Art. I. Teoria della Sensibilità pura. Modo con cui si formano in noi le percezioni degli oggetti sensibili. Dello Spazio e del Tempo
Art. II. Teoria dell’Intelletto puro. Generazione delle leggi universali che regolan gli oggetti sensibili. Categorie e forme del pensiero. Schematismo. Riflessione trascendentale. Natura
Art. III. Teoria della Ragione pura. Della legge dell’assoluto. Delle Idee trascendentali. Paralogismi, antinomie, e ideale della Ragione pura. Delle prove specolative dell’esistenza di Dio
Art. IV. Teoria della Ragione pratica. Sentimento fondamentale della coscienza. Libero arbitrio. Imperativo categorico. Unione necessaria delle due tendenze verso la felicità e verso il dovere. Immortalità dell’anima. Dio
Art. I. Esame della Teoria della Sensibilità pura
Art. II. Esame della Teoria dell’Intelletto puro
Art. III. Esame della Teoria della Ragione pura
Art. IV. Esame della Teoria della Ragione pratica
Art. V. Esame della Filosofia sperimentale opposta alla trascendentale di Kant
ARTICOLO III.
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La Ragione pura, secondo Kant, non è altra cosa, se non quella attività del nostro spirito, che applica l’assoluta a’ nostri concetti, e che perciò li modifica, e nuovi concetti ne forma. L’Intelletto che applica le categorie agli oggetti sensibili cu ha dato dei concetti d’intuizione; la Ragione pura ci dà invece dei concetti di concetti, questi concetti di concetti son quelli, che da Kant si appellano idee.
Tre idee poi soprattutto, secondo lui, si manifestano nell’esercizio trascendentale della Ragione: 1. quella dell’unità assoluta, dell’Esser semplice – Idea psicologica; 2. quella della totalità assoluta, dell’Universo – Idea cosmologica; 3. quella della causa e realità assoluta, Dio per gli uni, semplici meccanismo per gli altri – Idea teologica.
Lascio da parte l’improprietà di riserbar il nome d’idea, che significa immagine, a cose appunto che non possono presentare nessuna immagine. Venendo all’essenziale, qui si scopre più che mai l’abuso che ha fatto Kant della sua Ragione pretendendo di poter concepir l’assoluto, vale a dire l’illimitato, l’infinito, e a piacer suo applicarlo a’ concetto, e formarne concetti di concetti, formarne idee.
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Tutti i Filosofi, anzi pur tutti gli uomini hanno creduto e detto fin qui, che l’assoluto è impenetrabile e inaccessibile all’umana mente; che noi possiamo avere idee positive degli oggetti finiti, perché proporzionati alla limitazione della nostra Facoltà di conoscere; ma che dell’infinito, dell’assoluto non abbiamo che dell’infinito, dell’assoluto non abbiamo che idee negative; cioè, propriamente parlando, nessuna idea: Kant medesimo confessa, che lo spazio infinito è troppo vasto alla nostra Sensibilità, che il tempo infinito, come oggetti, sfugge al nostro Intendimento (benchè avesse detto a principio, che le nostre rappresentazioni dello spazio e del tempo, come forme della Sensibilità erano per lor natura infinite); ma la Ragione, segue poi egli, sdegna ogni limite, ella tende all’assoluto, ella abbraccia al di là d’ogni limite l’infinito.
Quanto non dovremo noi ammirare il privilegio di Kant, se la sua Ragione fosse arrivata dove niuna Ragione umana è mai giunta sinora! Ma dobbiamo noi credere veramente che la sua Ragione sia giunta a formarsi l’idea dell’assoluto? Egli stesso ne dà assai motivo di dubitarne.
Rispetto all’idea psicologica dell’unità assoluta, dell’Esser semplice, egli chiama paralogismo il considerarla come una cosa realmente esistente in se, il farne un’unità semplice materiale, o un’unità semplice spirituale, l’attribuirle la personalità, la mortalità o immortalità ec.
Ma il suo proprio Essere conoscitore non l’ha egli riguardato sempre come una cosa
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realmente esistente in se? non l’ha egli sempre considerato come un’unità semplice, sistematica, assoluta? E farà dunque tutto questo in lui un puro paralogismo?
E se è così, perché tanto poi affannarsi nella Critica della Ragione pratica per accertarne l’esistenza, la realità in se, le facoltà di conoscere, di volere, d’agire, onde il dice fornito per sua propria essenza e natura? Chi non vede qui una manifesta incoerenza a’ suoi stessi Principi?
Oltrechè s’egli avesse una vera idea dell’unità assoluta, non dovrebbe egli sapere, se il suo Essere conoscitore è un’unità semplice materiale o un’unità semplice spirituale, se è mortale o immortale? e potrebbe egli chiamare egualmente paralogismo il farne un’unità semplice spirituale, qual è realmente, come il farne un’unità semplice materiale, che è un’aperta contraddizione ne’ termini, giacchè materia significa essenzialmente un Esser composto, non già un Esser semplice?
Da tutto questo parmi certamente poter conchiudere, che a formarsi la vera idea dell’unità assoluta, come niuno fra gli uomini, così neppur egli è peranche arrivato.
Rispetto all’idea cosmologica della totalità assoluta o dell’Universo, ei comincia a premettere la contraddizione necessaria, che v’ha tra la Sensibilità e l’Intelletto per una parte, a cui l’infinito è troppo vaso, e la ragione per l’altra, a cui ogni limite è troppo angusto; indi conchiude che da una tale stato di cose contraddittorio e necessario nell’Essere
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conoscitore risultano quanto all’idea cosmologica, al concetto razionale dell’Universo, le quattro antinomie, per cui si afferma nella tesi, e si nega nell’antitesi 1. che l’Universo sia eterno rispetto al tempo, ed immenso rispetto allo spazio; 2. che tutte le sostanze dell’Universo sieno composte di parti semplici; 3. che non tutto sia necessario nell’Universo, ma vi sieno degli Enti libero; 4. che esiste nell’Universo un Essere assolutamente necessario, prima causa di tutte le cose: fra le quali tesi e antitesi poi soggiugne che la Ragione specolativa non ha alcun mezzo di decidere.
Or io non veggo come nell’Essere conoscitore, qual egli il suppone, possan nascere queste contraddizioni tra la Sensibilità, l’Intelletto, e la Ragione; e molto meno le quattro antinomia, tra cui la Ragione non abbia alcun mezzo di decidere.
L’Essere conoscitore è uno; la Sensibilità, l’Intelletto, e la Ragion forman con esso una cosa sola; come può egli essere in contraddizione con se medesimo? O egli ha, o non ha l’idea dell’assoluto. Se l’ha per mezzo della sua Ragione, come può in lui far nascere contraddizione il non averla per mezzo della Sensibilità e dell’Intelletto? Son forse la Sensibilità e l’Intelletto due cose da lui separate?
Oltrechè non ha egli detto sin da principio, che le rappresentazioni dello spazio e del tempo, come forme subbiettive della sua Sensibilità, sono illimitate, infinite? Come mai
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l’infinito diventa ora alla Sensibilità troppo vasto?
Di più: se l’idee dell’infinito, dell’assoluto son nella sua Ragione, come mai la stessa Ragione diventa inetta a poter decidere, se l’Universo sia o non sia infinito rispetto allo spazio ed al tempo, con tutte l’altre antinomie?
Più ancora: ei pretende che l’Universo, quale si concepisce dall’Essere conoscitore, sia tutto di sua creazione. Ora questo Universo ch’egli medesimo si è creato, non deve egli sapere come se l’ha creato, se finito o infinito rispetto allo spazio ed al tempo, se composto o non composto di parti semplici, se necessario o libero, se dipendente o no da un Ente necessario o libero, se dipendente o no da un Ente necessario prima causa di tutte le cose?
Come mai in un Essere che ha l’idea dell’assoluto, che si crea da se medesimo l’Universo, posson nascere intorno all’Universo queste opinioni contraddittorie? Che se egli non ha così fatta idea, se l’Universo ch’ei concepisce non è una sua creazione, allora è ben facile il vedere, come queste opinioni contraddittorie possan nascere; ma tutta la teoria di Kant in tal caso va a terra.
E qui io non so finir di maravigliarmi, come Kant dichiarando che tra queste contraddittorie opinioni la Ragione non ha alcun mezzo di decidere, che son tutte vane egualmente, che ciascuno de’ combattenti per l’una o per l’altra delle contrarie tesi ha egual torto, abbia voluto aprire la strada allo scetticismo più pazzo in quell’opera stessa, in cui egli
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alla Facoltà di conoscere attribuisce una forza ed estensione, che niun Uom ragionevole ha mai sognato d’attribuirle.
Rispetto all’idea teologica della causa prima, di Dio, non ha egli riguardo a spacciare apertamente, che Dio per la Ragione specolativa è un oggetto puramente ideale, che la sua reale esistenza colla Ragione specolativa non può dimostrarsi, che le dimostrazioni date fin qui son tutte vane e insussistenti; e ad aprire così il campo a tutti i deliri e sragionamenti degli Atei. Vero è ch’ei promette di sostituire nella Critica della Ragione pratica una dimostrazione più sicura e più convincente; ma noi vedremo, se la sua dimostrazione tratta dalla Ragione pratica possa esser atta a convincere pienamente un Uomo, a cui egli abbia tolto tutte le dimostrazioni della Ragione specolativa; e farem vedere in appresso come secondo i suoi stessi vedere in appresso come secondo i suoi stessi Principi la Ragione specolativa ne somministri veramente una assai più certa, e convincente, e inespugnabile dimostrazione, ch’egli non ha saputo o voluto conoscere ed apprezzare.