I
CRITICA ELEMENTARE TRASCENDENTALE
PARTE SECONDA
LOGICA TRASCENDENTALE
CAPO SECONDO
DELLA DEDUZIONE DEI CONCETTI INTELLETTUALI PURI
I. Della differenza tra la ragione pura e l'empirica
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni senso ed esperienza e del non andar mai digiuno di queste neppure il volgare intendimento
III. Del bisogno che ha la filosofia di una scienza che stabilisca la possibilità, i principi ed il complesso di tutte le nozioni preconcepute
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici
V. Dei giudizi sintetici a priori, come inerenti a tutte le scienze teoretiche della ragione
VI. Problema universale della ragione pura
VII. Idea e divisione di una scienza particolare, sotto nome di Critica della ragione pura
Sezione seconda
Deduzione trascendentale dei concetti intellettuali puri
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Non fu mai verso ch’io potessi acquetarmi alla dichiarazione, che ne danno i logici, di un giudizio in generale; esso cioè consistere nella rappresentazione del rapporto fra due idee. Senza così battermi con esso loro, intorno al difetto di una
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spiegazione, che si addice finalmente ai soli giudizi categorici, e nullamente agl’ipotetici e disgiuntivi (come tali questi ultimi, che non solo contengono relazioni di concetti, ma sì pure di giudizi); e non ostante che simile difetto, nella logica, desse motivo ad inconseguenze gravissime(1), ora mi limito riflettere,
(1) La sì diffusa dottrina delle quattro forme sillogistiche non risguarda che alle conclusioni categoriche della ragione; e, quantunque non costituisca essa che un arte per cui, mediante occultamento delle conseguenze immediate, carpire, fra le premesse di una conclusione ragionevole pura, l’apparenza di più generi di conseguenze, che non sono le contenute nella prima forma, tuttavia non avrebb’ella fatta perciò gran fortuna, ove non le fosse riescito di conciliare autorità esclusiva ai giudizi categorici; come quelli ai quali debbono finalmente riferirsi tutti gli altri: ed è quanto risulta falso dal § 9.
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non essere in quella definizione de terminato in che consista, il detto rapporto.
Se però mi faccio a con più di precisione indagare il rapporto di una data cognizione in qualunque giudizio; e se, poiché, appartegnente all’intendimento, la distinguo dal rapporto relativo alle leggi della fantasia riproduttiva (rapporto che ha soltanto validità subbiettiva), trovo non altro essere il giudizio, tranne la maniera per la quale ridurre nozioni già date all’unità obbiettiva d’appercezione. Nei giudizi, di fatto, la particella relativa è tende a distinguere dalla subhiettiva la unità obbiettiva delle rappresentazioni date. Perciocché la subbiettiva indica il rapporto delle medesime coll’appercezione originaria, e la respettiva unità necessaria; quantunque lo stesso giudizio sia empirico, e perciò accidentale;
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come quello p. e.: i corpi sono gravi. Né intendo con ciò, nella visione empirica, tali rappresentazioni appartenersi di necessità vicendevolmente fra loro; ma solo che si appartengono a vicenda, mercé l’unità necessaria d’appercezione, nella sintesi delle visioni, vale a dire dietro i principi della determinazione obbiettiva di quante sono le rappresentazioni, in quanto può emergerne sapere; i quali principi derivano tutti dal fondamento dell’unità trascendentale dell’appercezione. Ché solo per tal mezzo nasce dal detto rapporto un giudizio, voglio dire una relazione, che ha valore obbiettivo, e che può quanto conviene distinguersi dalle relazioni di quelle stesse rappresentanze; le quali non avrebbero che valore subbiettivo: come sarebbe a norma delle leggi d’associazione. Dietro le quali ultime leggi, potrei solo asserire sentirsi
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per me della gravità del peso, allorché sorreggo alcun corpo, non però potrei dire, esso corpo esser greve; locché torna lo stesso che se dicessi, ambedue queste rappresentazioni esistere nell’oggetto, collegate cioè senza differenza, rispetto allo stato del soggetto, e non semplicemente unite nella percezione (per quanto spesso fosse questa ripetuta).