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I. Il mare glaciale settentrionale, ovvero l’oceano settentrionale che trovasi intorno al polo artico, e che si estende nell’Europa fino al canale fra l’Inghilterra e la Francia, nell’Asia fino sotto Kamschatka e le isole delle Volpi, e nell’America fino al grande banco di Terranova, bagna una quantità di spiagge, forma molti e grandi seni, ed oltre
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a ciò ha delle cose molto notabili e proprie di esso le quali meritano la nostra attenzione. In certo modo questo mare potrebbe dirsi mare mediterraneo, perché è diviso dal resto dell’oceano da coste forti e continue, per le quali gli Inglesi, Olandesi e Russi inutilmente hanno cercato una sortita verso il nord-ovest, e il nord-est; giacché quelle che sin’ora sono state scoperte, sono inservibili a causa de’ ghiacci; e fuori dell’unica strada di Cook, o piuttosto di Behring, l’altre sono un problema pei navigatori. Il circuito del mare settentrionale non si conosce dunque niente affatto, e le sue baie e seni, particolarmente dal 195° di longitudine orientale da Greenwich fino al 360° ovvero dal capo glaciale, ultimo punto a noi cognito al nord-ovest dell’America, fino alla Groenlandia orientale che più non si ritrova, non si lasciano punto conoscere.
Cominciando dalla parte più praticata di esso, troveremo che questo mare settentrionale, subito passato il Passo di Calais, forma un gran mare mediterraneo. Il mare germanico, ovvero mare del nord, il quale, cominciando da Jarmouth, corre lungo la costa orientale dell’Inghilterra e della Scozia
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da un lato, e lungo la costa occidentale dei Paesi bassi, della Germania, della Danimarca e della Norvegia sul lato opposto, si presenta all’occhio come un grande bacino rinchiuso sensibilmente dalle Orcadi e dalle Isole di Schettland, le quali sono una continuazione delle montagne della Norvegia. Già presso il Texel questo mare forma un piccolo seno di poca profondità, chiamato lo Züderzee; esso bagna le provincie d’Olanda, d’Utrecht, di Gheldria, d’Overyssel e di Frisia; contiene 325000 iugeri, ed è situato più alto dei Paesi Bassi e del mare del nord, per cui si scarica in esso. Questo seno fu originariamente un piccolo lago formato dal braccio orientale, ovvero dallo sbocco del Reno nella vicinanza delle isole Urk e Schokland, il quale chiamavasi flevo, e si scaricava nel mare del nord assai vicino alla Frisia, in guisa che la Frisia e la provincia di Nordholland erano divise solamente da questo sbocco. A cagione delle molte inondazioni del Reno e delle maree vive, e per gli spandimenti del mare sopra la terra, cagionati dalla veemenza dei venti di nord-ovest (pericoli di acqua, fra i quali sono particolarmente notabili quelli avvenuti ne’
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tempi che Mario disfece i Cimbri(1); quello nei tempi di Lodovico il Pio, quando fu ripiena di fango l’imboccatura del Reno presso Ratwyk; quello del 1170 nel quale Utrecht fu inondato dall’acqua marina, talché presso le mura della città si pescò l’Asella (Aeglefinus) colle reti grandi, mentre non si prende questo pesce che in alto mare; ed ancora le inondazioni del 1286 e 1334 le quali furono particolarmente terribili ed impetuose), la provincia di Nordholland fu trasformata in isola, come pure si formarono le isole Texel, Vlieland, Schelling ecc. e tutta la terra che si trovò fra loro e l’arene di Enkhuysen, e di Takezyl fu inghiottita dalle onde. D’allora in poi questo seno, che ha per isbocco principale il Vlie, ovvero corrente di Vlie, ed il Texel, fu chiamato Zuiderzee. Continuamente vi si formano de’ bassi fondi, talché se per lo passato l’Issel portò vascelli di 600 tonnellate, al presente è quasi secco, e l’imboccatura dei fiumi s’intasano sempre più, ed i seni si riempiono di sabbia. Le
(1) Horat. lib. 2. c. 3 n. 1.
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macchine artificiali non sono più sufficienti per spurgare il seno di Amsterdam. A Zaardam o sia Zanredam, ove cento anni addietro si costruivano continuamente vascelli da guerra in quantità al presente possono solamente fabbricarsi vascelli mercantili di 500 o 600 tonnellate, i quali poi a grande stento si trasportano nello Zuiderzee. Ne’ porti della Frisia, di Overyssel o della Gheldria possono starvi in oggi solamente le barche da pescatori. In Sudholland ed in Groninga il mare ha subito le medesime rivoluzioni. Ai 18 di dicembre del 1421 il mare del nord ruppe le chiuse fra Dordrecht e Gertruidenburg in quel sito il quale in appresso fu chiamato l’antico Wiell, in guisa che l’intera isoletta di Sudbolland fu inondata, e 72 villaggi furono sepolti nell’acqua, non compresi quelli che dipoi per cura degli abitanti furono ristabiliti. Quindi nacque il Biesbosch o sia Bergerveld: anche la città di Dordrecht, con quel pezzo di terra sul quale sta attualmente, fu strappata dalla terra ferma di Sudholland. Nel 1514 vedevansi ancora in vari siti dell’acqua le punte delle torri dei villaggi periti in questa
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inondazione(1), i quali in appresso a poco a poco sono sprofondati, e portati via dall’acqua. All’imboccatura dell’Embs una terribile inondazione fece nascere nel 1277 il Dallart, ove furono sommersi 33 villaggi; questo seno in seguito si è ingrandito per avvenimenti simili. Le Dune erette dal mare stesso, e le chiuse costose ed artificiali non sempre hanno potuto opporsi alla furia del mare, ed impedire la disgrazia che minaccia la terra. Anche le coste della Danimarca hanno soventi sperimentata la violenza del mare, particolarmente nel 1634, quando la grande isola Nordstrand fu quasi interamente inghiottita: il mare condusse via 1356 case e 6123 uomini, e più di 50000 perirono nelle onde. Le isole odierne di Nordstrand e Pelworm sono i piccoli e miseri avanzi di quella grande isola(2), sulla cui parte sprofondata si dice di vedere le punte delle torri sul fondo del mare. Fra queste isole e la terra ferma,
(1) Chrysost. Veapol. Epist. de Holland. in Scriverii Batav. illustr. pag. 130.
(2) Anton. Heinrich Nordfrisische Chronic cap. 16.
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ferma, come pure presso le isole Silt e Foehr, sonovi i più ricchi ed eccellenti banchi di ostriche, de’ quali il Re Knut il Grande si servì fin dal principio dell’undecimo secolo. Le ostriche che qui si trovano sono spedite per tutta la Germania, la Svezia e la Russia. Le belle conchiglie che in quantità si pescano presso Flensburg Aperonde ecc. formano un ramo di commercio. Il mare in queste vicinanze è assai abbondante di pesci; e Pontoppidan conta 103 specie di pesci grandi e piccoli, i quali propriamente si prendono sulle coste della Danimarca. Sulla costa settentrionale di Jütland trovansi aringhe, vitelli marini, porci marini (Phocaenae), squali, ed anche balene. Vari abitanti delle isole, come quelli di Helgoland ecc. vivono unicamente della pesca. Il seno di mare Limfort (Lümfiorden), nel Jütland settentrionale, fornisce annualmente dei pesci che importano la somma di cento mila scudi. Presso la punta meridionale della Norvegia forma il mare del nord una strada, che volta immediatamente intorno alla punta di Jütland, chiamata Kattegat (buco del gatto), oppure il mare occidentale, il quale corre in una larghezza considerabile
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fino all’Isola di Seeland. Quivi si ristringe moltissimo, per via della quantità delle isole che ad esso si oppongono, e forma tre stretti che in parte sono ancora coperti da isolette, e che alla Danimarca danno la chiave del Baltico per i due stretti fra i quali è posta. L’Oresund, fra l’isola Seeland e la Svezia, è lo stretto principale, poiché è il più profondo, il più largo ed il più frequentato; esso è lungo 9 miglia danesi, e presso Helsingoer, largo 1331 braccia o un mezzo miglio circa. I vascelli che vi passano sono contati quando entrano e quando escono, ma una volta sola vi pagano il dazio. Nel 1770 vi passarono 7736 vascelli che pagarono 950890 scudi di dazio, e nel 1778 si contarono 8.386 vascelli. Il grande Belt, che divide Seeland da Funen, è largo 4 miglia presto Nyehorg, ove i vascelli si arrestano davanti il Dazio; ed il Piccolo Belt, che divide Funen da Jütland, è largo appena un quarto di miglio presso Fridericia, ove si paga il dazio. Dietro queste isole giace il grande mare baltico, ovvero mare dell’est, il quale si può considerare piuttosto come un mare mediterraneo, che come un seno del mare del nord. Il mare baltico è di
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una circonferenza considerabile: occupa al presente uno spazio di 5600 miglia quadrate geografiche, e forma tre seni, de’ quali i due maggiori si estendono assai nell’interno della terra ferma(1).
(1) Nel convento di S. Michele di Murano a Venezia trovasi una carta geografica che indica la circonferenze maggiore di questo mare per lo passato. Questa carta vi fu disegnata dal padre Mauro, il più celebre geografo de’ suoi tempi, pel Re di Portogallo Alfonso V, secondo i rapporti e disegni de’ gentiluomini veneziani Niccola ed Antonio Zeno (i quali nel quattordicesimo secolo frequentemente navigarono nel mare del nord) e del padre Quirini, il quale nel 1431 navigò nel mare del nord alla parte settentrionale di Drontheim, di là viaggiò per terra da Siegeborg nell’Ostgothland fino a Lodesoe, ove nuovamente s’imbarcò per continuare il suo viaggio. Una descrizione esatta di questa carta notabile, la quale serve di documento non solamente per le cognizione antica di questo mare, ma che prova anche il suo stato vero pel passato, mentre rappresenta il mare baltico come più esteso, e molti siti come gruppi di banchi, quando presentemente sono terra ferma, trovasi nel saggio del sig. Ferne che parla della diminuzione dell’acqua p. 31. Vedi ancora Otto nelle Luebecksch-Anzeigen. 1793, quint. 23. Una copia di questo emisfero trovasi unita all’opera molto interessante che porta per titolo: Il mappamondo di fra Mauro Comaldolese, descritto ed illustrato da D. Placido Zurla dello stesso ordine. Venezia 1806.
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Si è osservato da gran tempo che l’acqua di questo mare, anche nell’estate più calda, è più fresca degli altri mari. Le onde non vi si alzano tanto come nel mare del nord, ma sono più corte e si seguitano l’una l’altra più presto: il muggito che producono in tempo di calma, è molto più debole che sulla spiagge di altri mari ove regna la me[de]sima calma. Tutto ciò è cagionato dalla sua poca profondità, la quale in molti siti appena arriva a 10 braccia, e sull’altura appena a 50 braccia. Possiamo dunque applicare qui nuovamente la spiegazione fatta, pag. 127, riguardo al freddo sopra i banchi di sabbia; poiché è certo che ne’ tre punti principali, co’ quali questo mare è unito coll’oceano, le correnti inferiori nella profondità di 4 fino a 6 braccia introducono dell’acqua fredda: il vento poi rimuove il mare fino al fondo in quei siti ove ha poca profondità.
I tre seni del baltico sono dunque il seno della Livonia, la di cui punta interna si estende fino a Mittau e Riga; il seno della Botnia che passa quasi in linea retta verso il nord, e dà al baltico la maggior estensione, di modo che da Colberg nella
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Pomerania fino a Tornea nella Botnia occidentale importa più di 180 miglia geografiche; ed il seno della Finlandia, che prende la direzione verso l’est fra la Finlandia e Wiborg, l’Estonia e l’Ingria fino a Pietroburgo ed è annesso co’ laghi di Ilmen, di Ladoga e d’Onega: per mezzo dell’ultimo si avvicina ancora presentemente al mare bianco, col quale ne’ tempi più rimoti il mare baltico sicuramente si univa. Quindi gli antichi divisero con ragione la Scandinavia in una o più isole. Pytheas di Marsiglia, il quale 300 anni avanti la nascita di Cristo è stato quivi nel nord, divide Thule (Thele ovvero Thulemarken, parte della Norvegia) da Basilia (forse Balthia) come due isole diverse(1). Tacito dice, che i primi abitanti vi fossero arrivati per mare(2). Tolomeo, il quale 140 anni dopo Cristo compose una geografia della Svezia, dice che la Scandia consista in quattro isole, cioè, una grande, e tre piccole(3). Pomponio Mela dice(4) «Il Codanus è un seno di
(1) Ap. Lageert. Suec. Ant. e Nov. lib. 1 e 4.
(2) Germ. c. I.
(3) Ptolom. geogr. 1. 2. c. II.
(4) De situ orbis, l. 3. c. 3. et 6.
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mare pieno di grandi e piccole isole[»]. Il vecchio Anonymus Ravenna, che visse mille anni addietro, dice(1): «Nell’antico paese degli Sciti avvi un’isola chiamata Scania; da questa emigrarono molti popoli che abitano nella parte occidentale del mondo[»]. Anche Aeneas Sylvius, più conosciuto sotto il suo nome papale (Pio II), nomina la Svezia nelle sue opere(2) come un paese circondato interamente dall’acqua, e senza dubbio avrà preso questa notizia dal racconto di autori più antichi. Anche i nomi antichi provano che la Norvegia e la Svezia siano state divise dalla terra ferma. Scandia ossia Scandinavia deriva dall’antico nome Scan, che vuol dire vascello ovvero barca; Balthia, da Belt, che nell’antica favella significa passaggio del mare; e Thule appresso i Goti esprimeva la parola isola o cantiere. Pare che non ci resti alcun dubbio, che la Thule degli antichi sia stata la Svezia e la Norvegia. Cosi Thulemarken nella Norvegia avrà preso il suo nome dalla quantità delle isole; così pure Thyleholm
(1) Geogr. p. 26 ed. Porch.
(2) In Lageert. Succ. Ant. et Nov. lib. l cap. 1.
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nell’Halland, e l’isola di Thylen avanti Halmstadt: e considerando inoltre la narrazione degli antichi risguardo a Thule(1), cioè, che fosse maggiore della grande Brettagna, che quivi abitassero gli Scridfinni, che nell’estate per quaranta giorni non facesse notte, e nell’inverno per altrettanto tempo non comparisse il sole ecc., cose tutte che si possono applicare alla parte settentrionale della Scandinavia, allora si resterà sempre più persuaso, che sotto il nome di Thule comprendevansi la Norvegia e la Svezia.
Nel 1030 sussistette ancora un’acqua navigabile che da Upsal passò per le parrocchie Danmark, Lagga e Roslagen fino al baltico(2); e Somen gran lago nell’Ostrogozia, come anche Smaland dal quale la provincia ha ricevuto il nome, sembrano, dalle montagne de’ paesi confinanti, aver composto per lo passato un gruppo di scogli. La quantità degli stagni che si trovano
(1) Procop. Caes. de Reb. Goth. lib. 2 c. 15.
(2) Benzel coll. Hist. Patr. And. Celsius. Kongl. Sved. Vettensk. Acad. Handl. 1743. 4: il libro principale sopra le osservazioni della diminuzione dell’acqua sotto i poli.
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nella Svezia, sono da considerarsi ancora in oggi quasi come una parte di questo mare, poiché tutti inclinano verso di esso, e più di quaranta torrenti forniscono loro dell’acqua sì abbondantemente, che questo mare mediterraneo, malgrado di essersi abbassato moltissimo, sta continuamente 8 piedi più alto del mare del nord, nel quale incessantemente si scarica. Secondo varie osservazioni consta, 1. che distante dal mare, in siti paludosi, cresce l’alga salata, come, per esempio, in Layhela, due miglia al settentrione sopra Wasa: 2. che nell’interno della terra, nelle paludi e negli stagni, sulle montagne e sulle colline, trovansi avanzi di bastimenti; come al settentrione di Wasa lo scaffo di un vascello, dentro una palude presso Salstaborg, sul territorio di Salstadt in Upsala, una chiglia grande di vascello; in altri siti ancore, frammenti di navi ecc., e due miglia verso il nord di Skara, scheletri di balene: 3. che i passaggi, i porti e l’imboccature diventano annualmente più bassi: 4. che si trovano frammenti di barche considerabili e diverse intorno alle coste navigabili della Svezia, ove a cagione de’ nuovi bassi fondi e scogli, che prima non
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si conoscevano, i pericoli continuamente si accrescono: 5. che presso Gefle, Hudwikswall, Wasa ed Abo le pietre delle foche, le quali, trattandosi de’ banchi di scogli appresso la classe del popolo, sono accennate come proprietà nelle eredità e negli strumenti di compra; che questo pietre, dico, si sono alzate sopra l’acqua in guisa, che le foche non vi si possono più arrampicare; onde negli ultimi contratti di locazione non se ne fa più menzione, poiché sono state riconosciute inservibili; oppure che questo pietre si sono unite alla terra ferma: 6 che vari frammenti che si trovano indicano l’esistenza di un ponte per lo passato, ove pare che non sia stato mai necessario: 7. che gli antichi cantieri dei pescatori presso Hudwickswall si sono resi inservibili: 8. che in Brioorkoo presso Wasa si raccogliono nelle lunghe e strette valli, ed in molti altri siti, biade e fieno, ove ne’ secoli passati si trovarono laghi abbondanti di pesci: 9. che varie città e vari villaggi stabiliti in principio sulla spiaggia del mare, hanno dovuto avvicinarsi ad esso delle miglia intiere, perché l’acqua si è ritirata; così Hudwikswall, 58 anni dopo la sua erezione, fu trasportata 440 braccia
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più vicino alla spiaggia, Pitea, dopo 45 anni, un mezzo miglio, Luteoe un miglio dopo 28 anni, ed Halmstadt, che per lo passato fu situato col suo distretto più nell’interno della terra presso il villaggio Holm, è presentamente isola: 10. che le città non rimosse dal loro primo sito, si trovano presentemente più distanti dal mare, come Oesthammar: 11. che presso Torne, ove poterono ancorare 1620 grandi vascelli, presentemente non può ancorarsi più alcuno: 12. che la maggior parte de’ villaggi abitati hanno preso i loro nomi da Holm, (cantiere) Sund (stretto) Stroem (torrente ) Garn (mare) Sial ovvero Sal (mare e spiaggia di mare) Mar, Maer, Moere, (mare, spiaggia di mare) Staek: (stretto ove l’acqua portasi con violenza) Naos (umido) Wick, Fors, e Fiord (porto), e presentemente giacciono molto nell’interno della terra. Da queste osservazioni il professore Cellio ha creduto poter dimostrare, che l’acqua tanto nel mare baltico, come nel Cattegat, fra cento anni si abbasserà 45 pollici geometrici, ossia 4 piedi e mezzo. Olof Dalin nella sua storia della Svezia(1)
(1) Tom. I. cap.1.
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conferma questo per propria esperienza, mentre sopra Swarthaellan nella Wicke fece visitare la pietra di Celsio in quella stessa stagione nella quale il medesimo Celsio vi fece incidere nel 1731 la linea del livello dell’acqua, e l’anno del mondo (stagione nella quale par che l’acqua resti alla sua solita altezza); e trovò giusto il di lui calcolo. Un egual risultato hanno dato pure le osservazioni sicure e degne di fede, continuate per 24 anni nel golfo della Finlandia, sulla spiaggia della Russia e della Finlandia.
Secondo questo calcolo dovrebbe il mare baltico fra dugent’anni trovarsi a livello col mare del nord; ma la diminuzione e l’abbassamento dell’acqua, negli anni seguenti, potrebbe divenire a poco a poco minore ed insensibile. L’acqua, come suppongono anche Celsio e Dalin, potrebbe abbassarsi proporzionatamente nell’intero mare del nord, almeno nelle alte latitudini, poiché la terra pare che diventi più schiacciata sotto i poli, senza che per questa ragione diminuisca la quantità dell’acqua sopra di essa. Ma pure si trovano considerabili opposizioni contro il diminuire dell’acqua nel
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mare baltico, fatte dal Vescovo Browallius(1), il quale fra le altre cose ci fa riflettere, che le quercie di cento e più anni dovrebbero essere cresciute sotto acqua, se questa diminuzione rapida avesse luogo. In seguito, parlando de’ cangiamenti generali che ha sofferto la terra, avremo occasione di esaminare le ragioni di tali questioni.
La poca salsedine del mare baltico, la quale spiegasi benissimo per la quantità dell’acqua che i fiumi vi scaricano, come anche per la sua posizione più alta di quella del mare del nord, sarà forse la cagione principale per cui esso è gelato più frequentemente di tutti gli altri mari grandi.
Nel 1269 il mare baltico era gelato dalla Gozia fino alla Svezia.
Nel 1306 il ghiaccio coprì per 14 settimane di continuo il mare baltico fra tutte le isole Danesi e Svedesi.
Nel 1323 fuvvi per settimane continue una strada di ghiaccio pei passaggeri a piedi ed a cavallo.
(1) Ricerche storiche e fisiche sopra la pretesa diminuzione dell’acqua e dell’ingrandimento della terra di D. Giov. Browallius. Stockolm. 1756. 8.
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Nel 1349 si passò sopra il ghiaccio da Stralsunda alla Danimarca.
Nel 1408 ara gelato l’intero mare tra la Gozia ed Oeland, e fra Rostock e Gezoer.
Nel 1423 si potè passare il mare a cavallo dalla Prussia a Lubeck; e da Mecklenburg fino alla Danimarca il mare era totalmente coperto di ghiaccio.
Nel 1426 l’inverno fu sì freddo, che si poté viaggiare sul ghiaccio da Danzica a Lubecca, e dalla Danimarca al Meklenburg.
Nel 1459 il baltico era gelato in modo, che si viaggiò a piedi ed a cavallo dalla Danimarca verso le città anseatiche, cioè a Lubecca, Brema, Wismar, Rostock e Stralsunda; anzi senza il minimo pericolo si traversò l’intiero mare da Revel nell’Estonia fino in Danimarca e nella Svezia, e vi si ritornò.
Nel 1461 seguì il medesimo caso.
Nel 1545 il mare fra Rostock e la Danimarca, e fra Funeu e Seeland, fu gelato in guisa, che vi passarono le slitte tirate da’ buoi e da’ cavalli(1).
(1) Le osservazioni di Forster sul suo viaggio intorno
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Nel gran freddo del 1709 il ghiaccio coprì il mar baltico sulle coste della Prussia in tanta distanza, che dalle torri più alte sulla spiaggia non si poté scoprire il fine. Il medesimo caso seguì più volte negli anni seguenti, e sino ai tempi moderni. Il sono della Botnia gela più frequentemente, ed ordinariamente si viaggia nell’inverno sulle slitte da Grisleham sulle isole di Alland, verso la Finlandia, per una estensione di 9 miglia geografiche; di queste se ne fanno 6 miglia sopra il ghiaccio senza toccar terra. Acerbi, il quale, unito a varie altre persone, fece questo viaggio nel 1799 sopra otto slitte, confessa che quivi si presenta all’occhio lo spettacolo più spaventoso, la di cui novità eccita dello stupore ne’ viaggiatori. Videro intorno a sé un immenso caos di punte di ghiaccio rappresentanti tutte le possibili forme e figure, e che faceva pompa colle più belle stalattiti di un colore verde turchiniccio. Durante il viaggio non incontrarono nissun uomo, nissun animale, nissun uccello, in somma né anche una sola
al mondo tradotte da Giorgio Forster, Berl. 1783. p. 69-72.
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creatura terrestre: l’immensa solitudine rassomigliava ad un deserto abbandonato dalla natura. Il silenzio di morte che quivi regnava era interrotto solamente dallo stridere del vento, che percuoteva le preminenti punte di ghiaccio, e qualche volta da uno scoppio violento, che nasceva dallo staccarsi di queste punte dalla loro base congelata. Tali pezzi staccati, spesse volte sono lanciati assai lontano, e nel mezzo delle fessure restano precipizi, sopra i quali si devono mettere delle tavole per passarvi, come sopra un ponte. L’unica specie di animali che quivi abitavano erano i vitelli marini ai quali le cavità nel ghiaccio servono di culle. Sì nudi come nascono sono posti sul ghiaccio, ed i maschi cercano di trovare un buco nella vicinanza, il quale per lo più riscaldano unicamente col mezzo del loro calore animale o coll’alito. Non di rado il freddo è quivi sì eccessivo, che il buco, dopo che n’è uscito il vitello marino, gela immediatamente; ed allora i contadini dell’isole vicine gli uccidono coi bastoni, prima che abbiano tempo di fabbricarsi un nuovo buco(1).
(1) Ved. Joseph Acerbi Travels trouh Sweden
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Gli sbocchi che il mar baltico si è procurato presso la Danimarca nel gran mare del nord, sono stati ultimamente aumentati ancora per un canale artificiale. Veramente poco conviene di farne qui menzione; ma siccome unisce due grandi mari, può essere riguardato come una cosa rara che veggasi sul globo. Questo canale comincia nel porto di Kiel, fra la città e la fortezza, e poco lontano da Holtenau, e va fino al lago di Flemhaed, ove si unisce col fiume Eyder ch’esce dal detto lago. L’Eyder di quando in quando viene spurgato, di modo che il canale continua pel suo mezzo fino a Rendsburg e Toenningen, ove l’Eyder isbocca nel mare del nord. La sua lunghezza dal mare del nord fino al baltico è di 27 ⅔ miglia geografiche, e la parte di tal canale scavata ad arte è di più di 5 miglia. Il canale è largo sul fondo 54 piedi, sulla superficie dell’acqua 90 piedi, ed è profondo 10 ½ piedi: è fornito di 6 chiuse magnifiche ed ottime, ciascuna delle quali costa 60 fino a
Finland and Lappmark. 1802 vol. I 4. p. 183 ed un estratto di tal opera con rami nel Museum des Wundervollen. vol. 2. quint. 4. p. 128. seq.
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70,000 talleri. Esso porta vascelli di 90 salme di commercio e più; è stato cominciato nel 1777, ed intieramente compito nel 1794; e dal momento che fu cominciato fino al 1788, vi erano già passati 5-4 vascelli.
Alla foce di questo gran mare estendesi l’oceano lungo le coste della Svezia e della Norvegia per 460 miglia fino a Bergen, ove finisce il mare germanico. Quivi, come nelle altre regioni della Norvegia, le alte montagne confinano immediatamente col mare; e siccome esse sono nude e prive di piantagioni, così presentano ai navigatori un aspetto assai orrido. I seni moltiplicati che quivi il mare s’è fatto nella terra ferma, sono sovente l’unica comunicazione ed unione che sussiste fra le rupi nude e le valli fruttifere che giacciono dietro di esse. Quindi sonovi molte bellissime valli senza poterne ricavare il minimo utile, perché il mare non ne offre l’accesso per mezzo di qualche seno. Queste valli sono chiamate nella Norvegia Uddale (valli inaccessibili). Le loro ricchezze, consistenti in legnami ed in fieno, non si possono avere per servirsene. In alcuni di questi seni il mare è assolutamente
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senza fondo. Nel seno di Floge, un miglio distante da Drontheim, si è cercato inutilmente il fondo con uno scandaglio di mille braccia(1). Sulle coste della Norvegia (che si estendono 300 miglia norvegesi)(2) le isole che quivi si formano per mezzo delle sinuosità e canali del mare, e le maggiori delle quali hanno 9 miglia di lunghezza, sono innumerabili. Alcune sono abitate da pochi pescatori e piloti, i quali posseggono poco bestiame, che distribuiscono sulle isole vicine, sugli scogli e su i banchi. Queste isole unite agli scogli e pilastri, che dalla profondità del mare innalzano a migliaia le loro teste in maggior o minor altezza sulla superficie dell’acqua, formano un parapetto eccellente contro qualunque ostile attacco. Questi medesimi scogli offrono cale, punte, isole, e porti in sì grande quantità e sì buoni, che niun altro paese può vantarne
(1) Pontoppidan, Storia della Norvegia. Tom. I. c. 3. § 3.
(2) 10 di queste miglia compongono un grado dell’equatore, e 300 miglia della Norvegia fanno 504 geografiche nostre a 15 miglia per grado.
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degli uguali. Ma un bastimento grande il quale non si può aiutare coi remi, è incerto di poter arrivare nel porto prima che il vento o le burrasche, che in quegli stretti sono assai violente, lo gettino sugli scogli vicini. Per evitare tali pericoli sono assodate in qua ed in là negli scogli, alcune braccia sopra l’acqua, centinaia di anelli grandi di ferro, particolarmente nelle vicinanze di Bergen, acciocché i vascelli vi si possano legare, in caso che non abbiano spazio sufficiente da poter cacciare sopra le ancore. I battelli e le balandre possono approfittare benissimo dei banchi e degli scogli per guadagnare un mare tranquillo, mentre questi scogli rompono le onde impetuose, e le privano di tutta la loro forza. Alcuni luoghi aperti, come il porto della città di Gederen, sono difficili per navigarvi, ed annualmente vi perisce qualche vascello; poiché le onde del mare occidentale, essendo spinte dalla burrasca contro gli scogli, producono il mare grosso ed il rompimento terribile di esso.
È pure sorprendente, che le baie di questa regione settentrionale non siano mai coperte di ghiaccio, mentre le meridionali
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nel Cattegat e le più ascose del baltico gelano. L’atmosfera intorno alle coste della Norvegia resta sempre piovosa e nuvolosa, mentre nelle regioni più meridionali, a Parigi ed a Vienna regna un freddo considerabile. I porti di Amsterdam, d’Amburgo, di Coppenhagen e di Lubecca gelano dieci volte, mentreché quelli della Norvegia gelano una sola; fenomeno che in un secolo non accade né anche due o tre volte. Queste parti permettono l’accesso ai navigatori ed a’ pescatori in tutto il tempo d’inverno tutte le cale, i seni, e le curvature del mare sono coperte sì rare volte di ghiaccio, che quivi durante l’inverno si fa la pesca più importante. Il mare nell’inverno è aperto come nell’estate, fuorché in que’ siti ove i torrenti corrono più nell’interno, verso Filefield, ed ove spira dalla terra un vento acuto ed asciutto dal nord-est. Senza questa temperatura placida in tempo d’inverno, le coste della Norvegia non sarebbero abitabili. Quasi tutti gli abitanti della Norvegia passano i mesi di gennaio e di febbraio sul mare aperto per pescare e salare le aringhe ed i merluzzi cacciati verso terra dalle balene, o quando essi si dirigono verso l’alto
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mare. L’intero commercio di Bergen, di Christiansand e di Drontheim consiste nella pesca; la pesca più abbondante fu negli anni dal 1740 al 1756. Se il mare della Norvegia gelasse, non solamente sarebbe più difficoltosa la pesca, ma benanche sarebbe impossibile il salare i pesci; e volendo aspettare un tempo più dolce, i pesci infraciderebbero. Gl’inverni terribili del 1708, 1740, 1785 e 1799 non impedirono punto ai Norvegesi di continuare il loro mestiere; e con sorpresa intesero le notizie delle gazzette, che annunciavano i freddi eccessivi degli altri paesi.
Più sovente gela il mare occidentale, o sia Cattegat. Nel 1294 fra la Norvegia e la Danimarca era gelato in modo, che si viaggiava da Oxlo nella Norvegia a Jutland(1). Anche nel 1408 era coperta questa parte del mare del nord di tanto ghiaccio, che i lupi corsero da un regno all’altro(2). La situazione più critica sarà stata nel 1461,
(1) Strelov. Chron. Juthiland. p. 148.
(2) Saemund Frode ap. Thormod. Torfaeuin serie Dynast. Regum Daniae. Hafn. 1705, pagina 41. 4.
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perché, secondo Nicolaus Marschallus(1), era allora gelato non solamente il mare baltico fino all’estremità di Thule (la Svezia e la Norvegia), ma l’oceano ancora fino alle isole Orcadi era generalınente coperto di tanto ghiaccio, che durante l’intero inverno si trafficava per mezzo di carri da trasporto sul medesimo.
Passato il capo Nord, si presenta la parte del mare settentrionale, chiamata a giusto titolo mare glaciale, il quale occupa una estensione finora sconosciuta. La maggior parte è deserta e vota; mentre cominciando dalle sue coste meridionali, dalle coste dell’Europa e dell’Asia fino al polo, è ripieno unicamente di ghiaccio eterno: e fuori delle isole Spitzbergen e Nuova Zembla (Novaja Semulja), non rinchiude alcun’altra isola conosciuta. Esso abbraccia il polo da tutti i lati, e pare che sulla parte occidentale del
(1) In annal, herul. ap. VVestphal. Tom. I. p. 261. Tanta erat hiems, ut concreto gelu oceano, plaustris millia passuum supra CCC. merces ad ultimam Thilen et Orcades veherentur e Germania.
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globo estenda più il suo tristo dominio, che sulla orientale che noi abitiamo.
Dal capo Nord, ch’è la punta più settentrionale dell’Europa, posta al grado 72 ½ di latitudine, piegasi la costa della terra ferma moltissimo verso il mezzogiorno fino al 69° di latitudine. Quivi il mare glaciale forma quel grande seno, chiamato da noi il mare bianco, la di cui costa discende fino al 63° di latitudine. Questo seno si avvicina moltissimo al lago Onega, al quale facilmente potrebbe essere unito. Esso per lo passato comunicava certamente col seno della Botnia, ed in oggi, per mezzo di fiumi e di laghi, n’è poco distante. Un seno del mare bianco penetra talmente in linea retta verso il nord nella Laponia Russa, che quasi vi forma un’isola. Alla punta meridionale del seno si trovano varie isole, cioè Saiawezkoi, Auserskoi, Ostrow e Medweze Ostrow (isola degli orsi). La via per arrivare a questo mare la scoprì l’inglese Richard Chancellor nel 1553 per un accidente molto felice. Dall’Inghilterra furono spediti tre vascelli sotto il comando di Hugo Willoughby, per cercare in questo mare un passaggio nella China e nelle Indie orientali:
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orientali: due di questi vascelli, sui quali si trovò egli medesimo, necessitati dal freddo rigore dell’inverno, dovettero entrare nel porto di Arcina Keca, situato nella Laponia Russa. Quivi sopra una costa burrascosa e disabitata, la quale, a cagione della pesca, è visitata unicamente in tempo d’estate, egli gelò coll’intero equipaggio di ambedue i vascelli, di settanta uomini in tutto. In questa posizione fu ritrovato da alcuni pescatori russi nella capanna col suo giornale e diversi altri scritti posti accanto a lui. Il terzo vascello, sul quale si trovava Chancellor, si salvò entrando nel mare bianco, ove fin allora non era stato alcun altro bastimento. Da quel tempo in poi si stabilì nel piccolo forte di Archangel il deposito generale di tutto il traffico estero colla Russia, fino alla fondazione di Pietroburgo(1). Anche il mare bianco può essere considerato come mediterraneo, poiché viene formato da tredici fiumi considerabili, che in esso
(1) Hackluyt navigations. pag. 259. Anderson, storia del commercio da’ tempi più antichi fino ai giorni nostri. Tom. 4 pel 1553.
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scaricano le loro acque. Avanti la sua entrata la giace l’isola Candenos, poco lontana da questa verso l’est l’isola Kolgow, e verso il mezzogiorno di essa il seno Czeskoi, nel quale sboccano sette od otto torrenti minori. La punta di terra che si avanza verso l’est per chiudere questo seno, gira subito dopo verso il mezzogiorno, per formare quel seno di mare nel quale sbocca il Petschera, ed ove l’acqua non è salata, per cui pare essere nato solamente dalla confluenza dei fiumi e de’ torrenti. Dopo questo seno la costa s’innalza a poco a poco fino al 69° di latitudine, ma subito dopo ripiega e forma un piccolo seno, il quale al più entra 18 a 20 miglia nella terra ferma: questo non è formato dalle correnti provenienti dai fiumi, ma appartiene immediatamente all’oceano. Mentre la costa orientale che a questo seno prescrive i confini si avanza fino al 70 grado, forma coll’isola Waigatz che le sta incontro, e dietro la quale giace la vasta ma deserta Nuova Zembla, lo stretto di Waigatz, la di cui lunghezza non giunge ad 8 miglia: quasi tutto il tempo dell’anno è chiuso da ghiaccio, e con molto stento si passa per questo stretto nel mare opposto, poiché
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il passaggio fra Waigatz e la Nuova Zembla non è punto meno coperto di ghiaccio. I cacciatori russi che partono per la Nuova Zembla alla caccia de rosmari, de’ vitelli marini, delle volpi polari (lagopi) e degli orsi polari (maritimus glacialis), chiamano il passaggio fra la terra ferma e Waigatz Jugorskoi Schar. Il mare nel quale si entra per mezzo di questo stretto è vasto, 200 miglia lungo e 6o in 70 miglia largo, e si può considerarlo come un mare mediterraneo, poiché verso il nord è confinato dalle due isole di Nuova Zembla, le quali dal 74, fino al 78° di latitudine corrono dal sud-ovest al nord-est per quasi 7°. Sotto il 70° queste isole son divise da un braccio di mare, che dal nord-ovest corre al sud-est, e che finora non è stato mai veduto senza ghiaccio, e perciò creduto innavigabile. Verso il nord-est giace il promontorio del Desiderio, e subito più basso il porto di Heemskerk, nome datogli dall’olandese Heemskerk, il quale nel 1596 dovette quivi passare l’inverno. Nuova Zembla è mancante di legna e di arbusti, ed il regno animale è parimenti povero. Altri animali non si veggono che quelli i quali abbiamo qui sopra accennati,
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e nell’estate vi compariscono pochissime specie di uccelli. L’isola, essendo deserta, viene visitata unicamente da Russi e Samojedi in tempo d’estate a cagion della caccia; ma alle volte i cacciatori sono sorpresi sì inaspettatamente dall’inverno, che devono passarvi il tempo della stagione più rigida. Il freddo non vi sarebbe maggiore di quel ch’è a Spitzbergen, posto nella medesima latitudine, se non giungesse un vento del nord, il quale tutt’ ad un tratto, e come in un batter d’occhio, distrugge tutto il calorico vitale. Verso il mezzogiorno si estende il mare dentro terra fino al 18 grado di latitudine, ed è confinato da una costa che corre fino al 72°, chiamata dai Samojedi Jalmal, e dalla piccola isola Bieloi sotto il 78 di latitudine: questo mare è nominato Kara dal fiume Kara (in russo Karskoe More). Fin qui è stata conosciuta la navigazione fino dal principio del 16 secolo. Gli abitanti di Archangel, Kolmogori, Mesen ecc. quasi annualmente viaggiano alla Nuova Zembla per la caccia; anzi hanno intrapresa la navigazione verso l’imboccatura del fiume Oby, e verso Mangasea o Turuchunsk solto il 66° di latitudine e il 107 di longitudine, ove il
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Turuchan entra nel Jenisei. Essi per altro non navigano intorno alla punta di Jalmal, ma si dirigono contro la corrente del Mutnaja, fiume che sbocca nel seno di Kara, nel qual tragitto impiegano otto giorni, finché giungono ad un lago ove il fiume prende l’origine, e che si passa in una giornata: poi le piccole barche, ovvero cajuchi, delle quali si servono per questo tragitto, sono tirate per terra nella distanza di 200 tese, o, come vogliono alcuni altri, 3 werste, fino ad un altro lago dal quale il fiume Selenaja, o, come vien indicato sull’Atlante della Russia, il Tylowka sbocca nel seno marittimo dell’Oby. Le barche che si trascinano per terra, essendo troppo pesanti, sono scaricate onde potere trasportarle con maggior comodo, e poi si trasportano egualmente le merci da un lago all’altro. Siccome questa operazione costa molta fatica, si riunisce ordinariamente un certo numero di barche in questo tragitto per aiutarsi scambievolmente. Essendo poi arrivati al Selenaja (Tylowka) si abbandonano alla corrente; ma questo fiume avendo molti siti di basso fondo, quelle barche che veleggiano, pescando troppo acqua, devono essere scaricate per
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trasportarle nuovamente per terra. Così passano 10 giorni prima di arrivare al seno marittimo dell’Oby. Alcuni poi si dirigono verso Obdorskoi-Gorodok, all’imboccatura dell’Oby; ma il maggior numero veleggia più in alto verso l’imboccatura del Tass: da questo passano nel Turuchan, portando le barche per terra, ove questi fiumi sono più vicini tra loro, ed in questo modo arrivano alla fortezza di Mangasea(1), o , come si chiama in oggi, Turuchansk, la di cui forza consiste nel non temere alcun nemico. Questa è fabbricata di legno, ha alcune torri e feritoie, e le poche case che vi sono restano assai distanti l’una dall’altra. Dunque dalla punta di Jalmal, che verso l’est rinchiude il mare di Kara, incominciano le penose scoperte dei Russi riguardo al mare glaciale.
Lungo questa punta di terra fece vela Murawiew nel 1735 fino al 72° 30’ di latitudine, e poi fu continuato questo viaggio da Malygin, e da Skuratow. Essi fecero vela intorno alla punta più settentrionale, e
(1) Mueller Sammlung russischer Geschickten. 8 vol. pag. 145-147.
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vennero nel 1738 nel seno marittimo dell’Oby; di modo che per questo il passaggio intorno alla punta di terra può essere riguardato come interamente scoperto e stabilito. La lunghezza del tempo dà l’idea della penosa loro navigazione. Il seno dell’Oby in diverse cale va fino al 66 grado di latitudine dentro terra, passa all’ovest per ricevere il grande Oby; ed un’altra cala occidentale sotto il 69 grado di latitudine riceve il fiume Tass: la costa orientale s’innalza fino al 73 grado per formare il seno ove sbocca il Jenisei.
Nel 1735 fece vela Owzin dal seno dell’Oby con un bastimento lungo 70 piedi, e largo 15, costruito a bella posta per passare più facilmente tra i banchi di ghiaccio. Nella prima estate non poté avanzarsi più lontano del 70 grado, ed a cagione del freddo e del ghiaccio si vide necessitato di ritornare a Beresow. Nell’estate seguente arrivò solamente al 69 grado all’imboccatura del fiume Tass. Nella terza estate ritornò dal 72° 30’, dubbioso di trovare un passaggio nel mare glaciale. Nel 1738 gli fu spedito in aiuto Koschelef con un battello; ed ambedue facendo vela intorno alla punta di Matzol,
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arrivarono felicemente nel seno di mare del Jenisei.
Nel medesimo anno 1735 tentò, ma inutilmente, Teodoro Minin di partire dal Jenisei per andare ad incontrare un vascello, il quale era destinato a far vela dal Lena che giace più verso l’est. Minin dovette dirigersi in linea retta verso il nord fino al 73° 15’, prima che potesse dirigersi verso l’est, a cagione della terra ferma che si estende moltissimo. Quando arrivò in quel sito ove il fiume Piaesida sbocca nel mare, si vide necessitato di ritornare indietro per l’impedimento de’ grandi pezzi di ghiaccio, i quali assolutamente non permisero alcun tragitto. Non altrimente accadde al vascello che fece vela dal Lena, e che fu destinato a dirigersi verso l’ovest; e benché fosse uscito ai 27 di luglio nel 1735, ciò non ostante non si avanzò di più che fino all’imboccatura del fiume Olenek. L’abile tenente Prontschischtschen che condusse il vascello, si diresse alcune werste contro il fiume, ove trovò un villaggio russo nel quale passò l’inverno. Nella prossima estate proseguì il viaggio, e navigò davanti le foci de’ fiumi Anabara a Chalanga, l’ultimo de’ quali sbocca
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in un seno lungo e stretto, la di cui costa orientale si estende fino al 74° 30’, e l’occidentale s’innalza continuamente verso il nord ovest. Prontschischitschen, malgrado di tutti i più grandi sforzi, non poté arrivar a passare intorno la punta di esso. Egli giunse, ma non interamente, fino all’imboccatura del fiume Taimura. Quivi trovò avanti di sé una fila d’isole, che dalla terra ferma s’estendono nel mare verso il nord-ovest, cioè, verso la costa nord-est di Nuova Zembla, e che rinchiudono quasi il bacile di quella parte del mare glaciale che giace dietro il mare di Kara, il quale comprende il seno dell’Oby, quello del Jenisei, e confina verso l’ovest colla costa di Jalmal. Frammezzo a queste isole trovò il mare pieno di ghiaccio, e qualunque passaggio parve essere impossibile. Prontschischtschen però giudicò, che facendo vela lungo l’isole verso il nord, s’incontrerebbe alla fine di esso un mare libero; ma si trovò in inganno. Egli s’avanzò fino al 77° 25’, e trovò avanti di sé un ghiaccio sì duro, che videsi costretto d’abbandonare ogni speranza di potersi inoltrare di più. Tanto egli quanto la sua sposa avendo abbandonato il quartiere d’inverno
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mentr’erano ammalati, morirono in pochi giorni uno dopo l’altro, ritornati che furono nel fiume di Olenek ai 29 di agosto. In vece sua fu spedito nel 1738 Laptiew, coll’ordine di scorrere le coste per terra se non gli fosse stato possibile di continuare la sua navigazione. Il viaggio per mare tentato dal medesimo nel 1739 incontrò gli stessi ostacoli che obbligarono il suo antecessore di ritornare in dietro. Egli dunque dovette contentarsi di scorrere la costa per terra, e la parte del littorale che s’estende dal Piaesida fino passato il Taimura, la quale comprende la punta più settentrionale dell’antico continente, e che si estende fino al 78 grado di latitudine, né finora stata visitata per mare.
Fino dal 1636 erasi già tentato dalla parte del Lena di visitare il mare verso l’oriente, ed a poco a poco si erano scoperti i fiumi Jana, Chroma, Indigirka, Alaseja, Tschukotsch, Kolyma. Il primo tragitto che si tentò, dal Kolima verso l’est, fu intrapreso nel 1616 da una compagnia di volontari. Essi trovarono il mare pieno di ghiaccio, ma però fra il ghiaccio e le terra ferma v’era la corrente libera, ed in questa
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s’avanzarono 24 ore senza interruzione. Una cala nel mezzo degli scogli della spiaggia gl’indusse ad entrarvi. Quivi incontrarono alcuni Tuschktschi co’ quali contrattarono de’ denti di rosmari, ed indi ritornarono a Kolyma: Nell’anno seguente Deschnew fece vela con quattro vascelli per cercare il fiume Anadir, che sbocca nel mare sulla parte orientale dell’Asia sopra Kamschatka, e ch’egli credeva che sboccasse nel mare glaciale verso il nord. Ma il mare era sì pieno di ghiaccio, che non era possibile di passarvi. Nel 1648 fecero vela 7 Kotscke del Kolyma verso l’est: ciascuno di questi bastimenti aveva 30 uomini di equipaggio: quattro Kotsche si perdettero in modo, che mai più se n’è avuta la minima notizia.
Sembra che Deschnew sia stato l’unico che compì veramente il tragitto. Siccome il mare nel detto anno fu libero di ghiaccio, caso però rarissimo, così nel suo giornale non fa punto menzione di quanto gli è accaduto finché arrivò alla gran punta di terra dei Tschuktschi. Egli la descrive con poca chiarezza, e pare che parli solamente di quel promontorio che comincia sotto il 187° di longitudine e 73° 30’ di latitudine,
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chiamato promontorio Szelatkoi ovvero Tschekatskoi. «La punta di terra, dic’egli, è affatto differente da quella che si trova presso il fiume Tschuketschia (sulla parte occidentale del fiume Kolyma). Essa giace fra il nord e nord-est, e gira in forma circolare verso l’Anadir sulla parte della Russia (cioè la parte occidentale), e sbocca per segno un torrente nel mare, presso il quale i Tschuktschi hanno eretta una specie di torre colle ossa di balena. Incontro alla terra (probabilmente intendesi l’occidentale, ma ciò non è indicato) giacciono du[e] isole nel mare, sulle quali abbiamo vedute uomini della nazione dei Tschuktschi, i quali portavano nelle labbra traforate denti del rosmarus. Dalla punta di terra fino al fiume Anadir, avendo un vento buonissimo, credo che si faccia il tragitto in tre giorni, ed il viaggio per terra non importerà molto di più, poiché l’Anadir sbocca in un seno di mare».
In questa punta di terra naufragò una delle Kotsche di Deschnew, e glie ne restarono solamente due. Egli subito, dopo aver fatto vela da questa, perdette di vista una delle Kotsche; egli stesso fu cacciato dal vento
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e dalle onde in qua in là; e per quanto possiamo congetturare dalle sue notizie, naufragò più verso il mezzogiorno dell’Anadir. Egli dunque si risolvette di cercare questo fiume per terra, e facendo il viaggio a piedi, lo trovò dopo 10 settimane. In questo cammino non incontrò né salvaggiume per fare la caccia, né alcuna traccia di uomini. Molte delle sue genti morirono di fame, e dopo qualche tempo seppe che la sorte dell’equipaggio dell’altra Kotsche era stata assai trista, mentre parte perì di scorbuto, parte fu uccisa, e pochi si salvarono sopra dei battelli, dirigendosi verso Kamschatka.
Qualunque altro tentativo che si è fatto dopo la partenza di Deschnew da Kolyma, per navigare intorno alle coste, è mal riuscito. Nel 1650 s’intrapresero ancora due viaggi per mare unitamente. Goreloi che condusse uno de’ bastimenti, facendo vela dal Lena nel mese di giugno, non s’avanzò più oltre del Chroma sino alla fine di agosto. Quivi, secondo il calcolo del suo equipaggio, il bastimento fu arrestato dal gelo in distanza di due giornate di cammino dalla terra ferma, supposto che avessero potuto navigare sopra il ghiaccio. Ma il ghiaccio
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ruppesi a cagione del vento, che durante 10 giorni gettò la Kotsche ancora più in alto mare. Essa naufragò tra le masse di ghiaccio, e con infinita pena si salvarono finalmente gli uomini sopra queste masse fino all’Indigirka. Più infelice ancora fu l’altra compagnia. Essendo sul punto di far vela, ai 2 di luglio un vento forte di mare cacciò masse considerabili di ghiaccio verso terra, forzando in tal guisa i viaggiatori a fermarsi quattro settimane di continuo. Dipoi, essendo il vento divenuto favorevole, s’avanzarono al principio di agosto un poco verso l’est. Ma nel primo braccio del Lena incontrarono nuovamente ghiaccio, fra il quale per otto giorni di continuo navigarono in balia de’ venti, e per due giorni di seguito dovettero rompere il ghiaccio avanti di loro per riguadagnare almeno una delle isole all’imboccatura del Lena.
Finalmente parve il mare essere libero dal ghiaccio; ma appena si furono avanzati tanto, quanto in principio del mese di agosto, che videro di nuovo avanti di loro grandissimi pezzi di ghiaccio, coi quali andarono alla deriva quattro giorni continui. Non vi restò speranza d’avanzarsi; onde pensarono
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solamente a distaccarsi dal ghiaccio ed a ritornare verso il Lena: questo finalmente riuscì, quantunque costasse moltissima difficoltà. All’imboccatura del Lena trovarono varie Kotsche pronte a far vela. Poco tempo dopo si levò un vento di terra, che allontanò un poco il ghiaccio dal continente. Essi in compagnia di queste Kotsche tentarono un’altra volta il tragitto; ma arrivando sul luogo qui sopra descritto, e da loro già due volte visitato, trovarono nuovamente il mare pieno di ghiaccio. Con fatica passarono un canale stretto, il quale divide un’isola dal continente, poiché lo doverono aprire a colpi d’asce, e tirare le Kotsche, ed in tal guisa a grande stento giunsero al Jana. Quivi un vento di mare tutt’ad un tratto condusse insieme sì gran quantità di ghiaccio, che le Kotsche quasi furono schiacciate: essendo però la costa del mare glaciale inclinata in questi contorni in modo, che i pezzi di ghiaccio che restano profondamente sott’acqua non possono avvicinarsi molto alla spiaggia, passarono con fatica accanto alla terra senza incontrare ulteriori ostacoli, ed ai 29 d’agosto raddoppiarono la punta, creduta sempre il sito più difficile da oltrepassarsi a
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cagione della sua posizione settentrionale. Tal punta per questa ragione, fu chiamata Swaetoi Noss (Switoi, promontorio santo), e giace sotto il 175 grado di longitudine ed il 74 grado di latitudine.
Il giorno seguente arrivarono al seno nel quale sbocca il Chroma, e poterono trovarsi quasi incontro all’imboccatura del fiume, quando ai 31 di agosto il mare gelò interamente. Quelli che si trovarono più vicini a terra, e ch’ebbero un braccio di fondo, sperarono, quando il ghiaccio fosse forte abbastanza, di portare il loro equipaggio sulla costa. Ma nel giorno seguente si levò un vento di terra, il quale ruppe il ghiaccio ch’era della grossezza di un mezzo palmo, e cacciò le Kotsche in alto mare; questo durò cinque giorni. In seguito, succeduta la calma, gelò l’intero mare in una notte, e la terza giornata si poté camminare sul ghiaccio. Indi spedirono gente a cercare la strada più corta per andare a terra; e per essere più vicini alla sponda, si decise di portare i viveri e l’equipaggio sulla Kotsche meno distante dalla terra. Mentre tutto era pronto, s’accrebbe rapidamente l’acqua: il ghiaccio grosso di una mezza auna ruppesi, e
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cacciò le Kotsche ancora più in alto mare con tanta velocità, come se facessero vela col vento più favorevole. Questo durò cinque giorni. Il vento cessò, e le Kotsche furono arrestate per la terza volta dal ghiaccio. L’equipaggio andò in disperazione. Per fuggire alla ruina sicura tutti abbandonarono le Kotsche, saltarono da un pezzo di ghiaccio sull’altro, gettandovi prima i viveri, e poi passarono con bastoni e corde sopra le spaccature, e sulle alture dei banchi di ghiaccio. Le Kotsche abbandonate, prima ancora di perderle di vista, furono schiacciate dal ghiaccio. Finalmente abbattuti dallo scorbuto, dal freddo, dalla fame e dalla sete, giunsero a terra poco distante dall’Indigirca(1).
I più recenti tentativi per conoscere questa parte del mare glaciale, il quale a buon dritto si chiama il mare santo(2), poiché non vi si può navigare, sono stati ancora più penosi, ed egualmente non sono riusciti meglio degli antecedenti. Nel 1711 si sono fatte due spedizioni dal Jana e dal
(1) Mueller Samml. russisch. Gesch. vol. 3 p. 6-26.
(2) Mueller, cap. 1 pag. 41.
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Kolyma per innoltrarsi più nell’interno del mare settentrionale, e per esaminare le isole che giacciono incontro alla costa. Non potendosi far uso né dei vascelli né dei battelli, si fece il viaggio in Narti (specie di slitte) tirate da’ cani. La prima compagnia seguitò le coste fino a Swiaetoi Noss, e di là si diresse verso il nord; ma appena ebbe compito il viaggio di una giornata, le sopravvenne la burrasca e la bufera, la rese confusa in modo, che uno perdette l’altro; sette persone della compagnia giacquero due giorni di continuo frammezzo i pezzi di ghiaccio, e dopo vagarono intorno per dodici giorni sul ghiaccio stesso, finché trovarono finalmente terra fra Swiaetoi Noss, ed il fiume Chroma. Essi vollero andare sul Chroma per pescare, ma, strada facendo, furono assaliti da tal fame, che prima mangiarono i cani che li tiravano, e poi dovettero nutrirsi di sorci ecc. Quindi ritornarono sulla spiaggia del mare, e quivi prolungarono miseramente la loro vita con pochi pesci, con oche salvatiche, con anitre e uova di questi animali. La memoria della fame sofferta, ed il timore di dovere intraprendere un secondo viaggio per incontrare forse
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ancora maggiori disgrazie, esacerbò la società in modo, che uccise il condottiere, il suo figlio, e due altre persone, e si diresse poi verso l’interno della terra, ove esaminandosi appresso il loro delitto, s’ebbero delle spiegazioni e de’ rapporti assai dubbiosi.
La stessa riuscita ebbe la seconda spedizione dal Kolima. Questa doveva essere composta di 50 uomini imbarcati sopra due bastimenti, ma s’imbarcarono solamente 22 sopra uno Schitiki. Egli è questo una specie di battello, ove le tavole sono fermate con coreggie, e quasi cucite; suol essere lungo 5 braccia e largo 2; ha una coperta, un fondo piatto, ed è stoppato di musco. Le vele consistono in pelli di renna morbidamente conciate: in luogo dei capi si si usano coreggine fatte colla pelle dell’alce. Le ancore sono di legno, cui si legano delle grosse pietre. Di questi bastimenti si fa uso non solamente sopra i fiumi, ma benanche sulle coste del mare.
Il progetto di fare il tragitto nelle Kotsche, come bastimenti propriamente destinati per la marina, si abbandonò intieramente. Questo Schitiki giungendo alla prima punta
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di terra occidentale, incontrò sì grande quantità di ghiaccio fermo, che non fu possibile di passarvi in alcun modo. Un vento forte di mare lo rispinse indietro, e l’equipaggio si contentò di aver salvata la vita.
Nel 1714 si fecero due nuove spedizioni dai medesimi fiumi, cioè dal Jana e dal Kolyma. Markow, che fece vela dal Jana, non poté in alcun modo continuare il viaggio per mare, né anche co’ bastimenti costruiti apposta per quest’intrapresa. Quindi nel mese di marzo 1615 partì unito ad altre nove persone sopra Narti tirati da’ cani: viaggiò in sette giorni sì presto quanto gli fu possibile (col tempo buono e colla strada comoda si fanno coi cani 100 werste in una giornata), e si diresse addirittura verso il nord; ma quivi non iscoprì terra né alcuna isola. Fu impossibile potersi innoltrare di più, giacché il ghiaccio s’innalzava nel mare a guisa di montagne scabrose. Egli montò sopra una di queste montagne, poste sotto il 77 o 78 grado di latitudine; e fin dove si estese la vista, altro non iscoprì che ghiaccio. La mancanza di nutrimento pei cani sforzò tutti a ritornare; molti di questi animali perirono al ritorno di fame,
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e la carne loro servì di nutrimento agli altri cani, finché ai 3 di aprile arrivarono col massimo stento sulla spiaggia. Dell’altra società non abbiamo alcuna notizia(1).
Qualunque altra intrapresa riguardo alle scoperte del mare settentrionale ebbe le stesse tristi conseguenze. Ciò non ostante nel 1735 fu spedito il tenente Lassenius dall’imboccatura del Lena per cercare un tragitto per mare verso Kamschatka. Egli fece vela ai 7 d’agosto, ma a cagione de’ venti contrari, della nebbia, e del ghiaccio fluttuante, com’anche d’una quantità di neve cadente, si vide necessitato a cercare un porto, onde stabilirvi il quartiere d’inverno. Questo non riuscì comodo che sino ai 19 di agosto, giornata nella quale finì questa navigazione; poiché Lassenius fece scala nel fiume Caraulach, il quale sbocca nel medesimo seno di mare ove entra quel braccio del Lena, da cui Lassenius fece vela. Sulla riva di questo fiume, una werst dall’imboccatura, trovaronsi alcune antiche abitazioni dei Jakutzki, accanto alle quali fece
(1) Mueller Sammlung, Tom. 3 pag. 34-42.
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Lassenius costruire una grande caserma con varie divisioni, per passarvi l’inverno unitamente alla sua gente. Tutti furono quivi attaccati mortalmente dallo scorbuto, di modo che di cinquantadue persone, nove solamente restarono in vita; sei uomini furono a princiріо dell’arrivo spediti nell’interno della terra con un rapporto. Durante il quartiere d’inverno, ai 6 di novembre si vide il sole per l’ultima volta, e non ricomparve che ai 19 di gennaio. Ai 19 di maggio cominciò il ghiaccio a rompersi sul fiume Caraulach.
Lassenius calcolò l’altezza del polo di questo luogo a 71°, 28’; ma il tenente Laptiew, il quale nel 1736 vi fu spedito per rimpiazzarlo con gente fresca, la calcola a 71°, 11’. Laptiew non poté far vela prima del 15 di agosto, giacché allora parve il mare essere libero dal ghiaccio. Egli per arrivare più presto a Swiaetoi Noss, prese la direzione dritta verso il nord-est; ma dopo un viaggio di due giorni trovò sì grande quantità di ghiaccio fermo all’est ed al nord, che abbandonò ogni speranza d’innoltrarsi di più. Egli volle ritornar verso il Lena, ma presto si vide circondato dal ghiaccio alla parte del sud-ovest, ed il mare restò libero
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solamente per quattro rombi di vento. Ciò non ostante arrivò ai 23 d’agosto all’imboccatura del Lena, ove a cagione della quantità di ghiaccio prese il quartiere d’inverno, durante il quale si giunse ad evitare lo scorbuto col mezzo d’una massima cura ed attenzione. Nel 1739 ai 29 di luglio Laptiew si mise nuovamente in mare. Ai 19 di agosto arrivò allo Swiaetoi Noss, ed alla fine del mese, all’imboccattura dell’Indigirka. Quivi l’inverno divenne sì rigoroso, che il vascello fu fermato dal ghiaccio. Laptiew non poté entrare in nessuna imboccatura dell’Indigirka, poiché in tutte v’era basso fondo. La burrasca sciolse il vascello nuovamente dal ghiaccio, e lo cacciò in alto mare; ove, sessanta werste incirca da terra, fu ancora arrestato dal ghiaccio. In questa situazione ad altro egli non attese che a portare in terra l’equipaggio ed i viveri, ed abbandonò il vascello alla buona fortuna. Nella seguente estate Laptiew fece vela con un piccolo bastimento lungo le coste, verso il fiume Kolyma; ma siccome l’innoltrarsi di più, tanto per terra quanto sulla costa, non era cosa prudente per via dei Tschuktschi, così
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Laptiew si avviò per terra verso Anadirgkoi(1).
Anche nel 1761 fu spedito Schalaurof per fare un nuovo tentativo. Egli sostenne d’essersi avanzato fino al più rimoto promontorio settentrionale di Tschaelatschka, intorno al quale è passato solamente Deschnew. Dopo la seconda intrapresa, per cercare di navigare intorno a questo promontorio, o almeno per arrivarvi, Schalaurof non è ritornato mai più: è probabile che sia perito nel ghiaccio, oppure che sia stato ucciso con tutta la sua gente dai Tschuktschi(2).
Nel 1786 il commodoro Giuseppe Billings, per ordine dell’imperatrice Catterina, dovette visitare il fiume Kolyma, e le coste del mare glaciale. Egli passò l’inverno a Vischni Kovima a 65°, 28’, 25” di latitudine, ove il termometro di Reaumur essendosi abbassato al 18° sotto lo zero, si poterono
(1) Mueller Sammlung russisch. Gesch., tom. 3 pag. 151 seqq.
(2) Ved. Account. of the Russien discoveries between Asia and America by William Coxe , London 1980: e Pallas noerdl. Beytraege: vol. I, pagina 485 seqq.
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passare tutti i fiumi a cavallo. In principio di novembre il freddo cominciò ad essere insoffribile, ed il mercurio gelo ne’ termometri, e quelli a spirito di vino caddero fino al 41 ¼ grado sotto lo zero. Impossibile fu di tagliare la legna non affatto secca. Ne’ giorni più freddi si spaccarono le ascie come se fossero state di vetro, per il che fu inevitabile di tralasciare per qualche tempo il lavoro. Uscendo dalla stanza calda, non potevasi traspirare che per mezzo di un fazzoletto tenuto avanti la bocca; e fuori di casa, a cagione del respirare e del traspirare, si era circondati da un’atmosfera densa, la quale subito si cangiava in brina. Il respiro produceva un rumore come quando si lacera un pezzo di carta forte. Durante questo freddo pertanto la gente che Bellings condusse seco, dovette costruire i bastimenti per navigare sul mare glaciale. Ai 12 di marzo si fecero vedere per la prima volta le allodole della neve, cosa che produsse una grande consolazione tra que’ viaggiatori. Ai 29 cominciarono le cicogne a dirigersi verso il nord, e le oche e le anitre erano già comparse alcuni giorni prima. Quindi accrebbero le sussistenze, per difetto delle quali la
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gente soffrì moltissimo. Ai 15 di maggio cominciò il ghiaccio a sciogliersi sopra i fiumi, ed ai 25 Billings fece vela da Kovima superiore, e navigò colla corrente del fiume. Ai 19 di giugno arrivò egli a Kovima inferiore, sotto il 68° 17’ 14" di latitudine settentrionale e il 157° 10’ di longitudine occidentale, luogo il più settentrionale della Russia, nella di cui vicinanza si trovò ancora il quartiere d’inverno di Schalaurof, il quale, secondo gli ordini, dovea visitare la costa settentrionale, e navigare intorno al promontorio Sheletskoi, ove non è giunto mai. Ai 25 di giugno, spirando un vento di nord ovest, si levarono le ancore, e si prese la direzione verso il nord-est, ove l’aria fu ripiena di una nebbia assai densa: quivi comparve il primo ghiaccio fluttuante. Alle ore cinque i bastimenti furono circondati intieramente dal ghiaccio in modo, che dovettero ritirarsi verso la spiaggia, ove gettarono l’ancora su d’un fondo di 2 braccia. Sulle sponde videro quattro orsi neri, incontro a’ quali furono spediti de’ cacciatori, cui non riuscì di poterli raggiungere. Ai 2 di luglio il vascello maggiore fu nuovamente circondato da grandi masse di ghiaccio, e perdette di vista il Loggre
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(specie di bastimento ) che l’accompagnava. Il ghiaccio era in sì gran quantità, che non fu possibile di potersi avanzare. Siccome il mare avea solamente sette braccia di fondo, credettero esser vicini alla terra ferma. Il vento fu forte, ma il ghiaccio tenne il mare tranquillo. Billings temette che il gelo arrestasse il vascello, e particolarmente stette in pena pel Loggre, il quale fu costruito più leggero. Alle otto uscirono dal ghiaccio, e verso mezzogiorno il vascello entrò in una baia, la quale fu chiamata baia de’ Lupi, poiché sulle montagne si osservarono alcuni di questi animali. Ai 4 di luglio si ritrovò il Loggre. Calcolando ai 4 in questa baia la latitudine, la trovarono di 69° 27’ 43’’. La mattina de’ 7 spedì Billings un battello intorno al promontorio Baranoskamen per esaminare lo stato del ghiaccio; e l’uffiziale incaricato di questa spedizione riferì, che il ghiaccio si estendeva fino alla spiaggia, e che non restava alcuna speranza di passarlo; e Billings visitando il promontorio a piedi, si persuase della verità del rapporto. Egli scoprì una grande quantità di oche sopra un lago, e trovò due denti angolari del
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Mammouth, il maggiore de’ quali pesava 115 libbre inglesi. Ai 18 fu eretta una croce in un luogo elevato, ed ai 19, essendo il mare un poco libero dal ghiaccio, si fece vela lungo la costa verso il nord-est, e si osservò una croce, eretta probabilmente da Schalaurof, ove era inciso il numero dell’anno 1762. Alle 4 dopo mezzogiorno si navigò frammezzo ad isole di ghiaccio, sopra le quali fu presa una volpe, e si videro ben anche delle vacche marine (manati): in questa giornata si fecero 39 miglia inglesi. Verso la sera il ghiaccio si affollò assai intorno ai vascelli, ed alcuni pezzi di esso si alzavano 8 piedi sopra l’acqua. Alle undici Billings trovò pericolosa la situazione de’ vascelli, e quindi ritornò al seno Tschaun, ed abbandonò tutti i tentativi per innoltrarsi di più verso il polo. Ai 21 di luglio, osservando l’altezza del sole, fu trovata la latitudine di 69° 35’ 50”; e soffiando ancora il vento dall’ovest, la corrente del mare si volse verso l’est, e condusse moltissimo ghiaccio. L’acqua del mare fu sì dolce, che con essa si poté cuocere il cibo. Ai 25 la corrente prese la direzione verso l’ovest, ed il mare ritornò ad essere salato: comparvero
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alcune vacche marine e balene, cosa che fece supporre un qualche passaggio frammezzo al ghiaccio. Il signor Sauer, segretario della spedizione, al quale dobbiamo il presente racconto, ne fu tanto persuaso, ch’egli stesso si offrì a farne ricerca; ma Billings non se ne volle persuadere, e fece segnare una dichiarazione dagli uffiziali, nella quale si disse che la prudenza richiedeva di ritornare a Kowima inferiore. Si ebbe continuamente neve, pioggia o nebbia, ed il termometro variò dallo zero fino al 4° di calore. La costa del mare glaciale non è quivi molto bassa, né circondata da montagne. I seni hanno poca profondità, e sono esposti a tutti i venti, fuorché a quello del sud. Le montagne sono coperte di neve, dallo scioglimento della quale nascono i più rapidi torrenti. Sulle montagne cresce il musco, ed una specie di veccia, di cui si mangiarono le radici. Quivi si trova pure il salice nano, ed una specie di faggio che non giunge più alto di dieci pollici. In più siti della costa osservansi mucchi di legna fluttuante, come pure una quantità di capanne distrutte, erette in vari tempi dai cacciatori, e de’ luoghi ove fu acceso il fuoco. Fra gli
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animali salvatici si trovarono gran quantità di renne, degli orsi neri, ma niun bianco, de’ lupi, delle volpi di varie specie, delle pecore salvatiche e delle marmotte; fra gli uccelli si contarono le allodole di mare (charadrius hiaticola ), le rondini marine (merops apister), le colombe di mare (columba groenlandia), le oche, le anitre ecc. Pare che quivi il mare scarseggi di pesci, poiché l’equipaggio, dopo avervi pescato diverse volte, prese una volta sola delle aringhe e del sermone. Si vide una quantità di vacche marine ed una balena. Una striscia considerabile di acqua marina fu dolce, e spesse volte assaggiando il ghiaccio, lo trovarono sempre un poco salato. Non vi fu segno di flusso e riflusso. Le correnti furono assai irregolari, e la loro rapidità variò in un’ora alla distanza di tre miglia dal seno. L’aria fu fredda ed umida; e il caldo maggiore si fece sentire ai 15 di luglio, il termometro di Reaumur essendo montato a 16 gradi. Ai 12 di luglio stette però 2° sotto lo zero. Le nebbie, sempre comparvero in poca distanza sopra il ghiaccio. In qualche lontananza le masse di ghiaccio sembrarono isole, di modo che i viaggiatori spesse volte presero
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per fumo la nebbia che si vedea sopra di esse(1).
Sauer ci ha pure conservata la storia della spedizione di Lachoff e de’ suoi compagni nel 1770. Eglino imbarcatisi all’imboccatura del Jana, sbarcarono prima sul promontorio Sweatoi Noss, ove videro una quantità innumerabile di daini, che avevano preso la strada verso il sud, e lasciata la traccia sul ghiaccio del mare glaciale. Lachoff si era prefisso di scoprire il sito d’onde erano venuti questi animali: e però in principio di aprile, sopra una slitta tirata da’ cani, seguì la loro traccia; verso sera giunse sopra un’isola distante 70 werste al nord dal promontorio, ove passò la notte, ed al dimane seguitò il viaggio. Verso giorno arrivò sopra un’altr’isola 20 werste più distante, ma posta nella medesima direzione; e vedendo che la traccia di quelli
(1) Ved. An Account of a Geographial and Astronomical Expedition to the Northeern Parts of Russia, performed by Commod. Billings. Form the Original Papers by M. Sauer. Lond. 1802.
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animali continuava innanzi, si risolse di seguirla, finché il ghiaccio diventò sì scabroso, che i cani non poterono più tirare la slitta. Lachoff non vide più né isola né terra ferma; ed essemdo i cani morti di fame, ritornò colla massima difficoltà. L’imperatrice diede il di lui nome alle isole suddette che aveva scoperto, e gli concesse il diritto esclusivo di raccogliere l’avorio, e di fare la caccia sopra l’isola Lachoff, e sopra tutte quella che ancora scoprirebbe. Nel 1773, unito a 5 uomini, fece vela in un battello verso le isole che portano il suo mome, e dirigendosi sempre verso il settentrione, arrivò sopra una terra che chiamò la terza isola. Il di lei suolo era montuoso e deserto; sulla spiaggia vi trovò molta legna fluttuante, ma fuori di questa non v’era alcun segno di vegetazione, e meno ancora di orme umane. Egli scoperse però alcune tracce di quadrupedi, e trocò de’ denti del Mammouth. Mettendo il governo qualche importanza a questa scoperta, ordinò al geografo Chvomoff di accompagnare Lachoff alla terza isola. Nel q775 arrivarono sulla prima isola, e la trovarono lunga 150 werste e larga 80. In mezzo a questa v’era un lago molto
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esteso, di poca profondità, e di sponde assai erte. Eccettuate alcune rocce, era l’intiera isola composta di ghiaccio e di sabbia, in guisa che, quando questo ghiaccio si disfece, comparvero ossa e denti del Mammouth in grande quantità. Secondo il rapporto di Chvoinoff quest’isola è composta di ossa di questo animale straordinario, di corni e crani de’ bufali, e di corni del rinoceronte. Di quando in quando vi trovarono delle ossa lunghe, le quali avevano interamente la forma di una madrevite. La seconda di queste isole giace 20 werste al di là della prima: è lunga 50 werste e larga 25. Sopra di essa si trovarono molte ossa del Mammouth e di altri animali. Le volpi polari furono vedute anche quivi in tanta abbondanza, come sulla prima isola. Nasce in essa un grosso musco, e qualche piccola pianta di quelle che s’incontrano sulla spiaggia del mare glaciale. Questo musco, il quale giace sopra una massa gelata, che non si scioglie mai, si può levare come un tappeto. La seconda isola è distante dalla terza 100 werste. Chvoinoff navigò intorno alla costa di questa, ed ai 23 di maggio scoprendo un fiume considerabile, trovò vicino ad esso una caldaia di
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rame, lasciatavi tre anni addietro dai compagni di Lachoff, allorquando fecero il primo viaggio. La spiaggia era coperta di legna fluttuante. Chvoinoff montò sopra un’alta montagna, e scoprì in tempo sereno, e per quanto si estese la vista, una catena di montagne verso l’est, l’ovest ed il nord. Dopo un tragitto di cento werste lungo la costa, scoprì tre fiumi, uno appresso l’altro, sui quali il legno fluttuante si trovò in gran quantità. I fiumi abbondavano di pesci, e particolarmente di una specie di Sermone. Oltre di questo vi furono trovati degli usoni, (huse) balene, orsi bianchi, lupi e renne. Le montagne consistevano in rocce nude. Non vi fu veduto alcun segno di alberi o d’arboscelli vivi. Il flusso e riflusso v’era poco sensibile: l’acqua era salata ed estremamente amara, e le correnti più frequenti s’ebbero sulla parte occidentale. Chvoinoff vi passò l’estate, e nell’autunno ritornò a Swaetoi Noss. Dopo di lui niuno più ha visitato questi luoghi. Il segno più rimoto del suo viaggio pare cadere sotto il 77° di latitudine, sotto il quale arrivò pure Markow, colla differenza però,
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che il primo forse avrà presa la direzione più verso l’est, che l’ultimo.
Pare dunque dimostrata l’impossibilità di un passaggio al nord est, e la navigazione sul mare glaciale, incominciando dallo stretto di Waigatz fino alle coste dell’America, o sia dal 75° di longitudine fino al 215’, ove è stato conosciuto e visitato il mare glaciale.
I tentativi poc’anzi accennati di voler solamente conoscere le coste di questo mare, nella direzione a noi cognita, ci hanno fatto vedere chiaramente, che non in tutte le stagioni di estate si può navigare da’ Archangel verso il fiume Oby, e da questo verso il Jenisei: vi vollero cinque o sei anni prima di poter navigare una sola volta nella parte più remota di questa costa. Intorno alle altre coste è assolutamente impossibile di potervi navigare. Nel mare del nord, tra il Piaeside e lo Chantagne, v’ha una punta di terra la quale si è opposta anche alle più ardite intraprese: una fila d’isole che si estende, al di là del punto più settentrionale del mondo antico, e che forse arriva fino alla Nuova Zembla, impedì il passaggio tentato più volte da ambedue i lati per vie
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continuamente ingombre di ghiaccio. Pare che quivi non si faccia più menzione del Jelmerland, il quale è portato sulla carta geografica della Russia di Hase come scoperto nel 1664, e che unisce la Nuova Zembla alla Siberia; ma questo Jelmerland viene rimpiazzato da una catena d’isole, le quali insieme col ghiaccio quasi perpetuo formano, per così dire, un continente. Meno riuscirebbe il far cammino a dirittura verso il polo, poiché il ghiaccio, incominciando dal 57°, è perpetuo, e il capitano Wood, il quale nel 1676 sostenne la possibilità di una navigazione vicino al polo, e che con questa fiducia intraprese il suo viaggio, parlò altamente contro la riuscita di un tale passaggio.
Anche la navigazione lungo le coste non promette più quel progresso ch’ebbe cento anni e più addietro; perché anche in questi contorni del mare del nord l’acqua diminuisce sensibilmente. Lungo le coste del mare glaciale si vede del legno gettato dalle onde a tali altezze, ove in oggi non arriva alcun flusso. Poco distante dall’imboccatura del Jana, all’occidente, giace una vecchia Kotsche distante 5 werste dalle sponde odierne
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odierne del mare. Ciò indica che le coste sono dolcemente inclinate all’orizzonte, cosa straordinaria, che vien confermata da tutt’i rapporti di quelli che visitarono il mare glaciale. Un cambiamento tale rende impraticabile l’unica strada che finora poté farsi, poiché la poc’acqua navigabile che trovasi tra la terra ed il ghiaccio va divenendo più bassa. Quelle Kotsche colle quali si navigò alla metà del secolo decimo settimo, ed in principio del decim’ottavo, furono di poi affatto inservibili. Si fece uso dunque degli Schitiki, che sono bastimenti più piccoli e piatti, ed anche con questi non si poté più passare fra i fiumi Indigirka e Kolyma. Bastimenti ancora minori non corrispondono allo scopo di una tale intrapresa; ed a tutto ciò si aggiunge ancora la deserta solitudine che regna sulle coste. Quali preparativi non dovettero farsi, acciocché i Russi potessero navigare intorno alle coste di un paese del loro proprio dominio! Sopra tutt’i fiumi che sboccano nel mare glaciale furono spediti degli uomini, i quali sull’imboccatura dovettero ergere de’ segni di legno in forma di torri, per servire di direzione ai navigatori, in caso che vi giungessero: in vari
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luoghi, lungo la costa, si stabilirono de’ magazzini per dare un soccorso di viveri, se il bisogno l’avesse richiesto: tutt’i popoli pagani che abitano verso quelle coste furono avvertiti del passaggio, e venne loro ordinato di soccorrere i viaggiatori al primo cenno. Questi sono vantaggi che una nazione estera non potrà giammai aspettare: essa non vi troverà che un suolo gelato, coperto di neve e di ghiaccio. Incominciando dal 66 grado di latitudine si perdono gli arboscelli, i quali al 50 grado non sono che la continuazione delle selve: a queste si aggiunge poi un piccolo musco infruttifero, che germoglia parcamente in mezzo a un suolo gelato. Anche gli alberi più alti, in quei contorni ove si trovano, sentono solamente negli ultimi di giugno il benefico calore del sole, ed in quel tempo cominciano a germogliare ed a spuntare i fiori. La neve che cade nel mese di settembre brucia tutte le foglie. A Turuschaok ovvero Mangasia, sotto il 66 grado di latitudine, vide Gmelin ai 9 di giugno gelare l’acqua sulla strada ad una grossezza considerabile; ai 10 cadde ancora la neve, ed ai 15 fiorì pienamente la viola mammola che egualmente si trova sulle alte nontagne svizzere: l’erba cresce
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allora colla massima prestezza, e gli uccelli volano dappertutto in quell’aria che dieci giorni prima era loro impraticabile, come se presentissero che questo piacere non dura che pochi momenti. Sulle coste altro non s’incontra che capanne di cacciatori russi, tungusi e samojedi, e queste spesse volte ancora sono abbandonate.
Malgrado tutto questo, crede Mr. de Pagès(1), che la strada verso il polo artico, o dalla Nuova Zembla in giù verso l’est, sia navigabile coi grandi bastimenti. Per andare verso il polo ei consiglia di far vela fra Spitzbergen e Nuova Zembla, assicurando inoltre che al nord-est di questa il mare, benché non tutto affatto libero di ghiaccio, sia capace di navigazione, come lo è 20 miglia al nord-ovest di Spitzbergen. Egli confessa, che il viaggio non si farà dentro un anno, e che né anche si farà un cammino considerabile ogni volta; ma gli pare molto verosimile che in una stagione, in mezzo ad un ghiaccio mediocre, si possa andar
(1) Voyage autour du monde ecc.
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innanzi fino a 500 miglia. Oltracciò, questo ghiaccio non resta sempre sul medesimo luogo, e vari accidenti fanno sì, che in alto mare non si può restare molto tempo da lui rinchiuso. Del resto, la pratica di adoperar le seghe spesse volte aiuta al Caolame ed alle vele; ed un vascello rinchiuso tra’ ghiacci, senza esservi murato, spesse volte con questo mezzo si apre la strada: e se fosse anche il ghiaccio sì grosso da non poter essere segato, sarebbe però possibile di dividerlo, per mezzo di qualche specie di macchina, in que’ siti ove le masse di ghiaccio si attaccano insieme. Ma questi mezzi che si propongono, quanti pericoli fanno temere! Null’altro che l’amore per le cognizioni e per le scienze può consigliare ad intraprendere un tal viaggio.
La punta estrema della Siberia, verso il nord-est, debbesi considerare come non ancora scoperta. Quivi abitano i Tschukischi, i quali vivono di renna, (animale che si nutrisce di musco) colla caccia di animali di terra e di mare e colla pesca. Dirimpetto a questa punta di terra trovansi verso il nord molte piccole isole, che falsamente si credettero una parte dell’America
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settentrionale: ora sono chiamate isole di Krestof, ovvero isole degli Orsi(1).
Che l’America non si unisca all’Asia, e che il mare corra fra queste due parti del mondo, è stato scoperto prima da Vito Behring, il quale nel 1728 fece vela da Nischnei-Kamtschatkoi Ostrog, navigando verso il promontorio Serdzekamen (pietra di cuore ) sotto il 67° 18’ di latitudine settentrionale(2), e 208° 45’ di longitudine(3), la di cui punta più orientale si chiama il Capo Est. La costa dell’America si avanza fino al 209° 45’, e la punta più occidentale di essa chiamasi il promontorio Principe Wales. Gwasdew nel 1730 la scoprì il primo, e vi navigò intorno(4). La piccola distanza che v’è fra queste due coste rende assai verosimile, che per lo passato fossero unite, ed in seguito divise da una violenta
(1) V. Pallas, neue nordische Beitraege, vol. 1 pag. 284 ecc.
(2) Mueller , Sammlung russischer Geschichten, t. 3. pag. 112-120.
(3) Fino a questo grado Cook, secondo le sue osservazioni, fissa l’ultimo confine verso il nord-est, mentre le carte della Russia l’estesero fino al 205° di longitudine.
(4) Mueller, 1 c. p. 131.
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rivoluzione, alla quale il globo, fin dalle prime epoche della sua esistenza, è stato frequentemente sottoposto. Lo stretto stesso porta il nome dal suo primo scopritore, cioè stretto di Behring, e chiamasi anche stretto di Cook, poiché ne’ tempi più recenti è stato unicamente visitato da Cook: esso è in tutti i tempi burrascoso; e quando non è chiuso da’ ghiaccı, è agitato ed ha una corrente violentissima(1).
Nello stretto di Behring giacciono tre o quattro isole (la prima si chiama Magli, e gli abitanti di essa Keje galilit), distanti dal Capo Est una giornata e mezzo al più: in tempo d’inverno si fa la strada in 7, o 8 ore passando sopra il ghiaccio con islitte tirate dalle renne. Gli abitanti hanno la loro propria favella, si vestono colle pelli di renne, e si nutriscono principalmente colla presa de’ rosmari, delle balene e de vitelli marini. L’isola è affatto priva di legna; quindi gli abitanti cuoc[i]ono il cibo come i
(1) Pallas, ueber die Entdeckungen im westlichen Ocean und den neuen nordischen Beytraegen, vol. I, quint. 2.
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Tschu[k]tschi, cioè, presso il fuoco nutrito col grasso delle balene ecc. A tal uopo versano questo grasso in una pietra scavata, mettendovi dentro uno stoppino di musco morbido, paludoso, attortigliato come la miccia, e legato intorno con fili fatti di budella degli animali: la fiamma di questo stoppino gli serve pure per riscaldarsi nelle loro Surte (capanne) cucite insieme dalle pelli. La seconda isola, Obolgi, è circa tanto distante da Magli, quanto Magli dal Capo Est. Fra Obolgi e l’America giacciono ancora due piccole isole, chiamate Ugun. Gli abitanti di tutte queste isole si distinguono dai Tschuktschi pe’ denti ch’ essi per ornamento portano in certe incisioni fatte nel labbro inferiore(1).
Nella vicinanza di quest’isola, sotto il 65° di latitudine, si ristringe lo stretto, il quale poi, presso la baia di S. Lorenzo, si allarga moltissimo in ambedue i lati fino al promontorio Tschukots (Tschukotskoi Noss) ove si estende verso il mare di Kamschatka, il quale è confinato dalle isole che corrono
(1) Pallas, l. c. p. 246. 247. 281.
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dal 180 sino al 223° di longitudine, e fra il 53 e il 56° di latitudine, formando una linea poco curva da’ promontori di Kamschatka, Stolbofskoi e Kwnotzkoi fino alla punta di Alaska nell’America. Behring, il quale scoprì queste isole nel 1741(1), giunse alla terra ferma dell’America nel 59° 18’ di latitudine settentrionale, e 238° 10’ di longitudine orientale, ed approdò in una baia che porta il suo nome. Egli determinò la posizione de’ due promontori S. Elia e S. Hermogene(2), fra i quali, come dimostrano le scoperte di Cook, lo stretto del Principe Guglielmo e l’entrata di Cook si estendono verso il nord. Al ritorno Behring fu attaccato dallo scorbuto in modo, che dovette confidare la direzione del vascello al tenente Wexel. L’intiero equipaggio non ebbe migliore sorte, e non furono esenti da questa malattia che gl’individui appena necessari per la direzione del vascello. Egli fu portato verso un’isola, la quale in onore di Behring, che vi morì, fu chiamata Isola di
(1) Mueller, Sammlung russ. Geschichten. p. 138 ecc.
(2) Idem pag. 203 ecc.
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Behring. Quest’isola è piccola e disabitata; si estende dal nord ovest al sud-est, ed è composta di montagne nude, dirupate e spaccate. Sono notabili sopra di esse le colline di arena, alte 30 tese sopra il livello del mare, miste di legno fluttuante e di scheletri di animali del mare, le quali probabilmente furono innalzate dai flutti cagionati da tremuoti e da eruzioni vulcaniche. Durante il loro soggiorno d’inverno furono gettate sulla sponda due balene morte. Il mare di Kamschatka è assai largo: le baie che forma sulla parte dell’Asia sono varie, e la principale è il seno di Anadir, nel quale sbocca l’Anadır, scoperto da Deschnew. Tutto è qui abbandonato e deserto: esso è visitato dai selvaggi unicamente per la caccia e per la pesca. L’Ostrog-anadirskoi, sotto il 66° 9’, andò in decadenza, ed i suoi abitanti migrarono a Ischiginska Krepost sul seno di Penschinsk. Il promontorio Opukinskoi, sotto il 61° di latitudine, confina col seno di Anadir, ed unito ai promontori seguenti forma vari altri piccoli seni. La penisola di Kamischatka che in Europa è stata conosciuta tardi, ed alla di cui punta meridionale i Russi non giunsero che nel 1706,
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divide il mare di Kamtschatka dal mare di Ockotzk: il suo principio nel nord, che da alcuni è stabilito più verso il polo e da altri meno, dovrebbe propriamente cominciare dal promontorio di Opukinskoi. Nella cancelleria russa si prende il suo confine settentrionale al 59° 30’ di latitudine, dalla parte dell’occidente presso il fiume Pastaja, e verso l’oriente presso l’Anapkoi, poiché quivi il mare è stretto in modo, che dalle montagne le quali si trovano in mezzo si vedono ambedue i mari. Secondo questa determinazione la penisola risulta lunga 7° ½, mentre la larghezza resta variabile in causa delle baie che si trovano in ambedue i lati. La maggior larghezza è in quel sito ove il fiume Kamtschatka sbocca in una baia, la quale è posta dirimpetto all’isola di Behring. Vicino alla punta meridionale dell’isola, sotto il 53° di latitudine, giace il seno di S. Pietro e Paolo, ove sbocca l’Awatscha, la di cui imboccatura stretta, ma profonda, è pericolosa pe’ vascelli di qualunque grandezza. Per mezzo di tre punte e d’altrettante cale egli forma tre buoni porti, i quali per lo più sono coperti per lungo tempo di ghiaccio. Ai 2 di maggio la Discovery, uno de’
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vascelli di Cook, trovò la baia interna ancora gelata(1) al 51° di latitudine. ll Kamtschatka finisce al sud-est in una bassa punta di terra, di 400 braccia di larghezza incirca, la quale a cagione della sua figura è chiamata Lopatka (Paletta). Fra questa punta e le isole Kurili il mare estendesi molto dentro terra, e forma il grande mare mediterraneo d’Ochotzk, chiamato dai Tungusi Lam, nel quale sbocca una innumerabile quantità di fiumi. Questo mare corre lungo la costa di Kamtschatka a dirittura verso il nord fino al 63° 21’ di latitudine; quivi forma una penisola nuova e deserta tra il seno orientale chiamato Penschinsk, nel quale sbocca il Penschina, (la di cui imboccatura secondo le misure fatte da’ topografi è distante 200 werste da Anadirskoi) e il seno occidentale nominato Ischiginsk, poiché vi sbocca l’Ischiga (Giziga). La costa dal 62° di latitudine fino al 60° corre senza alcuna punta considerabile; ma in quel sito ove
(1) Vedi Giornale di un viaggio di scoperte verso il mare del Sud negli anni 1776 fino al 1780 sotto il comando de’ capitani Cook e Clerke.
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sbocca il Jama, sporge verso l’est, e forma un grande seno rinchiuso da molte piccole isole. Volgesi poi la punta verso l’ovest, e forma un seno maggiore sotto il 166° di longitudine e il 60° di latitudine. Di qua corre la costa fino a Ochotzk alla longitudine di 160° 59’ 15" ed alla latitudine di 59° 20’. Nel porto di questa città i Russi s’imbarcano per andare a Kamtschatka, poiché il viaggio per terra è troppo lungo, ed in parte troppo mal sicuro. Il suolo non produce nulla, e la città riceve i viveri da Jakutzk, distante più di 131 miglia: per trasportare questi viveri sopra le montagne e tra le paludi co’ cavalli e colle renne vi bisognano 6 settimane. Da Ochaotzk la costa corre a dirittura verso il mezzogiorno fino all’imboccatura dell’Uda, ove giace Udskoi Ostrog, sotto il 55° 18’, senza formare altre baie che quelle le quali nascono dall’imboccatura de’ fiumi.
Avanti allo sbocco dell’Uda giacciono le isole Schantarie, nome preso dai Giliachi che abitano sulla riva dell’Amur, presso i quali Schantar significa isola. Qneste isole non sono abitate, ma unicamente visitate per la caccia, e giacciono una giornata distanti l’una dall’altra. Dall’Uda si estende la costa
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45 miglia verso l’est, e forma una piccola punta di terra, sulla di cui parte meridionale il grande Amur sbocca nel mare. Incontro all’imboccatura giace l’isola Sachalien Uda, lunga 60 miglia(1). Essa col continente forma uno stretto di mare considerabile, ma del resto è conosciuta pochissimo. La costa si abbassa al sud sud-est fino al 160° di longitudine, ed al 44° di latitudine. Quivi è chiuso questo gran mare dalla catena d’isole che corre fino al 55° verso il nord-nord est, chiamate Kurili, ovvero Kusiche: esse giacciono sì unite, e si chiudono sì vicine al Kamtschatka, che i primi viaggiatori, i quali non visitarono tutte le baie e le cale, supposero esservi la terra ferma del Giappone fino al Kamtschatka, e la chiamarono Jedso o Jesso; come fecero gli Olandesi, i quali nel 1643 visitarono questi contorni sul vascello Castricom(2); al rapporto di quel vascello corrisponde il giornale del vascello Breskes, che visitò queste coste
(1) Du Halde, descript. de la Chine, tom. IV p. 14.
(2) Thevenot, voyages au Nord, vol. 3.
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nel medesimo tempo(1). Una cosa però non si sa come spiegare, cioè, che questi primi navigatori non abbiano punto osservato la corrente rapida, la quale nasce fra queste isole, particolarmente in tempo di flusso e riflusso, che quivi monta ad una grande altezza, ed ove i navigatori sovente periscono. Questo ci potrebbe indurre a credere, che per mezzo d’un tremuoto, assai comune in que’ contorni, il Jedso di una volta sia stato diviso dopo la navigazione che vi fecero gli Olandesi. Tutte le isole di questi contorni sono montuose ed in parte coperte di vulcani e di sorgenti calde: le maggiori sono tutte abitate, non così le piccole. Gli abitanti di questo arcipelago le chiamano Ulivut Ecke, ed i Giapponesi Jeso o Eso. Lo stretto di Tasso che giace fra la punta orientale della Tartaria chinese, e la prima e maggiore di queste isole chiamata Matsmai, non si estende 30 werste; la medesima larghezza esisterà pure verso il Giappone: fra l’ultima isola Schumtschu e la punta di terra di
(1) La notizia sopra di ciò si trova nel Witsen Noorden Ooste Tartarye edit. 2 p. 138.
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Kamtschatka, lo stretto è largo solamente 15 werste.
La catena delle isole che chiude il mare di Kamischatka, e che unisce l’Asia coll’America, pare per lo passato essere stata unita più strettamente, e le grandi interruzioni che vi osserviamo in oggi furono probabilmente prodotte dalle continue correnti che dal mare glaciale vanno verso il sud, e dai tremuoti che continuamente vi accadono. Tanto le coste della terra ferma quanto quelle delle isole sono dirupate e spezzate, circondate da alti scogli, e portano i segni di una violenta divisione: sopra di esse non cresce alcun albero, niun arboscello; prova assai evidente, che dietro a queste coste verso il nord non esiste alcuna terra ferma la quale ripari da’ venti burrascosi, e che favorirebbe l’accrescimento delle piante; come accade sull’isola orientale di Kodiak (meglio Kychtak) la quale è riparata dal promontorio Alaska, e quindi produce legna. Ivi i cacciatori russi hanno piantati de’ giardini, ne’ quali raccolgono cavoli, pomi di terra, legumi ecc., ed ultimamente vi condussero vacche e capre. La lontra marina, alla quale fanno particolarmente la caccia per la sua
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pelle eccellente, vi diminuisce giornalmente. Questo animale non si trova sulle coste di Kamtschatka, e sopra le isole Aleute è riguardato come una rarità: le isole Schumagius sono state abbandonate da lui fino dal 1802, e fra 15 anni sarà esso pienamente sterminato fra il 45 e 60° di latitudine. Gli stabilimenti russi in questi contorni vanno fino alla terra ferma dell’America, all’imboccatura dell’entrata di Cook. Per la caccia delle lontre e delle volpi bianche e negre partono annualmente delle compagnie di cacciatori da Ochotzk e dal Kamtschatka.
L’arcipelago è diviso in tre gruppi d’isole minori, cioè le isole Aleute, le Andrianowski e le isole delle Volpi, le di cui coste abbondano di legno fluttuante. Il loro numero monta a 46. Le isole Aleute sono 6, fra le quali è compresa l’isola di Behring, ove i vascelli della Siberia dirigendosi sulle isole delle Volpi, passano ordinariamente il primo inverno. In mezzo alle montagne di quest’isola Steller trovò moltissimo legno fluttuante, che frequentemente vedesi ne contorni di quel mare, e scheletri di delfini e di balene all’altezza di 30 braccia, in linea
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linea verticale sopra il segno del flusso più alto; cosa che può essere contata fra gl’indizi della diminuzione dell’acqua. Fra le Aleute v’è anche quella del Rame, sulla di cui estremità occidentale, sotto le montagne ripide della costa, si raccoglie del rame, del quale benché si trovino pezzi di 10 in 15 libbre, ciò non ostante i minatori quivi spediti non iscoprirono alcuna vena d’importanza. L’isole Aleute più rimote, chiamate pure Chao, ordinariamente nella parte del sud, non sono visitate da quelli che fanno vela verso le isole Andreanowski ovvero Negho, e l’isole delle Volpi ovvero Kawalang, fra le quali Agun Alaesha, o secondo l’abbreviatura de’ Russi, Unalaska, è una delle più considerabili. Ella è lunga 30 miglia, ha alcune migliaia di abitanti e vari villaggi fabbricati alla maniera de’ trogloditi, consistenti per lo più in cavi sotterranei ne’ quali si discende colle scale. Da 50 fino a 100 abitanti vi stanno ordinariamente insieme; essi sono molto lodati pe’ loro lavori; il loro vestiario è descritto da Sauer come assai pulito(1):
(1) Ved. Account of a Geogr. and Astr. Expedit.
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de’ tendini del vitello marino fabbricano una specie di filo della grossezza di un capello sino alla grossezza delle corde da imballare. I loro aghi sono fatti delle ossa delle ali del gabbiano, ed alla parte superiore invece della cruna v’è una intagliatura, e con essi fanno de’ ricami molto elaborati. I loro Baidari (bastimenti di pelle) in parte sono affatto trasparenti, di modo che al di fuori si può vedere la costruzione interna. La popolazione di Unalaska, una delle isole Aleute, è di molto diminuita, poiché i cacciatori russi costringono gli uomini a fare la caccia con essi, e loro addossano altri lavori penosi; li conducono via dalle loro abitazioni per degli anni, senza dar loro altra ricompensa che vetro, coralli ed un meschino nutrimento, di modo che amaramente si lamentano di tali oppressioni. Unalaska ordinariamente è inviluppata in una densa nebbia; e durante gli otto mesi e 16 giorni che Sauer vi soggiornò nel 1791, vide solamente diciotto volte comparire il sole,
to the Northem Parts of Russia, performed by Billings.
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e mai un’intera giornata serena. Dietro a quest’isola giace Unimga, ovvero Unimak: verso di essa estendesi la punta della terra ferma di America con alcune isole, come Kodiak ecc. La punta di Alaschka, chiamata pure il paese delle Volpi nere, per quanto sappiamo dai viaggi di Cook, non è isola ma penisola, a fianco della quale dal 59° fino al 61° 30’ v’ha un seno lungo e notabile del mare, che riceve l’acqua di uno de’ più grandi fiumi del mondo conosciuto, il quale, dopo che sarà esaminato con maggior attenzione, aprirà probabilmente una comunicazione fra l’oceano ed il mare pacifico per mezzo de’ grandi laghi dell’interno dell’America(1).
Questo fiume è chiamato Cook dal nome del suo scopritore. L’intero nord dell’America, fra questo fiume ed il seno di mare nel quale sbocca, e la baia di Hudson, è diviso da laghi innumerabili, i quali per lo più hanno fra loro una comunicazione per mezzo di fiumi considerabili. Nel 107° 9’
(1) Quel che si credeva un fiume, è stato poi scoperto dal capitano Vancouver non essere che un profondo braccio di mare.
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di longitudine occidentale, e 50° di latitudine settentrionale troviamo che le acque prendono una direzione verso nord-ovest; poiché in questi contorni una catena di montagne divide que’ fiumi che vanno verso l’est ed il sud da quelli altri che corrono verso l’ovest. Il grande lago Arathapeskow, il quale si estende nella direzione ovest-nord-ovest dal 60° 45’ fino al 62° 30’, e ch’è lungo più di 70 miglia geografiche, giace verso la parte settentrionale della catena: da questo scorre verso il nord ovest un altro fiume grande, chiamato Slave River (riviera degli schiavi), nella distanza di 30 miglia geografiche circa, fino ad un lago molto maggiore, chiamato il Lago degli Schiavi, che si estende fra il 62° e 65’ di latitudine settentrionale, ed il 143° e 152° di longitudine occidentale. Dal lago degli Schiavi esce un fiume nella direzione di sud ovest, il quale si vuole che per le sue grandi cadute si distingua fra tutti gli altri fiumi della terra. Pietro Pond, nativo del Canadà, dice essere giunto nel 1787 fino a queste cadute di acqua, ove incontrò due Indiani che viaggiavano contro la corrente del fiume, i quali gli assicurarono di aver ricevuto
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dai vascelli ancorati all’imboccatura del medesimo una coperta di lana che gli mostrarono. Questo fiume probabilmente è il fiume Cook, il quale in conseguenza nasce dall’immenso bacile del lago degli Schiavi(1). Dal medesimo lago esce pure un altro fiume verso il nord, il quale al 68° 30’ di latitudine settentrionale, e 237° 45’ di longitudine occidentale arriva fino al mare glaciale settentrionale(2). Secondo questo, la parte dell’America che giace al di là del fiume di Cook, sarebbe una grand’isola appartenente al mare del nord, la quale cederebbe poco in estensione all’Europa, e sarebbe divisa dalla terra ferma per mezzo di un lago alto e grande, e dai fiumi che da esso nascono(3). La regione intorno
(1) Siccome il fiume di Cook non esiste, pare che piuttosto sia il fiume Columbia quello di cui si parla, sebbene non esca dal lago suddetto.
(2) Ved. Forster, Kleine Schriften. Berlino 1794, 2 tomo, pag. 99 e 205 ecc.: riguardo alle ultime notizie Forster cita una lettera inserita nel Gentleman’s Magazzino pel mese di marzo 1790, pag. 197. La lettera è scritta da Quebec sotto la data de’ 6 novembre 1789.
(3) Da quanto nelle precedenti note s’è detto si
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all’Arathapeskow è descritta come assai fruttifera e coperta riccamente di boschi; le stagioni si dice essere più dolci che ne’ contorni di Quebec; ma verso il nord del lago degli Schiavi non si trovano più boschi, ma arboscelli bassi, ne’ quali si osserva una specie di piccoli bufali selvaggi, di pelo assai lungo sulle cosce e sulle gambe, ma senza coda; sono insomma i così detti piccoli Bissonti (americanus) descritti estesamente da Pennant nella sua Zoologia Artica, de’ quali fu trovato una volta uno scheletro sulla spiaggia del mare della Siberia. Così pure la parte dell’America che giace al nord-est del lago e del fiume degli Schiavi, e verso il nord al di là del lago Arathapeskow, nella quale abitano gl’Indiani del Rame e gli Indiani di Dogrib (Indiani delle coste dei cani), si dice essere un’isola appartenente al mare del nord, divisa dalla terra ferma nel 267° di longitudine orientale.
vede, che quest’isola è del tutto immaginaria, giacché del lago degli schiavi non esce fiume che gettası nel mar pacifico; il Columbia ha la sua origine in una lunga catena di alti monti, che corre dal nord al sud, sulla quale si trovano eterne ghiacciaie.
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Hearne, il quale nel 1770 fu spedito per terra dal porto del Principe di Galles (prince of Wales) (nel 58° 50’ di latitudine settentrionale, poco lontano dall’imboccatura del Curchill nella baia di Hudson) verso il fiume Cappermine (miniere di rame) il quale si seppe per mezzo degl’Indiani che sbocca nel mare del nord, non lo trovò navigabile, ma capace appena di portare un canoe: dappertutto incontrò cadute di acqua, banchi di sabbia e mucchi di pietre che vi formano come delle chiuse. Ventuno Eskimaux che trovavansi in una capanna furono uccisi da’ suoi compagni americani, per appropriarsi il rame che avevano. Hearne si convinse che il mare del nord giunge quivi all’imboccatura del detto fiume. In fatti la quantità delle ossa di balene, delle pelli di vitelli marini, delle coste numerose di animali marini ecc., che si vedevano sparse sul ghiaccio, erano prova sufficiente trovarsi veramente vicino alla spiaggia del mare del nord. Egli vide effettivamente il mare stesso verso il nord alla distanza di due miglia geografiche. Il fiume corre sopra un piano sterile che forma la costa. Osservò ancora
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il momento del riflusso, il quale a giudicarne dal ghiaccio, sul di cui margine vide alcuni segni, poteva calare da 12 in 14 piedi. Il flusso appena poteva giungere all’imboccatura del fiume, per cui la sua acqua non era punto salata.
Il mare, fin dove si poté guardare coi cannocchiali, aveva molte isole ed un basso fondo, e il ghiaccio era sciolto solamente intorno alle isole ed ai banchi di sabbia. Hearne mette lo sbocco di questo fiume nel mare sotto il 72° di latitudine settentrionale; ma Dalrymple ed Arrowsmith, secondo più recenti notizie ed osservazioni, che però sembrano non essere ancora pienamente fondate, lo pongono sotto il 68° di latitudine: la longitudine poi si è trovata essere di 266° 35’. Sotto il 66° 30’ giace il lago de’ Bufali, accanto a una montagna sterile; e sulla sua parte orientale, sotto il 66° di latitudine, il lago Cogsad, l’emissario del quale corre egualmente nel mare; e si dice che il mare gli sia più vicino che al fiume Coppermine.
Secondo quello che dicono gl’Indiani, la costa della Repulse Bay, seno il più settentrionale della baia di Hudson, corre in
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linea retta all’occidente verso il fiume Coppermine. Quivi nel 67° di latitudine settentrionale sarebbe dunque un passaggio dalla baia di Hudson nel mar glaciale settentrionale: ma il ghiaccio che in questa regione, come sopra l’Asia, impedisce il passaggio, non permetterebbe altro tragitto per mare che sulle coste verso l’occidente fino al capo glaciale.
Il capo glaciale giace sotto il 70° 29’ di latitudine e il 216° 1’ di longitudine, ed è l’ultima punta verso il nord ovest dell’America fino alla quale sia riuscito a Cook d’inoltrarsi. Quivi il ghiaccio impedisce qualunque tentativo di navigare più verso il nord, tanto sulla costa dell’America quanto su quella dell’Asia: e siccome questo ghiaccio, avanzandosi sempre verso il mezzogiorno, minacciò i vascelli di Cook d’un naufragio su spiagge di basso fondo, così altro non gli restò che pensare al ritorno, che gli fu poi sì fatale. Clerke, il quale nell’anno seguente impiegò ancora una volta tutti gli sforzi per rompere il ghiaccio che si avanzava colla corrente del mare del nord, vide tutte le sue fatiche svanite. Quindi l’intero mare settentrionale che giace
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sopra l’America, anche riguardo alle sue coste, ci è appena problematicamente cognito.
Dal capo glaciale si avanza la costa al sud-ovest fino al capo Lisburn sotto il 69° di latitudine, ove si può stabilire il principio dello stretto di Behring, e poi pare estendersi a dirittura verso il sud. In seguito dal 68° di latitudine corre essa al sud-ovest fino al 65° 46’, ove giace il promontorio del principe di Galles, scoperto da Cook, punta la più occidentale dell’America, e la più orientale dello stretto di Behring. Fra la baia di S. Lorenzo e del capo del Principe di Galles questo stretto è largo 45 miglia inglesi, rinchiude tre isole, e divide il continente antico dal moderno. Dopo corre la costa verso sud-est fino al capo Radney, indi si estende quasi in linea retta verso l’est, e forma al 64° 30’ di latitudine, ed al 216° 4’ di longitudine la grande baia di Norton (Norton Sound)(1), la quale finora è stata visitata unicamente da Cook, ma non
(1) Sound termine marittimo inglese che ha vari significati, indicando alle volte uno stretto, ed altre
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sufficientemente esaminata. Da questo punto la costa si avanza nuovamente un poco verso il sud-ovest fino al capo Stephens sotto il 63° 13’ di latitudine; e dopo d’essere arrivata sotto il 63°, alla longitudine di 215° 17’, corre quasi in linea retta, e come tagliata, verso il sud, fino al capo Newenham, sotto il 58° 42’ di latitudine. L’acqua in questa direzione ha un sì basso fondo, che Cook non poté navigare lungo la costa, e solamente da Shoal Noss (promontorio di basso fondo), sotto il 60° di latitudine, fino a Newenham, gli riuscì di avvicinarsi più verso la spiaggia e di tenerla di vista.
Il capo Newenham forma la punta nord-ovest della grande e profonda baia di Bristol, mentre quivi la costa portasi tutt’a un tratto fino al 219° 36’ di longitudine verso l’est, e nella sua concavità, sotto il 58° 27’, riceve un fiume considerabile, chiamato il fiume di Bristol. Il confine meridionale di questa baia forma la gran lingua di terra
volte una baia di stretta entrata, e fornita d’altre baie e cale interne. Quest’ultimo significato in generale è quello che ha, parlandosi della costa nord-ovest dell’America.
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Alaska che si avanza verso il sud-ovest, e che termina sotto il 214° di longitudine e il 55° di latitudine. In seguito la costa monta in su verso l’est-nord-est, formando un arco, nel di cui fondo sbocca il fiume Cook(1). Verso il mezzogiorno della suddetta lingua di terra giacciono varie isole, delle quali Kodiak, che viene visitata da’ Russi, è l’ultima: fra le isole e la lingua di terra suddetta, come se il fiume Cook continuasse il suo corso, v’ha uno stretto di mare, che dal suo primo navigatore Meares nel 1789 fu chiamato Petries.
La costa meridionale del fiume Cook, la quale fra lo stesso fiume e la baia del Principe Guglielmo non occupa propriamente uno spazio grande, è probabilmente una delle isole maggiori di questo mare(2). Dixon nel 1785 vi scoprì vari porti ed ancoraggi(3), e Schelechow incrociò nel 1788 la baia del
(1) Non è un fiume, ma un seno di mare, secondo le ultime scoperte.
(2) Un seno della baia del Principe Guglielmo si avanza molto verso l’entrata o il golfo di Cook, non vi comunica, essendovi tra i due mari uno stretto istmo montuoso.
(3) La baia di Eval è il più gran seno di mare che si trova.
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Principe Guglielmo, e da lui abbiamo finora le migliori notizie(1). Nel 1790 vi approdò Billings sotto il 60° 18’ 48" di latitudine e il 231° 42' 45" di longitudine orientale, ed ivi apprese da un vecchio Americano, che verso il sud est si trova una grand’acqua salata, che Billings non poté esaminare con esattezza. Secondo le ricerche di Vancouver e l’ultimo viaggio di Makenzie, questo mare interno è divenuto un’altra volta dubbioso.
Avanti la baia del Principe Guglielmo (ove Meares nel 1786 passò quel terribile inverno)(2) giacciono varie isole, cioè Montagne, l’isola Rosa ecc. Anche questo golfo entra tanto nella terra, che non sarebbe cosa impossibile che avesse qualche comunicazione(3) col lago degli Schiavi. La costa corre verso il sud-est fino al 60° di latitudine, ove giace il promontorio di S. Elia, già scoperto dal capitano russo Behring. Al
(1) Gli Spagnuoli l’hanno molto visitata, ma poi da Vancouver è stata minutamente esaminata tutta.
(2) Ved. la descrizione del viaggio di Meares.
(3) Non ne ha alcuna, dopo le ultime scoperte.
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piede di questo vedesi la baia dell’Ammiragliato, e dopo il capo Phips (la punta sud-ovest di questa baia) corre la costa verso est sud-est fino alla baia di Behring per poco tratto, poi seguita al sud-sud-est verso il capo Fairweather, finché verso il 58° di latitudine forma il Cross Sund (lo stretto della croce). Il capitano Douglas nel 1787 vi trovò grandi isole fluttuanti di ghiaccio, le quali non furono mai osservate né nel fiume di Cook(1), né nella baia del Principe Guglielmo. Questa circostanza rende verosimile, che il Cross Sund, non ancora riconosciuto a dovere, conduca ad un mare molto spazioso, o ad un golfo che giace dietro la terra, ed ove quelle masse di ghiaccio si possono formare ed accumulare(2).
Poco più meridionale giace il porto di
(1) Baia di Cook.
(2) Il Cross Sund non conduce ad alcuno spazioso mare, ma bensì a numerosi canali, che trovansi tra le isole dell’arcipelago del Re Giorgio II, e tra queste e la terra ferma d’America. Tutta la costa dell’America dal Cross Sund fino al capo Flattery somiglia un poco a quella della Norvegia, ed ancora più a quella della Dalmazia, tante sono le isole d’ogni grandezza accumulate vicino ad essa.
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Portlock, nel quale il capitano Portlock apprese dagli abitanti, che verso l’est di questo luogo, al di là delle montagne, s’incontra il mare, o almeno una vasta estensione di acqua(1). Mentre la costa si avanza verso il sud-est, si offrono de’ seni e degli stretti, l’uno dopo l’altro, ciascuno de’ quali va nell’interno della terra, ma che finora non sono sufficientemente conosciuti. Quivi sono Salisbury Sund, scoperto nel 1785 dal capitano Dixon, la di cui entrata cade sotto il 57° 35’ di latitudine, come ancora il Norfolksund incontro al capo Edgecumbe, il quale, secondo Dixon, giace sopra un’isola lunga e stretta, di modo che il Sund di Salisbury e quello di Norfolk sono congiunti per mezzo di canali. Il medesimo Dixon scoprì anche il porto Banks, come pure il gran gruppo d’isole della Regina Carlotta, che giacciono fra il 54° 30’ e 51° 54’ di latitudine settentrionale. Il capitano Duncan le visitò negli anni 1787 ed 88, e
(1) Questo mare indicato dagli abitanti è quello in cui giace l’arcipelago del Re Giorgio III. nella di cui isola più grande e più occidentale giace il porto stesso di Portlock.
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vi scoprì vari porti nuovi. L’uno fu da lui chiamato Lux Aena, che nel linguaggio degli abitanti significa belle donne; esso resta sotto il 52° 7’ di latitudine settentrionale a 132° 33’ di longitudine occidentale; l’altro porto, sotto il 52° 25’ di latitudine settentrionale a 124° 7’ di longitudine occidentale, fu chiamato il porto di Etches. Da questo ultimo ancoraggio fece vela verso la terra orientale, ed al 1 di giugno vi scoprì le isole Princess Royal; quivi si vide necessitato di legare il vascello co’ cavi intorno agli alberi, poiché non poté trovar fondo per gettarvi l’ancora. La seguente giornata passò all’imboccatura di un fiume, chiamato da lui il fiume di Aiton, ove si vide costretto di lasciar cacciare il bastimento sopra l’ancora. In questa maniera navigò sempre avanti, e dove non trovò fondo per ancorare, legò il vascello alla spiaggia. Ai 10 di giugno ritornò nel medesimo stretto, ove si era tanto avanzato senza averne veduto il termine, ed ai 15 arrivò nel porto di Sthephens al 53° 30’ di latitudine. Egli scoprì il Milbank Sund al 52° 14’ di latitudine, e poco distante da questo l’isola di Calvert, vicino alla quale rinvenne uno
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stretto spaziosissimo, ove non trovò fondo con 180 braccia , e l’acqua aveva solamente un debole sapore di sale(1). Sotto il 50° 34’ di latitudine, al sud est delle isole Regina Carlotta, sulla così creduta terra ferma giace la gran baia scoperta nel 1787 da James Hanna , ed uno stretto grande nella direzione di nord-est di questa baia, cioè il Fitzhugh Sund. Più verso il nord scoprì un’apertura, chiamata da lui Mackintosch Inlet (Entrata di Mackintosch). Quivi la terra prese una direzione verso ovest-nordovest, e finì con una bella e rotonda montagna simile ad un piccolo pico doppio, che forma la punta settentrionale della baia, ed è chiamato capo Cox. Una burrasca violenta lo scacciò da questa baia, dalla quale nello stesso tempo venne una forte corrente. Tutto il mare fu in questa circostanza interamente coperto di alberi, di foglie, di erbe e di diverse materie che sortivano dal Fitzhugh Sund. Agli 11 di settembre fece nuovamente vela verso lo stretto, e vide una maggior quantità di alberi fluttuanti di
(1) È questo il canale del fiume Rivers Canal.
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quanto mai ne aveva veduto all’imboccatura di un fiume. Dopo diversi tentativi inutili riuscì finalmente di potervi entrare ai 14 di settembre: egli trovò questa entrata della larghezza di 6 o 7 miglia, e la direzione dello stretto direttamente verso il settentrione, in guisa che altro non si osservò verso quella parte che aria ed acqua; la spiaggia occidentale formava un terreno elevato che aveva l’aspetto di colline rotonde e di piccole basi; l’orientale consisteva in isole innumerabili, fra le quali si osservarono molti porti, baie ed altri siti atti a gettarvi l’ancora. L’isole, secondo l’apparenza, si estendevano molto verso l’est, e come tutta la terra di questa regione erano coperte di pini fino alle cime delle montagne. A cagione della corrente che continuamente usciva, e della quantità di legno che fluttuava in giù, gli parve lo stretto intero essere un fiume. Stabilisce egli la posizione del Fitzhugh Sund sotto il 51° 34’ di latitudine e 249° 31’ di longitudine orientale. Sulla terra di sud-ovest che circonda la baia, verso la parte del mare sotto il 50° 41’ di latitudine e il 249° 5’ di longitudine, trovò un porto assai comodo,
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chiamato da lui porto di Seeotter (castoro marino)(1).
Il bel Nutka Sund ovvero la baia del re Giorgio, sotto il 49° 36’ di latitudine, e 351° 1’ di longitudine, sulle di cui coste si produce dell’eccellente legname da fabbricare, malgrado le forti questioni che insorsero nel 1789 fra la Spagna e l’Inghilterra, non ha potuto nemmeno essere esattamente riconosciuto. Esso offre egualmente un’entrata profonda nell’interno del continente. In seguito trovasi il porto di Cox, visitato nel 1787 per la prima volta dal capitano Barclay, ed allora il soggiorno del caро Americano Wikananisch, ed un altro porto ricco d’isole(2) nel 49° di latitudine, il quale dal suo scopritore ricevette il nome di Barclay. Dopo di quest’ultimo porto
(1) Dalrymple, Plan for promoting the Furtrade London 1789 pag. 10 seq. e Forster, Kleine Schriften: Tom. 2. Berl. 1994., pag. 106 seq. Dietro le scoperte del capitano Hanna si è trovato non esser altro che isole e canali, i quali giacciono dietro le isole della Principessa Reale: tutti questi canali finiscono, dopo breve tratto, alla terra ferma né v’ha fiume alcuno considerabile, ma soli torrenti di poca importanza.
(2) È questo l’arcipelago di Nitinat.
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presentasi un grande stretto che entra nel continente sotto il 48° 26’, accanto di una rupe formata come una torre. Quindi si crede essere questo l’entrata di Juan De Fuca, per la quale nel 1592 questi dice avere scoperto un passaggio per andare in Europa. Del suo viaggio non vi è stata giammai relazione; ma le lettere scritte a questo proposito dal console inglese Lock a Venezia (il quale volle far accettare da De Fuca il servizio d’Inghilterra) ai ministri inglesi, ed al dotto cosmografo Aakluit, esistono ancora, ed in esse si racconta, come detto dallo stesso De Fuca, di aver trovato un’entrata larga sotto il 47 e 48° di latitudine, nella quale s’innoltrò per 20 giorni di continuo. La terra ch’egli vide ora prese la direzione di nord ovest, ora di nord-est, ed in alcuni siti pure di sud est; ed il mare, dopo essere entrato nello stretto, lo trovò sempre più largo. Dopo che fu giunto finalmente al mare settentrionale (probabilmente il mare glaciale), giudicò meglio di ritornarsene per fare la relazione della scoperta. Gli abitanti in vari siti ove approdò, durante questo viaggio, erano vestiti di pelle, ed il terreno apparve fertile. All’ingresso dello stretto da lui scoperto sulla
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costa di nord-ovest, secondo De Fuca, v’è una grande punta di terra o isola, sulla quale vedesi una roccia straordinaria come una torre(1). Che De Fuca sia giunto al mare settentrionale o glaciale, è una supposizione; ma che per mezzo di questo ingresso sia giunto ad un gran mare mediterraneo, sul quale poté navigare per 20 giorni di continuo, non dovrebbe essere cosa affatto senza fondamento(2). De Fuca mette l’ingresso fra il 47° e il 48°, e Barclay osservò il suo stretto sotto il 47° 47’: dunque pochi minuti di differenza di latitudine sul medesimo sito, ed una roccia formata come una torre,
(1) Forster, Kleine Schriften, tom. 2. p. 36.
(2) S’è già detto non esservi mare alcuno mediterraneo nell’interno della costa nord-ovest dell’America: che però, supponendo che realmente De Fuca sia entrato in una imboccatura di mare (com’ è probabilissimo che sia l’entrata tra il capo Flattery, e l’isola di Quadra e Vancouver); e posto che, com’era costume in que’ primi tempi di scoperte, l’immaginazione e il desiderio di farsi nome fossero cagione di racconti esageratissimi; poste queste cose, dico non sarà improbabile, che il gran mare mediterraneo trovato da De Fuca non sia altro che l’unione di que tanti canali i quali restano tra la terra ferma e l’isola di Quadra e Vancouver, della Regina Carlotta ecc.
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rendono probabile che dietro a questa si trovi propriamente l’ingresso nel mare mediterraneo.
Nel 1787 il Congresso di America spedì due vascelli in questo sito, cioè la Colombia sotto il comando del capitano Kendrick, ed il Washington sotto gli ordini di Grey: l’ultimo arrivò il primo nel Nutka Sund, ove incontrò ancora il capitano inglese Meares. Le ulteriori intraprese di questi due vascelli non sono state pubblicate, poiché il Congresso stimò meglio di tener segreti gli avvenimenti del viaggio. Meares però narra, riportandosi in ciò a Neville, ben cognito è rispettato in Inghilterra, il quale nella China ha saputo dal capitano Kendrick le circostanze più dettagliate riguardo al viaggio di Grey, che questi è entrato propriamente nel porto di Juan De Fuca, dopo è giunto per mezzo di esso in un mare assai spazioso, nel quale poté navigare al nord ed all’est, ove ha trafficato con varie tribù(1). Anche
(1) Forster, Kleine Schriften, tom. 2. p. 121 ecc. Forster vi aggiunge ch’egli, malgrado tutta la pena che si è dato per avere qualche notizia esatta, non abbia potuto avere né assoluta negativa né conferma di questo racconto.
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Sir John Macpherson, governatore di Madras, durante il suo soggiorno al Capo di Buona Speranza, apprese da alcuni uffiziali spagnuoli, che gli Spagnuoli da poco tempo, sotto il 47° 45’ di latitudine settentrionale, avevano scoperto un ingresso, per lo quale nello spazio di 27 giorni avevano navigato fino alla vicinanza della baia di Hudson(1). Il governatore comunicò questa notizia al signor Carlo Grenville, il quale la partecipò al suo amico Dalrymple per renderla pubblica(2). Senz’accennare qui le notizie insufficienti del viaggio di Martino di Aguillar nel 1602, e la sua scoperta di un ingresso nell’interno dell’America occidentale presso il Capo Bianco, al 43° di latitudine, nel quale non poté entrare a cagione di una forte corrente che ne usciva(3), e senza far
(1) Tanto questa nuova quanto quella della scoperta di Grey sono state belle invenzioni; giacché il capitano Vancouver avendo incontrato Grey, allorché riconosceva la costa nord-ovest d’America, questi si meravigliò non poco delle scoperte che in Londra gli si erano falsamente attribuite sull’immaginato mare o comunicazione interna.
(2) Dalrymple’s, Plan for promoting the Furtrade, p. 21. 22.
(3) Torquemada, Monarchia Indiana, Madrid. 1723,
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menzione della lettera ricevuta per caso, ed in parte mozzata, dell’ammiraglio De Fonte(1), secondo la quale, nel 1640 dice di aver navigato molto sopra un mare mediterraneo nell’interno dell’America settentrionale, ove lo condussero alcuni laghi per mezzo della corrente de lo Reyes, e cominciando da questa corrente, di aver costeggiato per 360 miglia marittime, passando fra canali tortuosi, e fra stretti in mezzo alle isole, chiamate da lui l’arcipelago di S. Lazzaro; senza, dico, far menzione di tutto questo, fuori di dubbio, che questo mare mediterraneo nell’America settentrionale occidentale fu marcato sulle carte geografiche spagnuole. Così egli è indicato esattamente sopra la carta appartenente all’edizione originale spagnuola della Noticia de California del 1757. Questa carta per la sua rarità è stata
e Noticia de California, tom. 3. Dalrymple’s, Plan for promoting the Furtrade, p. 16. Forsters, Kleine Schriften t. 2. p. 40.
(1) La lettera fu inserita da principio in un giornale inglese: Memoirs of the curious pel 1708, mese di aprile e giugno. Dalrymple, p. 19. seq. Forster, Kleine Schriften, p. 43 seq unitevi delle ricerche sulla sua legittimità e credibilità.
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ricopiata ed incisa nuovamente per commissione di Dalrymple, e sopra di essa lo spazio fra l’ingresso di Martino di Aguillar, sotto il 43°, e quello di Juan De Fuca, sotto il 47° di latitudine settentrionale, si vede indicato come isola. Ambedue gl’ingressi conducono ad un gran mare mediterraneo che dal 43° si estende fino al 60° di latitudine settentrionale e che occupa 40° di longitudine. Da un lago, fra il 61° e il 63° di latitudine settentrionale, un poco verso il nord-est di questo mare, corre un fiume che tiene la direzione verso il mezzo giorno, finché sotto il 52° e il 54° con due diversi rami si volge verso l’occidente, e sbocca nel mare qui sopra descritto. La costa, incominciando dall’ingresso di Juan De Fuca, corre sopra la carta menzionata, come sopra le diverse altre pubblicate, verso il nord-ovest fino al 57° di latitudine settentrionale. Là (ove è marcato il Salisbury Sund) trovasi indicato uno stretto spaziosissimo, che si estende fino al 60°, e ch’è pieno d’isole; questo ha comunicazione con due laghi coerenti al nord-nord est, i quali si estendono fino al 72° di latitudine settentrionale vicino alla baia di Baffin. Verso il mare corre un altro braccio
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più verso l’occidente, e sbocca sotto il 76° dentro un largo seno del mar glaciale, ricco d’isole(1). Questa carta, malgrado degli
(1) L’opera intitolata Noticia di California è stata scritta da’ Gesuiti, i quali ivi ebbero de’ missionari, ed erano ben al giorno delle regioni al nord della California. Osserviamo la carta di Dalrymple, ed anche ciò che dice Forster ne’ suoi piccoli scritti, tom. 2, p. 67. e troveremo che Dalrymple avrà influito decisivamente sopra il giudizio di Forster. Questo è assai chiaro, se confrontiamo quello che ha detto Forster con un saggio più recente da lui stesso inserito nel I. tomo de’ suoi piccoli scritti, ove dice ancora nel 1789 dopo la pag. 35: «Un ammiraglio De Fonte, il quale non ha esistito giammai; un Pilota greco Juan De Fuca, il quale con un racconto aereo volle fare la sua fortuna; uno stretto di Anian, il quale a nessuno venne in mente che potesse essere lo stretto di Hudson, ed altre confusioni simili, cagionarono guerre letterarie e diedero luogo a carte geografiche immaginare». Chi potrebbe credere che quel medesimo uomo il quale nel 1789, scrisse cose simili, si spiegherebbe riguardo a De Fonte nel modo che leggiamo nel secondo tomo, pagina 59, del 1791: «Chi si vuol fare un’idea dell’abuso della critica, si prenda la pena fastidiosa di leggere le ciarle confuse o privo di connessione, che gli oziosi fabbricatori d’ipotesi impiegarono riguardo a questa notizia importante di De Fonte. Non vi vorrebbe la metà de’ loro sofismi e dubbi indissolubili per fare smarrire resistenza de’ più celebri eroi. La difficoltà non
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errori che contiene, e che forse consistono in cose da poco, non può essere scancellata sul registro delle carte geografiche, e che ci fa supporre l’esistenza di un gran mare mediterraneo nella parte occidentale dell’America settentrionale.
Il capitano Cook, l’uomo più atto a tale ricerca, a cagione delle sue istruzioni, non poté trattenersi nell’ultimo viaggio su queste coste. Sotto il 47° 5’ di latitudine settentrionale gli parve aprirsi qualche stretto, ma credette di dover supporre che
consiste nell’arte di dimostrare de’ paradossi, e di combattere con mezzi tomi in quarto l’autorità di un documento. Vi vogliono pure le cognizioni delle cose che l’esperienza sola insegna, o che si acquistano con lo studio unito alla facoltà di giudicare». Chi crederebbe che quello il quale si rise di Juan De Fuca, e ne giudicò indegnamente, citerebbe il passo seguente di Dalrymple? «La smania di comparire d’essere più istruito de’ buoni antichi induce a tali sentenze di oracolo; e siccome la derisione è più facile della ricerca, non dobbiamo essere sorpresi se vengono applaudite». Queste ultime parole sembrano essere da lui accennate riguardo alle notizie geografiche e critiche, ed alle osservazioni sopra la posizione delle parti settentrionali dell’Asia e dell’America. Mittau, 1772. 4. Quest’opera certamente ha avuto dell’influenza sopra il primo giudizio del sig. Forster.
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dietro vi fosse la terra ferma bassa, la quale impedirebbe qualunque ingresso; onde nominò la punta settentrionale, che immediatamente vi giace accanto, Capo Flattery (lusinga, falsa aspettazione).
Le tre grandi baie che immediatamente seguono, cioè la baia di Shoalvater (di basso fondo), la baia di Deception, e quella di Quicksand (arena mobile) le trovò sì ripiene di bassi fondi, che non poté riconoscerle. Forse sono desse le comunicazioni più meridionali fra il mare interno e l’esterno del nord. Il promontorio che immediatamente vi giace dentro, il capo Lookout (veduta), forma il confine del mare del nord in questi contorni.
Secondo l’accennato di sopra, è più che verosimile che tutto quello che si comprende tra il capo Lookout e il monte S. Elia, anzi fino all’isola di S. Ermogene accanto il fiume di Cook, e che fu riguardato come terra ferma, sia un arcipelago di grandi e piccole isole, una vicina all’altra, dietro le quali v’abbia un mare mediterraneo di circonferenza considerabile, il quale potremmo chiamare il mare occidentale; mare che per mezzo de’ laghi sta
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probabilmente in comunicazione col mare del nord, cioè verso l’occidente, e non dalla parte di qua del fiume Koppermine.
Ammettendo anche solamente le cose più probabili delle notizie che riguardano la scoperta di De Fonte, dobbiamo credere che il suo ingresso l’abbia condotto fino al lago degli Schiavi, il quale ha due grandi sfoghi, l’uno verso il nord, l’altro verso l’ovest.
Avendo egli pertanto incontrato sul lago degli Schiavi, o sul fiume dello stesso nome, o forse sullo sbocco del detto lago degli Schiavi verso il mare del nord (perché la notizia non è sufficientemente chiara, sebbene avendo De Fonte osservato chiaramente gli effetti del flusso e riflusso, possiamo congetturare benissimo, che sia stato vicino al mare del nord); avendo, dico, incontrato il capitano inglese Shapelly di Boston, converrebbe ammettere, che questi abbia trovato un passaggio pel mare glaciale dell’America, onde poter giungere in questo sito; perché, dopo le relazioni parziali della Compagnia della baia di Hudson, non possiamo adottare una comunicazione più meridionale di questi mari(1).
(1) Che non esista sare interno verso la costa
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Il mare glaciale americano al presente ci pare inaccessibile, ed affatto inservibile per la navigazione di qualche considerazione, ma forse sarà riuscito a qualcheduno nell’America il navigarlo, come riuscì a Deschnew di poter riconoscere le alte coste dell’Asia.
Il mare glaciale dell’America può essere chiamato mare mediterraneo più di qualunque altro, poiché è circondato verso l’est da paesi i quali si estendono al di là dell’80°, di latitudine. Sappiamo però, secondo rapporti più recenti, che questo mare glaciale discende incirca fino alla metà dell’America al 68°, anzi più basso, e forse verso lo sbocco del lago Cogead. Dalla baia di Baffin certamente si aprono varie strade che conducono nel mare glaciale. Lo Smiths Sund nel 78° 30’, il Jones Sund nel 76° 30’, il Lancaster Sund nel 74° 45’, e vari altri passaggi più meridionali che prendono la direzione verso il nord, non promettono molto poiché, non ostante la loro lunghezza, sono sempre
nord-ovest dell’america, si è detto sufficientemente nelle note antecedenti: quindi la comunicazione del mare pacifico col mare del nord per mezzo del lago degli Schiavi ecc. è affatto improbabile.
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coperti di ghiaccio, e forse fra dieci anni non permettono né anche una sola navigazione; quindi la ricognizione di questa baia fu sempre interrotta e non mai finita.
Lo stretto di Davis, malgrado della forte corrente del flusso e riflusso, è coperto quasi tutto l’anno di un lungo e largo campo di ghiaccio, dall’isola Disco fino a Slaatenhook. Cranz confessa(1) esser difficile lo spiegare d’onde venga questa quantità di ghiaccio. Proveniente dalle regioni del polo, entra indubitatamente pel Jones Sund e lo Smits Sund, ed è gettato colle forti correnti verso la parte occidentale della Groenlandia, ove pel continuo afflusso deve stivarsi. Anche la terra del Principe Guglielmo, al di cui occidente giace quella di Cumberland, consiste probabilmente in isole, fra le quali verso l’occidente, sotto il 70° e forse anche più verso mezzogiorno, si trovano degli stretti che conducono al mare del nord, e che forse non cedono punto alla grandezza dello stretto di Davis. Questi stretti però saranno sempre ripieni di ghiaccio in modo, che qualunque navigazione rendesi quasi impossibile.
(1) Histoire von Groenland. Tom I. pag. 45, 46, 47.
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Secondo questo, l’unico accesso per entrare nel mare del nord ci resterebbe a ricercarlo nella baia di Hudson. Dubito però che vi si trovi il passaggio senza le massime difficoltà; perché primieramente pare essere certo, che la Compagnia della baia di Hudson (la quale crede contrario al suo interesse un tal passaggio) non favorisce simili ricerche, e ancor meno ne pubblica le notizie imparziali a questo riguardo: ed in secondo luogo dominerà sicuramente anche qui la quantità del ghiaccio.
Forbisher, il quale sostenne fortemente la possibilità di un passaggio pel nord-ovest, per tre volte lo tentò inutilmente. Nel 1576 ai 30 di luglio trovò la baia di Hudson ancora piena di ghiaccio; le coste almeno n’erano coperte, alla distanza di 5 miglia geografiche. Ai 21 di agosto, in tempo di notte cadde sul vascello la neve fino ad un piede di altezza; ed ai 26 dello stesso mese dovette ritornarsene. Nel 1577, intraprendendo il secondo viaggio, il flusso fu sì forte, e le masse di ghiaccio sì violente, che spesse volte credette di essere perduto. Ai 28 di luglio fu rinchiuso dall’affollarsi violento del ghiaccio. Più tristo ancora fu il terzo viaggio
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dell’anno seguente; ai 24 di luglio i vascelli si arrestarono nel ghiaccio; ed ai 27 si chiuse intieramente il passaggio: ai 31 di luglio la Capitana ricevette una scossa sì violenta dal ghiaccio, che ne riportò una falla d’acqua, e il vascello del vice-ammiraglio fu rinserrato. Ai 2 d’agosto la Capitana restò ancora rinchiusa nel ghiaccio, ed un altro vascello perì. Ai 6 tre vascelli restarono più che mai serrati, ed ai 24 un vascello ebbe più di otto falle d’acqua a cagione del ghiaccio(1); e così apprese Forbisher tre anni di seguito, che questa regione, anche ne’ mesi di luglio ed agosto, non è navigabile senza i massimi pericoli.
Jeremie, dal quale forse abbiamo le relazioni più sicure intorno alla baia di Hudson, ci dice(2) «Lo stretto che nominiamo, secondo l’inglese Arrigo Hudson, stretto di Hudson, scoperto da lui nel 1613, è 120 miglia lungo, 16 in 18 largo, ed è circondato su d’ambidue i lati da rocce di
(1) Recueil des Voyages au Nord. Tom. V.
(2) Nell’istessa opera Recueil des Voyages au Nord.
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un’altezza ammirabile. In tutte le stagioni dell’anno vi si vede la neve ed il ghiaccio che cagionano un freddo terribile; e se non si profittasse del momento in cui vi è la minor quantità di ghiaccio, cioè dal 15 di luglio al 15 d’agosto, non sarebbe possibile di navigarvi, e tuttavia si deve rischiare in questo tempo di passare fra i banchi di ghiaccio. Con istanghe guarnite di ferro si cerca di allontanare i pezzi di ghiaccio; e malgrado di tutta la pena che vi s’impiega, spesse volte restasi inviluppato un mese intiero. Abbiamo voluto misurare un pezzo di ghiaccio, ma cento braccia di corda lasciate giù nel fondo dell’acqua non bastarono per trovarne il fine». Il capitano James, che passò l’inverno in questa gran baia d’Hudson, e propriamente, sotto il 51° 30’, in quella che porta il suo nome, trovò ancora ai 15 di giugno il mare coperto di ghiaccio. Ellis, il quale a Jorksfort, sotto il 57° 30’ di latitudine, passò l’inverno, non solo descrive con terrore questo soggiorno, ma confessa benanche, ch’egli ancora alla fine di agosto ed in principio di settembre è stato in grande pericolo fra i pezzi e le montagne di ghiaccio, finché è giunto in alto mare, ove fu libero
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nella stessa latitudine. Un tale impedimento importante ed insuperabile della navigazione di questo mare, e la ricognizione delle sue coste provano nell’istesso tempo, che la baia di Hudson abbia sicuramente uno stretto largo, che conduce nel cognito mare glaciale sopra l’America. Senza questa cagione non si comprenderebbe perché questa gran baia, la quale giace verso il mezzogiorno della baia di Baffin, sia coperta maggiormente e più spesso di ghiaccio che questa. La baia di Baffin, sopra l’isola di Disco, è nell’estate sufficientemente libera da ghiaccio, e sotto di essa si è trovato in alcuni anni un mare praticabile: la baia di Hudson al contrario non è mai libera. Ammettendo la baia Repulsa come la sorgente principale del ghiaccio che vi si osserva, vediamo benissimo, che sì come la sua apertura è coperta dall’isola Southampton, il ghiaccio che entra per questa strada, facilmente si estende sopra tutta la baia di Hudson.
Vi resta dunque la massima probabilità, che questo stretto della baia di Hudson, chiamato Repulsebay, sotto il 67° 30’ di latitudine settentrionale, e 292° di
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longitudine, sia in comunicazione immediata con quell’incognito mare glaciale.
Questa opinione è veramente affatto contraria alle relazioni della Compagnia della baia di Hudson: e siccome questa ha pur troppo interesse a non trovare una sortita, ci sarà permesso di non sottometterci assolutamente a tali relazioni.
Quando nel 1742 il capitano Middleton, dopo aver riconosciuta questa baia, dichiarò a dirittura, che non vi fosse alcuna sortita, il rinomato e perspicace Irlandese Arthur Dabbes, in appresso governatore dell’America settentrionale, sostenne apertamente, che Middleton sia stato corrotto dalla Compagnia della baia di Hudson, la quale pel suo traffico coi selvaggi in quei contorni guadagna 2000 per cento. I tentativi di Maore e di Smith nel 1746 non furono trattati più favorevolmente; mentre Rabsom, per lo passato ispettore della Compagnia, si disunì dalla stessa. Egli dice francamente, che da niuna cala siano stati veduti i confini occidentali(1). Senza inoltrarsi tanto in queste
(1) Ved. Anderson, storia del commercio da’ tempi
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ricerche, è facile ad immaginarsi la possibilità di un inganno, considerando la brevità del tempo che s’impiega in tali ricerche, e le difficoltà che si oppongono al più ardıto ed intrepido indagatore. Spesso si nasconde l’apertura di un passaggio, come nella valle, e non diviene visibile che nella vicinanza. In un seno considerabile, osservando l’orizzonte anche dalla gabbia, facilmente si può crederlo confinato d’intorno. Per asserire dunque qualche cosa con sicurezza, sarebbe stato necessario di essersi avvicinato dappertutto alle rive delle cale, ed averle riconosciute nella maniera più esatta.
Alloraquando il Parlamento Britannico nel 1745 promise un premio di 20000 lire sterline a chi scoprirebbe un passaggio nella baia di Hudson, ben presto comparve il capitano Clüin, il quale sostenne di avere scoperto e riconosciuto esattamente il passaggio. Dicendo di aver navigato per la Repulsebay, espose ch’ella è un poco curva verso il
più antichi fino a’ presenti. Tom. 7 per l’anno 1742 e 1749.
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nord fino al 68° 30’ di latitudine e 289’ di longitudine, poi va quasi in linea retta, e con alcune curvature fino al 69° di latitudine e 265° di longitudine; di modo che il passaggio è solamente lungo 27 gradi, cosa che nella latitudine di 68° importerebbe poco più di 200 miglia geografiche. All’entrata della Repulsebay nel mare glaciale egli nota due promontori, nominando il capo settentrionale Spurel, ed il meridionale Fowler. Incominciando da quest’entrata, disegna la costa della terra fra il mare glaciale, e la baia di Baffin verso il nord, e la costa settentrionale della parte sconosciuta dell’America con alcune curvature quasi intieramente verso l’ovest; ed in ciò differisce pochissimo da quello che ne dice Forster nel secondo tomo de’ suoi scritti. Clüin pubblicò la carta, si presentò al ministro, offrì schizzi, disegni e spiegazioni, e domandò il premio alloraquando avesse dato i lumi sufficienti a questo riguardo; ma si dice che questa speranza gli fu interamente tolta per i maneggi delle Compagnie delle Indie orientali, e della baia di Hudson.
Stante il gran movimento del flusso e
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riflusso che si osserva in tutti gli angoli e stretti di queste due baie, tanto in quella di Hudson quanto in quella di Baffin (così per esempio presso l’isola Disco, sotto il 68° di latitudine, si osserva un flusso di 18 piedi di altezza, il quale non s’incontra in alcun mare mediterraneo), pare doversi supporre una comunicazione assai vasta di queste baie, o piuttosto mari mediterranei col grande oceano, ed in conseguenza anche col mare glaciale settentrionale; benché ordinariamente si crede di trovare la cagione della diversità che esiste fra i nostri mari mediterranei dell’Europa, e quelli dell’America; cioè, che le baie di Baffin e di Hudson si aprono verso l’est, mentre i mari mediterranei europei si aprono verso l’ovest.
Quello però che decide per la Repulsebay è l’osservazione del capitano Ellis, cioè, che il flusso nella Repulsebay viene dal nord, e particolarmente dalla parte sud-ovest della baia, di modo che navigando contro il flusso, si arriverebbe ad un passaggio che conduce nel mare glaciale americano.
Anche la quantità delle grandi ed
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immense balene che visitano la baia di Hudson è riguardata da Ellis come una prova del passaggio nella Repulsebay. Egli ne tira anzi la conseguenza, che il passaggio non vi possa essere tanto stretto, poiché balene di 150 anzi di 200 piedi di lunghezza facilmente vi passano; e nemmeno tanto esteso, altrimenti non vi passerebbero. Anche ad esso il ghiaccio ed il ritardo della stagione impedirono il tragitto. Del resto questa cosa resterà forse ancora molto tempo indecisa, mentre lo scoprimento di questo stretto occupa ed interessa più i geografi ed i fisici che lo spirito speculativo degli stabilimenti mercantili.
Sotto la Repulsebay, e propriamente sotto il 288° 41’ di longitudine e il 66° 20’ di latitudine, nel gran fiume di Wager, trovasi un’altr’apertura verso il nord, chiamata Deer Sund, la quale probabilmente conduce anche al mare del nord, e forma un’isola di quel pezzo di terra, il di cui promontorio orientale si chiama capo Hape, ed il meridionale capo Smith. Forse anche il fiume Wager, che è piuttosto un seno assai prolungato che un fiume, offre una
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comunicazione molto più occidentale col mare del nord. Incominciando da questo fiume Wager, in giù verso il mezzogiorno, fino al fiume Curchill, non dobbiamo più pensare ad una comunicazione col mare glaciale occidentale: mentre non solamente l’entrata di Chesterfield, almeno come la trovarono Christopher e Norton nel 1761 e 62, finisce in un lago di acqua dolce, lungo 15 miglia geografiche incirca, e largo 4 in 8 miglia; ma questo riceve un piccolo fiume, il quale avendo tre cadute di acqua, ed un fondo basso in guisa, che nemmeno vi passa un battello, non è punto navigabile. Hearne scorse l’America a piedi, dirigendosi dal fiume di Curchill sotto il 58° 50’ di latitudine settentrionale a dirittura verso il fiume Coppermine, e provò con ciò chiaramente l’impossibilità di un passaggio per mare.
Dai fiumi e dalle cale più meridionali non c’è da aspettarsi alcuna unione completa. Il fiume di Severn, ch’è sotto il 56° di latitudine, sbocca nella baia di Hudson, e per mezzo del lago di Severn e Favorable sta in comunicaziore col lago di Wennipeg, il quale poi finisce più verso il sud ovest nel
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lago di Minnito. Dal Regensee (lago della Pioggia), e dal Waldsee (lago della Selva) portasi il fiume di Wennipeg nel lago dello stesso nome; e le sue sorgenti e il Regensee giacciono molto vicino al lago superiore, talché questi trasformano piuttosto il Labrador, il Canadà e la Nuova Sud Wales in isole, invece di correre verso i fiumi occidentali della costa occidentale dell’America.
La parte più meridionale della baia di Hudson è chiamata baia di James, e questa discende fino al 51° 30’ di latitudine. Da questa parte comincia la maggior estensione del mare, poiché si restringe fra la terra del Principe Guglielmo e Cumberland nella baia di Baffin, e passa per lo stretto di Smith nel 78° di latitudine verso il mare del nord. La costa orientale si estende quasi in linea retta verso il nord, e sicuramente fino al 67° 40’ di latitudine, poiché fino a quel punto arrivò Fox nel 1631, e forse avrà luogo la medesima estensione anche nel resto di Cumberland. Tutta questa lunga costa, sulla quale trovasi la sola piccola baia di Richmond (Richmondbay) al 57° di latitudine, forma quasi un angolo retto col
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grande stretto che conduce nel mare glaciale europeo. Tale stretto, largo 30 miglia geografiche, e sotto il 63° e 64° di latitudine, è posto incontro all’isola di Southampton (isola che guarda l’entrata della Repulsebay), e vien suddiviso in tre piccoli stretti da varie isole.
Lo stretto più meridionale che gira intorno al Labrador è il più largo, ed è chiamato lo stretto di Hudson. Quello di mezzo, scoperto nel 1567, è lo stretto di Forbisher, passa sopra l’isola Resoluzio[n]e, sotto il capo Walsingham, e va verso Hale. Lo stretto settentrionale è quello di Cumberland, il quale passa sopra le isole, e sotto la punta più meridionale di Cumberland.
Alla punta sud-est di Cumberland vi si unisce ancora l’intero mare della baia di Baffin, e forma, unito a questi stretti, fra le coste del sud-ovest della Groenlandia le coste nord-est di Labrador, un mare assai largo rinchiuso da due lati, chiamato il mare degli Eskimaux. I capi Farewell e Staatenhook sulla Groenlandia ed i capi Degat e S. Johns su Terranova sono i due più estremi confini occidentali. I navigatori
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sogliono dare il nome dello stretto di Davis a tutta quell’acqua che dalla Groenlandia s’estende verso l’occidente.
La Groenlandia senza dubbio è isola, e lo stretto di Davis, che fra l’isola di James e la Groenlandia conduce in su nella baia di Baffin, si estende assai probabilmente fino al polo. Però, ben lungi dall’esser cognita la costa settentrionale della Groenlandia, appena si conosce quella di sud-ovest.
La costa occidentale scoperta nel 1576 da Forbisher, possiamo scorrerla per 300 miglia. Sopra di essa si trovano due colonie Danesi, e due degli Herrnhuther(1). La costa è piena di scogli a fior d’acqua, e di piccole e grandi isole. La costa orientale per lo passato fu meglio conosciuta che in oggi, e la parte della medesima, verso la quale i Danesi navigarono con tanta facilità, come gli Spagnuoli verso le Canarie, o si è sprofondata, o si è approdato ne’ tempi moderni in un altro luogo di questa terra estesa, ed il ghiaccio ha impedito di cercare il
(1) Setta religiosa, che si dice della comunione de fratelli evangelici, fondata dal signor Sinzendorf in Hernnhuth, piccola città della Lusazia superiore.
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vero sito sul quale si trovavano gli stabilimenti dei Danesi antichi. Del resto l’odierna costa orientale non ha quel seducente che si dice aver avuto ne’ tempi passati.
Possiamo continuare a scorrere la costa fino al circolo polare, ove per mezzo dell’Islanda, che giace 40 miglia verso l’est, si forma uno stretto di mare, il quale annualmente è visitato dai pescatori delle balene. Questo stretto non è stato mai chiuso da’ ghiacci, e ciò nasce dalla grande corrente che vi passa, e dall’Islanda la quale forma un riparo contro l’impulso del vento dell’est.
La costa della Groenlandia pare estendersi in su verso nord-est. Nel 1670 si è trovato ancora terra sotto il 79° di latitudine, la quale probabilmente appartiene alla Groenlandia. Il freddo ed il ghiaccio non permettono d’inoltrarsi di più.
In questa regione il mare del nord forma nuovamente uno stretto, più largo di 60 miglia geografiche, col gruppo delle isole di Spitzbergen poste sotto il 15° di longitudine, e il 76° fino all’80° di latitudine. Questo gruppo d’isole consiste interamente in monti acuti formati di piccole lastre simili alla lavagna cenerognola, condotti insieme da’
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torrenti e dal vento, i quali, secondo il rapporto de’ navigatori, annualmente paiono aumentarsi, ciocché fa conchiudere che anche quivi diminuisca il mare del nord. Si vede la costa di Spitzbergen a una distanza incredibile, e sovente di 30 ore; prova della sua sorprendente altezza. Essa comparisce di uno splendore ammirabile, del colore della luna piena, ed il cielo sopra di lei è bianchiccio. Credendo a occhio di esservi distante solamente 3 o 4 ore, vi vogliono ordinariamente ancora 10 fino a 12 ore. Questo inganno nasce dall’immensa altezza delle montagne di rocce coperte di neve, le quali lungo la spiaggia sono circondate dal ghiaccio. Vi nasce pure un altro fenomeno, cioè, che i porti grandi compariscono piccoli stagni, ed i vascelli grandissimi vicini alla costa, paiono battelli comuni, come quelli che navigano sui fiumi. La baia della Maddalena nel 79° di latitudine è straordinariamente grande, e tale da poter ricevere tutta la marina inglese, e ciò non ostante pare esser di poca estensione. Ciocché prima d’ogni altra cosa in queste regioni di ghiaccio eterno sorprende il tranquillo osservatore, è il profondo silenzio che regna dappertutto. Tratto
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tratto solamente viene interrotto da un rumore simile al tuono che scoppia in lontananza, cagionato da immensi pezzi di ghiaccio o di rocce, i quali da’ lati di queste altissime montagne balzando successivamente, si precipitano nel mare. Le punte conosciute più settentrionali si chiamano North Foreland e North Bank. Accanto all’ultima giace Smeerenburg, chiamata così dagli Olandesi, i quali particolarmente dal 1625 fino al 1640 vi fecero bollire il grasso. Vi si vedono ancora il loro cimiterio, le tavole erettevi coll’anno dell’era volgare, tre o quattro casse aperte nelle quali giacciono scheletri di uomini, e parimente gli avanzi de’ loro forni. Presentemente vi si è stabilita una colonia russa. Una compagnia di Archangel ordinariamente spedisce ogn’anno, nel mese di maggio, un vascello di 100 tonnellate con un capitano, un chirurgo, un marangone, un cuoco, e 18 uomini forniti sufficientemente di schioppi, polvere, coltelli, istrumenti per lavorare il grosso legname, acquavite, farine ecc. Questo vascello arriva a Smeerenburg nel mese di luglio, vi si trattiene due o tre settimane per esser racconciato, e riconduce poi ad Archangel quella
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compagnia che vi era stata condotta l’anno antecedente con tutt’i tesori ivi raccolti. Questi consistono in grasso, ossa di balena, pelli di orsi bianchi e di volpi bianche, piume d’oca di peluria (anas mollissima), in denti del Narhwal (Monodon Narhwal), e lingue di renna affumicate. I coloni non ricevono alcun soldo, ma tutti hanno una parte fissa del prodotto, cioè, il capitano 50 parti, il chirurgo 30, il marangone ed il cuoco 10, ed il comune 1. Nulla di meno quest’ultimo riceve 20 fino a 25 scudi, co’ quali vive un anno ad Archangel, ove i generi sono molto a buon mercato. Per farvi del fuoco si servono del legno fluttuante, del quale ordinariamente arrivano alberi interi. Nel 1780 il capitano inglese Souter vi navigò col vento favorevole del sud fino all’82° di latitudine. Egli trovò il mare pienamente aperto, chiaro e senza ghiaccio, e col miglior canocchiale non poté scoprire alcun ghiaccio verso la regione del polo. Però verso l’est e verso l’ovest trovavasi molto ghiaccio accumulato in modo ch’egli navigò in una specie di canale. I campi di ghiaccio che dall’est e dall’ovest si misero in movimento verso il sud, e probabilmente anche il timore di
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navigare in regioni sconosciute e forse non mai visitate da uomini, l’indussero a ritornarsene(1). Sopra le collinette di Spitzbergen, consistenti in quelle piccole lastre qui sopra accennate, si è trovato, in distanza di un miglio geografico dalla costa, un albero di vascello, alla di cui estremità vi era ancora attaccata una girella. Sia che quivi naufragasse un vascello, o che questo pezzo solo vi fosse spinto dall’onde, vediamo che alcune centinaia di anni in dietro il mare bagnò queste collinette. Le spiagge sono coperte di frammenti di vascelli naufragati, di legno fluttuante, di ghiaccio e di neve. Del resto sopra l’intera isola non si trova alcun albero o arboscello; non vi è altro che musco e l’erba coclearia: il primo si cerca dalla renna con fatica sotto la neve. La renna e le volpi bianche e turchine sono i soli e perpetui abitatori di queste isole. Gli uccelli acquatici, benché la spiaggia ne sia
(1) Ved. Bacstrom, descrizione di un viaggio a Spitzbergen nel Philosophical Magazine del 1801; ed un estratto di tutto ciò nel Chr. Weiland Kleinel Abendtheuer zu Wasser und zu Lande. Tom. 3. p. 163 seq.
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coperta, e le loro uova servano di nutrimento alla volpe, vi fanno solamente visita come il vitello marino. L’orso bianco pare che venga unicamente per farvi la caccia. Non vi si trovano uomini. I Russi sogliono visitare annualmente questa costa per farvi la caccia degli orsi, delle volpi, de’ vitelli marini ecc. Nel 1743 vi naufragò, un vascello di Metzen (luogo che giace sulla costa del mare bianco), di cui non si salvarono che quattro Russi, tre de’ quali vi si sono conservati più di sei anni, e il quarto morì dello scorbuto nel quinto anno del suo soggiorno. Gli altri tre furono salvati da un vascello, il quale, invece di prendere la direzione verso l’occidente, fu gettato dal vento verso l’oriente. Questo gruppo d’isole fu scoperto da Guglielmo Barenz nel 1596. Esso pare non aver comunicazione con alcuna altra terra.
Il menzionato gruppo d’isole è la cagione onde si possa visitare sì altamente la costa della Groenlandia, poiché ripara il vento dell’est, e forma una chiusa o parapetto, acciocché il vento suddetto non possa cacciare insieme i campi di ghiaccio. I navigatori, quando sono condotti dal vento
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verso la parte orientale di Spitzbergen, si danno sempre per perduti, poiché vi sono circondati troppo presto dal ghiaccio. In niun sito ci siamo tanto avanzati verso il polo quanto in questo, e sarà difficile di potersi inoltrare di più.
Possiamo dunque ammettere con molta probabilità, che tutta la regione de’ poli, quasi nella circonferenza di dieci gradi di latitudine, componga un continente di ghiaccio, il quale da innumerabili secoli vi si è innalzato, ed ove non si può viaggiare nemmeno colle slitte, parte per via delle montagne e rocce nelle quali si trova contenuto, e parte per via dell’eterna rivoluzione, mentre in un luogo si precipitano le montagne, e si squarciano i campi di ghiaccio, e in un altro cominciano di nuovo ad innalzarsi.
FINE DEL I° TOMO