I. Della differenza tra la ragione pura e l'empirica
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni senso ed esperienza e del non andar mai digiuno di queste neppure il volgare intendimento
III. Del bisogno che ha la filosofia di una scienza che stabilisca la possibilità, i principi ed il complesso di tutte le nozioni preconcepute
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici
V. Dei giudizi sintetici a priori, come inerenti a tutte le scienze teoretiche della ragione
VI. Problema universale della ragione pura
VII. Idea e divisione di una scienza particolare, sotto nome di Critica della ragione pura
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Non vi è neppur dubbio che ogni nostro sapere incominci colla sperienza. Da che altro infatti potrebb’essere al proprio esercizio eccitata la facoltà di conoscere, ove non lo fosse dagli oggetti che i nostri sensi affettano, e parte producono rappresentazioni per se stessi, parte mettono in azione l’attitudine del nostro intendimento a confrontare,
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accoppiare o dividere quelle rappresentazioni, e così lavorare la materia bruta delle impressioni sensitive, e ridurle a quella tal cognizione degli oggetti, che si chiama sperienza? Niuna cognizione adunque precede in noi, risguardo al tempo, la sperienza, e ogni cognizione incomincia colla medesima.
Ciò non di meno, e quantunque sorga e incominci ogni nostra cognizione colla sperienza, non perciò ne viene che tutta sorga e nasca dalla sperienza. Perciocché potrebbe darsi, per avventura, che la stessa nostra cognizione sperimentale fosse un composto di ciò che noi riceviamo per mezzo d’impressioni, e di ciò cui somministra da se stessa la nostra propria facoltà di conoscere (data e mediante l’occasione delle impressioni
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dei sensi); nel qual caso non distingueressimo quanto è fornito in qualità di materia prima dai sensi, da quanto vi aggiungesse del suo la detta facoltà, prima che un lungo esercizio non ce ne avesse fatti scorti, e resi capaci della relativa separazione (distinzione).
È dunque dimanda che ha per lo meno di necessità onde venga più davvicino esaminata, e cui non si potrà di primo aspetto e sì tosto rispondere: se tale specie di cognizione si dia, la quale sia indipendente dalla sperienza e anche da tutte impressioni dei sensi. Questa cognizione chiamo intanto a priori e dall’empiriche la distinguo, in quanto hanno esse le fonti loro a posteriori, vale a dire dalla sperienza.
Ma non è ancora ben determinata, né quanto si vorrebbe, la detta
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espressione, perché valga indicarne tutto il senso, coerentemente al proposto quesito. Perciocché gli è già stile il dire che siamo resi capaci o partecipi a priori di parecchie nozioni, che tuttavia emergono dalle sorgenti della sperienza: e si dice, atteso che non le deriviamo immediatamente da essolei, bensì da una regola generale, che abbiamo tolta ciò non pertanto in prestito dalla sperienza medesima. Così di un tale, che abbia scavate le fondamenta della propria casa, diciamo che egli poteva saperlo a priori qualmente la sarebbe caduta, vale a dire che non gli era mestieri aspettarsi dalla sperienza perché la casa di fatto cadesse. Eppure non poteva quel tale saper questo affatto a priori; ché doveva egli essere già consapevole per isperienza, che i corpi sono gravi, e quindi cadono se vien loro tolto ciò che li sostiene.