I
CRITICA ELEMENTARE TRASCENDENTALE
PARTE SECONDA
LOGICA TRASCENDENTALE
Analitica trascendentale
Libro secondo
Introduzione - Della facoltà trascendentale di giudicare in generale
Della dottrina trascendentale della facoltà di giudicare
Cap. I - Dello schematismo dei concetti intellettuali puri
Cap. II - Sistema di tutti i principi del puro intendimento
Sezione prima - Del principio supremo di tutti i principi analitici
Sezione seconda - Del principio supremo di tutti i giudizi sintetici
Sezione terza - Sposizione sistematica di tutti i principi sintetici
II - Anticipazioni della percezione
III - Analogie della sperienza
A. Analogia prima - Permanenza della sostanza
B. Analogia seconda - Successione del tempo, giusta la legge di causalità
C. Analogia terza - Simultaneità, giusta la legge di comunanza reciproca
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L’idealismo (s’intende il materiale) è la teorica, per la quale si dichiara od equivoca ed indimostrabile, o falsa ed impossibile, degli oggetti l’esistenza nello spazio e fuori di noi. La prima opinione costituisce l’idealismo problematico di Cartesio, il quale ammette come indubitata una sola asserzione, cioè: io sono. Nella seconda consiste l’idealismo dogmatico di Berkley, che ritiene, come impossibile per sé stesso, lo spazio con tutte le cose, alle quali esso aderisce inseparabilmente; e che da perciò nome di
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mere immaginazioni anche alle cose nello spazio esistenti. È inevitabile il dogmatico, se risguardi lo spazio qual proprietà, che debba competere alle cose in sé stesse; giacché in tal caso lo spazio è nulla (non essere), e nulla con tutto quanto, a cui lo spazio è condizione. Nell’estetica trascendentale abbiamo già distrutto il fondamento di cotesto idealismo. Il problematico, anziché nulla sostenere in proposito, propone l’inettitudine di colla immediata sperienza convincere altra esistenza che la nostra; ed è ragionevole non meno che coerente a maniera di pensare filosofica e fondata, qual si è quella di non permettersi verun giudizio decisivo, prima che siensi trovate prove soddisfacenti. La prova pertanto, che si richiede in questo caso, deve convincere che dell’esterne cose non possediamo soltanto
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l’immaginazione, ma sì eziandio la sperienza: il che non otterremo altrimenti, che provando, anche l’intima nostra sperienza (come già indubitata per Cartesio) non essere possibile che premessa ed accordata la sperienza esteriore.
Teorema
La mera, ma empiricamente determinata, coscienza della mia propria esistenza prova l’esistenza degli oggetti nello spazio fuori di me.
Prova
Sono a me consapevole di mia esistenza, come determinata nel tempo. Qualunque determinazione di tempo suppone in prevenzione alcunché di perseverante nella percezione. «Questo perseverante però non può essere in me qualche cosa; poiché non è determinata in fine
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che per esso la mia stessa esistenza nel tempo»(1). La percezione dunque
(1) Nell’ultima delle note alla seconda prefazione, prevedendo l’autore potere sembrare oscuro questo periodo (contraddistinto colle virgole), propone la sostituzione del seguente, sostituzione ommessa in quella nota, nel divisamento di quivi, come a luogo più opportuno, trasportarla.
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di siffatto perseverante, solo è possibile mediante una cosa fuori di
rappresentazione. Ma io sono a me consapevole di mia esistenza nel tempo (conseguentemente anche della determinabilità della medesima nel tempo), mediante sperienza interna; e questo è più che l’essermi sempliceinente consapevole di mia rappresentazione non solo, ma è tutt’uno colla coscienza empirica del mio esistere; come quello che non è determinabile, se non mediante relazione a qualche cosa di collegato colla mia esistenza fuori di me. Questa coscienza, del mio essere nel tempo, è dunque identicamente congiunta colla coscienza di un rapporto a qualche cosa di estrinseco a me. E dunque sperienza e non finzione, sensibilità e non immaginazione, quella che inseparabilmente congiunge col mio intimo senso l’esterne cose; giacché il senso esterno è rapporto, già per sé, dell’intuizione a qualche cosa di effettivo fuori di me. A differenza dell’immaginazione, la realtà del senso esterno ad altro non tende, che ad inseparabilmente congiungersi coll’interna sperienza, come a condizione di sua possibilità;
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me, non mediante la sola rappresentazione di qualche cosa. Non è possibile,
ed è quanto ha luogo nel caso, e che serve di fondamento al detto senso. Se nella rappresentazione io sono, che tutti accompagna i miei giudizi e tutte le operazioni del mio intelletto, potessi, colla coscienza intellettuale di mia esistenza, combinare insieme una determinazione di questa, mediante intuizione intellettuale, non sarebbe necessaria, in tal caso, la coscienza di un rapporto a qualche cosa fuori di me. Ora è bensì anticipata quella coscienza intellettuale, ma è sensitiva e legata a condizione di tempo l’interna visione, in cui sola può essere determinata la mia esistenza. Questa determinazione però è seco la stessa interna sperienza dipendono da qualche cosa di perseverante, che non è in me, quindi è solo in alcunché di estrinseco, verso di cui mi debbo considerare in rclazione. Così la realtà del senso esterno è necessariamente collegata con quella dell’interno, per la possibilità di una sperienza in generale; voglio dire che mi sono con altrettanta sicurezza consapevole darsi cose fuori di me,
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per conseguenza, la determinazione del mio essere nel tempo,
che al mio senso si riferiscono, con quanta sono a me conscio di esistere io stesso, determinato nel tempo. A quali poi, fra le visioni date, corrispondano gli oggetti positivi fuori di me (che appartengono dunque al senso esterno, e debbono ad esso attribuirsi, non all’immaginazione), ciò vuol essere deciso in ogni caso particolare, secondo le regole per le quali distinguere la sperienza in generale (anche interna) dall’immaginazione; al che serve sempre di fondamento la proposizione: darsi realmente sperienza esterna. Su questo proposito può inoltre osservarsi, che la rappresentazione di qualche cosa permanente non è lo stesso che rappresentazione permanente; perciocché può questa essere assai mutabile, non che suscettiva di vicende, come tutte le nostre rappresentazioni, e quelle sinanche della materia. Riferendosi essa ciò non di meno a qualche cosa di perseverante, questa dev’essere per conseguenza diversa da tutte le mie rappresentazioni, dev’essere cosa esterna; l’ esistenza della quale viene inchiusa necessariamente
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se non in grazia dell’esistenza delle cose positive, che percepisco estrinseche a me. Ora la coscienza nel tempo è necessariamente collegata colla coscienza della possibilità di simile determinazione del medesimo: è dunque necessariamente collegata eziandio colla esistenza delle cose fuori di me, come con condizione della determinazione del tempo. Il che torna lo stesso che dire, la coscienza della mia propria esistenza essere pure coscienza immediata
nella determinazione della mia propria, e costituisce colla medesima una sola sperienza; la quale non avrebbe neppure luogo internamente, se non fosse (in parte) nello stesso tempo esterna. Il come? non è meno difficile ad ulteriormente dichiararsi che il modo, con che raffiguriamo generalmente lo stabile, nel tempo; la simultaneità e le alternative del quale producono l’idea (nozione) del cambiamento.
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della esistenza di altre cose fuori od estrinseche a me stesso.
Osservazione I
Egli è facile avvedersi, dall’argomento di poc’anzi, potersi usare a rovescio, e retribuire con molto più di ragione allo stesso idealismo, il di lui giuoco. Esso ammette infatti, qual unica sperienza immediata, l’interna, ed argomentarsi quindi l’esterne cose; ma solo con incertezza, come tutte le volte che da dati effetti s’inferiscono cause determinate; giacché potrebbe in noi stessi celarsi, per avventura, la causa delle rappresentazioni, che noi attribuiressimo, quandomai erroneamente, agli oggetti esteriori. Ma con ciò si prova essere propriamente immediata l’esterna sperienza(*),
(*) La coscienza immediata dell’esistenza dell’esterne cose non è supposta, nel teorema
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e possibile, soltanto per sua mediazione, se non la coscienza della propria nostra esistenza, però la determinazione della medesima nel tempo, vale a dire la sperienza interna. Certo che la rappresentazione io sono, qual esprimente la coscienza, che può che può accompagnare
precedente, ma provata, sia che si rilevi o no la possibilità di tale coscienza. Questa possibilità farebbe luogo alla quistione: se non avessimo che un senso interno e niuno esteriore, ma soltanto esterna immaginazione. È però manifesto che, anche per solo immaginarci qualche cosa esternamente, per esibirla cioè al senso dell’intuizione, dobbiamo già godere di un senso esterno, e per ciò distinguere immediatamente la mera suscettività per un’esterna visione dalla spontaneità, la quale caratterizza qualsivoglia immaginazione. Ché anche il solo immaginarsi un (unico) senso esterno distruggerebbe persino la facoltà intuitiva, come quella che vuol essere (dall’immaginativa) determinata.
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ogni pensiere, inchiude immediatamente in sé stessa l’esistenza di un soggetto; ma non è perciò ancora cognizione della medesima, non è quindi empirica, vale a dire sperienza. Ché, oltre il pensiero di alcuna cosa esistente, vuolsi, perciò eziandio visione, e costì la si vuole interna, rispetto a ciò che deve determinare il soggetto, rispetto cioè al tempo: al che richiedendosi assolutamente oggetti esteriori, ne segue, anche la interna sperienza non essere possibile che mediata, e mediante l’esterna.
Osservazione II
Ora va con ciò perfettamente d’accordo qualunque uso di sperienza della nostra facoltà di sapere nella determinazione del tempo. Ché non solamente per potere inquisire, mediante le sole alternative dei rapporti
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esterni (il moto), ogni determinazione del tempo, rispetto a ciò che persevera nello spazio (p. e. il movimento del sole, risguardo agli oggetti della terra), non abbiamo nulla di perseverante, cui sottoporre al concetto di una sostanza, come visione, tranne unicamente la materia; ma la stessa perseveranza non viene attinta da sperienza esteriore, bensì a priori, qual condizione necessaria di tutte le determinazioni del tempo: e la è quindi premessa qual determinazione inoltre del senso interno, rispetto alla nostra propria esistenza, mediante l’esistenza dell’esterne cose. La coscienza di me stesso, nella rappresentazione Io, non è punto visione, ma rappresentazione meramente intellettuale della spontaneità (attitudine propria) del soggetto pensante. Dal che ne viene, cotal io non avere fra gli attributi
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dell’intuizione il minimo, che servir potesse di correlativo alla determinazione del tempo nel senso interno; qual è per avventura la impenetrabilità nella materia, come visione empirica.
Osservazione III
Dal richiedersi l’esistenza dell’esterne cose, onde sia possibile una determinata coscienza di noi stessi, non ne segue perché ogni rappresentazione dell’esterne cose (per intuizione) comprenda eziandio l’esistenza delle medesime; potendo benissimo quella rappresentanza non essere che mero effetto d’immaginazione (tanto nei sogni, quanto nel delirio). Ciò però non ha luogo se non in grazia del riproducimento delle percezioni esterne di già tempo; le quali non sono possibili, come abbiano indicato, che
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mediante l’effettività degli oggetti esteriori. Costì non importava se non di provare, l’interna sperienza non essere possibile che mediante l’esterna, l’una e l’altra in un modo generale. Se poi questa o quella sperienza putatizia si risolva in mera immaginazione, ciò deve giudicarsi dalla determinazione speciale delle medesime, non che dal cimento ed accordo coi criteri d’ogni sperienza positiva.