Prima contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia prima
Seconda contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia seconda
Terza contraddizione delle idee trascendentali
Scolio dell'antinomia terza
Quarta contraddizione delle idee trascendentali
Scolio all'antinomia quarta
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Contro quest’asserzione, dell’essere la materia divisibile all’infinito, la cui prova è tutta matematica, mossero parecchie obbiezioni e dubbiezze i monadisti (sostenitori delle monadi). Le quali obbiezioni e dubbiezze rendevansi per ciò solo già sospette, che ricusavano
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di lasciar valere i più evidenti argomenti matematici, come nozioni e viste nelle proprietà dello spazio, in quanto è, di fatto, nello spazio la condizione formale della possibilità d’ogni materia, ma quegli argomenti risguardavansi da esse per mere conclusioni dedotte da concetti, astratti sì, ma arbitrarie che suscettivi non fossero di essere quinci trasferiti ed applicati alle cose positive. Quasi come anche solo possibile fosse immaginare altra maniera di visione, fuori di quella, che ci viene offerta nella visione originaria dello spazio, e quasi che le di lui determinazioni a priori non anche risguardassero, nello stesso tempo, a tutto quanto è per ciò esclusivamente possibile che occupa e riempie il detto spazio. Se orecchio prestiamo e fede ai detti sostenitori, oltre il punto matematico, il quale è semplice, non però parte
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ma solamente limite di uno spazio sarebbero da eziandio immaginarsi punti fisici; che, semplici anch’essi, nel vero, godessero però della prerogativa, nella qualità loro di parti dello spazio, di, mediante aggregazione di sé medesimi, riempirlo. Ora, senza quivi ripetere le altronde comuni e dovunque frequenti confutazioni dell’assurdo, col quale indarno affaticansi essi a sofisticare l’evidenza delle matematiche, per via di concetti solo discorrevoli od universali, limiterommi osservare per ora, che la filosofia non raggirate, delude le matematiche, se non in quanto ed allorquando è per essolei posto in obblio, questa quistione riferirsi unicamente alle apparizioni ed alla condizione delle medesime. Ma non è costì sufficiente che, per un concetto intellettuale puro del composto, il concetto si trovi del semplice; giacché per la visione
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del composto (della materia); è mestieri trovare la visione del semplice: il che, non permettendosi per verun conto dalle leggi della sensibilità, riesce quindi assolutamente impossibile anche per gli oggetti dei sensi. Rispetto adunque ad un tutto di sostanze, qual se lo raffigura unicamente il puro intelletto, può sempre accordarsi, che, prima d’ogni composizione di un tal tutto, ne sia necessario avere il semplice; ciò però non vale del tutto sostanziale, come fenomeno (totum substantiale phaenomenon); al qual tutto, nella sua qualità di visione empirica nello spazio, è inerente, come proprietà necessaria, che niuna parte del medesimo è semplice, atteso che non è semplice alcuna parte dello spazio. Intanto i difensori delle monadi ebbero quanto volevasi accorgimento per iscansare questa difficolta, presupponendo,
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siccome fecero, lo spazio non già come una condizione della possibilità degli oggetti d’esterna visione dei corpi), ma questi stessi oggetti e la relazione dinamica delle sostanze in genere, come la condizione della possibilità dello spazio. Ora, siccome non possediamo altro concetto intorno ai corpi, se non in qualità di apparizioni, e che, in qualità di apparizioni, essi presuppongono di necessità lo spazio, qual condizione della possibilità di quante sono le apparizioni esteriori, così riesce vano il sotterfugio mentovato poc’anzi: e già gli avevamo, in conseguenza, precluso, più sopra, qualunque adito (nell’Estetica trascendentale). Se le apparizioni fossero cose per sé stesse, avrebbe tutta l’autenticità e fermezza l’addotto argomento dei monadisti.
Di queste due asserzioni è affatto
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particolare alla seconda l’avere contro di sé un’altr’asserzione dogmatica, la quale è l’unica fra tutte le sofisticanti, che in un oggetto sperimentale imprenda provare, a vista d’occhi, la verità di quanto abbiamo annoverato, nelle cose premesse, come soltanto арpartenente alle idee trascendentali, voglio dire, l’assoluta semplicità della sostanza; provando, cioè, che l’oggetto del senso interno, l’io, che pensa, sia sostanza assolutamente semplice. Senza ora dilungarmi sulla qual opinione, poiché assai diffusamente a suo luogo già discussa, non fo che osservare, che, quando alcuna cosa è pensata soltanto come oggetto, senz’aggiungervi la menoma determinazione sintetica di sua visione (locché di fatto accade nell’affatto nuda rappresentazione: Io), non v’ha dubbio, che in una tale rappresentazione
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non può essere percepito né alcunché di moltiplice, né verun, congiungimento. Oltredicché, siccome i predicati, coi quali mi raffiguro un tale oggetto, consistono in mere visioni del senso interno, così nulla può farmisi ovvio nei medesimi, che provi un moltiplice in esterno rapporto vicendevole, quindi nulla, che provi una reale composizione. Siccome adunque il soggetto, che pensa, è contemporaneamente oggetto a sé medesimo, così non è se non per un effetto inerente all’intima coscienza che il soggetto non può dividere sé stesso (benché possa egli dividere le determinazioni, che lui aderiscono); giacché, rispetto a sé medesimo, qualunque oggetto costituisce assoluta unità. Ciò nondimeno, se consideriamo questo soggetto estrinsecamente, come un oggetto della visione, esso ne indicherà benissimo, come ch’ei sia
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composto nell’apparizione. Ed è così, che lo si deve considerare, ogni qualvolta si è vaghi di sapere, se sia o no inerente al medesimo un moltiplice, in rapporto di esterna reciprocanza.