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DOTTRINA TRASCENDENTALE DEL METODO
Del non essere possibile tranquillare la ragione pura in contraddizione con sé stessa
Del capo primo
Sezione III – Della disciplina della ragione pura, rispetto alle ipotesi
Sezione IV – Della disciplina della ragione pura risguardo ai di lei ragionamenti
Capo II – Canone della ragione pura
Sezione I – Dell’ultimo scopo dell’uso puro dell’umana ragione
Sezione II – Dell’ideale del sommo bene, come causa determinante lo scopo ultimo della ragione pura
Capo III – Architettonica della ragione pura
Capo IV – Storia della ragione pura
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Egli è ben umiliante per l’umana ragione che, mentre non è dessa capace di nulla effettuare nel di lei adoperamento puro, le sia tuttavia mestieri di una disciplina, onde nelle sue stravaganze contenerla ed impedire le illusioni, che ne derivano. D’altra parte però, tale disciplina la solleva di bel nuovo in inaniera, e tanta le instilla fidanza in sé medesima, ch’ella può e dee da per sé sola esercitarla, senza guari permettere che altra mai censura le venga d’altronde. Così quegli stessi confini, ch’essa trovasi necessitata stabilire al proprio
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impiego speculativo, possono e deggiono circoscrivere nello stesso tempo le pretensioni sofistiche di qualunque avversario: e potrà quindi la ragione guarentire da ogni attacco tutto quanto potesse tuttavia con equità rimanerle delle sue già dianzi esagerate pretese. Il massimo dunque e forse l’unico vantaggio d’ogni filosofia della ragione pura è tuttavia e propriamente negativo; in quanto, cioè, la filosofia non serve come organo ad ampliare, bensì a stabilire, come disciplina, confini, e che, in vece di scovrire verità, ella è paga del merito silenzioso d’impedire gli errori.
Gli è pur mestieri, frattanto, che v’abbia in qualche parte una fonte di cognizioni positive, di quelle, che appartengono al dominio della ragione pura: e non è per avventura se non a motivo di sinistre
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interpretazioni ch’elleno danno ansa agli errori; mentre nel fatto costituiscono lo scopo delle sollecitudini della ragione. Del resto, a qual mai altra potrebbe cagione attribuirsi la smaniosa ed incomprensibile di lei vaghezza di assolutamente stabilirsi di piè fisso ben oltre i confini della sperienza? Ella presagisce oggetti, ai quali è inerente il massimo degl’interessi per esso lei: e solo per seguirli ed avvicinarsi ai medesimi la ragione imprende a battere il cammino della mera contemplazione; ma quegli oggetti se ne volano lungi da essa. Che vi fossero, per avventura, speranze per lei di riuscita migliore sull’unica strada, che le rimane, su quella dell’impiego pratico?
Sotto nome di canone intendo il complesso delle massime, a priori, del giusto impiego di certe facoltà di conoscere in genere. Così, nella
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di lei parte analitica, la logica universale costituisce un canone per l’intelletto e per la ragione in generale, ma soltanto rispetto alla forma, facendosi astrazione, per essa logica, da ogni contenuto (materia). Così era canone del puro intendimento la trascendentale analitica; poiché il puro intendimento non è suscettivo che di vero sapere sintetico a priori. Dove però non è possibile verun giusto impiego di qualche facoltà di conoscere, ivi non ha neppure luogo alcun canone. Ma dai sino a quivi addotti argomenti fummo fatti scorti, essere assolutamente impossibile qualsivoglia cognizione sintetica della ragione pura, nel di lei adoperamento contemplativo. Dunque non si dà verun canone del detto impiego speculativo della medesima (giacché un tal impiego è dialettico tutto quanto); e, sotto questo rapporto e scopo, non
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è che disciplina qualunque siasi logica trascendentale. Sempreché diasi, ad ogni modo, un uso legittimo della ragione pura, dovendo in questo caso esservi eziandio per essa un canone, questo non risguarderà, per conseguente, lo speculativo, ma sibbene l’impiego pratico della ragione: ed è quanto passo attualmente ad esaminare(1).
(1) Siccome nelle nozioni sintetiche sarebbe inesatto, secondo Kant, l’uso della ragione pura contemplatrice, così le sarebbe inutile un canone, bastandole, come disciplina, la logica trascendentale. Il canone della ragione pura non può dunque risguardarne che l’uso pratico, in cui essa tenderebbe alla totalità assoluta del suo sapere, ammesso, la soluzione de’ suoi problemi condurre al supremo degli scopi ed interessi morali. Né si darebbe la ragione tanta cura di tali quistioni, o non sempre vi tornerebbe dopo la mala riuscita de’ suoi tentativi, anzi la stessa buona riuscita, ove
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possibile, non le sarebbe compenso a tante fatiche, ove non fossero che speculative le conseguenze dell’esservi o non esservi un Dio e dell’essere o non essere l’anima libera ed immortale.