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DOTTRINA TRASCENDENTALE DEL METODO
CAPO SECONDO – CANONE DELLA RAGIONE PURA
Del non essere possibile tranquillare la ragione pura in contraddizione con sé stessa
Del capo primo
Sezione III – Della disciplina della ragione pura, rispetto alle ipotesi
Sezione IV – Della disciplina della ragione pura risguardo ai di lei ragionamenti
Capo II – Canone della ragione pura
Sezione I – Dell’ultimo scopo dell’uso puro dell’umana ragione
Sezione II – Dell’ideale del sommo bene, come causa determinante lo scopo ultimo della ragione pura
Capo III – Architettonica della ragione pura
Capo IV – Storia della ragione pura
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È inerente all’uso della ragione ona tendenza, che la sospinge a passare ben oltre l’impiego sperimentale, ad attentarsi col solo soccorso delle idee, nell’uso puro, sino agli ultimi confini di tutte le cognizioni, ed a non prima che affatto, compiuto il suo giro trovar pace in un tutto sistematico e per sé consistente. Ora su quale de’
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suoi due interessi è fondata la tendenza, onde si tratta? sul solo contemplativo, o piuttosto ed unicamente sull’interesse pratico?
Lascio per ora da banda qualunque potesse avere la ragione successo, rispetto al fine contemplativo; ed imprendo a quelli solo indagare, fra di lei problemi, la soluzione dei quali costituisce l’ultimo scopo della medesima; sia poi ch’essa ragione lo conseguisca o no, tale scopo; rispetto al quale tutti gli altri hanno solamente valore di mezzi o rimedi. Cotesti fini supremi; stando alla natura della ragione, debbono essi pure avere finalmente unità onde promuovere, di comune accordo, quello fra gli interessi dell’umanità, che non è subordinato a verun altro interesse superiore.
L’ultimo scopo, cui tende qualunque si voglia ragione contemplativa, nell’uso trascendentale, si riferisce a
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tre oggetti; al libero arbitrio, alla immortalità dell’anima ed all’esistenza di Dio. È di assai poco momento l’interesse meramente contemplativo della ragione, risguardo a qualunque di questi tre oggetti: e ben sarebbe difficile che, in grazia di quel poco interesse, venisse affrontata la sì faticosa e da incessanti ostacoli contrastata impresa dell’investigazione trascendentale; non essendovene pur una finalmente fra tutte le scoperte, che vi si potessero fare, la quale permettesse tale impiego di sé, che il proprio vantaggio dimostrasse in concreto, voglio dire, nell’indagine fisica. Fosse anche libero l’arbitrio, esso tuttavia non risguarderebbe che alla sola causa intelligibile del nostro volere. Per quanto ha. di fatto, rapporto coi fenomeni delle di lui manifestazioni (vale a dire, colle azioni) una inviolabile massima fondamentale,
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a manco della quale non ci sarebbe lecito, nell’uso empirico, il minimo esercizio della ragione, essa ci costringe a non mai altrimenti spiegare le accennate azioni che tutte le altre apparizioni di quanta è la natura, quindi a dichiararle conformi a leggi perenni ed immutabili: Diamo, in secondo luogo, potersi penetrare la natura spirituale dell’anima (e con essa natura la di lei immortalità) e non potrà, ciò pure stante, farsene verun conto né come di fondamento alla spiegazione delle apparizioni di questa vita, né rispetto alla natura e qualità particolare del futuro di lei stato; atteso che, non essendo che negativo il concetto, cui abbiamo, di una incorporea natura, non può esso né la minima dilatazione produrre nel nostro sapere, né fornire materiale opportuno per le conseguenze; quando non fosse per quelle,
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che solo possono aver merito e valore di finzione, ma che non vengono menate buone dalla filosofia. Quand’anche andasse provato, esistere, in terzo luogo, una suprema intelligenza, ben potremmo renderci comprensibile quindi la corrispondenza finale nella costituzione del mondo e la regolarità in tutte le cose; ma non saremmo autorizzati né punto né poco a derivarne un qualche istituto ed ordine speciale, meno poi ad audacemente, inferendo, conchiuderlo, caso che non venisse percepito; essendo regola necessaria, nell’impiego speculativo della ragione, perché non si preteriscano le cause naturali, né si rinunzi a ciò, su di che può istruirne la sperienza, onde quello, cui già conosciamo, derivare da quanto assolutamente oltrepassa ogni nostro sapere. A dir breve, le tre accennate proposizioni rimangono sempremai
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trascendenti per la ragione contemplatrice, né compete loro alcun uso immanente, vale a dire, ammissibile pegli oggetti della sperienza e che potesse quindi esserci di qualche utilità; ma, considerate in sé medesime, le dette proposizioni consistono in isforzi affatto inutili e, nello stesso tempo, assai difficili della nostra ragione.
Se, dopo tutto questo, non sono punto necessarie al nostro sapere le tre proposizioni cardinali, onde si tratta, e le ci vengono, ciò non di meno; raccomandate con tanta insistenza dalla nostra ragione, bisognerà che l’importanza loro si riferisca propriamente alla pratica.
Dico pratico tutto quanto è possibile mediante la libertà. Ma, se le condizioni pell’esercizio del nostro libero arbitrio sono empiriche, non può la ragione avervi altro
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mai uso, fuorché il regolativo, e non ad altro servire che ad effettuare l’unità delle leggi empiriche. Così nelle dottrine politiche, p. e., la riunione in un solo di tutti gli scopi, che ci vengono esibiti per le nostre inclinazioni, voglio dire, il combinarli tutti quanti nella felicità, e la vicendevole armonia dei mezzi conducenti a tale scopo, costituiscono l’intiera bisogna della ragione; in grazia di che, non può questa fornire altre leggi, tranne le prammatiche di un libero contegno, la cui mercè conseguire gli scopi, che ne vengono imposti e raccomandati dai sensi: ond’è che ne sono pure, né date pienamente a priori, le leggi, ch’ella ne somministra. Le pure leggi pratiche, invece, il fine delle quali è dato per la ragione in modo empiricamente condizionale, ma comandano in modo assoluto,
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verrebbero ad appartenere alle produzioni della ragione pura. Essendo però così fatto il tenore delle morali, ne viene di conseguenza, queste solamente appartenere all’adoperamento pratico della ragione pura e sole permettere un canone.
Nel fatto è dunque diretto unicamente ai tre problemi summentovati, nel trattato, cui si denomina filosofia pura, l’intiero apparato della ragione. Hanno però questi stessi problemi a vicenda il loro fine più lontano: cosa, cioè, sia da farsi, dato esser libera la volontà, esistere un Dio ed aver luogo un mondo a venire. Ora, poiché ciò si riferisce al nostro contegno, rispetto al massimo degli scopi, ne viene di conseguenza, l’ultimo fine della natura, che saggiamente a noi provvede, non essere propriamente riposto in altro,
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nella costituzione della nostra ragione, fuorché nel morale.
Essendo però straniero alla trascendentale filosofia(*) l’oggetto, cui rivolgiamo la nostra attenzione, diventa necessaria la massima cautela sì per non divagare in episodi, né ledere l’unità del sistema, e sì pure a che non defraudiamo alla chiarezza o persuasione,
(*) I concetti pratici si riferiscono, quanti sono, ad oggetti piacevoli o dispiacenti, ossia di gusto o disgusto, per con seguente, si riferiscono in modo, per lo meno, indiretto ad oggetti della nostra sensazione. Ma non consistendo questa in una forza rappresentatrice delle cose, poiché anzi la è straniera del tutto alla facoltà di conoscere, ne viene che, in quanto si riferiscono a piacere o disgusto e sono perciò pratici gli elementi de’ nostri giudizi, essi non appartengono al complesso della filosofia trascendentale; come di quella, che unicamente si occupa di cognizioni pure anticipate.
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dicendo meno che si vorrebbe, intorno a queste materie, attesa la novità loro per noi. E porto fidanza di adempiere ad ambedue queste precauzioni, attenendomi quanto per me si potrà dappresso al trascendentale, non che soprassedendo affatto a quanto in tali materie vi fosse per avventura di psicologico, voglio dire, di empirico:
E prima di tutto è da notarsi, qualmente non mi gioverò del concetto della libertà, se non solamente in significato pratico, e che lascerò da parte costì, atteso che più sopra esaurita, la di lui significazione trascendentale: imperocché non può empiricamente presupporsi quest’ultimo concetto, quale argomento, per cui spiegare i fenomeni, ma costituisce già in sé medesimo un problema per la ragione. Per tal guisa, l’arbitrio è solamente animalesco (arbitrium brutum) e non
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può essere determinato altrimenti che mediante impulso dei sensi, voglio dire, patologicamente. Quella volontà, invece, che può essere determinata indipendentemente dagli stimoli sensitivi, quindi mediante cause motrici, quali può raffigurarsi e rappresentare la sola ragione, quella dicesi libera (arbitrium liberum); e chiamasi pratico tutto quanto s’accorda ed è coerente con questa volontà; sia poi come causa, o come conseguenza. La libertà pratica può essere comprovata colla sperienza. Con ciò sia che l’umano arbitrio non è determinato unicamente da ciò, che stimola, voglio dire, da quanto affetta immediatamente i sensi; ma è inerente a noi stessi una façoltà, per la quale vincere colle rappresentazioni di quanto è per sé utile o nocivo, in una maniera lontana, le impressioni fatte sulla nostra facoltà sensitiva
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di appetire: simili deliberazioni i però, intorno a quanto merita essere appetito, è, cioè, buono o cattivo, rispetto all’insieme del nostro stato, hanno fondamento e sede e nella ragione. Per la qual cosa, detta leggi essa pure la ragione, le quali costituiscono agl’imperativi, cioè a dire, le leggi obbiettive della libertà. E queste annunziano cosa dee accadere, quantunque ciò non accada, per avventura, giammai; e le si distinguono dalle leggi di natura, come da quelleno, che trattano in vece di ciò che accade; il perché le si dicono eziandio le leggi pratiche.
Se però la stessa ragione venga determinata ulteriormente, la mercé di straniere o più remote influenze, in queste operazioni, per mezzo delle quali essai detta leggi, e sé ciò, cui diciamo libertà, rispetto agli eccitamenti sensitivi, non fosse
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di bel nuovo natura essa medesima, risguardo a più elevate o lontane cause efficienti, ciò non rileva il gran nulla in punto di pratica, dove non facciamo che interrogare dappresso la ragione sui precetti relativi alla condotta: ma costituisce una quistione meramente speculativa, sulla quale ci è permesso di soprassedere, sino a tanto che il nostro scopo è diretto semplicemente sul fare a non fare. Noi riconosciamo adunqne, mediante la sperienza, la pratica libertà, qual altra fra le cause fisiche, come un’efficienza, cioè, della ragione, che determina la volontà; mentre la libertà trascendentale richiede perché la stessa ragione sia indipendente (rispetto alla di lei facoltà causale d’incoare una serie di apparizioni) da quante sono le cause determinanti del mondo
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sensibile. Nel qual significato siccome sembra essa ripugnare alla legge di natura, non che a tutta, per conseguente, la possibile sperienza, così rimane una libertà problematica. Essendo per altro che nell’uso pratico non appartiene punto alla ragione cotesto problema, quindi è che in un canone di ragione pura non ci rimangono da trattare se non due quistioni, riferibili all’interesse pratico della medesima e, rispetto alle quali vuol essere possibile un canone pel di lei esercizio. Tali quistioni sono:
Evvi un Dio?
Evvi una vita futura?
La quistione della libertà trascendentale risguarda unicamente al sapere speculativo e la possiamo la sciare da banda, come affatto straniera ed indifferente, ove si tratta di pratica; tanto più, essendosi già
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esposta e dichiarata bastevolmente la detta quistione fralle antinomie della ragione pura(1).
(1) V. Tom. IV.