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I

CRITICA ELEMENTARE TRASCENDENTALE

PARTE SECONDA

LOGICA TRASCENDENTALE

avanti

Indice

Analitica trascendentale

Libro secondo 

Analitica dei principi

Introduzione - Della facoltà trascendentale di giudicare in generale

Della dottrina trascendentale della facoltà di giudicare

Cap. I - Dello schematismo dei concetti intellettuali puri

Cap. II - Sistema di tutti i principi del puro intendimento

Sezione prima - Del principio supremo di tutti i principi analitici

Sezione seconda - Del principio supremo di tutti i giudizi sintetici

Sezione terza - Sposizione sistematica di tutti i principi sintetici 

del puro intendimento

I - Assiomi d’intuizione

II - Anticipazioni della percezione

III - Analogie della sperienza

A. Analogia prima - Permanenza della sostanza

B. Analogia seconda - Successione del tempo, giusta la legge di causalità

C. Analogia terza - Simultaneità, giusta la legge di comunanza reciproca

IV - Postulati del pensare ampirico

  1. Postulato della Possibilità

  2. Postulato della Effettività

Confutazione dell’Idealismo

  1. Postulato della Necessità 

Scolio generale al sistema dei principi

A

ANALOGIA PRIMA

118

Principio fondamentale della perseveranza (o stabilità) della sostanza.

Persiste in ogni alternativa delle apparizioni la sostanza; e non aumenta né scema il di lei quanto nella natura(1).

 

Prova

Le apparizioni sono tutte nel tempo, in cui, quasicome in suo fondo (substrato), possono rappresentarsi

(1) In altri termini: Tutte le appercezioni contengono lo stabile, qual oggetto, esso medesimo che persevera inalterato nel tempo, ed il variabile, come la determinazione o la maniera dell’esistenza di tale oggetto. Buhle.

Senza questa prima regola od analogia della sperienza, non sarebbe possibile percepire alcun fenomeno in un tempo dato.

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tanto la simultaneità, quanto la successione. Quindi è che tempo, che deve pur essere pensato in qualsivoglia di apparizioni vicenda, resta e non cangia; come quello in cui hanno da solamente rappresentarsi, quali determinazioni del medesimo, la successione o la simultaneità. Ora non è caso che sia per sé percepito il tempo. Deve per conseguenza incontrarsi negli oggetti della percezione, vale a dire nelle apparizioni, un fondo che rappresenti generalmente il tempo, ed in cui sia per essere percepita qualunque alternativa o contemporaneità, mediante il rapporto delle apparizioni col medesimo nell’apprensione. Ma il sottostrato d’ogni reale, di ogni appartegnente cioè all’esistenza delle cose, consiste nella sostanza; nella quale può essere unicamente pensato, qual determinazione, tutto quanto

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appartiene all’esistenza. In conseguenza lo stabile, con che sono, e non con altro, determinabili tutte le relazioni dei fenomeni col tempo, è la sostanza dell’apparizione, vale a dire il di lei reale; che, come fondo ad ogni alternativa, rimane sempre lo stesso. Poiché dunque la sostanza non può avvicendarsi nell’esistenza, anche la di lei quantità non può né aumentarsi né diminuire nella natura.

Essendo sempre successiva la nostr’apprensione del moltiplices nell’apparizione, essa è sempre per conseguente avvicendata. Ond’è che non possiamo giammai per ciò solo determinare, se questo moltiplice, come oggetto della sperienza, sia contemporaneo o consecutivo; a meno che siavi, come base, alcunché di ognora esistente: voglio dire qualche cosa fissa e perseverante; le cui alternative o simultaneità non sono

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che atti (modi del tempo), coi quali esiste il perpetuo. Nel solo perpetuo hanno dunque luogo le relazioni del tempo (giacché la simultaneità e la successione constituiscono gli unici rapporti del tempo); vale a dire, che nella perseveranza consiste l’empirica rappresentazione dello stesso tempo, nella quale soltanto è possibile ogni determinazione del medesimo. La perseveranza esprime in generale il tempo, come un correlativo perpetuo d’ogni esistenza dei fenomeni, di qualunque alternativa loro e d’ogni loro concomitanza. Perciocché le alternative non risguardano precisamente il tempo, ma le apparizioni nel tempo (così la simultaneità non è un modo del tempo; come quello in cui non si danno assolutamente parti simultanee, ma tutte vi sono consecutive). Cui prendesse vaghezza di accordare successione allo stesso

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tempo, sarebbe mestieri che ne immaginasse un secondo, in cui dessa potesse aver luogo. Mediante soltanto il sempre durevole, acquista l’esistenza, nelle diverse parti della serie successiva del tempo, una grandezza (o quantità), cui si chiama durata. Giacché unicamente nella successione l’esistenza è sempre fuggevole, ha sempre incominciamento, e non ha mai la minima grandezza. Senza il perseverante pertanto non è alcuna proporzione di tempo. Ora, non potendo questo essere percepito in sé stesso, il detto perseverante, nelle apparizioni, è sottostrato (fondo) a qualunque determinazione del tempo, ed è quindi eziandio condizione della possibilità di ogni unità sintetica delle percezioni, cioè della sperienza. Ora in cotesto perseverante può considerarsi ogni esistenza, ed ogni vicenda del tempo, come semplicemente

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un modo di ciò che persevera e rimane. Dunque in tutte le apparizioni è lo stabile quello che costituisce l’oggetto, vale a dire la sostanza (phaenomenon): ciò però che alterna; o può alternare, appartiene solamente alla maniera, con che la sostanza, o le sostanze esistono; e per conseguente appartiene alle di lei determinazioni.

Trovo che in tutte le età il filosofico non pure che il comune intendimento ha premesso, ed ammetterà pur sempre, come indubitato, essere la perseveranza un come sottostrato ad ogni mutazione dei fenomeni. Solché il filosofo si esprime su di ciò con alquanto più di precisione, allorché dice, rimanere in ogni cambiamento nel mondo la sostanza, e solo alterarsi le contingenze. Non però trovo in verun luogo neppure il tentativo di una prova di così decisamente sintetico

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assioma; ed è anzi ben raro che lo si ponga, siccome tuttavia gli compete, alla cima delle leggi fisiche pure, non che fondate pienamente a priori. In effetto la proposizione, che annunzia, essere perseverante la sostanza, è tautologica (indicante la cosa per la cosa). Conciossiaché la sola perseveranza è motivo perché applichiamo all’apparizione la categoria della sostanza; mentre sarebbe stato mestieri convincere, in tutte le apparizioni essere qualche cosa di perseverante, dove il mutabile non fosse che determinazione di sua esistenza. Solché, non potendo ragionarsi mai dogmaticamente, cioè mediante concetti, siffatta prove, come quella che risguarda un’asserzione sintetica a priori; e non avendo né pur mai pensato, simili proposizioni aver valore unicamente in quanta può essere la sperienza; così non è maraviglia

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se quella in discorso fu bensì posta qual fondamento ad ogni sperienza (sentendone il bisogno del sapere empirico), senza però che mai niuno avvisasse convincerla.

Si chiese già tempo ad un filosofo, quanto pesasse il fumo; al che esso rispondeva: sottraggi dal peso delle abbruciate legna il peso delle cenere che avanzano, ed avrai quello del fumo. Egli dunque presupponeva, qual massima irrefragabile, che non si dissipasse neppure col fuoco la materia (sostanza); ma che la di lei forma soltanto vi subisse un cambiamento. Così anche la proposizione, dal nulla si fa nulla, non è se non altra fra le proposizioni conseguenti al principio fondamentale della persistenza, o per dir meglio dell’eterna esistenza del (propriamente chiamato) soggetto nelle apparizioni. Imperocché ciò, cui vuolsi nel fenomeno chiamare

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sostanza, dev’essere fondo (sottostrato) proprio a quante sono determinazioni del tempo; e deve pure poter esservi unicamente ed esclusivamente determinata ogni esistenza, tanto nel passato, quanto nel tempo a venire. Ed è solo per ciò che all’apparizione può addirsi nome di sostanza, presupponendosene, da chi la chiama così, l’esistenza in tutti i tempi: locché non si esprime convenientemente neppure col vocabolo perseveranza, come quello che si riferisce piuttosto al tempo a venire. Se non che l’intima necessità di perpetuarsi è tuttavia inseparabilmente connessa colla necessità di avere ognora esistito; e così l’espressione può ritenersi. Nulla dal nulla prodursi, e nulla in nulla cangiarsi(1), sono

(1)  Gigni de nihilo nihil, in nihilum nil posse reverti.

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due proposizioni, che si usavano indivise dagli antichi, e che per mala intelligenza ora talvolta si dividono: immaginandoci che le risguardino alle cose in sé stesse; quindi che la prima fosse per avventura in opposizione alla dipendenza del mondo da una causa suprema (risguardo persino alla respettiva sostanza). Ma tale scrupolo è vano, per non essere quivi quistione che delle apparizioni sul campo della sperienza; l’unità delle quali non mai potrebbe aver luogo, se ammettessimo nascere nuove cose (rispetto alla sostanza). Ché allora si toglierebbe quanto può solo rappresentare l’unità del tempo, l’identità cioè del sottostrato; come quello in cui solo compete a qualunque vicissitudine assoluta unità. Intanto questa perseveranza non è assolutamente altro, se non la maniera di rappresentarci l’esistenza delle cose (nell’apparizione).

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Quelle determinazioni di una sostanza, che in altro non consistono, tranne in modi particolari di essere delle medesime, diconsi accidenti (contingenze); e sono reali mai sempre, poiché risguardano l’esistenza della sostanza. (Le negazioni consistono unicamente in determinazioni, le quali esprimono il non essere di qualche cosa nella sostanza). Attribuendo pertanto a cotesto reale nella sostanza un’esistenza particolare (p. e. al moto, come ad un accidenza della materia), onde questa esistenza distinguere da quella della sostanza, che si dice sussistenza, la si chiama inerenza. Quindi però nascono sinistre interpretazioni pur assai; oltreché si parla più giusto e preciso, indicando nell’accidente soltanto il modo, con che si determina positivamente l’esistenza di una sostanza. Tutto ciò non pertanto le condizioni

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dell’uso logico del nostro intelletto rendono pur sempre indispensabile di quasichè separare ciò che nella esistenza di una sostanza può alterarsi (mentre la sostanza persiste), e di considerarlo rispetto a ciò che vi è di perpetuo e radicale: il perché anche tal categoria vien compresa nel titolo delle relazioni, più qual condizione loro, che non per ciò ch’essa medesima contenesse un qualche rapporto.

Ora su questa perseveranza è pure fondata la rettificazione dell’idea del cambiamento. Nascere e perire non sono che mutazioni di quanto nasce o perisce. Il cambiamento consiste in una maniera di essere, la quale succede ad un’altra maniera di essere dell’oggetto medesimo. Quindi è che tutto quello che si cangia rimane, e non è che il suo stato quello che cangia. Non riferendosi adunque, tale vicissitudine,

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che a determinazioni suscettive di fine, od anche di principio, ci sarà lecito asserire, sebbene con espressione apparentemente alquanto paradossale, che solo il permanente (la sostanza) si cangia, e che l’incostante (mutabile) non soffre alcun cambiamento bensì un’alternitiva, cessando alcune determinazioni, ed altre incominciando.

Emerge quindi, non potere il cambiamento percepirsi che nelle sostanze, né alcuna possibile percezione costituirsi dal solo nascere o perire; a meno che riferiscasi ad una mera determinazione del perseverante, come il solo che possibile rende la rappresentazione del trapasso da uno stato ad un altro, e dal non essere all’essere. I quali trapassi possono quindi soltanto riconoscersi empiricamente, quali modi o determinazioni varianti di ciò che persiste. Date mo che incominci 

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assolutamente ad esistere qualche cosa, e dovrete pur dare un’epoca nella quale dessa non esisteva. A che dunque attaccherete siffatta epoca, se non a quella che già esiste? giacché un tempo, che vuoto precedesse, non è oggetto di percezione. Se la già esistente, invece, accoppiate colle cose che prima erano, e via continuano sino a quella che incomincia o nasce, ne viene che questa era solo fra le determinazioni della prima, come del persistente. Nello stesso modo si comporta il perire (il trascorso), come quello che premette la rappresentanza empirica di un tempo, quando già più non esiste l’apparizione.

Le sostanze (nelle apparizioni) costituiscono i sottostrati a tutte le determinazioni del tempo. Il nascere di queste, e lo scomparire di quelle, toglierebbe ugualmente la condizione esclusiva dell’unità empirica

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del tempo, e le apparizioni si riferirebbono quindi a due specie di tempo, nelle quali svanirebbe una presso l’altra l’esistenza; del che non è chi l’assurdo non senta. Giacché non si dà che un tempo, nel quale deggiono essere posti consecutivi, e non simultanei, tutti i diversi tempi.

Dalle quali cose risulta, essere la perseveranza una condizione indispensabile, sotto la quale soltanto sono suscettivi di determinazione in una sperienza possibile i fenomeni, come cose od oggetti. Quale però sia il criterio empirico di questa persistenza necessaria, e della sostanzialità delle apparizioni con essolei, ciò è quanto, su cui avremo successivamente occasione di avvertire l’occorrente.

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