinarie, col ridurre, cioè, ad un sistema la mera (e confusa) riunione delle medesime, così l’architettonica è la dottrina, che riduce a scienza quanto vi è di così generalmente riducibile nel nostro sapere. Essa dunque appartiene di necessità alla dottrina del metodo.
Non è assolutamente lecito, sotto il governo della ragione, che le
160
nostre cognizioni sieno comunque affastellate (rhapsodiae); ma esse debbono costituire un sistema, come la sola forma, nella quale raffermare i loro scopi essenziali o favoreggiarne il conseguimento. Ma per sistema intendo l’unità di moltiplici e varie cognizioni sotto un’idea; la quale consiste nel concetto razionale della forma di un tutto, in quanto vengono per di lui mezzo determinate, a priori, tanto il complesso delle varietà, quanto il posto vicendevole delle parti fra loro. Il concetto razionale scientifico per tanto contiene lo scopo e la forma di un tutto, ad essolui corrispondente. Dalla unità dello scopo, al quale si riferiscono tutte le parti, ed anche reciprocamente fra di loro, nell’idea del medesimo, ne viene che può essere trascurata ciascheduna delle parti, nella cognizione delle rimanenti, e che non vi ha
161
mai luogo né alcun’addizione accidentale, né alcuna grandezza (quantità) indeterminata di perfezione, che non avesse i suoi limiti stabiliti a priori. Il tutto non è dunque accumulato (coacervatum), bensì articolato (cernitur in articulatione); può crescere benissimo internamente (per intus susceptionem), non però esternamente (per appositionem); niente meno che il corpo animale, ad aumentare il quale non vi si aggiunge verun membro, ma vi si rendono tutti, uno per uno, più robusti ed attivi, a norma de’ loro destini e senza cambiamento nelle proporzioni.
L’idea, nell’eseguimento, richiede il soccorso di uno schema, voglio dire, di una dal principio dello scopo a priori determinata varietà e regolarità essenziale delle parti. Quando lo schema non è disegnato a norma di un’idea, cioè a dire,
162
dietro il fine principale della ragione, ma empiricamente, a norma degli scopi, che si presentano a caso (la copia dei quali non può in prevenzione conoscersi), l’unità, che ne deriva, è tecnica. È per lo contrario architettonica l’unità, la quale viene fondata e stabilita dallo schema, che nasce unicamente in conseguenza di un’idea (dove la ragione propone a priori gli scopi, anzi che starsi aspettandoli dalla sperienza). Ciò, cui diamo nome di scienza, non può emergere tecnicamente, in grazia o della somiglianza delle varietà o dell’uso accidentale delle singole cognizioni (in concreto), per ogni maniera di fini estrinseci ed arbitrari: ma nasce architettonicamente, mercé l’affinità e la derivazione da uno scopo unico, intrinseco e supremo; il solo che rende finalmente possibile un tutto. Con ciò sia che lo schema
163
di una scienza dee contenere coerentemente coll’idea, vale a dire a priori, l’abbozzo (il monogramma) e lo scompartimento del tutto in membra o parti, e dee da tutti gli altri distinguerlo con sicurezza ed in forza di principi.
Non è chi a stabilire intraprenda una scienza qualunque, senza avervi a fondamento un’idea. Ma, nello elaborare quella tale scienza, è ben raro che sia corrispondente alla propria idea lo schema; anzi neppure vi corrisponde ordinariamente la stessa definizione, che se ne dà sin dapprincipio. Imperocché l’idea giace in grembo alla ragione, a guisa di un germe, ove sono ancora molto inviluppate le parti e nascoste in modo che a mala pena ve le riconosce l’osservazione microscopica. Per la qual cosa, venendo le scienze tuttavia immaginate, senza fors[e] eccezione, dal
164
punto di vista di un certo interesse universale, non le si deggiono dichiarare, né definire, secondo la descrizione, che ne dà il rispettivo autore, ma secondo ľidea, dell’unità naturale delle parti, raccolte e riunite per esso lui; idea che trovasi fondata nella natura medesima. Il che facendo, verremo a rilevare, come l’autore non solo, ma sovente anche i più tardi suoi seguaci s’aggirano come vagabondi all’intorno di un’idea; cui non sanno essi rischiarare a sé medesimi, né sono perciò al caso di stabilire la materia propria, l’articolazione (l’unità sistematica) ed i confini della scienza.
Il male sta che, solo dopo avere lungamente raccolte, anzi affastellate (rhapsodice), qual materiale per l’edifizio, parecchie nozioni, quali ce le indicava un’idea, giacente nascosta in esso noi (avendo
165
esse nozioni rapporto colla medesima) e dopo anche averle per lungo tempo connesse insieme fra loro tecnicamente, allora solo finalmente ci riesce di ravvisare in più chiaro giorno l’idea, e di soltanto allora disegnare un tutto architettonicamente, a norma degli scopi della ragione. Il perché pare che i sistemi sieno stati prodotti dalla mera confluenza di accumulati concetti, quasi per via di generazione equivoca, alla maniera dei vermi, onde, pressoché mutilati sulle prime, vengono poi col tempo compiuti. Essi avevano tutti quanti, ciò non di meno, come germe originario, il loro schema nella ragione, che da sola e spontaneamente li andò sviluppando. Ed è perciò che si trova non solo ciascheduno di per sé articolato a norma di un’idea, ma sono anche tutti fra loro congiunti a vicenda in un sistema
166
di umane cognizioni; come di un insieme, di cui essi fossero altrettante membra. Pare quindi permettersi dai detti sistemi un’architettonica di tutto quanto l’umano sapere; la quale, anzi che soltanto possibile al dì d’oggi, dopo tanta suppellettile già raccolta e la tanta, che può raccogliersi dalle rovine di per lunga età caduti edifizi, non dovrebb’essere nemmeno di malagevole troppo eseguimento. Io mi limiterò frattanto a compiere il mio lavoro; abbozzando, cioè, unicamente l’architettonica delle cognizioni appartegnenti alla ragione pura: e prendo pertanto le mosse dal punto, in cui si parte la radice comune della nostra facoltà del sapere, mettendo i due tronchi, uno dei quali è la ragione medesima. Costì però, sotto nome di ragione, tutta intendo la facoltà superiore del sapere; ond’è che il razionale contrappongo all’empirico.
167
Se fai astrazione da qualsivoglia contenuto (materia) del sapere, obbiettivamente considerato, ne’ suoi rapporti subbiettivi ogni conoscenza è storica o razionale. Cognizione per via di dati (cognitio ex datis) è la storica; per via di principi (cognitio ex principiis) la razionale. Da qualunque parte si voglia pur data in origine una cognizione, essa è però sempre istorica in quello, che la possiede, solché gli sia noto (sappia) in qual grado ed in quanto la cognizione a lui proviene d’altronde; sia poi che tale provenimento lo abbia egli (come dato) mediante la sperienza direttamente, o per via di racconti, od anche in grazia dell’istruzione (delle cognizioni universali)(1).
(1) La cognizione è storica (ex datis): quando acquistata per esterna comunicazione;
168
Per la qual cosa, chi ha particolarmente studiato un sistema di filosofia, come sarebbe quello di Wolfio, avesse pur egli fitte nel capo e fosse al caso di tutte, come suol dirsi, contare sulle dita le massime, le spiegazioni e le prove, insieme colla partizione di tutto quell’edifizio scientifico, altro non ha esso, con tutto ciò, tranne una piena cognizione istorica della filosofia volfiana; e non sa, né giudica niente più di quanto precisamente gli fu comunicato. Se una definizione gli contrastate, non saprà dove andarne ad accattare un’altra. Egli si è formato a norma di una ragione straniera; ma non è la stessa
benché il contenuto esista possibilmente nella ragione del soggetto, che l’acquista; ed è razionale (ex principiis), allorché la ragione la cava dalle sue proprie sorgenti generali (principi).
169
che la facoltà generante la formata sull’altrui conio; voglio dire, nato von essere dalla ragione il sapere in quel tale; e che, sebbene obbiettivamente razionale, non v’ha dubbio, la cognizione; onde si tratta, subbiettivamente però essa è meramente istorica. Egli ha bene compreso e bene ritenuto, ha, cioè, imparato e rappresenta, vivente bensì, ma quasicome in gesso, la figura (copia) di un altro. Le cognizioni razionali, che sono tali obbiettivamente (il primo nascere delle quali, cioè solo è possibile dalla ragione propria dell’uomo), non meritano il detto nome anche subbiettivamente, se non allora quando attinte furono dalle fonti universali della ragione; da quelle fonti, onde può scaturire la critica eziandio, anzi lo stesso ripudio, del già imparato e, per queste, fonti intendo principi.
Ora tutte le cognizioni razionali
170
o lo sono per via di concetti, o mediante costruzione di concetti: le prime si dicono filosofiche, matematiche le seconde. Ho già ragionato, nel primo capo, sì del perché una cognizione può essere obbiettivamente filosofica, senza che cessi perciò di appartenere alle storiche subbiettivamente: siccome accade sì nel maggior numero degli allievi che presso tutti quanti non sortono mai da ciò, cui appararono alla scuola, ed allievi rimangono vita durante. È però sorprendente come le cognizioni matematiche possano, appena se le hanno apparate, aver valore di cognizione razionale anche subbiettivamente, né trovi quindi ugualmente luogo in esse, che nelle filosofiche, la indicata differenza. Della qual cosa è motivo, che le fonti del sapere, alle quali sole può attingere il precettore,
171
altrove non si trovano che ne’ principi essenziali e genuini della ragione; ond’è che non può l’allievo né accattarle altronde, né ad altri quandomai disputarle. Il che poi da ciò dipende che ha costì luogo solamente in concreto, quantunque nondimeno a priori, l’impiego della ragione; voglio dire, che, siccome questa si esercita nella visione pura e, perciò appunto, scevra di errori, così esclude ogni e qualunque maniera d’inganni o d’illusione. Fra tutte adunque le scienze razionali (a priori), la sola matematica è quella, che può essere apparata, non però mai la filosofia (fuorché istoricamente); giacché per ciò, che alla ragione risguarda, non può tutt’al più che impararsi a filosofare(1).
(1) In quanto agli oggetti, ogni cognizione razionale pura è filosofica o matematica; e
172
Ma la filosofia consiste nel sistema di tutte le cognizioni filosofiche.
può essere subbiettivamente istorica ed obbiettivamente filosofica, se viene da altri comunicata. La matematica, per lo contrario, attinta viene dalla sorgente medesima sì da cui la insegna che da cui la impara, dai principi, cioè, della ragione, applicati alla intuizione pura, ove non è possibile illudersi. Apparandosi dunque le matematiche, siccome già se ne possiede il concetto razionale, così vengono le relative cognizioni generate sì nello scolaro che nel maestro e non può guari aversi risguardo al sistema d’insegnamento. Rispetto alla filosofia però, come, cognizione razionale obbiettiva, la non si può apprendere che istoricamente, razionalmente non mai: e non è che un puro ideale, secondo Kant, una filosofia obbiettivamente perfetta; consiste, cioè, nell’idea d’una scienza possibile, dietro la quale idea se ne debbono giudicare i conati subbiettivi. Ma risguardo all’esistere in concreto una filosofia, che fosse proprio corrispondente al detto ideale, ciò è quanto non potrebbe decidersi giammai;
173
Se per filosofia intendi l’archetipo, sul quale fondarsi nel portar giudizio intorno a quanti si fecero tentativi per filosofare, ti sarà mestieri di obbiettivamente considerarla: ed in questo senso ella dee servire a giudicare qualunque filosofia subbiettiva; il cui edifizio è sovente assai vario e versatile. In tal guisa la filosofia non è che la mera idea di una scienza possibile, che non è data ove che mai sia in concreto; alla quale però si tenta in più maniere d’avvicinarsi: e lo si tenterà fino a tanto che venga scoperto
poiché ne mancano i dati obbiettivi, sui quali fondare il relativo giudizio. Non è dunque la vera filosofia, cui possa impararsi, ma solo impariamo a filosofare, ad esercitare, cioè, la ragione su certe materie, in conformità di certi principi generali; salvo sempre alla ragione stessa il diritto di criticare, nella sorgente loro, il valore dei detti principi.
174
l’unico sentiero, di cui sono già troppo scancellate le orme dal passeggiarvi, cui fece la sensibilità, e che si riesca finalmente, per quanto lo permettono gli umani destini, a rendere uguale al modello (archetipo) la copia (ectypon) tirata sinora in fallo. Prima della quale scoverta e riescita è vano lusingarsi di apparare filosofia. Dov’è infatti ch’ella si trova? chi è che la possegga? ed a cosa mai la si potrebbe riconoscere? Non può che impararsi a filosofare, ad esercitare, cioè, della ragione i talenti, seguendone, in alcuni sperimenti, che già si hanno alla mano, i principi universali; ritenuto però sempre il diritto, competente alla ragione, di sottoporre ad esame quei tentativi, nelle stesse loro fonti, e di quindi confermarli o sbandirli.
Sino a questo punto però il concetto della filosofia non è che un
175
concetto scolastico, di un sistema, cioè, del sapere, onde solo ci facciamo alle tracce, avvisando la scienza cercare, senza che le ricerche tendessero mai a niente più che all’unità sistematica del detto sa pere, né avessero quindi altro scopo che il perfezionamento logico della cognizione. Vi è in oltre un concetto cosmico, il quale ha servito mai sempre di fondamento alla denominazione in discorso; specialmente allorquando lo si personifica, in certo modo; e ch’ei si rappresenta, quasi come un prototipo, nell’ideale del filosofo. Sotto questo rapporto la filosofia è la scienza della relazione di ogni sapere cogli scopi essenziali della ragione umana (teleologia rationis humanae); ed il filosofo, non già un artefice razionale, ma è legislatore dell’umana ragione. E sarebbe orgoglio, in questo senso, il dar nome
176
di filosofo a sé medesimi e l’arrogarsi di uguagliare un prototipo, che sta riposto esclusivamente nell’idea.
Non sono che artefici della ragione il matematico, il fisico ed il logico, non ostante che sì eccellente il primo nella cognizione razionale, in genere, e per quanto particolarmente atti ad avanzare i secondi nel sapere filosofico. Nell’ideale s’incontra un altro maestro, ed è quello, che tutti forma ed associa i poc’anzi nominati, usandone come di stromenti, onde promuovere gli scopi dell’umana ragione. Il qual precettore sarebbe il solo, cui dovremmo dar nome di filosofo; ma, siccome non lo si trova in verun luogo, mentre s’incontra da per tutto (in qualunque ragione umana) l’idea di sua legislazione, così ci atterremo unicamente all’idea. E ci faremo a
177
più da presso determinare quale sia la sistematica unità, cui prescrive la filosofia dal punto di vista degli scopi, a norma del mentovalo concetto cosmico(*)
Gli scopi essenziali non sono perciò i supremi, come quelli, dei quali non può darsi che un solo (in una perfetta unità sistematica della ragione). Per conseguenza, o sono scopi subalterni, che appartengono in qualità di mezzi e necessariamente all’ultimo fine. Il primo dei detti scopi non è altro che l’intiera destinazione dell’uomo; e
(*) È qui detto cosmico il concetto, che si riferisce a quanto interessa necessariamente ciascun uomo; e si determina quindi a norma di concetti scolastici lo scopo di una scienza, ogni qualvolta la si risguarda come appartegnente alle capacità per certi fini arbitrari o prediletti.
178
la filosofia, che se ne occupa, è chiamata morale. Attesa questa preminenza della filosofia morale sopra ogni altra bisogna e sollecitudine della ragione, anche gli antichi, sotto il semplice nome di filosofo, hanno sempre voluto significare in modo speciale il filosofo moralista. Ed anche l’apparenza esteriore di saper signoreggiare sé medesimo colla ragione fa sì che, mantenuta sino al di d’oggi una certa quale adesione al senso degli antichi, usiamo tuttavia dar nome di filosofo a più d’uno di benché limitate cognizioni.
Due sono gli oggetti, ai quali si riferisce la legislazione della ragione umana (la filosofia), natura e libertà; il perché abbraccia essa tanto la legge naturale, quanto la morale, in due sistemi speciali da principio, e poscia in un solo sistema filosofico. La filosofia della
179
natura si estende a tutto quanto è; la morale si riferisce a ciò che dovrebb’essere.
Ma ogni filosofia o consiste nel sapere, che dalla ragione pura emana, od è cognizione razionale per via di principi empirici. La prima si chiama filosofia pura; empirica la seconda.
Ora o la filosofia della ragione pura è propedeutica (esercizio preparatorio), che prende ad investigare la facoltà indicata per la voce ragione, rispetto a tutte le cognizioni pure a priori; e si chiama critica. O consiste, in secondo luogo, nel sistema della ragione pura (scienza), onde si riduce a connessione sistematica la cognizione filosofica tutta quanta (sì vera ed appariscente), che dalla ragione pura emerge; e la si denomina metafisica. Questo nome, per altro, può essere accordato eziandio all’intiera
180
filosofia pura, compresa la critica, onde collettivamen[t]e in un tutto comprendere sì l’indagine di qualunque mai cosa può essere a priori conosciuta e sì eziandio la sposizione di quanto costituisce un sistema di cognizioni filosofiche pure di questo genere; purché distinto, atteso che diverso, da ogni empirico non meno che da ogni adoperamento matematico della ragione.
La metafisica si divide in metafisica del contemplativo ed in quella dell’uso pratico della ragione pura; onde ne viene il di lei scompartimiento in metafisica della natura e metafisica dei costumi. La prima contiene quanti sono i principi razionali puri, provegnenti da meri concetti (quindi con esclusione dei matematici), sulla cognizione teoretica di tutte le cose: l’altra comprende i principi, che definiscono a priori e rendono indispensabile;
181
il fare o non fare. La moralità è pertanto costituita unicamente dalla legittimità delle azioni e la relativa corrispondenza loro colle leggi può essere da’ principi affatto a priori derivata. Quindi è che la metafisica dei costumi consiste propriamente nella morale pura e non ha questa per base alcuna specie d’antropologia (niuna condizione empirica). Dunque ciò, che, nel più stretto significato, si chiama col nome di metafisica, è la metafisica della ragione contemplatrice. In quanto però anche la dottrina pura dei costumi appartiene pur sempre alla genealogia particolare dell’umano e segnatamente filosofico sapere, il quale deriva dalla ragione pura, ci è d’uopo conservarle quella denominazione. Solché, non avendo essa parte al nostro scopo attuale, ommetteremo di quivi occuparcene.
182
Ella è cosa della massima importanza, perché vengano isolate le cognizioni, che dalle altre differiscono, rapporto sì al genere che all’origine loro, e perché si ponga ogni cura, onde le non abbiano a rimestarsi e confondersi con quelle eterogenee, colle quali sogliamo tuttavia combinarle nell’uso ordinario. E quanto sì pratica sì nella separazione delle sostanze dai chimici, sì dai matematici, nella pura dottrina loro delle grandezze, incombe con obbligo assai maggiore al filosofo; affinché sappia e possa esso de terminare il valore proprio, non che l’influenza, di certe cognizioni di un ordine particolare, le quali prendono parte all’impiego girovago dell’intelletto. Ed è perciò che, dacché pensa o, dirò meglio, riflette la ragione dell’uomo, non fa mai verso che la si potesse dispensare da una metafisica: quantunque,
183
per altro, non fosse mai al caso essa ragione di esporla depurata è scevra, come si vorrebbe, da quanto alla metafisica è straniero. L’idea di una tale scienza va pari passo, rispetto alla di lei antichità, colla ragione umana contemplatrice: ma qual è mai quella ragione che non contempli; sia poi essa popolare o scolastica la contemplazione? Bisogna intanto confessare qualmente, anche presso ingegni pensatori di professione, rimase oscura troppo la distinzione dei due elementi; uno dei quali sta in esso noi, affatto a priori, l’altro non può essere preso che a posteriori dalla sperienza. Quindi è che mai non si giunse a determinare i confini di cosiffatta specie di cognizioni e, per conseguente, neppure a stabilire l’idea genuina di una scienza, che pur occupa tanto e da tanto tempo la ragione degli
184
uomini. Quando si diceva, la metafisica essere la scienza dei primi principi dell’umano sapere, non si poneva con ciò mente ad un genere affatto particolare, ma solamente ad un rango, di cognizioni, rispetto all’universalità loro. E quelle in discorso non si potevano per ciò distinguere dall’empiriche in un modo riconoscibile; atteso che anche fra’ principi empirici se ne danno alcuni di universali, quindi più elevati che gli altri. Ora, nella serie di quest’ordine inferiore (dacché non si distingue ciò, che viene conosciuto pienamente a priori da quanto lo è solamente a posteriori), dove avrà mai luogo il taglio, che la prima separi dalla seconda ed i membri superiori distingua dai loro subalterni? Cosa direste, se la cronologia non sapesse indicare altrimenti le epoche del mondo, se non facendone una divisione generale
185
in primi secoli ed in secoli consecutivi ai primi? Certo che dimandereste: Appartiene ai primi secoli anche il quinto, il decimo ecc.? Ed è appunto così ch’io dimando: Il concetto dell’estensione appartiene anch’esso alla metafisica? Voi rispondete che sì. = E quello del corpo, esso pure? = Senza dubbio. = Anche il concetto del fluido? E qui v’allarmate; giacché, se tiro avanti di questo passo, apparterrà tutto quanto alla metafisica. Dal che si rileva, il grado solo della subordinazione (del particolare sotto l’universale) non essere punto idoneo per istabilire alcun confine ad una scienza; ma che lo può solo, nel caso nostro, l’intiera dissomiglianza e differenza d’origine. Ciò, che però anche da un altro lato rendeva oscura l’idea fondamentale della metafisica, si è che, nella sua qualità di cognizione a
186
priori, essa manifesta una certa quale somiglianza colla matematica; la qual somiglianza, per verità, fa non equivoca testimonianza di loro vicendevole parentela, rispetto al provenimento a priori. Ma per ciò che risguarda la maniera di conoscere della prima, in via di concetti, al paragone colla maniera di solo mediante costruzione di concetti giudicare a priori, della seconda, quindi per quanto si riferisce alla differenza tra una cognizione filosofica, ed una matematica, la dissomiglianza, che vi si manifesta, è così decisiva, non che appariscente, che non poté a meno di essere pressoché materialmente sentita in ogni tempo; quantunque non si abbia saputo ridurla giammai sotto criteri evidenti. Dal che poi ne venne che, peccando gli stessi filosofi nello sviluppare l’idea delle proprie scienze, non poteva
187
la relativa elaborazione avere né un solo scopo determinato, né una qualche norma sicura, e che, sì arbitrario essendo il disegno, cui si erano proposto, ignari essi della strada, che avrebbono dovuto prescegliere, oltreché in perpetue contestazioni, fra di loro, sulle scoperte, quali voleva ciascheduno aver fatto sul proprio cammino, i detti filosofi provocarono prima il disprezzo altrui sulla scienza loro e la resero finalmente spregievole ai propri occhi medesimi.
Tutto quanto, adunque, il saper puro a priori, atteso e mediante la facoltà particolare di conoscere, nella quale ha desso la propria sede, costituisce una egualmente particolare unità; e la metafisica è quella filosofia, obbligo della quale sarebbe l’esporre in cotesta unità sistematica il detto sapere. La di lei parte speculativa o che si è
188
specialmente appropriato questo nome, quella, cioè, che io dico metafisica della natura e che tutto esamina e pondera, in quanto sia cosa esistente (non in quanto essere dovrebbe), sarà ora scompartita nel modo, elle segue.
Quella, che nel più stretto significato è chiamata metafisica, è un composto di filosofia trascendentale e di fisiologia della ragione pura. La prima di queste considera solamente l’intelletto e la stessa ragione; combinati l’uno coll’altra in un sistema di quanti sono i concetti e principi fondamentali, che si riferiscono in generale agli oggetti; senza però ammettere oggetti, che fossero dati (ontologia). La seconda contempla la natura, vale a dire, il complesso degli oggetti dati (siano poi essi dati ai sensi o, se così piace ad un altro genere di visione); e così costituisce la fisiologia (puramente
189
razionale). Ora però; l’impiego della ragione, in questa contemplazione razionale della natura, è fisica od iperfisica; è, cioè, per dir meglio, immanente o trascendente. La contemplazione fisica (immanente, indigena) si occupa della natura, in quanto e sinché può essere applicata nella sperienza (in concreto ne’ singoli casi) la di lei cognizione. L’iperfisica o trascendente si riferisce a quella cognizione (sintesi) degli oggetti della sperienza, la quale ogni sperienza oltrepassa. Quindi è che alla fisiologia trascendente compete una doppia maniera di cognizione; o interna, cioè, od esteriore; le quali però sorpassano ambedue qualunque sperienza possibile, quando agli oggetti loro si riferiscono. Appartiene alla prima specie la fisiologia della natura complessiva, cioè a dire, la cognizione trascendentale del mondo (la cosmologia
190
trascendentale): mentre la seconda maniera costituisce la fisiologia della connessione universale, o di tutte le cose naturali, con un essere superiore alla natura; costituisce, cioè, la cognizione trascendentale di Dio (la teologia trascendentale).
La fisiologia immanente, all’opposto, considera la natura siccome il complesso di tutti gli oggetti dei sensi e la considera tal qual essa ci è data; risguardando però solamente alle condizioni a priori, sotto le quali può venire offerta generalmente la stessa natura. Ma nella natura (così considerata) non si danno che due specie di oggetti. 1) Quelli dei sensi esteriori, per conseguente, il complesso dei medesimi, o la natura corporea. 2) L’oggetto dell’intimo senso, l’anima e, secondo i concetti fondamentali della medesima in genere, la natura
191
pensante. Ben può la metafisica della natura corporea chiamarsi fisica, ma fisica razionale; come quella, nella quale non deggiono capire che i principi della di lei cognizione a priori. È chiamata psicologia la metafisica della natura pensante; sotto la quale psicologia dee, per l’or ora indicato motivo, intendersi unicamente la relativa cognizione razionale.
Per le quali cose, l’intiero sistema della metafisica è composto di quattro parti principali: 1. Dell’ontologia; 2. della fisiologia razionale; 3. della razionale cosmologia; e 4. della teologia razionale. La seconda parte, voglio dire, la fisica della ragione pura contiene due divisioni: 1. la fisica razionale(*); e 2. la psicologia razionale.
(*) Non si creda già ch’io per fisica razionale intenda la fisica generale del linguaggio
192
La stessa idea originaria di una filosofia della ragione pura è quella, che detta e prescrive cotesto scompartimento; il quale è, per conseguente, architettonico e corrispondente al di lui scopo essenziale,
ordinario; essendo questa molto meno filosofia della natura che piuttosto matematica. Conciossiaché la filosofia della natura si distingue affatto dalla matematica ed è ben lungi dal fornire cognizioni, che tanto estendano il nostro sapere, quanto le offerte per questa; non dimeno che a bastanza importante quella pure, massime rispetto alla critica dell’applicazione del sapere intellettuale puro alla natura in generale. In mancanza della quale critica, siccome gli stessi matematici aderiscono più o meno a certi concetti comuni, ma nel fatto metafisici, così hanno eglino sopraccaricata insensibilmente la fisica d’ipotesi; le quali svaniscono al cospetto della critica indagatrice di cosiffatti principi; senza che venga perciò derogato minimamente all’uso delle matematiche in questa sfera di altronde indispensabili cognizioni.
193
anzi che stabilito solo teoricamente, in seguito a per caso appercepite affinità ed a grado, per così dire, della fortuna: ed è appunto per questo che sarà invariabile una tal divisione, come la eredo legislatrice. Se non che occorrono su questo particolare alcune circostanze, atte a muovere dubbiezze, le quali potrebbero infievolire la convinzione della testé accennata legittimità.
E, primieramente, con qual diritto possiamo noi aspettarci una cognizione a priori, quindi una metafisica, intorno ad oggetti, se questi sono dati ai nostri sensi, perciò a posteriori: o come sarà egli possibile il conoscere la natura delle cose, dietro principi a priori, e quindi pervenire ad una fisiologia razionale? Ecco la risposta: Dalla sperienza noi non prendiamo niente più di quanto si richiede, perché
194
ci sia dato un oggetto, che parte al senso esteriore appartenga e parte all’interno. La prima di queste parti ha luogo mediante il semplice della materia concetto (della estensione impenetrabile, ma priva di vita); la seconda, mediante il concetto di un essere pensante (nella interna rappresentanza empirica: io penso). Del resto, in tutta quanta la metafisica di questi oggetti ci sarebbe mestieri astenerci assolutamente da quanti sono i principi empirici, che potessero al concetto, ed oltre al medesimo, aggiungere anche una qualche sperienza, per quindi alcuna cosa giudicare intorno a tali oggetti.
In secondo luogo: Dov’è che si lascia l’empirica psicologia, che ha sempre avuto sin qui e difeso il suo posto nella metafisica e dalla quale si aspettarono sì gran cose, ai nostri tempi, ad illustrazione
195
di questa scienza; dacché si ebbe rinunziato alla speranza di alcunché di buono conseguirne a priori? Al che rispondo: La psicologia sperimentale viene a stare ove dev’essere collocata la fisica propriamente detta (l’empirica); voglio dire in rango ed al fianco della filosofia applicata. E, siccome i principi di questa capir debbono a priori nella filosofia pura, così hanno bensì vicendevoli relazioni fra loro e legami, da non trascurarsi, le due or ora menzionate filosofie, ma le non si debbono perciò l’una coll’altra confondere. Dal che ne viene, dovere la psicologia empirica essere affatto sbandita dalla metafisica; come già ne la esclude pienamente l’idea della medesima. Ciò non di meno, per non affatto emanciparci dall’uso delle scuole, bisognerà pure accordarle tuttora (quantunque solamente in qualità
196
di episodio) una picciola nicchia in metafisica. Vero bensì, non essere che motivi quasi economici quelli, che a ciò fare ne persuadono; atteso che, se non è per anco sì ricca tale psicologia, onde potesse da sola costituire uno studio speciale, ciò non di meno essa è di a bastanza grave momento, perché non la si dovesse né affatto espellere né attaccare a qualche altra scienza; giacché troverebbe con tutte anche minore parentela di quella, che può avere colla metafisica. Consideriamola pertanto qual ospite straniero, cui, dopo avere accordata stanza per sì lunga età, possiamo ritenere per ancora qualche tempo fra di noi (nella metafisica), sinché le avvenga di ritirarsi e stabilire a dimora il proprio domicilio in un’antropologia più compiuta che non è l’attuale (in appendice alla fisica empirica).
197
Ed ecco l’idea universale di una metafisica, di quella scienza, che, per averle sulle prime attribuito e supposto assai più che non dovevasi a buon dritto attribuirle o pretenderne, ci adescò lunga pezza di lusinghiere aspettazioni; sinché, avendoci ognora delusi nelle nostre speranze, cadde prezzo allo scherno universale. Da quanto esposi nel decorso di tutta questa critica, dee ciascheduno essere bastevolmente persuaso qualmente, sebbene la metafisica non valga servire di basamento alla religione, debba essa tuttavia mantenersi ognora di piè fermo, qual propugnacolo alla costei difesa; e come, dialettica essendo, per sua naturale tendenza, non possa la ragione dell’uomo dispensarsi giammai da questa scienza: come da quella, che alla detta inclinazione pon freno e, mediante la conoscenza la più manifesta
198
e scientifica di sé medesimo, impedisce od allontana i guasti, quali occasionerebbe, a né punto né poco dubitarne, si nella religione che nella morale, una senza leggi speculativa ragione. Per quanto ruvidi, adunque, o presso che disprezzatori si dimostrino coloro, i quali, anziché giudicare di una scienza dall’intima natura della medesima, solo abbadano agli effetti accidentali, ch’ella produce, teniamo tuttavia per certo che, anche dappoi esserci disgustati perciò della metafisica, ritorneressimo sempre a lei, ciò non ostante, come si torna dopo eguale disgusto ad un amante. Ché, trattandosi di fini essenziali, dee la ragione indefessamente adoperarsi a fare di fondate conoscenze incetta od a quelle qualunque distruggere, che già si avessero in pronto.
La metafisica, dunque, sì della natura
199
che dei costumi e specialmente la critica della ragione, che osa commettersi alle proprie ali (precedendo sempre come preparatoria (propedeutica) la critica), sono le sole, che propriamente costituiscono quanto chiamiamo in giusto senso filosofia. Questa riferisce tutto quanto alla sapienza, tenendosi per altro sopra un sentiero scientifico; il solo, di cui, dopo averselo convenientemente aperto e costrutto, non è mai che si cancellino le orme, né ch’ei ci conduca in fallo ed a smarrirci. La matematica, la fisica e la stessa cognizione empirica dell’uomo sono di un gran prezzo, in qualità di mezzi conducenti a per lo più accidentali, nel vero, ma finalmente anche a scopi necessari ed essenziali all’umanità. Esse però non servono a questi scopi, se non mediante una da soli concetti attinta conoscenza della ragione, alla qual
200
conoscenza può darsi quel nome, cui si vuole, senza ch’essa mai cessi dall’essere o possa in altro consistere che metafisica.
Anche appunto per ciò è la metafisica il compimento di quanta può essere la coltura della ragione umana: ed è compimento indispensabile; prescindendo pure da quanto può essa, in qualità di scienza, influire su certi scopi determinati. La metafisica, infatti, considera la ragione ne’ suoi elementi e secondo le massime supreme, che debbono servire di fondamento sì alla possibilità di alcune scienze che all’impiego di tutte. Né deroga punto al di lei merito perch’ella, come semplice speculazione, giovi piuttosto a far alto ed ovviare agli errori, che non ad allargare il sapere: che anzi è circostanza cotesta, onde a tale scienza consegue maggiori lustro ed autorità, rispetto al di lei uffizio
201
censorio. Il qual uffizio è quello, che assecura la regolarità ed armonia universale, anzi lo stesso ben essere della repubblica delle scienze, e che trattiene le feraci e coraggiose fatiche loro, perché non si dipartano dal sommo fra tutti gli scopi, da quello della universale prosperità.