I
CRITICA ELEMENTARE TRASCENDENTALE
PARTE SECONDA
LOGICA TRASCENDENTALE
CAPO PRIMO
DEL FILO DI GUIDA PER LA SCOPERTA DI TUTTI I CONCETTI INTELLETTUALI PURI
I. Della differenza tra la ragione pura e l'empirica
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni senso ed esperienza e del non andar mai digiuno di queste neppure il volgare intendimento
III. Del bisogno che ha la filosofia di una scienza che stabilisca la possibilità, i principi ed il complesso di tutte le nozioni preconcepute
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici
V. Dei giudizi sintetici a priori, come inerenti a tutte le scienze teoretiche della ragione
VI. Problema universale della ragione pura
VII. Idea e divisione di una scienza particolare, sotto nome di Critica della ragione pura
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Intorno a questa tabella delle categorie, possono farsi osservazioni curiose non solo, ma di per avventura grave rilievo, rispetto alla forma scientifica di ogni sapere della ragione. Che la stessa tavola infatti sia infinitamente utile, anzi pure indispensabile, nelle scienze filosofiche teoretiche, onde ridurne veramente scientifico il piano, ed onde tracciarlo compiutamente, in quanto la filosofia è basata sopra concetti preconceputi, e che sia utile ed indispensabile
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a matematicamente dividere le dette scienze a norma di principi stabili, tutto ciò risulta già manifesto; essendoché la detta tavola contiene in sé, quanti sono i concetti elementari dell’intendimento, e la stessa forma di un sistema del medesimo, rispetto all’uomo; e per conseguenza indica, se non anzi ordina, e dispone tutti i punti di una scienza contemplativa già presunta, come ne ho mostra to altrove le prove(1). Ecco alcune per ora delle suaccennate osservazioni.
La prima è che, presentando questa tavola quattro classi di concetti intellettuali, si può cominciare dal ripartirla in due divisioni; dirette, agli oggetti d’intuizione (sì pura
(1) Metaphisische Anfangsgründe der Naturwissenschafft. Principi metafisici della scienza naturale.
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che empirica), la prima; l’altra poi all’esistenza di tali oggetti (nei rapporti loro vicendevoli, o coll’intelletto).
La prima classe chiamerei delle matematiche, e delle categorie dinamiche la seconda. E, come ognun vede, la prima non ha correlativi; come quelli che non s’incontrano che nell’altra; la qual differenza deve pure avere alcun fondamento nella stessa natura dell’intendimento.
Osservo in secondo luogo essere uguale in ogni classe il numero delle categorie, tre cioè per cada una: locchè mi pare inviti a riflessioni; dovendo altronde ogni scomparto a priori, per via di concetti, essere dicotomo (doppio, eseguirsi con dicotomia). Aggiungi ogni terza categoria nascere sempre dalla combinazione della seconda colla prima della classe respettiva.
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Così la totalità non è altro che la pluralità considerata come unità; non altro la limitazione che la realtà combinata colla negazione; la comunanza è la causalità di una sostanza in reciproca determinazione delle altre; finalmente la necessità riducesi all’esistenza, che deriva dalla possibilità. Non però crediate, per questo la terza categoria essere mero concetto derivato e non genealogico del puro intendimento. Perciocché la combinazione della prima e seconda, per quindi cavare la terza categoria, richiede un atto particolare dell’intelletto, il qual atto non è lo stesso di quello ch’egli esercita nella prima e nella seconda. Così il concetto di un numero (che appartiene alla categoria della totalità) non è sempre possibile, dove sono i concetti della moltitudine e dell’unità (p. e. nella rappresentazione dell’infinito): né, perché si
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accoppino insieme i concetti di una causa e di una sostanza, se ne comprenderà isso fatto l’influenza (comunanza), vale a dire come una sostanza possa divenir cagione di qualche cosa in un’altra. Dal che si vede manifestamente come per ciò si richieda un atto speciale dell’intelletto: e lo stesso vale pel rimanente.
La terza osservazione risguarderà la categoria della comunanza, compresa nel terzo riparto; come la sola nella quale non è sì ovvia e palpabile, che nelle altre, l’accordo colla forma corrispondente di un giudizio disgiuntivo nella tavola delle funzioni logiche.
Ora per convincersi ed assicurarsi di tale accordo importa osservare, che in qualsivoglia giudizio disgiuntivo la di lui sfera (la copia moltiplice di quanto esso cape) è rappresentata come un tutto diviso in
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parti (in concetti subordinati) che, non potendo l’una essere contenuta nell’altra, si pensano come a vicenda coordinate, non già come subalterne; cosicché non sono esse, una rispetto all’altra, determinate separatamente, ma in modo reciproco e come in complesso (dato un membro della divisione rimangono esclusi tutti gli altri, e così viceversa).
Ora una consimile combinazione viene immaginata in un tutto delle cose, non essendovi l’una in subordinazione all’altra; come a causa della propria esistenza, ma ciascuna coordinata nello stesso tempo e vicendevolmente, qual causa rispetto ai destini dell’altra (p. e. in un corpo le cui parti si attraggono a vicenda, ed a vicenda l’una all’altra resistono). La qual maniera di accoppiamento è ben diversa da quel la che s'incontra nel semplice rapporto
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di cagione ad effetto (del motivo alla conseguenza); dove la conseguenza non determina reciprocamente di bel nuovo il motivo; e quindi non costituisce un tutto con questo (come col mondo il di lui creatore). Ogni qualvolta l’intendimento si rappresenta la sfera di un’idea ripartita, esso procede nella stessa maniera, immaginando come divisibile una cosa: e siccome nella prima le membra della divisione si escludono l’un l’altro, rimanendo essi nondimeno collegati nella medesima sfera, così l’intelletto rappresentasi le parti della seconda come tali, che l’esistenza loro (come sostanza) competa a ciascheduna, ed anche ad esclusione delle altre; però se le rappresenta sempre collegate in un tutto.