I
CRITICA ELEMENTARE TRASCENDENTALE
PARTE SECONDA
LOGICA TRASCENDENTALE
INTRODUZIONE
IDEA DI UNA LOGICA TRASCENDENTALE
I. Della differenza tra la ragione pura e l'empirica
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni senso ed esperienza e del non andar mai digiuno di queste neppure il volgare intendimento
III. Del bisogno che ha la filosofia di una scienza che stabilisca la possibilità, i principi ed il complesso di tutte le nozioni preconcepute
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici
V. Dei giudizi sintetici a priori, come inerenti a tutte le scienze teoretiche della ragione
VI. Problema universale della ragione pura
VII. Idea e divisione di una scienza particolare, sotto nome di Critica della ragione pura
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Cos’è verità? antica e celebre dimanda, colla quale avvisavasi ridurre, non che sorprendere i logici alle strette di una miserabile dialessi (quistionar di parole), od a
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ch’ei dovessero confessare l’assoluta ignoranza, quindi la vana presunzione, del lor magistero. Rispetto alla dichiarazione della parola, ritengo per ora ed ammetto questa significare accordo, e la verità consistere in quello della cognizione col proprio oggetto; ma dimando e vorrei sapere qual è il criterio sicuro ed universale della verità di qualunque siasi cognizione?
Egli è già prova ugualmente grande che necessaria di prudenza ed accorgimento il sapere cosa debbasi con ragionevolezza domandare. Giacché se assurda è la domanda per sé stessa, e costringe a risposte inutili, oltre l’onta che ne ridonda a cui la propone, ha essa di quando in quando eziandio lo svantaggio di
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invogliare il mal malaccorto ascoltatore a risposte assurde, e di quindi muovere a riso collo spettacolo, come dicevano gli antichi che mentre l’un ti mugne la capra, l’altro vi sta sotto col vaglio.
Se la verità consiste nell’accordarsi di una cognizione col proprio oggetto, è di necessità che abbia quel tale a distinguersi da altri oggetti: essendo falsa una cognizione, allorché non corrisponde all’oggetto, cui viene riferita; quando pure contenga alcuna cosa, che abbia valore o regga rispetto ad altri oggetti. Or sarà dunque indizio generale di verità ciò che avrà valore per tutte
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le cognizioni, senza differenza, rispetto agli oggetti delle medesime. Ma, se facendosi quindi astrazione da quanto è contenuto nella cognizione (in relazione coll’oggetto), la verità risguarda non di meno direttamente quel contenuto (materia della cognizione), nulla di più manifesto che l’assurdo e l’impossibilità di chiedere criteri della verità di quanto cape nelle cognizioni; e nulla di più impossibile che la somministrazione o ritrovamento di un indizio sufficiente, non che universale nello stesso tempo, della verità. Avendo poi già sopra indicato il contenuto di una cognizione col nome di materia della medesima, bisognerà dire, in conseguenza di quanto avvertiva poc’anzi, che della verità (risguardo alla cognizione del contenuto o della materia) non può alcun criterio universale pretendersi; come cosa che sarebbe in sé stessa contradditoria.
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Se però consideriamo la cogniazione, risguardo alla sola forma (messo da parte ogni contenuto), allora sarà egualmente manifesto che, in quanto la logica espone i dettami universali e necessari dell’intendimento, dovrà essa in questi dettami presentare i criteri della verità. Ciò infatti, che ai questi ripugna, è falso; poiché altrimenti l’intendimento sarebbe in contraddizione colle sue regole generali del sapere, quindi con sé medesimo. Siccome però questi criteri ad altro non risguardano che alla forma della verità, cioè del generale, così ei sono affatto giusti sotto questo rapporto, solché non sono bastevoli. Perciocché, sebbene una cognizione possa essere per intiero corrispondente alla forma logica, è però possibile ch’ella trovisi tuttavia in contraddizione coll’oggetto. Dunque il criterio meramente
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logico della verità, voglio dire la convenienza di una cognizione colle leggi universali e formali dell’intendimento e della ragione, consiste di fatto nella condizione assoluta (sine qua non), e perciò negativa d’ogni verità: né può la logica menar più lontano; come non può fornire alcuna pietra di paragone, che l’errore discopra, ove l’errore alla materia risguardi e non alla forma.
Ora la logica universale risolve ne’ suoi elementi quanto vi è di formale, nell’uffizio dell’intelletto e della ragione, per poi questi elementi presentare come principi di ogni giudizio logico del nostro sapere. La qual parte della logica può quindi nominarsi analitica ed è per lo meno la pietra negativa di paragone della verità; in quanto si deve prima di tutto cimentare, quindi apprezzare, colle, dette regole, ogni
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cognizione, rispetto alla di lei forma, e solo dopo questo indagarne il contenuto, e decidere se vi si comprenda verità positiva risguardo all’oggetto. Siccome tuttavia, e per quanto si accordi coi dettami della logica, è ben lontana la mera forma del sapere dall’essere al caso di perciò decidere sulla verità materiale (obbiettiva) del medesimo, e determinargliela; così non è chi possa col solo soccorso logico attentarsi a giudicare degli oggetti, stabilire alcunché sui medesimi, prima di averne cercato e preso, da tutt’altro che dalla logica, le più fondate informazioni, per poscia tentarne semplicemente l’applicazione, l’uso e l’accoppiamento, in un tutto coerente colle leggi della logica; o meglio ancora limitandosi a quindi solo cimentare quegli oggetti alla prova di queste leggi. Quasi fosse tuttavia non so che di
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maliardo, nel possedimento di arte così appariscente, che lusinghi potere imprimere forma d’intendimento a tutte le nostre cognizioni, quand’anche affatto poveri e digiuni, rispetto al contenuto delle medesime; fatto sta che, limitata qual è ad un mero canone del giudicare, la logica universale fu ciò non per tanto usata come organo per la deduzione positiva, quantunque illusoria, dei giudizi obbiettivi, e fu per ciò effettivamente abusata. Ed è appunto nella detta pretesa di avere in essa un organo, che la logica universale si chiama dialettica. Quantunque differentissimo il significato, in che gli antichi giovaronsi di cotesta denominazione per indicare una scienza od arte, dall’uso effettivo però, ch’ei ne fecero, si può con sicurezza inferire altro ella non essere stata per esso loro fuorché la logica delle apparenze.
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Un’arte sofistica cioè, per cui dar vernice di vero alla propria ignoranza, anzi ad allucinazioni ed a prestigi espressamente imaginati, imitando il metodo della solidità, cui prescrive generalmente la logica, e giovandosi de’ suoi topici a palliamento delle asserzioni più vane. Ed è osservazione altrettanto sicura, quanto di utile avvertimento, qualmente, considerata la logica universale come organo, è logica ognora d’apparenza (dei supposti), vale a dire dialettica. Perciocché nulla essa del tutto insegnandone sul contenuto della cognizione, ma soltanto le condizioni formali di convenienza coll’intendimento, ed essendo queste altronde affatto in differenti, rispetto agli oggetti, la presunzione di giovarsi di siffatta logica, come di uno stromento (organo) per arricchire ed allargare, come danno per lo meno ad intendere,
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le nostre cognizioni, risolvesi finalmente in mero cicaleccio, ed in prosunzione di sostenere o combattere, con qualche aria di verità, quanto si vuol sostenere, o prendesse mai vaghezza d’impugnare.
Non corrisponde punto alla dignità della filosofia una così fatta istruzione. Ho perciò preferito di appropriare alla logica la denominazione di dialettica, nel senso di una critica dell’apparenza dialettica; ed è in questo senso che intendo perché sia quivi ricevuta.