I. Della differenza tra la ragione pura e l'empirica
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni senso ed esperienza e del non andar mai digiuno di queste neppure il volgare intendimento
III. Del bisogno che ha la filosofia di una scienza che stabilisca la possibilità, i principi ed il complesso di tutte le nozioni preconcepute
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici
V. Dei giudizi sintetici a priori, come inerenti a tutte le scienze teoretiche della ragione
VI. Problema universale della ragione pura
VII. Idea e divisione di una scienza particolare, sotto nome di Critica della ragione pura
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Non è certo per diporto che s’imprende lavoro sì arduo che la traduzione delle opere metafisiche di Kant, di quelle opere che, dopo coppia di lustri, erano più ammirate che intese nello stesso paese loro natìo; e che, oltre per la difficoltà dell’idioma in che sono scritte, e la oscurità onde non osa lo stesso autore scolparsi, e oltre quelle della materia per sé stessa, ripulsano quasi colle difficoltà e scurezze dello stesso linguaggio del criticismo. Del che fanno fede i copiosi commenti, anzi gli ampi vocabolari(1), che in Germania comparvero a rischiaramento sì della terminologia che delle dottrine trascendentali; e non ostante i quali si corre tuttavia rischio di non
(1) Schmitd Woerterbuch etc. 1788. Millin Kunstsprache der critischen philosophie.
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comprenderle, o di avere senza forse tal rimprovero dai propugnatori delle medesime, solché si abbia l’aria di non ammirarle, peggio poi per chi si attentasse rilevare inesattezza o ambiguità nella prima o combattere le seconde.
Ma poiché difficoltà di circostanze, quasi come trascendenti le difficoltà del volgarizzamento in discorso, vollero pure che questo almeno affrontassi, mi sarà in parte compenso l’avere in quanto per me si poteva, contribuito alla collezione dei Classici Metafisici, come a impresa divisata in questa mia patria, e per ciò, se non per altro, a essa onorevole. Perciocché mi diedi ogni cura onde, senza mancare alla fedeltà nel trasvestirne l’espressioni, ridurre nel modo che più mi parve intelligibile i concetti dell’autore, arbitrando perciò d’inserire di quando in quando fra parentesi, nel testo, quei vocaboli o cenni, che mi sembrarono atti a rischiarare l’espressione antecedente. Di che avendo preso esempio dall’autore medesimo, cui sono già familiari le sinonimie per via di parentesi, queste riesciranno assai più frequenti che non si vorrebbe da chi avvisasse trovar buon gusto ed eleganza in una sposizione metafisica.
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Trattandosi ciò non di meno di parole, d’opinioni, anzi d’idee nuove, non posso guarentire che sieno sempre adequati i vocaboli, che mi parvero avvicinarsi davvantaggio, nel nostro idioma, a quelli che non ho trovato interpreti nei vocabolari di una lingua, che, oltre pelle teoriche della scienza, fu arricchita da Kant nella già straricca suppellettile delle voci ordinarie. Chi oserebbe altronde guarentire altrettanto, essendo quistione di dovere, con parole destinate all’uso delle cose sensibili, esprimere concetti che ne trascendono la sfera, e dove non si può quindi a meno di trovarsi, col dire, bene spesso e molto al di sotto di ciò cui si pensa?
Fra le ordinarie poi sono alcune voci, usate in quest’opera in significazione più o meno differente, ora dalla comunemente ricevuta, ora da quella in che pare le ricevesse altre volte lo stesso Kant. Tali, fra le altre, le parole scienza, dottrina, e disciplina o arte; oggetto, che per lo più ha valore di cosa presentata; rappresentazione, onde significare l’atto con che si presenta quando l’oggetto, quando l’idea, e che talora equivale all’idea medesima; pensare che, nel senso kantiano, regge
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quasi esclusivamente il quarto caso, contro l’abitudine in che siamo di attribuirgli d’ordinario il terzo; organo, e canone, termini usati come tecnici corrispondentemente a un di presso a quanto per noi si direbbe regolamento il primo e istrumento il secondo; schema e nomeno per tipo ed essere intellettuale; e così alcune altre. Alle quali occasioni di ambigua interpretazione vedrò di riparare ora coll’indicato ripiego delle parentesi, ora col mezzo di annotazioni: e le aggiunte saranno in ciò distinte da quelle dell’autore, che, marcate queste coll’asterisco, le altre lo saranno coi numeri arabici. Per le note mi sono talora giovato dell’opera di Villers(1), tal’altra di quella del Cons. Degerando sui sistemi(2), e più spesso della storia di Buhle(3); che fra i giudici del criticismo, che ho potuto
(1) Philos. de Kant ou principes fondamentaux de la philos. trascendentale 1801.
(2) Histoire comparèe des systemes de philos. etc. Tom. second Paris 1804.
(3) Hist. de la phil. moderne, depuis la rennaissance des lettres, jusque a Kant Tom. sixieme. Paris 1816.
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consultare, mi è sembrato il più imparziale. L’opera di Villers, che mi ha giovato specialmente pei cenni biografici, è altronde una rifusione, sotto tutt’altra forma (e quasi a rovescio, rispetto alla distribuzione delle materie) delle due critiche della ragione pura cioè e della pratica. Egli si giustifica di averle così travolte, comeché non fosse per altrimenti riuscire a che le gustassero i suoi nazionali; e ben li sapeva egli tutt’altro che disposti a gustarle, massime l’Istituto, cui ha non pertanto indirizzato il suo lavoro. Ma i filosofi francesi, anzi che starsi contenti a siffatta sposizione, come quella che sospetta si rende a chi che sia, con quel suo affettare l’entusiasmo dell’evidenza in così delicate materie, dovettero esserne assai poco soddisfatti; giacché giunti alla metà del libro è mestieri, anche a chi nol voglia, convincersi lo scopo di Villers essere stato piuttosto quello di uno sdegnoso emigrato, che del kantismo si giova, onde rimproverare a quei filosofi, e massime agli autori dell’enciclopedia, i guai della rivoluzione. La recensione del Sig. Cons. Degerando annunzia uno studio abbastanza lungo e calmo, per esserne spositore fedele, non ostante
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che mosso da sentimenti quasi diametralmente opposti a quelli di Villers. Essendosi però egli attenuto, forse perché conseguente a una storia di confronto, quasi esclusivamente ai giudizi, se non anzi alle opposizioni, degli stessi concittadini di Kant, ed essendosi attenuto ai meglio reputati fra questi, come Reinhold(1), Schulze(2), Jacobi(3) e Bardili(4), me ne gioverò come dissi nelle note, onde far conoscere, a cui fosse bisogno, lo spirito di questi autori e di queste opposizioni. La storia di Buhle finalmente, della quale non ho che la versione francese, oltre al servirmi alle
(1) Lettere sulla filosofia di Kant 2 vol. Lipsia 1792 e Beytraege sur leichtern Uibersicht [sic!] des Zustandes der Philosophie beim Anfange des 19. Iahrhund. Hambourg 1802.
(2) Aenesidemus, ossia osservazioni sulla filos. elem. di Reinhold. Germ. 1792., oltre gli schiarimenti, e l’Esame della critica 1789., 1791.
(3) Opere diverse.
(4) Nei Beitraege di Reinhold, nel Giornale filosofico ec.
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opportune interpretazioni degli argomenti e dei passi, che mi sembreranno abbisognarne, mi fornirà nel capitolo intitolato: Conseguenze della filosofia di Kant in Alemagna di che ampliare, se non compiere, le nozioni attinte dalla storia di Degerando. Perciocché non ho potuto sinora consultare che le accennate opere, dalle quali ho pure dovuto informarmi, compendiate come vi sono e travestite in lingua straniera, delle opinioni di Germania, essendoci più facile aver quinci maestri che libri; sebbene quelli non valgano farci rinunziare al desiderio dei buoni fra questi.
Le opere metafisiche, la lettura delle quali è pressoché necessario che preceda le opere di Kant, sarebbero quelle di Locke, Hume, Wolfio e Leibnizio. Di Locke, onde rilevare il contrasto e la diversità delle due dottrine o dei due metodi scientifici; di Hume, come quello il cui setticismo fornì per avventura occasione alla critica; di Wolfio, rispetto alla forza e all’ordine, se non altro, delle argomentazioni; e di Leibnizio finalmente, la cui filosofia è il punto per così dire, da cui parte la critica. Ora, essendo già rese italiane o riprodotte in questa collezione le opere dei primi
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due, né altrettanto indispensabili sembrando le poche del terzo di argomento assolutamente metafisico, i collettori mi autorizzano assicurare i signori associati ch’essi avranno quanto prima il nuovo saggio dell’umano intendimento di Leibnizio; poiché opera che lo stesso Kant suppone già famigliare a suoi lettori. Essa non è altronde sì generalmente conosciuta, non ostante che quel profondo alemanno la scrivesse in francese, forse per ottenerle altrettanta pubblicità che alla tuttavia prevalente filosofia Lockiana, come quella che, oltre l’accordarsi assai più collo spirito del secolo, non imbarazzava, per non dir anzi ributtava ugualmente i lettori colle difficoltà del calcolo. Senza di che avrebbe forse ottenuto migliore successo quel saggio, nello opporre al principio cardinale della detta filosofia, nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu, la già pure aristotelica eccezione: nisi ipse intellectus; eccezione sulla quale si aggira, se non è anzi costituita, in gran parte, la dottrina di Kant.
Perciò finalmente che risguarda il volgarizzamento, fu esso eseguito sulla seconda edizione in data di Francoforte e Lipsia (1794): edizione che rinvenni scorretta anzi
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che no; e mi sarei trovato più volte imbarazzato in errori di stampa, che il senso affatto scambiavano, se non avessi avuto per cui giovarmi della versione latina(1), essendo altronde inverisimile, o per lo manco assai difficile, che i due testi si combinassero negli stessi abbagli appuntino. Il che avverto, essendo essa pure inesattissima e veramente sibillina, come disse il P. Soave, tal traduzione; mentre la sola, oltre l’opera di Villers, onde potesse il più degli Italiani avere contezza bastevole delle nuove dottrine. E l’inesattezza dipende specialmente da una si direbbe smania di piuttosto parafrasare che tradurre il testo: con che può bensì rendersi meno arida e stucchevole, di quello è talvolta, la dicitura; e si può schivare il sì di spesso e noiosamente vicino ritorno degli stessi vocaboli, ma troppo si arrischia di sconvolgerne il significato. Ne sieno, a cui lo possono, prova le due primissime righe
(1) Immanuelis Kantii opera ad philosophiam criticam – Vol. I. cui inest critica rationis purae – Latine vertit Fredericus Gottl. Born. Lipsiae 1796.
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dell’opera, ove non era nulla da emendare né da rendersi pastoso: Dass alle unsere Erkenntniss mit der Erfahrung anfange, daran ist kein Zweifel: letteralmente: che ogni nostra cognizione cominci dalla sperienza, non v’è dubbio. Ecco il testo latino: Quidquid animo cernimus et ratione intelligimus, illud omne dubium non est, quin idem cum usu et experientia capere primordia videatur. Mancando però nella seconda edizione alemanna la prefazione dell’autore alla prima e il prospetto dell’opera, quella ho tradotta dal testo latino, e questo compilai per me stesso, non essendomi sembrato a bastanza preciso il latino; come mi parve util cosa imitarne l’esempio, nell’esibire tal prospetto ai leggitori. Risguardo ai cenni sulla vita e sulle opere dell’Autore, come quelli che mancavano in ambidue i testi, ho dovuto procurarmeli altrove. Del resto chi mi troverà scorretto, e senza forse inelegante, sia cortese al desiderio di riescire traduttore fedele.
V. M.