I
CRITICA ELEMENTARE TRASCENDENTALE
PARTE SECONDA
LOGICA TRASCENDENTALE
CAPO PRIMO
DEL FILO DI GUIDA PER LA SCOPERTA DI TUTTI I CONCETTI INTELLETTUALI PURI
I. Della differenza tra la ragione pura e l'empirica
II. Del possedersi per noi certe cognizioni anteriori ad ogni senso ed esperienza e del non andar mai digiuno di queste neppure il volgare intendimento
III. Del bisogno che ha la filosofia di una scienza che stabilisca la possibilità, i principi ed il complesso di tutte le nozioni preconcepute
IV. Della differenza tra i giudizi analitici ed i sintetici
V. Dei giudizi sintetici a priori, come inerenti a tutte le scienze teoretiche della ragione
VI. Problema universale della ragione pura
VII. Idea e divisione di una scienza particolare, sotto nome di Critica della ragione pura
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Se farai generalmente astrazione da quanto è contenuto in un giudizio, e non baderai che alle sole di lui forme intellettuali, troverai la funzione in esso lui del pensare potersi ridurre a quattro titoli(1),
(1) Mostrandosi diverse le forme delle idee nella coscienza, Kant avvisò poter trovare le leggi della intellettuale pura, tracciando sopra un principio certo il piano
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ciascuno dei quali comprende tre punti (momenti). E questi possono
di tutte le dette forme. E trovò potersi ridurre ai quattro titoli della qui appresso tavola tutto quello per cui può il moltiplice indeterminato essere pensato come oggetto dall’intendimento. Sui quali titoli possono, sovra basi, fissarsi tutti i modi primitivi d’azione dell’intelletto, che alla materia d’intuizione procacciano unità obbiettiva. Nel combinare od unire consiste la funzione dell’intelletto, e consistendo in questa unione i giudizi, non occorreva che di stabilire le condizioni generali per le quali essi generalmente si distinguono. Siffatte condizioni sono la quantità rispetto ai generali, plurali, e singolari; la qualità per affermare, negare o circoscrivere; il rapporto fra i termini dello stesso giudizio, e quello fra il giudizio e l’intelletto. Il primo rapporto è categorico, se non esprime che l’unione del soggetto coll’attributo; è ipotetico se il giudizio si esprime come dipendente da un altro; ed è per ultimo disgiuntivo, se abbraccia od oppone parecchie ipotesi, che l’una l’altra escludano. Nel
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esporsi comodamente nella tavola qui appresso.
secondo rapporto, cui Kant chiama di modalità il giudizio è problematico, se l’unione del predicato col soggetto è data come semplicemente possibile; se come sitiva il giudizio è assertorio; ed è apodittico, se come assolutamente necessaria.
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Quantità de’ giudizi
Universali,
Singoli
2
Qualità
Affermativi,
Negativi,
Infiniti
3
Relazione
Categorici,
Ipotetici,
Disgiuntivi
4
Modalità
Problematici,
Asserenti (assertori),
Necessari (apodittici)
Siccome la qual divisione pare differisca in alcune parti, quantunque non essenzialmente, dalla teorica usuale dei logici, così non saranno
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fuor di luogo le seguenti premonizioni, affine di evadere le sinistre interpretazioni, che alcuno temesse in proposito.
1. Egli è con fondamento che insegnano i logici, potersi, nell’uso de’ giudizi pelle argomentazioni, trattare i singoli giudizi nella stessa maniera con che si trattano gli universali. Conciossiacché appunto perciò che i singoli giudizi non hanno estensione, l’attributo loro può non solamente riferirsi ad alcuna delle cose contenute dell’idea del soggetto, ma si eziandio escludersi da qualche altro concetto. Regge adunque lo stesso, rapporto a quell’idea, senza veruna eccezione, come se la stessa fosse un’idea di valore comune, e che si estendesse fin dove può estendersi tutta la significazione dell’attributo. Se mettiamo per l’opposto a confronto un singolo giudizio
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con un universale, semplice mente come cognizione, rispetto alla grandezza, essa cognizione ha coll’altro giudizio lo stesso rapporto, che ha l’unità coll’infinito; e quel primo ne differisce perciò essenzialmente in sé stesso. Quando sarò dunque per apprezzare un giudizio unico (singolare), giusta l’intimo di lui valore non pure, che qual cognizione in generale, avuto risguardo alla grandezza (quantità) del medesimo, rispetto ad altre cognizioni, sarà esso assolutamente differente da un giudizio universale (comune); ed, in una tabella perfetta dei momenti (punti) del pensare, meriterà un posto particolare (quantunque ciò non si pratichi nelle logiche limitate soltanto all’uso vicendevole dei giudizi).
2. In una logica trascendentale inoltre, debbonsi ugualmente scernere i giudizi infiniti dagli affermativi;
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quantunque nella logica universale sieno questi giustamente annoverati fra’ primi, e non per sé costituiscano alcun membro speciale nel respettivo scompartimento. Perciocché non deve questa che fare astrazione da ogni contenuto del predicato (quantunque negativo), e risguardare solamente a sé questo attribuito venga, oppure contrapposto, al soggetto. La logica trascendentale invece considera il giudizio anche secondo il valore o contenuto dell’affermazione logica, mediante un attributo semplicemente negativo; ed esamina qual pro dalla medesima ridondi all’intiera cognizione. Se avessi detto dell’anima, ella non essere mortale, avrei col giudizio negativo impedito se non altro un errore; ciò non pertanto colla proposizione: l’anima è immortale, stando alla forma logica, ho effettivamente affermato;
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ho cioè collocata l’anima nella sfera indeterminata degli esseri immortali. Ora, siccome ciò, che è mortale, occupa una porzione di tutta la sfera delle cose possibili, così altro non esprime la mia proposizione, se non che l’anima è parte dell’infinita quantità delle cose che sopravvanzano, quand’anche ne sottragga e separi tutto quanto è mortale. Ma con ciò viene soltanto limitata la sfera infinita di tutte le possibili cose, in quanto ne vengono separate le mortali, e che l’anima viene riposta nello spazio che tuttavia rimane di quella sfera. La qual eccezione per altro non toglie quello spazio essere pur sempre infinito; e, quand’anche se ne sottraessero altre parti parecchie, non però crescerebbe né punto, né poco l’idea dell’anima, e la si determina sempre affermando. Questi giudizi infiniti adunque, rispetto
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alla periferia logica e per ciò che risguarda il contenuto della cognizione in generale, sono effettivamente affermativi (deterininanti). Il motivo poi, per cui essi non debbonsi preterire in una tavola trascendentale di tutte le circostanze (momenti) del pensare, si è che la funzione, cui perciò esercita l’intelletto, è per avventura importante nel campo di sue cognizioni pure preconcepute.
3. Le relazioni del pensare, nei giudizi, riduconsi tutte a quelle,
a) Del predicato al soggetto;
b) Del fondamento (principio, ragione) alla conseguenza; ed
c) alle vicendevoli della cognizione divisa, e di tutte le parti della medesima. La prima specie di tali giudizi contiene due concetti solamente, nella seconda vi sono due giudizi; e nella terza vengono vicendevolmente considerati fra loro
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diversi giudizi. La proposizione ipotetica: data una giustizia perfetta è punito chi nel vizio persevera, contiene a parlar giustamente i rapporti di due proposizioni, darsi cioè una perfetta giustizia, e venir punito il perseverante nel vizio. Qui non si decide se ammendue queste proposizioni sieno vere in sé stesse; ma la sola cosa cui si pensa in questo giudizio è la conseguenza. Il giudizio disgiuntivo finalmente contiene una mutua relazione di due o più proposizioni fra loro, non però di conseguenza opposizione logica, in quanto la sfera dell’una esclude quella, dell’altra; e contiene tuttavia la relazione di comunanza, le proposizioni riempiono tutt’insieme la sfera della relativa cognizione: giacché la sfera di cadauna porzione costituisce un pezzo riempitivo la sfera dell’altra nell’intiero complesso
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della cognizione divisa. Serva d’esempio il giudizio: il mondo esiste o per mero accidente, o per intrinseca necessità o per causa esteriore. Ciascheduna di coteste proposizioni occupa una parte nella sfera della cognizione possibile sulla esistenza di un mondo in generale; e tutte insieme riempiono affatto la detta sfera. Togliere da una di queste sfere la cognizione vuol dire collocarla nelle altre; come collocarla in una vuol dire toglierla delle altre sfere. Dunque in un giudizio disgiuntivo evvi una certa comunanza di cognizioni, e questa consiste in ciò, ch’elleno si escludono bensì a vicenda, ma determinano con ciò stesso nel tutto la vera cognizione; in quanto prese tutte insieme costituiscono l’intiero di una data cognizione unica. Ed è quanto mi occorreva osservare per ora su questo proposito, in
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grazia di ciò cui sarò per esporre in avvenire.
4. La modalità dei giudizi è una funzione affatto particolare dei medesimi, la quale si distingue perciò non contribuisce nulla al contenuto del giudizio (giacché, oltre la quantità, la qualità e la relazione, altro più non vi resta che possa costituire siffatto contenuto); ma, rispetto al pensare in generale, non si riferisce che al solo valore della cognizione. Giudizi problematici sono quelli, ove l’affermare od il negare viene preso (a piacere) come semplicemente possibile. Se lo si prende per quanto è di fatto (vero), i giudizi sono asserenti: e sono apodittici, quando l’affermazione o la negazione è necessaria(*). Così appartengono ai
(*) Come se il pensare fosse funzione dell’intelletto nel primo caso, della facoltà
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problematici ammendue quei giudizi (antecedente e conseguente), la relazione dei quali costituisce l’ipotetico: ed è nella reciprocità loro, che consiste il giudizio disgiuntivo. Nel dianzi citato esempio non è punto assertoria la proposizione: una perfetta giustizia, ma è semplicemente pensata qual giudizio arbitrario, di cui è possibile che ciascuno e nessuno lo ammetta, ma di assertorio non vi è che la conseguenza. Quindi è che tali giudizi possono essere manifestamente falsi, e tuttavia condizioni per conoscere la verità, sempreché ricevuti problematicamente. Così nella parte disgiuntiva non è che problematica la significazione del giudizio: il mondo esiste per cieco azzardo;
di giudicare nel secondo, e della ragione nel terzo: è questa osservazione avrà in seguito il suo rischiaramento.
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vale a dire che potrà taluno ammettere per un istante cotal asserzione: e serve ciò non ostante (come indicazione di una falsa strada fra tutte quelle, che lasciamo altrui libero di scegliere) a trovare il vero. La proposizione problematica è quella pertanto, la quale non esprime che la possibilità logica (e non è questa obbiettiva); consiste cioè nella libertà di lasciarla valere, e non è che un’ammissione arbitraria della medesima nell’intelletto. Il giudizio assertorio annunzia l’effettività logica o la verità (come per avventura in un raziocinio ipotetico, dove l’antecedente problematico della prima proposizione diventi assertorio nella posteriore); e mostra essere già la proposizione collegata coll’intelletto, secondo le di lui leggi. La proposizione apodittica invece sottintende già determinata l’assertoria per le dette
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leggi dell’intelletto; e perciò sostiene a priori, e ne cava ed esprime in tal guisa la necessità logica. Ora siccome qui tutto s’incorpora, dirò così, per gradi coll’intendimento, giudicando sulle prime alcunché problematicamente, indi ammettendolo anche assertoriamente come vero, e finalmente dichiarandolo e sostenendolo indivisibilmente collegato coll’intendimento, perciò come apodittico e necessario così queste tre funzioni della modalità potranno eziandio chiamarsi altrettanti momenti del pensare in generale.