3
Il mare Glaciale ha tre grandi e notabili proprietà, le quali meritano che se ne faccia menzione particolare, cioè il ghiaccio fluttuante, il legno fluttuante, e i suoi tesori, per mezzo de’ quali ha aperto un nuovo ed esteso ramo di commercio, e di guadagno alle nazioni più ricche e più possenti dell’Europa.
Ghiaccio a strati; ghiaccio fluttuante;
formazione del ghiaccio
Le isole nuotanti di ghiaccio, che importano delle miglia di grandezza, che si
4
innalzano come torri, e che spesso in un momento e come per un colpo magico, rinchiudono da tutte le parti gli audaci navigatori che si avvicinano al polo. Queste isole, che spaventano anche il più coraggioso, che fanno sentire all’uomo più ardito la sua impotenza e picciolezza, obbligano ad ammirarle e stupire anche colui che per mezzo di notizie raccolte si è preparato al loro aspetto, alla loro forma e grandezza, alla loro nascita ed all’effetto, e che ha riempiuto quindi la sua fantasia di quadri su tali oggetti; quest’isole, dico, par che richedano, che dirigiamo prima la nostra attenzione verso di esse, e verso questo cangiamento in generale; giacché né il ghiaccio fluttuante né quello a strati né il duro, compatto e trasparente né il fragile spungoso e sfogliato vi sono condotti dai fiumi, ma effettivamente nel mare stesso.
Avvicinandosi la stagione d’inverno i fiumi sono presto coperti di ghiaccio, e sotto uno strato di esso, della grossezza di un braccio incirca, portasi la corrente continuamente verso il mare. Cessando poi il freddo, questa corrente consuma il ghiaccio;
5
e quando questo è diventato più sottile lo rompe e lo conduce nel mare. In conseguenza tutto il ghiaccio ch’entra ne’ mari del Nord per mezzo de’ fiumi dell’Asia e dell’America settentrionale, dev’essere troppo insignificante a paragone di quello che si trova in fatto sotto i poli. Se questo ghiaccio fosse condotto nel mar Glaciale solamente dai fiumi, non si potrebbe spiegare, perché tiene sempre la direzione dai poli verso l’equatore, e le regioni più calde, perché s’innalza di più nella vicinanza del polo, che nelle latitudini meno alte intorno alle coste ed ai fiumi e non si potrebbe spiegare donde viene il ghiaccio sotto il polo antartico, ove forse non sussiste alcuna terra ferma dotata di vegetazione, e che abbia de’ fiumi.
Le ragioni principali perché si è creduto che il ghiaccio nasca dai fiumi sono forse le seguenti: 1. che tutto il ghiaccio del mare dà dell’acqua dolce, di modo che i navigatori ne raccogliono de’ pezzi che possono prendere comodamente nel battello, li lasciano liquefare, e poi se ne servono come dell’acqua fresca: 2. che il ghiaccio del mare è sempre puro, chiaro e
6
trasparente come il cristallo, e dà dell’acqua affatto pura, mentre al contrario l’acqua del mare è impura: 3. che oltre di ciò si è osservato, che ogni acqua impura gela più difficilmente, particolarmente quando è in un movimento continuo, il quale non permette che il gelo si possa attaccare a qualche luogo. Queste ragioni inoltre sono avvalorate dal non trovarsi mai gelato il mare fra Spitzbergen e la Nuova Zembla, per cui essendosi trovato del ghiaccio verso i poli, deve provenire dalla terra che si trova in que’ contorni, sulle di cui coste formasi il ghiaccio suddetto.
Però contro tali ragioni prima di tutto ci dimostra l’esperienza, che l’acqua del mare, malgrado la sua impurità e salsedine, possa veramente gelarsi, siccome abbiamo veduto accadere nel mare Baltico, nel Sund ecc.; e finanche nel mar Nero, e nel Mediterraneo. La Baia di Hudson, allora quando il capitano James dovette passare l’inverno sull’isola Charles, gelò interamente alla metà del mese di dicembre del 1631. Volendo riguardare questi fatti come semplici accumulamenti di ghiaccio condottovi dai fiumi, dobbiamo rammentarci solamente quello che a
7
bella posta è stato accennato di sopra, parlando dei viaggi dei Russi nel mare del Nord, cioè che nel 1650 fra il 30 e il 31 di agosto gelò il mare, che al 1 di settembre il ghiaccio divenne già spesso di un mezzo palmo, e che rotto e trasportato indi dalla burrasca sopra una latitudine più alta, gelò nuovamente nella notte del 6 di settembre in tempo di calma, e poi accrebbe in modo che al terzo giorno giunse alla grossezza di un mezzo braccio. Inoltre il medesimo fenomeno osservò anche prima Guglielmo Barenz nel 1596 presso la nuova Zembla, cioè nella notte del 16 di settembre il mare gelò per la grossezza di due dita, e la giornata seguente s’accrebbe al doppio(1). Il caso seguente anche conferma la cosa stessa. Adanson riempì due fiaschi di acqua marina in due differenti siti del mare, coll’intenzione di esperimentare esattamente e con maggior comodo il grado della sua salsedine; ma sulla strada di Brest a Parigi
(1) Ved. Adelung Geschichte der Schiffahrtenu und Versuche zur Entdeckung des nordostlichen Weges nach Japan und China. [Adelung 1768]
8
scoppiarono questi due fiaschi, poiché l’acqua vi si era in gran parte congelata dentro, ed in tale circostanza quella che restò fluida ne sortì, ed il ghiaccio rimasto nei fiaschi diede dell’acqua dolce(1). A ciò si aggiunge, che Eduardo Nairne durante il rigido inverno del 1776, avendo fatto a Londra un esperimento coll’acqua del mare, ricevette egualmente da essa un pezzo di ghiaccio assai duro, lungo tre pollici e grosso due, il quale dopo averlo lavato nell’acqua comune, affine di particelle esterne dell’acqua marina, senza cagionare per questo il minimo cangiamento nella sua costruzione interna, diede, liquefacendosi, un’acqua pura e dolce, e specificamente più leggiera della mistura di acqua piovana, e di neve; anzi riguardo alla leggerezza si avvicinò molto all’acqua distillata.
Queste esperienze distruggono benanche l’obiezione principale fatta contro il gelarsi cioè che il ghiaccio il quale vi si
(1) Ved. Adanson voyage au Senegal. Paris 1757. pag. 190. [Adanson 1759]
9
trova, dia sempre dell’acqua dolce. I fatti suddetti dimostrano, che in realtà il ghiaccio proveniente dal gelarsi dell’acqua marina dà sempre dell’acqua dolce, e che la congelazione della suddetta acqua di mare la spoglia d’ogni parte eterogenea, d’ogni sporchizia, e particolarmente del sale che conteneva come sua parte essenziale. Una tal cosa vien anche vieppiù confermata da quanto si pratica nelle regioni settentrionali per trarre il sale dal mare, il quale in que’ climi non è tanto salato come nelle regioni più calde. Ivi, sebbene non si manchi di legna, si pone a profitto il freddo per ottenere un’acqua salsa più concentrata. A tal fine la fanno gelare in vasi grandi, poi ne levano il ghiaccio che gettano via, e lasciano svaporare finalmente il residuo sul fuoco, talché presto comincia il sale a cristallizzarsi. Con tale operazione gela solamente l’acqua così detta selvaggia, cioè superflua, e del sale nulla perdendosene, il residuo dell’acqua ne resta molto più saturato, e quindi può essere svaporato più facilmente, e reca maggior utile. Gli esperimenti alostatici di Wilkens hanno egualmente messo fuori di dubbio, che il mare del Nord, sebbene in
10
generale non sia molto salato, pure vicino alla terra nel porto di Landskrone contiene molto sale, mentre quivi l’acqua del porto gela nell’inverno sino al fondo, e vi depone necessariamente un precipitato di sale, il quale rende salato il mare anche in tempo d’estate. Presso Tornea, ed in altre parti settentrionali osservasi il medesimo fenomeno. Intorno all’Islanda si è trovato il mare molto più salato, che intorno alle coste dell’Irlanda.
Se quindi Kranz(1) fa una distinzione fra il ghiaccio piatto e l’accumulato, cioè, che il ghiaccio piatto sia salato perché nasce dall’acqua marina, ed il ghiaccio accumulato sia dolce perché vi sia stato condotto dai fiumi, è forse da supporsi che, osservando egli questo fenomeno, abbia commesso un qualche errore prodotto dall’apparenza, il quale forse resterà posto in chiaro, e sarà dissipato da quanto qui appresso si dirà.
Volendo finalmente sostenere, che per
(1) Ved. Kranz Geschichte von Groenland, Barby 1765 tom. 4 pag. 31. [Cranz 1765]
11
formarsi il ghiaccio nel mare vi sia bisogno di un punto d’appoggio, ove debba attaccarsi nel suo principio, si potrebbe pure ammettere una tale proposizione, senza perciò spiegare l’esistenza del ghiaccio ne’ mari glaciali come un prodotto del mare stesso. Ma non possiamo dedurlo dai fiumi di una terra polare, i quali in quella regione non possono affatto sussistere, poiché il suolo deve essere gelato, e perciò privo di sorgenti. Forse sussiste su ambedue i poli una terra gelata nella profondità di cento piedi e più, la quale da lungo tempo trovasi innalzata sul mare; giacché l’acqua verso il polo diventa per tutto sì bassa, che probabilmente ivi e soprastata da pianure più o meno considerabili, ed in queste pianure il ghiaccio troverebbe sufficiente appoggio, se ne avesse bisogno. Ma veramente non v’ha d’uopo tal punto fisso perché il ghiaccio si formi.
Qualunque acqua, pura o mista di sale o d’altre parti eterogenee disciolte, essendo esposta al gelo, è finalmente cangiata in ghiaccio. Questo però in principio della sua formazione varia di natura a seconda delle particelle eterogenee che l’acqua in sé contiene disciolte.
12
L’acqua affatto pura; essendo esposta al gelo, in principio si cristalizza in fili di ghiaccio, che poi si dilatano in forma di piattelle rotonde, e si uniscono nel modo più regolare, finché resta coperta interamente con una crosta di ghiaccio compatto e duro, ma ciò non ostante chiaro e trasparente. In questo ghiaccio si osservano delle bollicelle d’aria di varia grandezza, le quali si aumentano e si affollano alla parte inferiore del ghiaccio, ove tocca l’acqua. Tale circostanza ci dimostra, che mentre l’acqua gelasi, l’aria si separa da essa; il che vien confermato ancora dall’esperienza che avrà fatta chiunque abita vicino ai fiumi ed ai laghi, i quali gelano in tempo d’inverno; cioè che la coperta di ghiaccio si spacca sovente da un lato all’altro con un grande scoppio, mentre l’aria separata dall’acqua, e condensata per mezzo del ghiaccio, si procura una violente sortita.
Se l’acqua però è mescolata con altre parti eterogenee in essa disciolte, come con sale, birra, vino, latte ecc., essa gelerà più tardi che l’acqua pura, ed il ghiaccio che ne nascerà sarà fungoso, fragile, opaco, ed alquanto ripieno di quelle parti
13
eterogenee, che l’acqua contiene in dissoluzione: egli pertanto ne conterrà sempre in proporzione minor quantità di quella, che ne contiene l’acqua stessa prima di gelare. Continuando il freddo, ed essendo esso bastantemente forte, allora il ghiaccio diventa duro, trasparente, e tanto puro e chiaro, quanto il ghiaccio dell’acqua più limpida. La massa, nella quale al primo momento del gelarsi è cambiata l’acqua mista a materie eterogenee in essa disciolte, è sicuramente un pezzo di ghiaccio duro quando arriva a far scoppiare il vaso dove è contenuto. Disciogliendo questo ghiaccio, lo troveremo senza sapore, chiaro e quasi interamente privo di parti eterogenee. Anche il ghiaccio duro dello stagno più sporco dà un acqua sufficientemente netta. Da ciò vedesi quindi, che nel gelare, non solamente l’aria, ma benanche qualunque materia eterogenea, se non interamente, almeno per la maggior parte si separa dall’acqua.
Tutto il ghiaccio, avendo coperto la superficie dell’acqua, diventa sempre più duro, quando il freddo continua, e s’accresce incessantemente il suo volume dalla parte inferiore. Quindi il ghiaccio sottoposto,
14
come nato più tardi, è ancora non totalmente indurito, e poco trasparente.
Non è però sempre necessario che il ghiaccio si formi sulla superficie dell’acqua, benché questo fenomeno quasi sempre accada in tal modo nell’acqua tranquilla e limpida, giacché la superficie di questa è più pura, e si opera sopra di essa con maggior facilità la separazione dell’aria necessaria per la formazione del ghiaccio, talché gelando prima la superficie, si cristallizzano i piccoli raggi e fogli di ghiaccio; e siccome continuano a gelare dalla superficie verso il fondo, così con tale progressione cresce sempre più il ghiaccio stesso.
Ne’ fiumi, e nelle acque fortemente agitate, e particolarmente nel mare, pare che debba farsi l’operazione opposta, poiché quivi le circostanze esterne sono affatto contrarie. In fatti in un fiume l’acqua superiore non è più pura, ma spesse volte è anzi più sporca a cagione della quantità delle materie che nuotano in essa. Inoltre il movimento dell’acqua sulla superficie di un fiume può essere anche maggiore di quello sul fondo, cosa che sempre avviene nel filone,
15
cioè nella linea della massima corrente. Quivi deve dunque il ghiaccio nascere dalla parte inferiore, e l’esperienza ci fa vedere che così effettivamente avviene.
Il freddo essendo cresciuto considerabilmente sopra il punto di congelazione, ed essendo l’acqua ferma e limpida, per esempio di uno stagno, coperta con una crosta di ghiaccio, allora vediamo dapprima nuotare sui fiumi tavolette isolate di un ghiaccio spungoso ed opaco, ripieno di terra e di altre sporchizie, il quale essendosi generalmente, osservato che non si forma sulla superficie dell’acqua, ma che, sorge dal fondo, è chiamato ghiaccio del fondo (grundeis). Questo ghiaccio comparisce prima in que’ siti ove il fiume ha la minore profondità, o non mai nel filone della corrente, poiché in questo l’acqua si raffredda più tardi, e non può anche riposarsi a cagione del forte movimento, le quali circostanze hanno luogo solo sui bassi fondi del fiume, ove verso l’una o l’altra sponda il corso dell’acqua è più lento.
In questi soli siti dunque, in tempo di gran freddo, quando la parte inferiore dell’acqua è raffreddata sino al grado di
16
congelazione, (il quale per l’acqua marina è il 28° del termometro di Fahrenheit) vi nascono quelle tavolette di ghiaccio, e montano sulla superficie. Per ben convincerci di questo basta far attenzione ai buchi tagliati nel ghiaccio dai pescatori, i quali per lo più si fanno sopra tali bassi fondi. Poco dopo avervi tagliato il buco, vediamo in esso venire dal fondo un pezzo di ghiaccio, il quale presto s’ingrandisce, poi s’innalza, e finalmente riempie il buco in poco tempo, e lo chiude se tale operazione non venga interrotta.
Questo ghiaccio del fondo, nato in tal modo, a poco a poco si aumenta, i suoi pezzi diventano più grandi, più fra loro vicini, più compatti, e spingendosi tra loro s’incastrano vicendevolmente, montano l’una sull’altro, gelano insieme, e formano sopra l’intero fiume, o secondo che il suo corso è rapido o lento, una crosta scabrosa ripiena di notabili protuberanze, o come sul nostro Pregel, una crosta piana e liscia di ghiaccio, che in principio è bianchiccio e trasparente, ma poi, crescendo il freddo, diventa chiaro e duro come un cristallo.
Ciò accade in tutt’i fiumi, eccettuato
17
nell’alto Nord, ove questo cangiamento è qualche volta molto accelerato, essendovi esempi, che per un freddo rigorosissimo la Newa, ed ancora più i fiumi della Siberia, si rappigliano in una notte come una specie di pasta, e vengono riempiuti di ghiaccio di fondo, il quale rapidamente s’indurisce(1). Gli stagni che contengono dell’acqua impura, ed i nostri Haff gelano nell’istesso modo, colla differenza però che, come abbiamo già detto, le tavolette di ghiaccio montano sempre immediatamente sulla superficie, ed essendone questa coperta, e crescendo il freddo, s’ingrandiscono dalla parte inferiore, e s’induriscono.
Che questo medesimo fenomeno accada ancora sul mare chiaramente apparisce dall’essersi veduti gli alti monti di ghiaccio incontrati dai navigatori circondati sempre da pezzi minori di ghiaccio duro, i quali si potevano prendere nel battello, farli liquefare, e trarne un’acqua fresca potabile; e dall’essersi trovato che intorno a questi
(1) Sam. Ge. Gmelin Reise durch Russland zur Untersuchung der drey Naturreiche. [Gmelin 1770]
18
pezzi eravi attaccato un ghiaccio molle e spungoso, il quale liquefatto dava piuttosto un acqua salata. Forster è d’opinione che il ghiaccio, cioè il vero ghiaccio di fondo, il quale circonda i campi di ghiaccio, sia già stato traforato dall’acqua, ed a metà disciolto; ma egli si sarebbe persuaso, che questo sia un ghiaccio nascente, se avesse riflettuto, che questo ghiaccio, dopo essere, che per molto tempo, stato esposto sulla coperta della nave per farne sgocciolare tutta l’acqua del mare, conteneva ciò non ostante l’acqua salata fino all’ultimo pezzetto(1).
Devesi qui far menzione dell’esperimento fatto dal dottor Higgins nel 1776 a Londra, il quale esperimento pare che s’opponga direttamente, ed in ciascuna parte essenziale, a quello già qui sopra riportato, fatto colla massima cura dal valente Edoardo Nairne(2). Higgins ricevette solamente de’ foglietti sottili di ghiaccio, i quali assai debolmente erano attaccati l’uno all’altro
(1) Forster Bemerkungen uber Gegenstaende der physischen Erdbescreibung p. 60 e 61. [Forster 1783]
(2) Egli ha descritti i suoi esperimenti in Barington’s second supplement to the probabilites of reaching the Nordpale p. 121-142. [Higgins 1776]
19
(erano essi ghiaccio di fondo): egli trasse subito questi foglietti fuori del vaso, nel quale aveva esposta l’acqua marina al gelo, ed in tal guisa continuò, fino a che la restante acqua salmastra concentrata cominciò a rappigliarsi in cristalli di sale comune. In un altro vaso restò in ultimo un ghiaccio un poco più grosso e compatto, il quale non fu chiaro, ma diede dell’acqua. In questo esperimento stimabile, benché non si provi affatto ciò che ne conclude il sig. Higgins, comparisce chiaramente come nasce il ghiaccio del mare. I foglietti sottili, non trasparenti, ed attaccati debolmente l’uno all’altro, erano il primo ghiaccio di fondo, il quale, siccome appena allora si rappigliava, non era ancora purificato, e quindi non poteva avere consistenza, né essere trasparente, e privo del gusto dell’acqua marina. Siccome Higgins, ogni qual volta si mostrarono questi foglietti, li trasse subito fuori del vaso, non poteva perciò succedere la separazione del sale; anzi tale separazione doveva ritardarsi sempre di più, giacché levando sempre la tavoletta del ghiaccio (la quale sebbene non era tutt’affatto purificata, doveva però contenere minori particelle di
20
sale che l’acqua dalla quale nacque), il resto dell’acqua diveniva sempre più saturato di sale. Quindi il pezzo di ghiaccio più grosso era in ultimo penetrato da particelle salate.
L’alzarsi de’ foglietti di ghiaccio, e la loro prima formazione sul fondo del vaso poterono essere tanto meglio osservati dal dott. Higgins in quanto ch’egli trasse dal vaso i foglietti di ghiaccio sempre immediatamente dopo la loro nascita, talché in questo modo poté riceverne sempre de’ nuovi. Al contrario bastava a Nairne star solamente attento al primo alzarsi delle tavolette di ghiaccio perché gli entrasse in pensiere, che il ghiaccio dell’acqua marina si fosse formato sulla superficie, e che continuasse ad accrescersi al di sotto. Egli non poté più osservare l’innalzamento della seconda, e della terza tavoletta; e quando alla prima si attaccavano delle nuove tavolette di ghiaccio doveva sembrargli, che il ghiaccio si formasse dall’alto in basso.
Chiaramente ora apparisce perché Kranz trovò salato il ghiaccio piatto; ed anzi se egli l’avesse esaminato più esattamente, l’avrebbe trovato anche spungoso, ed in
21
generale sporco. Quel ghiaccio altro non era, che un ghiaccio non ancora perfettamente gelato, il quale essendo disciolto, gli diede nuovamente dell’acqua salata. Per la stessa ragione avvenne a Pages che nell’acqua marina, la quale durante il suo tragitto si era gelata intorno al vascello, trovò una libbra di sale per 100 libbre di ghiaccio; che questi medesimi pezzi di ghiaccio, conservati olto giorni, diedero per 100 libbre solamente un quarto di sale, e che dopo il corso di tre settimane, questo medesimo ghiaccio non ebbe più sale.
Qualche volta, ma raramente, si è trovata qualche isola di ghiaccio anche nel mare atlantico, e sulle coste d’Europa, sotto il 40 di latitudine settentrionale, la quale vi era stata trasportata dalla corrente e dalla burrasca. Ordinariamente tali isole sono disciolte prima di passare il 55° di latitudine. Nello stretto di Bellisle, sulla punta meridionale di Labrador, sotto il 52° di latitudine, si è osservata una grande isola di ghiaccio, la quale si era arrestata sul fondo: essa vi restò durante l’intera estate, e non si disciolse che nella stagione calda dell’anno seguente. Siccome l’America è più
22
fredda del continente antico, così vi accade questo fenomeno non raramente che sulle nostre coste. Nell’Irlanda, la di cui parte più meridionale cade nel medesimo grado di latitudine, difficilmente il ghiaccio vi arriva; e molto meno ancora vi si conserverebbe una estate intera. I propri confini fin dove l’isole od i pezzi di ghiaccio si estendono vanno fino al 70° di latitudine settentrionale, di là de’ quali i campi ed i monti di ghiaccio si trovano in enorme quantità e grandezza.
Avvicinandosi a quest’enormi isole di ghiaccio nella distanza di alcune miglia geografiche, si osserva sull’orizzonte un vivo splendore bianchiccio cagionato dal loro riflesso, il quale, seguendo i Groenlandesi, è chiamato splendore di ghiaccio. Poco dopo l’apparizione di questo splendore suole vedersi una quantità di uccelli pescatori (Alcedo Ipsida Linn. e di Gmelin) o di tempesta (Procellaria pelagica Linn. ed Im.), che sono bianchi come la neve, i quali sono da riguardarsi come i sicuri forieri del ghiaccio vicino. In seguito cala il termometro (poiché le grandi masse di ghiaccio raffreddano moltissimo l’aria), e poi si vedono
23
all’intorno da tutte le parti pezzi di ghiaccio di varie grandezze, preceduti dal ghiaccio di fondo. Finalmente nel fondo di questo quadro si vedono ambulanti campi di ghiaccio, isole fluttuanti, e rocce di ghiaccio, che s’innalzano verso il cielo, il tutto in tale aspetto, che un mare gelato nel momento della burrasca più furibonda, non ne darebbe un quadro giusto. Campi di ghiaccio lunghi due in tre miglia geografiche, ed alti più di 100 piedi non sono affatto rari: tutt’i navigatori raccontano di averli frequentemente veduti, ed anzi, secondo il rapporto di Kranz, vi sono campi di ghiaccio sì sterminati, che alcuno di essi è lungo 150 miglia geografiche, e largo 60.
Del ghiaccio non soprasta all’acqua che la quattordicesima parte del suo volume, anzi nell’acqua di neve suole non soprastare che una quindicesima parte. L’acqua del mare è un poco più grave, ma ciò non ostante in essa il ghiaccio s’affonda per più di undici dodicesime sue parti. Se supponiamo adunque, che un campo di ghiaccio abbia la lunghezza di un miglio geografico, la larghezza d’un quarto, ed un’altezza di 100 piedi sopra l’acqua s’avranno 13,971,831,000
24
piedi cubici di ghiaccio sopra l’acqua stessa il qual volume dovendo essere la dodicesinia parte del totale, aggiungendovi le undici parti sotto l’acqua, ne risulterà pel totale volume del suddetto campo di ghiaccio la somma enorme di 166,665,972,000 piedi cubici.
Ugualmente maravigliosa è la quantità interminabile delle masse di ghiaccio, che spesso circondano il navigatore da tutti i lati, che fin dove può estendersi l’occhio null’altro si vede che ambulanti montagne di ghiaccio. Più di una volta se ne sono vedute dall’altezza della gabbia quasi due cento di tali grandi masse di ghiaccio, fra le quali la più picciola era della grandezza del vascello.
Le alte masse di ghiaccio nascono indubitatamente da’ campi di ghiaccio i quali in tempo di calma sonosi formari sulla superficie del mare, e che poi s’ingrossano spesso di più pollici in una sola notte, talché in seguito giungono alla grossezza di più di in piedi. Questi campi spesse volte sono rotti dalla burrasca, i pezzi di ghiaccio sono gettati l’uno sopra l’altro, i superiori comprimono gl’inferiori, e finalmente gelansi
25
insieme in modo che facilmente si possono conoscere distintamente i loro diversi strati. I signori Forster negli anni 1772 e 73 osservarono in molte masse di ghiaccio questi strati isolati, de’ quali ciascuno era della grossezza di molti piedi. Martens nella sua descrizione di Spitzbergen osserva espressamente, che le montagne di ghiaccio consistono in pezzi gettati uno sopra l’altro. Il veementissimo freddo d’un lungo inverno, il quale dura almeno otto mesi senza interruzione, genera masse di ghiaccio, che la breve e debole estate non può liquefare, per cui crescono continuamente. La neve che cade fino all’altezza di molte braccia, e che spesse volte in gran parte è sciolta dalle piogge, le quali quivi non sono rare ne’ mesi d’inverno, gelasi insieme coll’acqua della pioggia stessa, ed indi vien coperta da nuova neve, cosicché innalzansi in tal modo montagne di ghiaccio di un’altezza incredibile.
L’urto de’ banchi di ghiaccio cagiona un rumore sì forte, che impedisce fino l’udire le parole di quello che parla. Tutto ad un tratto in mezzo ad essi banchi nasce in qua ed in là un fuoco chiaro, il quale
26
non può essere cagionato che dalla violenza dello stropicciamento che soffre il legno fluttuante, il quale in quel momento si accende. Spesso queste rocce di ghiaccio si precipitano con un fracasso spaventevolissimo, e si rompono in piccoli pezzi. Sovente le loro cime composte di neve e di pioggia, che in parte si cangia in ghiaccio, trovandosi sopracaricate, cadono giù a precipizio con un tuono terribile da una punta all’altra, finché qui restano appese sopra un abisso, e là precipitansi in una baia, ove si spezzano in grandi masse. Il mare in tali casi è sì violentemente agitato, che ancora in distanze considerabili le onde ingoiano i piccoli battelli.
Anche pe’ più grandi vascelli questi cangiamenti subitanei divengono pericolosi allora quando accadono nella loro vicinanza. I vascelli ne’ quali viaggiarono i signori Forster alcune volte si trovarono nel pericolo di essere danneggiati per un simile rovesciamento(1). Molti vascelli i quali sono scomparsi
(1) Forster Bemerkungen uber Gegenstaende der physischen Erdeschreibung pag. 64. [Forster 1783]
27
senza averne avuto in appresso alcuna notizia, né saputasene alcuna traccia, certamente sono periti per tale cagione. La maggiore influenza a questi cangiamenti violenti è forse da attribuirsi al mare, il quale in fondo scioglie la loro base, e ne strappa via pezzi considerabili. Il mare consuma il piede delle più alte montagne scavando la loro base fondamentale, onde la cima che viene sempre di nuovo aggravata, fa cadere finalmente la volta sotto di sé, e viene costretta a rotolarsi nel precipizio, per dar luogo subito all’innalzamento di nuove montagne. Senza queste rivoluzioni i banchi di ghiaccio presto si conterebbero fra i più alti luoghi della terra. Continuatamente si sente lo scoppio de’ campi di ghiaccio che improvvisamente si spaccano, producendo piccole crepature della larghezza di un piede sopra un’estensione d’intere miglia, le quali nell’istesso tempo rimuovono i pilastri e le montagne di ghiaccio poste sopra di esse, e, quasi colonie, ne separano grandi parti, che a cagione della loro grandezza e gravità presto si arrestano, talché lungo que’ campi di ghiaccio formansi isole, profonde cale, e seni di mare.
28
Così la natura ove pare essere morta è nella maggiore attività; produce sempre scene nuove, nuove vedute e figure, e fa credere allo spettatore di essere stato presente alla creazione. Si vedono improvvisamente innalzarsi delle montagne, sprofondarsi delle valli, dilatarsi de’ seni di mare, nascere delle grotte, ammontarsi delle torri, e tuttociò che l’occhio è accostumato di vedere sulla terra ferma viene rappresentato con arditezza inaudita in questi strani giuochi della natura. Qui sono giardini pendenti, pilastri artificiali, ed ordini di colonne di berillo e di smeraldo; là volte immense e libere, e ponti lunghissimi nella più alta regione dell’aria: vedonsi ove precipizi ed abissi, ove spelonche nelle quali non penetra alcun raggio di sole, ed ove pianure sterminate che si perdono nell’infinito. Nell’istesso tempo il più vago giuoco di colori anima sì maestoso quadro: il bianco abbagliante della neve è contrastato da un cristallo di ghiaccio perfettamente trasparente, il quale produce pienamente l’effetto del prisma, spargendo all’intorno tutti i colori dell’iride allorché risplende il sole. Spesso, ed ordinariamente verso la superficie del mare, il ghiaccio è tinto d’un
29
bel colore turchino di zaffiro, o piuttosto di berillo, il quale però senza dubbio, come dice Forster(1), altro non è che il semplice riflesso dell’acqua.
In somma quello che dalla fantasia più accesa e più audace può aspettarsi, senza andare vagando pe’ regni delle fate vien realizzato in queste regioni, ove l’azzardo (il quale quivi pare avere stabilito il suo regno) conduce alcune volte pochi mortali momenti. Anche gli esseri viventi organici non vi mancano. Queste città, questi castelli, e questi campi prodotti dall’incantesimo sono abitati da’ vitelli marini, che durante l’inverno vivono sul ghiaccio; sono percorsi dagli orsi polari (ursus maritimus) i quali sopra di esso passano da una parte del mondo all’altro, e sono animati da una quantità innumerabile di uccelli pescatori (alcedo ipsida), e procellari (procellaria nivea) che si nutriscono negli stagni di acqua dolce nati dalla neve liquefatta, e dalla pioggia che casca frequentemente nel mese
(1) Forster Reise um die Welt. Volume I. pagina 108. [Forster 1783]
30
di dicembre. Per questa medesima cagione spesso vi nascono improvvisamente cadute di acqua mentre si stacca il margine di uno stagno situato più alto: per poco tempo mormorano i ruscelli, e zampillano le sorgenti, finché tutto nuovamente si arresta.
Questi cangiamenti continui, i quali incessantemente occupano la fantasia, si estendono frattanto solamente fino all’80° di latitudine. Al di là di esso, ed in alcune regioni più in qua, pare che tutto sia immobile, e forse non si è variato questo quadro dopo che l’asse della terra, si è inclinato all’eclittica col presente angolo. Tutto pare essere morto e tranquillo, ed in ogni parte sembra regnare una mesta e cupa invariabilità, conveniente alla tranquillità della tomba.
In tutte le descrizioni de’ viaggi verso i poli si narrano i pericoli cagionati dal ghiaccio. Le rocce ambulanti, e le montagne fluttuanti, le quali spesso dal vento vengono spinte l’una contro l’altra (fenomeni, che avrebbero potuto far nascere la favola de’ giganti i quali davano l’assalto al cielo scagliando montagne contro di esso), sono le meno pericolose, poiché sono visibili in
31
grande distanza, ed ordinariamente si possono evitare con tutto il comodo. Ma qualche volta riescono pericolose, perché sono anche involte nella nebbia la quale procede con esse innanzi, oppure la burrasca getta il vascello contro le dette rocce movibili le quali per sovrappiù sono involte nella nebbia.
In ogni caso queste masse di ghiaccio, che compariscono sotto la forma di campi piani, sono i più pericolosi. Essi nuotano come zatte, e quando sono condotte insieme dalla burrasca, o dal flusso, tolgono ai vascelli qualunque sortita, li comprimono in modo, che sono necessitati di alzarsi, li volgono sul fianco, e li spezzano. La grande circonferenza di questi pezzi di ghiaccio minaccia poi i navigatori di maggiori pericoli, li conduce alla disperazione, e non si salvano che per azzardo, e non mai senza i più incredibili sforzi, che la sola disperazione può produrre. All’improvviso si trovano i navigatori in deserti di dodici sino a sedici mila miglia geografiche quadrate, mentre si vedono sovente piani di duecento miglia di lunghezza, e di sessanta o ottanta di larghezza, i quali talvolta sono interamente
32
lisci, per lo più pieni di screpolature, sopra le quali però un uomo può saltare, senza impiegare molta fatica. Se i navigatori sono tanto fortunati da poter salvare sul ghiaccio i viveri, ed i battelli del loro vascello, allora è possibile di fuggire all’imminente pericolo della morte. Qualche volta si divide pure il ghiaccio, e loro apre una inaspettata sortita, oppurre loro prepara un subitaneo sepolcro.
Anche i piccioli pezzi di ghiaccio fluttuante, i quali a migliaia nuotano d’intorno, e formano il ghiaccio fluttuante (propriamente detto treibies), spesse volte si stivano e si affollano, poi sono gettati dal vento l’uno sopra l’altro, e formano quel ghiaccio che dai navigatori della Groenlandia è chiamato ghiaccio a strati (packeis).
Sotto vento delle grandi estensioni di questo ghiaccio a strati, il mare solitamente resta piano anche in tempo di burrasca, poiché il ghiaccio si oppone allo slancio dell’acqua. Così Forster ai 17 di gennaio 1773 sotto il 67°, 15 di latitudine meridionale, allora quando il vascello s’inoltrò frammezzo il ghiaccio fluttuante, osservò questa tranquillità del mare, mentre che nello stesso
33
tempo sulla parte del ghiaccio esposta al vento, vedevasi un grande rompimento delle onde, ed un grosso mare(1).
Nell’estate il piccolo ghiaccio, il quale dalle forti correnti è condotto verso il Sud, a poco a poco si strugge, e viene anche disciolto dall’acqua marina fino dove cominciano le grandi masse comparte di ghiaccio mentre la sua temperatura nell’estate è alcuni gradi sopra il punto della congelazione. Anche nell’acqua dolce (il di cui peso specifico sta al peso dell’aria come 1,0000 a 0, 000150, quando ambedue hanno la medesima temperatura) si scioglie il ghiaccio più facilmente che quando è esposto all’aria, e ciò a cagione del peso più considerabile delle particelle dell’acqua, che si attaccano al ghiaccio, lo abbracciano maggiormente, e lo sciogliono. L’acqua marina, ancora più pesante (di cui la gravità specifica sta quella dell’acqua dolce come 1,030 a 1,000) deve in conseguenza operare ancora con maggior vigore.
(1) Forster Bemerkungen uber Gegenstaende der physische Geographie pag. 62. [Forster 1783]
34
Quindi pare che il ghiaccio, contando una cosa per l’altra, né si diminuisca, né aumenti, ma che calcolando un anno per l’altro, offre fino all’80° continuamente il medesimo spettacolo, i medesimi accidenti spaventevoli, ed i medesimi cangiamenti. Può darsi che in alcune estati il ghiaccio si consumi interamente fino all’80°, offrendo in tal guisa per poco tempo un mare libero; ma in altre poi può nuovamente aumentarsi. Spesse volte trovarono i vascelli niuna traccia di ghiaccio in que’ siti ove essi, uno o due anpi indietro, furono impediti dal ghiaccio fermo, che quasi li tenne murati dentro; essi navigarono senza ostacoli sopra quel medesimo spazio ove altri credettero di aver veduto promontori e terra ferma, ingannati dalle elevate montagne di ghiaccio.
Il capitano Wood, il quale nel 1676 sostenne con tante ragioni la possibilità non solo, ma la certezza di un tragitto al Nord est, e che intraprese per ciò il viaggio con tanta fiducia, già sotto il 76° di latitudine settentrionale, prima che egli arrivasse alla punta settentrionale della Nuova Zembla, trovò gelata e fissa l’intera estensione del mare, di modo che egli sostenne, che la
35
Groenlandia, Spitzbergen e la Nuova Zembla formavano un solo continente. Prima e dopo di lui vi sono stati navigatori che hanno fatto il tragitto sotto questo grado di latitudine, e particolarmente fra la Nuova Zembla e Spitzbergen.
Il capitano Lieschoten, che nel 1594 navigò in questi contorni, vide l’acqua da per tutto chiara e libera in una grande estensione, e facendo il suo secondo viaggio osservò egli espressamente al 1 di settembre(1) con quale celerità i banchi di ghiaccio si rompano, spariscano, e si riuniscano poi in un altro sito. Se in ogni anno s’intraprendessero de’ viaggi verso il polo, forse da lungo tempo si sarebbe navigato una volta intorno alla Groenlandia, o al Nord dell’Asia. Per tali viaggi converrebbero gli anni più freddi ed umidi, perché in essi si distacca la minima quantità di ghiaccio dal fisso ghiaccio polare.
Anche gli antichi hanno saputo qualche cosa di questo agghiacciamento dell Oceano, per notizia avutane forse dai Galli e dai Britanni,
(1) Pag. 241 della sua opera.
36
o da altri popoli del Nord, i quali di quando in quando intrapresero lunghi viaggi per mare. Presso di loro il mare glaciale settentrionale si chiamava il mare gelato, il morto, il pigro, l’immobile, mare cronium, il mare che si è rappreso, morimarusa. Questi nomi trovansi presso Dionisio Periegetes v. 32. 33 edit. Bas. Operin. p. 35 Orpheus Argonaut. 1079. 1080. Rin. hist. nat. lib. 4. cap. 13 et cap. 16. I nomi forse ci serviranno come sorgenti ove attingere le antiche notizie del mare glaciale. Morimarusa, cioè il mar morto, si è conservato fino in oggidì nel Principato di Wales. Mos nella favella di questo paese significa il mare, e marw morto, e però mor morw (si pronuncia mormarie) il mare morto. Nell’irlandese moir cron significa il mare grosso rappreso, e quindi mare cronium forse anche la Groenlandia. – Tacito nella vita di Agricola cap. 10 dispecta est et Thule, quam hactenus nix et hyems abdebat, sed mare pigrum ac grave remigantibus perhibent ne ventis quidem perinde attolli. Strabone nel secondo libro della sua geografia (edit. Causab ab. an. 1587 pag. 71 m.) narra, che Pytheas, il celebre viaggiatore di Marsiglia,
37
sia stato criticato da Polibio, perché disse dell’Oceano posto al di là di Tule, che in esso non sia né terra né acqua né aria, ma un misto di questi tre elementi, simile al polmone marino, ove non si può mettere il piede né navigare, e ch’ egli stesso ancora avesse veduto il detto polmone marino. Per quanto Pytheas sia criticato dagli antichi riguardo a questa narrazione, ciò non ostante si vede benissimo, che egli sia stato vicino al mare Glaciale, forse nel Sund, o nell’Haff, e che abbia udito ancora altre notizie che riguardano questo mare.
La seconda cosa assai rimarchevole del mare Glaciale è il legno fluttuante. Senza di esso l’Islanda, e meno ancora la Groenlandia e il Kamischatka non potrebbero essere abitate, e neppure si potrebbero salvare quelli i quali per somma disgrazia dovessero passare l’inverno su Spitzbergen e sulla Nuova Zembla, ove non cresce né albero né arboscello alcuno.
Questo legno è gettato quasi su tutte le coste del mare Glaciale, parte unito col
38
parte senza di esso. Trovasi frequentemente sulle coste di Spitzbergen, della Groenlandia, dell’isola di Gio. Mayen, del Labrador e dell’Islanda, come quelle della Nuova Zembla, dell’intera Asia settentrionale, particolarmente verso l’est del Jenisei, ai fiumi del Presida, Tamora e Chatanze, e verso la parte di Jakutzk, a Kamtschatka e sulle isole Aleuti.
Per lo più tal legno consiste in alberi grossi strappati colla radice, privi affatto de’ rami e della corteccia, e traforati da grandi friganee (vermi che rodono il legno). La maggior parte consiste in alberi resinosi, cioè cedri, abeti, pini, larici ecc., di cui sull’Islanda servonsi per farne del fuoco; benché a quest’uopo non è sufficiente, dovendo perciò anche impiegarsi le spine de’ pesci e ’l letame, giacché il carbon fossile e la torba che vi si trovano non sono in abbondanza. Il legno da fabbricare vi è condotto dalla Danimarca.
Nella Groenlandia il legno vien tenuto per troppo prezioso; ond’è che non s’impiega a farne fuoco. Quivi si cuoce e si riscalda unicamente coll’olio di pesce, il quale si pone in una lampada alquanto lunga, e di pietra
39
serpentina, nella quale praticato uno sgocciolatoio profondo, ove giace ben incassato uno stoppino di musco seccato e ben unto di lardo o d’olio di pesce, il quale dà continuatamente una fiamma moderata che cagiona pochissimo fumo. Sopra di essa è sospesa una caldaia attaccata ad una assicella, nella quale si cuoce tutto, di modo che la lampada deve servire tanto per far lume quanto per cuocere e riscaldarsi. Il legno fluttuante vien conservato per fabbricarne le case d’inverno, e per farne aste da tenda, battelli, ramponi, frecce ecc.; anzi quella gente è tanto a ciò attenta, che ai ramponi, ed alle frecce applica vesciche, acciocché fallando il colpo, la freccia o il rampone possa nuotare, ed essere raccolto. Trovando qualcheduno de’ Groenlandesi del legno fluttuante, e volendoselo appropriare per l’uso futuro, vi mette sopra una pietra, per la quale, come legno occupato, è rispettato dagli altri.
Questo legno si trova più frequentemente sulle coste dell’Islanda, che su quelle della Groenlandia, forse perché nello Spitzbergen e nell’isola di Gio. Mayen sotto il 75° di latitudine ne raccogliono una quantità.
40
Nella parte sud est dell’ultima isola trovansi due cale, nelle quali entra unitamente al ghiaccio tanta legna da poterne caricare de’ vascelli interi(1).
De Paw nelle sue ricerche filosofiche sopra gli Americani(2) osserva, che siccome le onde e le burrasche gettano questo legno sulle coste così possono respingerlo e dispergerlo. Ma pare che questo non accada, poiché siccome la cagione che produce le correnti dell’aria e dell’acqua, è sufficientemente uniforme, così sembra regnarvi generalmente il medesimo andamento: e siccome i venti e le correnti dispergono pochissimo altrove quell’istessa alga che riunirono in alto mare; così egualmente poco dispergono un’altra volta il legno portato prima da loro sulle sponde.
Abbiamo veduto che i Russi, i quali passarono sei anni l’inverno a Spitzbergen, e che usarono del legno alla maniera russa, non mai sentirono la di lui mancanza, e
(1) Kranz Historie von Groenland tom. I. pag. 50-54.
(2) Recherches philos. sur les americains Berl. 1768 tom. I. pag. 261 not. 1.
41
non temettero di restarne privi. Nella Nuova Zembla si ammassa sempre il legno in sì grande quantità, che non è mai da temersene mancanza per quelli che vi passassero l’inverno. Henrskork, Barenz ed i loro compagni, cominciando dal 1 di settembre fino al 14 di giugno, cioè per 9 mesi e mezzo, n’ebbero soprabbondantemente. In alcuni siti si ammassa a guisa di torri in grandi mucchi, ed in distanza considerabile dal mare.
Anche Gmelin narra(1) che il legno fluttuante gettato sulle sponde settentrionali dell’Asia verso la parte occidentale del Jenisei, vi si ammassa in grande quantità. «Fra questo legno fluttuante ammassato, dic’egli, vi è una quantità di legno verde, il quale però si trova tutto vicino alle presenti sponde del mare, mentre l’altro già disseccato, il quale in qualche modo ha l’aspetto di essere marcito, giace lontano dalle sponde, ed in luoghi ove presentemente non vi è più l’acqua del mare». Verso la parte occidentale dell’imboccatura del Jenisei, e
(1) Viaggio nella Siberia tradotto in tedesco in 4 tomi. Cotting. 1751-52 tom. 3 pag. 126.
42
15 werste verso il Nord di Kifaschovskoje Simonge v’è un luogo rimarchevole, il quale domina tutto il circondario, e ch’ è abbondantissimo di questo legno. Queste circostanze sono assai notabili, poiché dimostrano ancora il ritirarsi del mare.
Ne’ numerosi stagni e paludi che frequentemente si trovano nell’Islanda, e che hanno un fondo di 6 in 8 piedi, si cava sotto la terra paludosa, a grandi profondità, una quantità di buona torba, la quale spesso è abbondantemente ripiena di radici, di frondi di betulla ecc. Difficilmente proviene questa torba dal legno che per lo passato, cresceva sopra quest’isola, ma bensì dal legno fluttuante quivi deposto, e poi marcito, da cui si formarono probabilmente questi terreni neri e sterili composti di torba. Anche in Groenland si trovano paludi e terreni torbosi, talché basterebbe solo sapere come adoperare la torba, e come rinvenirla; giacché anche quivi sarà marcita una immensa quantità di legna, come sull’Islanda, e forse ne starà sotterra una quantità simile. Nell’Islanda, almeno frequentemente sulle coste, si è trovato della terra turchina e dura ivi deposta,
43
e che ha dovuto provenirvi dalle regioni più calde, come il legno fluttuante.
Da qual regione venga questo legno difficilmente si può conoscere. Kranz suppone che non venga dalla parte dell’America, almeno non dalla sua costa orientale, 1. poiché in esso non si trovano le specie di legno di que’ contorni, come querce ecc., 3. poiché arriva colla corrente e col ghiaccio che prende la sua direzione dall’est all’ovest, come generalmente la prendono le acque del mare. Quindi dic’egli, si può conchiudere con ragione(1), che ove si trovi il legno fluttuante, esso debba venire dall’est; anzi quanto è più grande la distanza nella quale lo scorgiamo, tanto più remota dobbiamo supporre la sua origine. Presso l’Islanda si trova tal legno più frequentemente che nel Groenland, ed egualmente accade nell’isola di Gio. Mayen: (egli avrebbe ancora potuto aggiungervi Spitzbergen). Or dal polo non ne può venire, poiché essendovi anche un continente, non vi possono nascere alberi; dunque deve venire dalla Siberia o dalla Tartaria
(1) Granz Historie von Greenland pag. 52.
44
asiatica, ed in appresso essere condotto per mezzo della corrente nello stretto di Davis fino al 65°. Siccome però questa corrente quivi si diminuisce, e non s’inoltra più verso il Nord, così non si trova più il legno fluttuante presso l’isola Disco, ed al di là di essa.
In fatti questa circostanza pare che dimostri chiaramente, che il legno non viene dall’ingresso settentrionale della Baia di Baffin, ma piuttosto che vi sia introdotto per mezzo della corrente. La circostanza qui sopra riportata, che non si veda, cioè, il legno di quercia, e che la corrente porti generalmente tutti i legni di un lungo viaggio, fa credere benanche, che non venga dal fiume di S. Lorenzo. Ma perché non dalla Repulsebay? perché non dal Missisipi e dall’Ohio, mentre, come è noto, sulle coste dell’America portasi in sù una forte corrente per un passaggio o per un golfo. Intanto possiamo credere che unita al ghiaccio arrivi una quantità di legno dall’Asia settentrionale sopra la Nuova Zembla; perché sebbene questi siti non siano navigabili, ciò non ostante i banchi di ghiaccio si aprono una strada nel modo qui sopra descritto, s’avanzano e conducono
45
seco loro tutto ciò che si trova sopra di essi, e frammezzo di essi.
È da notarsi che sulla costa dell’Asia settentrionale, verso il Jenisei ed il Lena, de’ quali fiumi l’ultimo conduce nel mare una quantità di legno, non si trova legno fluttuante. Non fa sospettare ciò, che questo legno venga condotto da regioni più remote? Il Lena fornisce del legno fluttuante; ma questo legno è condotto verso l’alta punta di terra settentrionale al di là di Taemur, ed il legno del Jenisei, come quello dell’Oby, è condotto a dirittura verso la Nuova Zembla, o intorno alla sua punta di Nord est, come anche per lo stretto di Waigaz verso i paesi occidentali. Ambedue queste cose non possono però aver luogo, senza che cresca il mare allorquando il ghiaccio si affolla in quantità, talché essendosi innalzato, conduca poi innanzi il legno. Cominciando dal Lena verso l’est, i fiumi che sboccano nel mare Glaciale sono sì piccioli, e le loro sponde ornate sì poco di alberi, che non possono certamente fornire al mare il legno fluttuante. Dobbiamo dunque inoltrarci più verso l’est per rinvenire il luogo ove questo legno possa avere il suo principio. Si trova, dice
46
Kranz con ragione(1) questo legno fluttuante anche a Kamtschatka, ove però crescono gli abeti; ma secondo ciò che asseriscono gli abitanti, vi sono stati trasportati altri abeti per mare dal vento dell’est, talché probabilmente vengono dall’America, la quale è situata incontro al detto Kamtschatka. Siccome intanto il maggior numero de’ più grossi fiumi corre dall’est all’ovest; così si роtrebbe sospettare, che una parte di questa legno venga dall’Oby nella Siberia, ma che un’altra parte venga poi dalla costa occidentale dell’America, e giri intorno a Kamtschatka fino al Lena, ove una parte di esso verso Spitzbergen, ed il resto Groenland.
Per sostenere maggiormente questa opinione riguardo alla direzione che prende il legno fluttuante, si potrebbe ancora accennare, che circa al 1739-40 nel mese di maggio si trovò investito su Spitzbergen un vascello russo, della medesima costruzione di quelli de’ quali i russi si sogliono servire per fare i loro viaggi intorno alla Siberia ed al Kamtschatka,
(1) Nella sua opera qui sopra citata p. 53.
47
e che tal vascello era intatto, fornito di varie provvigioni e di vari arnesi, ma senza alcun uomo(1). Or possiamo immaginarci che questo vascello abbia avuto un’altra destinazione, ma che chiuso dal ghiaccio nella vicinanza di Spitzbergen, sia stato abbandonato dall’equipaggio, il quale corse su i banchi di ghiaccio trovò la morte invece della salvezza. Del resto questa direzione che prende il legno fluttuante è possibile e probabile; ma sebbene l’Asia e l’America settentrionale siano l’unica patria di tutto il legno fluttuante, potrebbe darsi che non fosse l’unica strada quella di sopra esposta.
Nelle regioni settentrionali il flusso deve correre sempre dal sud al Nord. Inoltre il battere della corrente dell’est contra le coste, ed il movimento delle acque dei poli verso l’equatore, devono produrre sulle coste un corso contrario verso il Nord, ed in tal guisa il legno del Missisipi e dell’Ohio
(1) Ved. Engel geograph. und krit. Nachrichten uber di Lage der Nordlichen Gegenden von Asien und America pag. 343 e 344.
48
e degli altri grandi fiumi, può egualmente correre in su, lungo le coste fino al Nord.
È sicuro, e Kranz egli stesso lo confessa, che il flusso sull’Islanda e sulla Groenlandia va dal sud al Nord, e che questo stesso flusso depone il legno fra le isole e le cale; ed egualmente è sicuro che l’America settentrionale, ricchissima in fiumi, laghi e legno, ne fornisce la parte più considerabile.
Se intanto l’America venisse coltivata con maggior attività, queste fonti dovrebbero disseccarsi. Sulle sponde del Missisipi, in quel sito ove questo fiume riceve l’Ohio, si è stabilito un popolo chiamato Kentucki . Sempre ne accadono di tali stabilimenti sulle sponde, le quali perciò sono poi nettate e spogliate de’ loro alberi in modo, che la corrente, avendo anche un flusso altissimo, non arriva più alle foreste. L’epoca però nella quale potrebbe aver luogo questo avvenimento generale, è forse ancora assai remota.
Succedendo questo, forse gli abitanti de’ paesi polari nel seno della terra troverebbero boschi sotterrati ed i loro prodotti, cioè terreni composti di torba e carbon fossile. Forse potrebbero prendere il necessario
49
legno dall’isola di Gio. Mayen, ove, venendone continuamente deposto, non se ne fa alcun consumo. Su quest’ isola pare essersene stabilito dalla natura un magazzino, per rimediare alla mancanza futura.
Il massimo impedimento per la deposizione del legno sul Groenland, il quale ha bisogno di questo prodotto, è la deserta Nuova Zembla, la quale gli taglia una condotta considerabile di esso.
Accenneremo qui solamente quelle ricchezze che sono proprie di questo mare, e di considerazione tale, da eccitare la più viva industria fra tutt’i popoli della zona temperata. Esse producono un commercio vivissimo in guisa, che mentre i Russi, gli Svedesi, i Danesi, gli Olandesi, gl’Inglesi, i Francesi e gli Americani settentrionali se ne impadroniscono, e che gli Spagnuoli, gl’Italiani, i Prussiani, i Pollacchi, ed i Chinesi ne sono egualmente avidi, il ghiaccio del mare, che tutto distrugge, accende un nuovo fuoco d’industria e di attività, e cagiona il più vivo traffico fra i più remoti popoli.
50
Questi tesori consistono in quelli articoli che con la caccia e con la pesca guadagnansi, parte sopra il ghiaccio, e parte sotto di esso, e che sono di tanta importanza, che per esempio, gli olandesi chiamano la loro pesca nel mare glaciale, per preferenza, e con ragione, la pesca grande.
Sopra il ghiaccio abitano i seguenti mammiferi: gli orsi marittimi, ossia gli orsi glaciali (ursus maritimus); i vitelli marini (phoca vitulina ecc.), le vacche marine (trichechus rosamus ecc.), e gli orsi marini (phoca ursina), fra i quali gli ultimi amano di affondarsi molto sott’acqua.
L’orso glaciale (ursus maritimus) si distingue dall’orso europeo per la sua grandezza, mentre arriva alla lunghezza di 19 piedi e più, ed all’altezza di 6 in 7 piedi; per la sua testa, pel collo più lungo, per la coda più corta, pel pelo lungo e bianco, e particolarmente poi per la sua rapacità, poiché senza distinzione attacca e uomini, ed animali che dalla burrasca sono stati gettati sul ghiaccio. Il suo nutrimento ordinario consiste in pesci, in vitelli marini, ed in balene morte che, sapendo esso nuotare benissimo, insegue fino nell’acqua. La sua carne
51
vien mangiata dagli abitanti di quelle regioni settentrionali, e da’ navigatori che le visitano; il grasso vien liquefatto, e la sua pelle vien particolarmente stimata a cagione del suo pelo.
Il vitello marino (phoca vitulina), chiamato ancora cane di mare, e lupo marino, dimostra per la quantità de’ nomi, che poco ha di somigliante cogli altri animali. La sua testa rotonda però si paragona a quella di un cane colle orecchie tagliate. Esso ha due meati uditori non vestiti esternamente, e de’ folti baffi. Il suo collo è sottile e lunghetto, il petto largo e forte, e la parte posteriore del suo corpo va restringendosi, talché finisce piuttosto in punta. Se ne trovano della lunghezza di tre, quattro ed otto piedi. I suoi quattro piedi somigliano piuttosto alle alette de’ pesci; essi sono voltati verso la parte posteriore, e loro mancano le articolazioni. I piedi anteriori hanno 5 unghie lunghe e nere, le di cui punte sporgono fuori sull’orlo della pelle nuotatoria. Esso se ne serve unicamente per camminare, o piuttosto per ispingere innanzi il suo corpo, trascinando i piedi posteriori, ciocché pare costargli molta fatica. Il suo corpo è coperto
52
di un pelo corto e lucido, ordinariamente bruniccio o nero. La voce paragonasi coll’urlare del lupo. Esso vive egualmente tanto sul ghiaccio, e sugli scogli, quanto nell’acqua. Si accoppia per la generazione fuori dell’acqua, e partorisce sul ghiaccio, o sopra gli scogli. Vive in società, e quando risplende il sole, delle greggi intere di essi stanno sul ghiaccio dormendo, ma rare volte tutti nell’istesso tempo; sonosene veduti sempre uno o due che stavano svegli; ma siccome non possono correre lestamente, cadono tramortiti a terra da un sol colpo sul naso ove sono più sensibili, ed in tal modo è facile di ucciderne una quantità. Sono pure inseguiti nell’acqua colle canoe, tirando su di loro delle fucilate quando mettono la testa fuori dell’acqua per respirare l’aria fresca. Essendo essi solamente feriti fuggono; essendo poi uccisi dal colpo vanno a fondo. Essi hanno la vita assai tenace, e non è raro il vedere, che i vitelli marini, dopo averli scorticati e spogliati del grasso che li ricopre, mordono ancora intorno a loro, e si volgono nel proprio sangue. La loro carne è creduta non essere dispiacevole, e non può in fatti esserlo, poiché si nutriscono più di
53
alga che di pesci. Si fa moltissimo uso del loro grasso, parte come lardo, e parte, essendo stalo liquefatto sul fuoco, come olio ne’ cibi finché è fresco, e quando è rancido per la conciatura delle pelli. Ordinariamente la loro pelle serve per coprire le casse ed i bauli; conciandola riesce assai durevole, fornisce ai piedi una copertura che resiste l’acqua. I cacciatori della balena, non riuscendo la pesca di questa, caricano i vascelli di una gregge di vitelli marini. Alcuni vascelli fanno propriamente vela ad oggetto di fare un carico di lardo de’ vitelli marini. Pe’ Groenlandesi, per gli Eskimaux, e per altri selvaggi della parte più settentrionale dell’America formano tali animali tutta la loro ricchezza, e loro sono più cari che al Lapponese la renna. Essi si nutriscono della loro carne e del loro lardo, e bevono come un ambrosia il grasso che ne gocciola, o che ne è stato estratto liquefandolo. Un Eskimaux, il quale molti anni di seguito era stato in una fattoria inglese, ed erasi accostumato interamente ai cibi europei, vedendo aprire da un inglese un vitello marino, dal quale scorreva una quantità di
54
grasso, ne raccolse tanto, quanto colle due mani gli era possibile di poterne tenere, esclamando nel berlo: ah! riconducetemi nella mia cara patria ove di questo grasso potrò empierne la mia pancia(1). Il sangue di questo animale serve loro di medicina. La loro lampada (che nell’istesso tempo forma il focolare, e la stufa), colla quale illuminano e riscaldano le loro stanze, e cuocono i cibi, è mantenuta unicamente dal grasso del vitello marino, o da quello della balena. Essi si vestono colla pelle di questo vitello, ne coprono le loro abitazioni e battelli; co’ tendini e colle budelle di esso fabbricano il filo e le vele, e dallo scheletro (il quale è privo delle ossa de’ suoi piedi) vari utensili.
La vacca marina (trichechus rosmarus) somiglia assai al vitello marino riguardo alle fattezze, però è molto più grande, più grossa e pesante, e quasi quanto un grande bue. La testa è grossa, ed anteriormente piatta. Tale animale può servirsi ancor meno
(1) Schloezer neue Erdbeschreibung von ganz America tom. I, pag. 33.
55
che il vitello marino de’ suoi piedi per caminare, poiché le zampe sono piccole, ed appena le unghie avanzano la pelle nuotatoria. La pelle è della grossezza di un dito, parcamente coperta di peli corti e rizzati, di colore bruno o giallo oscuro. La sua carne non è mangiabile: essa fornisce poco lardo, e poco grasso. La cosa più preziosa che ha, e che dà cagione di farne la caccia, consiste ne’ suoi denti. Sulla mascella inferiore ne ha quattro, e sulla superiore tre. Oltre di questi sortono dalla mascella superiore due lunghi denti canini rivolti in giù, i quali per la durezza e bianchezza superano l’avorio più bello, e per questa ragione sono anche stimati molto di più. Il dente dritto è sempre un poco più grande e più lungo del sinistro; però la sua grandezza rare volte passa i due piedi. La vacca marina si serve di questi denti propriamente per rampicarsi sugli scogli, e su i banchi di ghiaccio, come pure per trarre fuori del fango le conchiglie, suo nutrimento più favorito, le quali spesso stanno sotterrate alla profondità di un mezzo braccio; e finalmente gli adopra per la sua difesa. Le vacche marine stanno a greggi sul ghiaccio,
56
ed attaccandole si difendono con coraggio: esse percuotono colle zanne i battelli cercando di rovesciarli, e ruggiscono allora come i bovi. Accadendo il caso di dovere loro cedere, inseguono il battello con tanto ardore, che spesse volte attaccano lite fra loro, mentre l’una cerca avanzare l’altra(1).
L’orso marino (Phoca ursina) somiglia moltissimo ai due animali poc’anzi accennati, da’ quali differisce solamente ne’ punti seguenti. La sua testa somiglia alquanto alla testa di un orso; la pelle è coperta di folti peli, i quali nel maschio hanno un color nero, e nella femmina cenerognolo, è la sua lunghezza giun[g]e sino a 6 ed a 8 piedi. I piedi davanti non sono coperti sotto la pelle come nel vitello marino, ma sono scoperti. Le dita de’ piedi sono coperte dalla pelle, la quale nell’istesso tempo copre tutto il piede. De’ soli piedi posteriori l’orso marino
(1) Una bella figura della vacca marina trovasi nel Hessel Gerard descriptio ac delineatio geografica detectionis freti, seu transitus ad occasum supra terras Americanas in Chinam atque Japoniam duetus. Amst. 1613, 4, e, presa da questa in Blumenbach Abbildungen nanturhistorischer Gegenstaende, 2 quinterno num. 15.
57
fa uso per nuotare, e caminando li strascina appresso. Anche questo animale vive in famiglia, e spesse volte vengono sulle coste di Kamtschatka, particolarmente per farvi il loro sonno di primavera. Ordinariamente suole l’orso marino arrivarvi nel mese di marzo, e partirne nel mese di maggio. I maggiori che quivi si prendono giungono a pesare 800 libbre. Essi sono feroci ed inclinati a combattere, e quindi gli abitanti di Kamtschatka gl’inseguono solamente per necessità. La loro carne ha un gusto nauseoso, e sente di castrone. La pelle di questo animale affatto giovane serve per farne pellicce. Gli orsi marini sono stati osservati da Steller sull’isola di Behring presso Kamtschatka, e descritti eccellentemente dal medesimo; essi giungono fino alla lunghezza di 16 piedi, ed al peso di 800 libbre. Nel mare Glaciale meridionale ve ne sono de’ più piccoli, cioè 5 piedi lunghi, e del peso di 120 libbre al più, come sostiene Staunton nella descrizione del suo viaggio, parlando degli orsi marini sull’isola di Amsterdam.
Sotto il ghiaccio trovasi la balena, l’animale più grande tra i mammiferi, il merluzzo, e l’aringa. La caccia della prima, e
58
a pesca de’ due ultimi animano particolarmente il mare Glaciale, ed il mare del Nord(1).
La balena è stata contata per lo passato falsamente fra i pesci, mentre nulla con essi ha di comune, fuorché le pinne, le quali, in vece de’ piedi, si trovano attaccate al petto, ed alla coda. Queste pinne inoltre non sono fornite di zampe come nel vitello marino, e nella vacca marina. La balena appartiene indubitatamente alla classe de’ mammiferi, avendo un sangue caldo, un cuore con due ventricoli, ed i polmoni simili agli altri animali a sangue caldo: essa muove le palpebre, ha ciglia ed occhi profondi, e la femmina partorisce i figli vivi, i quali allatta. Sulla testa ha la balena una o due fistole che gli servono per respirare, e dalle quali caccia via l’acqua imbevuta come da una fontana. Da tali aperture giustamente si vuole dedurre il nome, dicendosi la parola Wall o Welle in principio
(1) Una tabella delle suddivisioni generi e specie delle balene trovasi nell’opera recentissima di de Lacepede pubblicata dal Professore Freriep Ved. Voigt Magaz. fuer den neuesten Zustand der Naturkunde 1804 quint. 5. num. 9.
59
abbia avuto il medesimo significato di Quelle (sorgente) e che perciò, per dare alla balena il nome di Wallfisch (pesce di sorgente), che in oggi porta in molti paesi del Nord, siasi fatto uso di questa parola a cagione delle forti sorgenti o fontane che si veggono sulla testa della balena. Ordinariamente si contano anche fra le balene tutti quelli simili animali del mare, che hanno queste fistole, dividendole poi in balene dentate, e non dentate. I naturalisti moderni attribuiscono però il nome di balena solamente alle non dentate. Di tutte le balene è in generale da osservarsi ancora, che la di loro coda non giace verticale come ordinariamente incontrasi fra i pesci, ma orizzontale, e che il loro corpo non è coperto da peli né da squame, ma unicamente da una pelle liscia.
Alle balene non dentate, le quali invece de’ denti hanno nella mascella superiore una quantità di barbe, ossia lamine cornee, appartengono, la balena di Groenland (balaena mysticetus) il gibbar (balaena physalus) il nord kaper (balaena glacialis), la balena boops, la balena nodosa, e la balena gibbosa.
La balena di Groenland (mysticetus) è
60
di gran lunga il più grande di tutti gli animali. Per lo passato, allora quando non erano sì frequenti le caccie che adesso si danno, e che per conseguenza aveva il tempo necessario per crescere, se ne trovano di 200 piedi di lucghezza, e di 70 in 8o di larghezza. A’ nostri giorni però, siccome se ne prendono annualmente a migliaja, arriva soltanto alla lunghezza di 60 a 100 piedi. Essa ha un dorso affatto liscio, e senza pinne, ed in mezzo alla testa due fistole, l’una vicina all’altra. La testa forma quasi la terza parte dell’animale; la mascella inferiore è molto più grande della superiore, e consiste in due ossi assai grandi, lunghi più di 10 piedi, larghi un piede, ed un mezzo piede grossi. In molti paesi da dove si spediscono annualmente cacciatori della balena, servono queste ossa da stipiti davanti i portoni , oppure si segano in pezzi, e si collocano come pali in que’ siti ove non è permesso che vi passi né carrozza, né cavallo. La mascella superiore, la quale è ancora grande e pesante in modo, che tutto l’equipaggio deve mettere mano all’opera per trarla sul vascello, è fornita, in vece de’ denti, di lamine cornee, le quali danno la conosciuta
61
ossa di balena. Queste lamine, o barbe sono di varie grandezze, guarnite di peli, che quasi somigliano a quelle de’ cavalli; in avanti verso la bocca, ed in dietro verso le fauci giacciono le lamine più corte, e su i fianchi le più lunghe. Una balena ne ha ordinariamente seicento, e le maggiori arrivano alla lunghezza di 7 in 8 piedi, ed anche di più. Le fauci della balena in confronto al suo corpo smisurato sono assai piccole, ed appena hanno quattro pollici di diametro, per cui si nutrisce per lo più di una quantità di piccioli e teneri vermi di mare, chiamate Wallfischaas (carogna di balena), e di aringhe. Sul davanti le labbra sono coperte di piccoli peli. La lingua per lo più è poco movibile, e consiste in un pezzo di lardo molle e grosso, dal quale solo si ottengono alcuni barili di grasso. Gli occhi in proporzione della sua testa sono assai piccoli, ed incirca della grandezza di quelli de’ buoi; questi son posti molto distanti l’uno dall’altro, vicino all’estremità dell’apertura larga della bocca, e propria ove la testa è più larga. Dal punto degli occhi si ristringe la testa verso l’apertura della bocca tanto, quanto il corpo andando
62
verso la coda. Gli occhi sono posti in modo che la balena può vedere particolarmente sopra di sé, il che è molto necessario per la sua economia; perché, siccome le balene per la loro sicurezza si trattengono volontieri sotto il ghiaccio, ove non possono restare molto tempo seosa respirare; così le serve benissimo questa collocazione degli occhi per sciegliere il sito più sottile del ghiaccio, contro la quale parte spingono sì forte colla testa finché si rompe, e vi passa l’aria necessaria alla sua respirazione. Questa collocazione degli occhi richiede necessariamente le palpebre delle quali abbiamo già parlato. La balena ha un udito molto acuto, benché le manchi qualunque segno esterno delle orecchie, le quali d’altronde le sarebbero d’impedimento, e cagionerebbero molti inconvenienti. Levando però la pelle esteriore della balena, scopresi immediatamente dietro l’occhio, ed un poco più basso di questo, un meato uditorio della profondità di 4 piedi, il quale, come tutte le parti interne di questo animale, non è ancora stato sinora sotto il coltello degli anatomici. Ordinariamente non si apre l’interno della balena, ed i cacciatori descrivono anche
63
quello che essi chiamano Logaone in modo, da far credere che non sia un budello, bensì un otre di aria, per poter nuotare più facilmente, come l’incontriamo pure nel gadus callarias. La parte esteriore del membro genitale del maschio arriva alla lunghezza di 6 piedi, la sua radice ha un diametro di 7 in 8 pollici, e la punta di un pollice solo: esso sta ben conservato e ben rinchiuso in uno astuccio. Le parti genitali della femmina sono come quelle di tutti gli altri mammiferi. Immediatamente accanto a queste giacciono le mammelle, le quali, volendo essa allattare, spinge avanti per la lunghezza di 8 pollici, e di dodici pollici nella circonferenza. Si dice che la femmina pregna sia particolarmente grassa; che il feto sia già interamente formato quando è giunto alla grandezza di diciassette pollici, e che abbia un colore bianco; ma che quando vien partorito sia di 20 piedi lungo, e nero; che la femmina lo porti 10 mesi, e l’allalti un anno, di modo che la femmina partorisce ogni due anni, e non ne produce più d’uno per volta. Il colore della pelle della balena è nero, ma in alcuni siti, e particolarmente sulle pinne, e sulla coda, è macchiato di
64
bianco e di giallo, e sul basso ventre, bianco. Essa pelle è ruvida, fornita in qua ed in là di una specie di setole, ed abbondantemente coperta di piante marittime, di testacei, e di coralli; essa somiglia ad una corteccia screpolata, sulla quale si trattiene una quantità d’insetti, ovvero pidocchi della lunghezza di un pollice, i quali, quando la balena si alza sulla superficie dell’acqua, sono cercati avidamente da’ gabbiani. Rare volte la sua pelle è grossa circa un pollice. La coda, ch’ è un poco voltata in su, ha la forma di una forchetta, ed una larghezza di tre in quattro tese. Le pinne che si trovano alla parte inferiore della testa, poco lontane dagli occhi, hanno la lunghezza di 5 in 8 piedi; esse non sono formate come le alette de’ pesci squamosi, cioè dai raggi spinosi uniti alla pelle, ma di ossa articolate, composte di falangi come la mano umana, ma però senza unghie, e coperte di una pelle grossa, e simile a quella che copre il resto del corpo.
Per fare una differenza dalle alette de’ pesci (flosse in tedesco) gli oltramontani sogliono chiamarle con un diverso nome, cioè
65
finnen(1) (pinne). La formazione di questa pinne è assai vantaggiosa alla balena per rivolgere il suo corpo mostruoso con facilità; con esse la femmina stringe il suo figliuolino al petto per allattarlo, e particolarmente quando fugge le avvolge intorno alla coda del medesimo, e lo strascina in tal modo seco. La balena, malgrado la sua grandezza, remiga, per così dire, colla coda con celerità incredibile. Essa coda ha una forza prodigiosa, e la balena colpendone il suo più fiero nemico, il Liocorno marino (monadon monoceros), l’uccide in un solo colpo. Potrebbe essa spezzare anche in un colpo solo i battelli più forti coll’equipaggio dentro; ma essendo timorosa, fugge sotto il ghiaccio appena sente il romore.
Immediatamente sotto la pelle, la quale al più è grossa un pollice, giace da per tutto un tenace, tendinoso, o spungoso lardo (chiamato da’ pescatori inglesi Plubber) della grossezza di 7 fino a 12 pollici, e di un bel
(1) Nasce dall’antica parola tedesca finne, nell’inglese fin, e pare di avere dell’affinità colla parola latina pinna.
66
color giallo quando l’animale è sano. La carne è di un rosso carico, magra, grossa, e tenace, ed in niun modo per lo stomaco europeo. Gli abitanti di Groenland, e d’Islanda la mangiano con piacere, e si servono pure delle altre parti di questi grandi animali acquatici. Della pelle fanno corame, delle budella diversi otri, e vasi da bere, delle ossa banchi ed altri utensili domestici, e de’ tendini fanno uso come dello spago, o del filo(1). I Groenlandesi arrischiano di avvicinarsi ad essa coloro battelli piccoli e leggeri, ed a quest’uopo si vestono di abiti gonfi di vento, fatti della pelle del vitello marino, impenetrabili all’acqua, e che facilitano moltissimo il nuotare. A’ loro ramponi guarniti di uncinetti legano, per mezzo di una lunga striscia di cuoio, un otre gonfio, fatto della pelle del vitello marino, il quale impedisce alla balena di andare a fondo. Rare volte fallano in applicarle alcuni di questi ramponi, ed allora la balena resta come attaccata alla superficie del mare;
(1) Kranz historie von Groenland, e Anderson notizie di Islanda, di Groenland, e dello stretto di Davis. Amb. 1746.
67
poi si avvicinano di più colle lancie, e si studiano di applicarle tanti colpi, finché perda tutto il sangue. Indi vestiti co’ loro abiti di vento nuotano più vicino all’animale, e tagliano pezzo per pezzo il suo lardo e la carne, gettando il tutto ne’ battelli delle loro donne, i quali sono i maggiori, e che fino ad un tal momento tengonsi in una certa distanza.
Fra gli Europei, i Norvegesi si occuparono della pesca della balena sino dal 900, ai tempi di Alfredo il grande, e dopo di loro l’intrapresero i Biscaini, i quali per lungo tempo se ne occuparono essi soli. Ancora nel 1575 gl’Inglesi, i quali vollero tentare una tal caccia, non ebbero altri mezzi, che di prendere tutta la gente necessaria dalla Biscaglia. In seguito la moda de’ busti, e l’ossa di balena per ciò necessarie ingrandirono ed estesero questa caccia presso tutte le nazioni commercianti. Alloraquando gli Olandesi nel 1596 scoprirono Spitzbergen, le balene, le quali fino a quell’epoca non erano ancora state tormentate in quelle acque, venivano fino nelle cale di quell’isola, ove le pescavano ancora gli Inglesi nel 1598; e siccome il grasso di questo animale si poté
68
trasportare facilmente a terra, giudicarono conveniente di erigere sulle coste di Spitzbergen fonderie da grasso di balena, le quali da un anno all’altro erano stabili, e di condurne a casa solamente il grasso purificato, e l’ossa di balena. Gli Olandesi gl’imitarono ben presto; ma siccome gl’Inglesi erano già in possesso delle più belle cale, dovettero andare in cerca di luoghi convenevoli a questo stabilimento più verso la parte settentrionale dell’isola. I Danesi, che più tardi esercitarono questo mestiere, si stabilirono in mezzo agli Olandesi, ed agli Inglesi. Gli Amburghesi vennero dopo i Danesi, poi i Francesi, ed i più antichi cacciatori della balena nell’Europa, i Biscaini furono gli ultimi ad accettare questo metodo vantaggioso. Questo attacco generale contro le balene ben presta fece ritirarle molto distante dalla terra, e ricoverarsi fra i banchi di ghiaccio. La bollitura, e la fusione del grasso cessò. Si dovette tagliare il grasso in pezzi su i fianchi del vascello, imballarlo in casse, condurlo a casa, ed ivi fonderlo, e purificarlo. La pesca diventò molto più incomoda, e fu accompagnata da molti pericoli. Gl’Inglesi dunque abbandonarono per
69
qualche tempo questo mestiere, ma gli Olandesi l’esercitarono con altrettanto d’industria, e maggiore vantaggio. Nel secolo decimo settimo occupò la loro pesca della balena più di dodici mila uomini, e tre cento vascelli, un anno per l’altro. Nel 1721 furono impiegati solamente presso Groenland, e lo stretto di Davis:
Vascelli Olandesi num. 251
Amburghesi 55
Bremensi 24
Biscagliesi 20
Norvegesi 5
totale 355
Gli olandesi, ne’ quaranta sei anni immediatamente antecedenti, avevano a ciò impiegati 5886 vascelli, e pescare 32907 balene. Or siccome ciascuno di questi animali, contando all’ingrosso, vale 500 lire sterline, cioè 300 scudi; così l’intero valore di esse importa più di 16 milioni di lire sterline(1). Intorno a que’
(1) Anderson storia cronologica del commercio da’ tempi più antichi fino a’ nostri giorni 7. volumi 1733.
70
tempi la caccia della balena non riuscì punto favorevole per gl’Inglesi, ma più tardi; verso la fine del secolo decimo ottavo, vediamo gl’Inglesi prendervi di nuovo una parte attiva e vantaggiosa, ed esser poi seguiti dagli Svedesi, i quali nel 1781 esportarono
grasso di balena 606 barili
ossa della balena 6800 libbre
barbe, ovvero le così dette
ossa di balena 1784 libbre
Comunemente si armano per questa pesca de’ vascelli grandi e forti, poiché i piccoli e deboli bastimenti non possono resistere contro l’urto del ghiaccio. Un tal vascello è accompagnato da 7 o più lance piccole (barche appartenenti ad un vascello), due o tre delle quali sono equipaggiate cogli uomini più coraggiosi, ed appena che vedesi la balena in distanza sono spedite contro di essa. Le lance remano per quanto è possibile verso il fianco dell’animale, osservando la massima precauzione, tanto pel pericolo, quanto per non disturbare la balena, la quale altrimenti subito sen fugge. Essendosi poi avvicinati alla distanza di trenta piedi, il ramponiere posto sulla punta
71
della detta barca; lancia sulla balena il rampone, cioè una chiaverina lunga cinque in sei piedi, e fornita di uncinetti. Una corda lunga, che nella prua della lancia gira intorno ad un cilindro, ed alla quale il rampone è attaccato, appena può essere rilasciata da’ marinari con quella prestezza, colla quale la balena si affretta di affondarsi; e quando la corda, che ordinariamente importa 600 braccia, non è sufficientemente lunga, legano in tal caso all’estremo di essa una zucca vuota e ben turata, osservando accuratamente il di lei movimento, per vedere ove si trovi la balena. Dopo un quarto d’ora quest’animale monta alla superficie per respirare l’aria, ed allora gli si dà nuovamente la caccia con molti ramponi e molte chiaverine finché perda tutto il sangue, resti perciò sopra l’acqua come un’isola. Per farla abbassare di nuovo i marinai forano quell’otre di aria che la balena ha nelle sue viscere, acciocché possano montare sopra di essa con maggior comodo(1). Dopo di questo si legano corde intorno alla sua
(1) Anderson l. c. p. 188.
72
coda tirandola con tutte le lancie verso il vascello, al quale viene legata. Allora i marinai montano sopra di essa, tagliano via il grasso, e la mascella superiore, la quale è fornita delle lamine cornee, e qualche volta anche la mascella inferiore, dalla quale suole scorrere un barile intero del grasso più squisito. La carne ed il resto dello scheletro sono abbandonati alle onde. Quel grasso che da sé scorre dal lardo è il migliore, chiaro, e di colore bianco gialliccio: quello poi che si ricava colla fusione è più spesso, e bruno(1). Cento barili di lardo ne danno ordinariamente novanta di grasso; ed una balena mediocremente grande ne fornisce un carico completo per un gran vascello a tre alberi.
Il Nordkaper (balaena glacialis) (chiamata così dal capo Nord, la punta più settentrionale della Norvegia, poiché quivi si trova in grande quantità) somiglia più degli altri animali di questa specie alla vera balena di Groenland, ma è più stretto e più piccolo, e per questo più svelto, ed
(1) Anderson pag. 99, 100.
73
attivo, e quindi più pericolose. Le sue barbe sono sì piccole, che per lo più non ne fanno uso; la pelle non è di quel nero vellutato come quello della balena di Groenland, ma piuttosto bianchiccio, e la mascella è alquanto rotonda. Sopra di esso, come sopra le seguenti specie, trovasi una quantità di piccole e grandi ghiande di mare (balanis), che le s’internano nel lardo e nella carne, ove continuamente si trovano vermi giallognoli. Il nordkaper si nutrisce particolarmente di aringhe, di sgombri, e d’altri pesci simili, de’quali si è trovato sovente più di un barile nel suo stomaco. Spesse volte suol esso drizzarsi sull’acqua per prendere de’ pesci volanti.
La Balaena physalus (vale) si distingue dall’antecedente per la pinna lunga di quattro piedi, la quale sta ritta sulla schiena, vicino alla coda. Le pinne laterali sono lunghe 6 in 7 piedi, ed in conseguenza più di quelle della balena propria. Il Fiunfisch è della medesima grandezza della balena, e forse più lungo, ma più stretto, più svelto, e nell’istesso tempo più fiero; ed a cagione del gran battere colla coda, e colle pinne, è assai più pericoloso, di modo che molti
74
pescatori che ad esso si avvicinano periscono durante la caccia. Siccome esso ha inoltre un lardo non buono, ed in poca quantità, e le sue barbe sono più corte, di mala qualità, e simili all’osso; così è poco stimato dagli Europei, ma in vece tanto di più da’ Groenlandesi, perché la sua carne è più tenera e gustosa.
La Balaena boops (Jupiter, Giove) è egualmente una specie di physalus. Si distingue dall’antecedente per la pancia rugosa, ove la pelle è distaccata dal corpo, ed è piena di pieghe. Sulla schiena, dietro la pinna, la quale è ottusa e poco curva, ha essa una gobbetta bassa ed alquanto lunghetta. Essa diventa più grande della balena propria, e se ne trovano della lunghezza di 120 braccia. Presso l’Islanda le onde la portano spesso sulla spiaggia ove è uccisa, perché la sua carne e particolarmente la pancia rugosa, è un leccume per gl’Islandesi, e Groenlandesi.
La Balena nodosa (flockfisch) trovasi frequentemente sulle coste di Labrador, e della nuova Inghilterra. Essa ha una gobbetta formata come un cavicchio situato nel medesimo luogo, ove il physalus porta la pinna. Questo cavicchio è dell’altezza di un piede,
75
e grosso quanto la testa di un uomo. Le pinne laterali sono 18 piedi lunghe, e poste quasi alla metà del corpo. Il colore di queste è bianco. Le sue barbe vagliono poco.
La Balena gibbosa (knotenfisch) trovasi anch’essa frequentemente sulle coste di Labrador, ed invece della pinna sulla schiena ha una mezza dozzina di bitorzoli. In quanto alla sua figura, od alla quantità del suo lardo somiglia moltissimo alla vera balena. Le lamine sono bianche, ma non si fondono per lungo.
Fra le balene dentate una delle più rimarcabili è il liocorno marino (monodon monoceros), il quale si distingue dalle altre specie di balene per la mancanza delle barbe, per una bocca assai piccola, e particolarmente per un dente lungo, diritto, e solcato a spira, il quale sorte dalla mascella superiore, e passa a traverso del labbro corrispondente. Tal dente è un osso bello bianco, e compatto, preferito ancora all’avorio, e giunge alla lunghezza di 14 in 15 piedi. A cagione di questo dente, il quale è stato riguardato come un corno, gli si è attribuito il nome di liocorno marino, ovvero pesce liocorno, nome già poco a proposito,
76
per la ragione che questo animale trovasi anche qualche volta con due di questi denti; e quando si trova avere un dente, questo non è situato nel mezzo, ma sul fianco, di modo che è assai fondato il sentimento di coloro, i quali credono che il liocorno con un dente solo sia stato mutilato, e che abbia perduto l’altro per un qualche accidente. Pare dunque che sia più a proposito di chiamare questo animale bidente. Nel 1706 si trovò presso Groenland un liocorno con un dente solo, ed il suo secondo dente non fu trovato che quando si aprì il suo cranio ove stava incastrato, di modo che se ne potrebbe trarre la conseguenza, che ad essi rinasce il dente, come ai gamberi gli artigli. Blumenbach vide a Londra un piccolo cranio di un liocorno giovane col dente sinistro della lunghezza di un palmo e mezzo, mentre il dritto era ancora poco formato, ed interamente nascosto nella cellula del dente. Una buona figura di quel liocorno, che nel 1736 si arrenò nell’imboccatura dell’Elba, trovasi nelle relazioni di Amburgo riguardanti le cose dotte del medesimo anno. Richey, il quale l’ha confrontata coll’animale, trova questa copia fedele.
77
Una copia corretta secondo i suoi avvertimenti ci ha fornito Blumenbach nella sua bella rappresentazione degli oggetti della storia naturale, 5. quinterno, num. 44.
Giacomo le Maire narra un’avventura accadutagli facendo il suo viaggio verso il sud, la quale dà qualche lume riguardo alla rottura del corno, ed alla perdita facile di esso, alla quale il liocorno è esposto. Le Maire ai 14 di giugno 1615 fece vela dal Texel, ai 5 di ottobre a mezzogiorno, ed a 4° 37’ di latitudine settentrionale il vascello ricevette un urto sensibile, il quale fu sentito particolarmente sulla parte della prua. Il pilotto, dando un’occhiata d’intorno, vide il mare interamente tinto di sangue. La sua sorpresa fu grandissima, e nessuno seppe spiegare questo fenomeno. Calafatando poi il vascello nel porto del Desiderio, si trovò nella prua, sette piedi sott’acqua, conficcato un corno, di figura e grossezza simile al dente di un elefante, il quale non era vuoto, ma interamente compatto, ed in quanto alla materia, era un osso di una durezza sorprendente. Questo corno trapassato il fianco del vascello fino al bracciuolo di prolena, cioè era entrato più di
78
un mezzo piede nel corpo del vascello. La ferita che l’animale si fece rompendo il corno sanguinò tanto, che il mare tutto intorno al vascello, divenne rosso(1). Quest’ultima circostanza prova almeno che devo essere stato un gran mostro; e benché il corno non sia stato sufficientemente descritto, ciò nonostante bisogna credere che appartenesse ad un liocorno, giacché sebbene questo animale si trattenga particolarmente nel mare del nord, può però qualche volta entrare nel mare atlantico, come in fatto avviene.
La testa del liocorno è piccola in proporzione della vera balena. Sulla cima di essa ha due fistole, le quali alla sortita si uniscono, e ne formano una sola. Questa è quasi foderata di carne, e fornita di una valvola che si può chiudere. La pelle è liscia, e nera. Al petto sono attaccate due pinne, piccole in proporzione del corpo; la schiena è liscia; la parte di dietro è formata interamente come quella della balena,
(1) Ved. Allgemeine historie aller Seereisen, tom. 11 pag. 451.
79
e come questa esso è rotondo, o coperto di lardo. Se il liocorno non dà quel ricco profitto che dà la balena, è invece stimato molto di più, poiché il suo grasso è più puro, più tenero, e non fa quel cattivo odore, che dà il grasso della balena comune. Un liocorno di 20 braccia diede solamente un barile e mezzo di lardo, ed il suo dente era lungo 7 braccia. Per lo passato si pagava per uno di questi identi alcune migliaia di scudi, poiché era creduto un eccellente antiveleno; ora però ha perduto questo prezzo. Il liocorno si serve del suo dente per cavar fuori dalle fessure, da’ buchi, e sul fondo del mare, l’alga, l’uova de’ pesci, e gl’insetti de’ quali si nutrisce, ed anche per fare de buchi nel ghiaccio per respirare l’aria. Si dice ancora che col suo dente attacchi le altre balene, e per fino i più grandi vascelli. La prima cosa non è punto decisa, e la seconda ordinariamente gli costa il dente, o la vita. Rare volte si prende questo animale, poiché nuota con molta destrezza. Forse non se ne prenderebbe nessuno, né cacciandolo, né tirandogli de’ colpi, se i liocorni, come le balene in generale, non vivessero in compagnia:
80
essi vanno a schiere, ed avvicinandosi a loro si restringono in modo che i denti di quelli che stanno indietro giacciono sulle schiene di quelli che stanno avanti, ed in tal modo impedisconsi scambievolmente di andare a fondo, perlocché uno o due degli ultimi si possono uccidere. I navigatori che vanno verso Groenland tengono i liocorni per nunci di vicine balene, le quali nell’istesso tempo ordinariamente si fanno vedere in poca distanza da essi. Forse ciò avviene perché questi si nutriscono del medesimo cibo, e le balene si servono di quello che, i liocorni hanno sbucato, e tratto fuori dalle fessure, e dalle caverne. Pare anche che di questi liocorni esistano alcune specie; almeno si trovano, benché rare volte, corni non attortigliati, ma lisci, i quali sogliono essere più piccoli. Nel mare sembrano tutti non solcati a spira, e di un colore verdastro, poiché sono ricoperti da una mucosità di mare, come da un fodero.
Un’altra specie di balene ha la mascella inferiore piena di denti, e la superiore sfornita, oppure con pochi denti molari; sulla testa ha una fistola sola, la quale in alcune specie si trova vicino alla cervice, ed
81
in altre sul muso. Questa specie è generalmente chiamata fisetère (physeter), ed i più cogniti fra loro sono physeter macrocephalus, physeter catodon, physeter tursio.
Il macrocefalo (physeter macrocefalus, potfisch) ha preso quest’ultimo nome dalla sua testa grande e smisurata la quale forma quasi la metà dell’intero animale. Essa somiglia ad una pila, pot, e secondo altri ad un calcio d’archibugio, o pure alla parte anteriore di una forma da scarpe, la testa di quello che arrenò a Peter, nel distretto di Eiderstadt, nel 1738 era lunga più di 20 piedi, alta 12, ed aveva 36 piedi di periferia. Fra questa specie di balene se ne trovavano altrevolte della lunghezza di 100 piedi. La testa è formata quasi unicamente dalla cassa del cervello, la mascella inferiore è piccola, quasi fuori di qualunque proporzione, ed è solamente alta per contenere i grandi denti. I denti di quello che nel 1723 fu preso da Bremensi sull’altura di 77° ½ e che era lungo 70 piedi, erano grossi come il polso di un nomo; e ciascuno de’ 52 denti che aveva pesò due libbre, ed era della lunghezza di 7 pollici. La mascella superiore,
82
eccettuati 4, o 6 molari, contiene solamente i forami, ovvero le guaine nelle quali si adattano i denti della mascella inferiore. La loro lingua è piccola, ma le fauci sono altrettanto maggiori, e di una larghezza tale che vi passa comodamente un bue intero. Quel macrocefalo preso nel 1723 aveva inghiottito un vitello marino della lunghezza di 12 piedi, che poi vomitò fuori appena fu colpito con archibugiate. Nello stomaco di questi animali ordinariamente si trovano diversi grandi scheletri, e spine di pesci della lunghezza di 7 piedi. Sul dorso hanno essi una gobba, e qualche volta tre, una appresso l’altra, delle quali la prima suole essere alta un piede e mezzo, la seconda mezzo piede, la terza un quarto di un piede. La pelle ordinariamente è di color bigio di sorcio, grossa e forte; e siccome è distesa sopra un lardo molto compatto e tendinoso, che giace per l’altezza di un palmo sopra una carne assai dura, consistente in fibre grosse e tenaci, ed intrecciata di grossi e inflessibili tendini; così è nella maggior parte quasi impenetrabile. Essendo essi feriti si gettano sulla schiena, e si difendono coi denti. Essi non sono sì grossi,
83
massicci e pesanti come la vera balena, ma più stretti, leggeri, e più lesti; le loro ossa sono più rade, e più compatte, di modo che non possono battere con tanta forza, e per lungo tempo. Presso Groenland se ne vedono a schiere, e tra essi il maggiore; che può essere 100 piedi lungo, nuota sul fianco della truppa, ed accorgendosi di un qualche pericolo, ne avverte gli altri per mezzo di un suono talmente forte, che fa scuotere il vascello, e dopo questo segno tutti vanno a fondo, e si nascondono. Essi possono durare molto più sotto acqua che le vere balene. Per tutte queste ragioni rare volte se ne prendono, benché se ne trovino in quantità, e particolarmente nello stretto di Davis, presso Spitzbergen, presso il Capo Nord, e presso Finnmarken. Nel 1723, ai 2 di dicembre, per una violentissima burrasca, ed un crescimento straordinario di acqua, nell’imboccatura dell’Elba avanti Ritzebüttel arrenarono diciasette di essi, ma di una specie rarissima, cioè con denti stretti, curvi, o di forma quasi come una falce, lunghi 7 pollici, e tre quarti e di 7 pollici di circuito nell’estremo più grosso. Cominciando il riflusso
84
si trovarono giacere due a due, cioè sempre un maschio accanto alla femmina. Il più piccolo aveva 40 piedi di lunghezza, e il maggiore 70 piedi. Prima di poterne sostenere un lato di essi il flusso li trascinò via con sé. Ne’ più comuni i denti sono ottusi, e di sopra piatti e rotondi: ed in altri, presi di rado, sono più stretti, dritti, ed acuti sulla parte superiore. I più rari sono quelli, i quali come quelli arrenati all’imboccatura dell’Elba, hanno i denti in forma di falciuola.
In quelli che riguardo ai denti, alla struttura, ed alla figura sono tra loro affatto simili, si è ancora osservato una varietà essenziale nell’interno della testa, la quale parte è la cosa principale in questa specie di animali, cioè che quella specie la quale ordinariamente è di colore verdastro, ha un cranio duro di osso, e l’altra poi tinta di cenerognolo sul dorso, e bianca sotto la pancia ha una coperta tenace di pelle della grossezza di un dito sopra la cassa del cervello, perché così possiamo chiamare la testa di questo animale, altro non contenendo che una midolla oleosa, e limpida, della quale
85
sovente, se ne sono tratti più di venti barili dalla testa di un solo macrocefalo.
Questa midolla è il così detto bianco di balena, che nel latino si suole chiamare con il nome poco conveniente di spermaceti. Immediatamente sotto la pelle esteriore, trovasi ordinariamente un poco di lardo, il quale però non arriva alla grossezza di un palmo, ad eccezione soltanto d’un pezzo sulla testa della grandezza della mano, sotto di cui, invece del cranio, v’è la coperta tenace del cervello della grossezza di un dito, la quale consiste in tendini assai forti, è sotto questa giace il cervello più tenero, che ben a proposito potremo chiamare cervelletto, dal quale si trae lo spermaceti più fino e più bello. Le cellule del cervello in questa prima camera sono d’una materia consimile ad un grosso velo, e da questo si sogliono cavare 7 quarti del limpido e bianco olio di cervello. Questa camera riposa essa stessa sopra un ordine forte di tendini, quasi della grossezza di tre pollici e mezzo, e ch’è disteso sopra tutta la testa, cominciando dal muso fino alla nuca. Sotto di essa giace la seconda camera del cervello la quale riposa sopra la parte superiore
86
dell’interno della bocca, e secondo la grandezza dell’animale, è stata trovata dell’altezza di quattro in sette piedi e mezzo. Or in questa camera si può dire esservi il vero gran cervello (cerebrum) il quale vi è distribuito come il mele nel favo in 28 piccole cellule formate d’una materia simile alla pelle d’un uovo. In questa camera, dopo che se ne’è tratto tutto l’olio che contiene, vi si raduna la midolla della spina dorsale, la quale per l’interno d’un enorme integumento va dalla testa, vicino alla quale ha la grossezza della coscia d’un uomo, fino all’estremità della coda, ove è della grossezza di un dito. Vagliando il lardo addosso di questo animale bisogna far molta attenzione di non offendere questo nervo, poiché facendovi il minimo buco, sorte fuori tutto lo spermaceti. In questo nervo sta la fonte della gran forza che possiede questa specie di balene, mentre da esso molte centinaia di piccioli vasi prendono origine, i quali poi conducono questa midolla fluida per tutto il corpo dell’animale, e rendono ancora midollosa la sua carne, il lardo, e fino il grasso che se ne trae. L’olio del lardo tratto da’ macrocefali è più chiaro, e più
87
dolce di quello delle altre balene, e brucia bella lampada senza dar fumo puzzolente, ma con una fiamma sì pura come quella d’una torcia di cera bianca. Per mezzo di una procedura cognita, descritta assai chiaramente da Hill, si distilla presentemente anche il grasso delle balene comuni, in modo che anche da questo si ricava lo spermaceti. Il grasso del macrocefalo è più bianco del grasso di porco, la carne è tinta di un bel rosso, ed è estremamente compatta, in guisa tale che quella la quale si trasse da un animale di questa specie, che nel 1720 arrenò sull’imboccatura dell’Elba, si fece vedere delle settimane continue per danaro in una stagione assai temperata, senza che punto si fosse putrefatta; e finalmente volendone estrarre del grasso, quando fu cotta, non diede il minimo cattivo odore. Dai pezzi dell’estremità della coda di questo animale si è tratto ancora uno spermaceti buono e puro, benché non la quantità; e da’ rimasugli di tali pezzi si è fabbricata una colla eccellentissima.
Il più importante di tutto ciò che dal macrocefalo si ricava è dunque lo spermaceti, cioè la tenera midolla del cervello, e
88
della spina dorsale di questo animale. Questa midolla viene spremuta, poi bagnata ed impastata col ranno, e finalmente leggiermente lavata, ed indi esportata in fette dall’Islanda ecc. Il vero spermaceti in commercio dev’essere d’un bel bianco, trasparente, tenero, morbido, sdruccevole, solubile nell’olio con facilità, non deve avere quasi alcun odore, e non deve essere dispiacevole al palato. Le fette gialle, e di odore rancido sono falsificate colla cera, e però da rigettarsi. La falsificazione si conosce all’odore, ed al colore bianco smorto. Si usa moltissimo lo spermaceti nelle spezierie, servendo in particolare esternamente come un emolliente per unguenti ed impiastri, e sovente se n’ è fatto uso internamente nelle malattie di petto, nella tosse, nella raucedine, nelle diarree, e nelle dissenterie, come un risolvente, ed un linitivo: ancora presentemente se ne fa uso, benché con maggiore moderazione poiché facilmente guasta lo stomaco, come tutti i rimedi oleosi. Si mischia pure lo spermaceti in piccola dose colla cera bianca, e se ne fabbricano le più belle candele bianche, la di cui fiamma è chiara, e senza alcun cattivo vapore.
89
A questa medesima specie di balena, al macrocefalo, siamo pure debitori dell’ambra grigia, ovvero ambra antosperma, benché non si è ancora interamente d’accordo riguardo all’origine, ed alla nascita di essa.
L’Antosperma si trova in forma di corpi sferici di diversa grandezza, da tre fino a dodici pollici di diametro, e del peso di una libbra e mezzo fino a venti libbre, in una vessica larga ed ovale la quale è tre o quattro piedi lunga, e due o tre piedi profonda e larga. La vessica ha quasi la forma di quella d’un bue, eccettuato che l’estremità sono più appuntate. A queste sono attaccati due canali, de’ quali l’uno gradatamente restringendosi s’interna nel mezzo del membro genitale nell’intera sua lunghezza, e l’altro poi dall’estremità opposta della vessica, posta verso gli arnioni, va ad unirsi a questi. La vessica è posta addirittura sopra i testicoli, i quali sono della lunghezza di un piede, giacciono nel corpo, incirca quattro piedi sotto l’umbilico, e tre piedi sopra l’ano, e si attaccano immediatamente alla radice del membro. Questa vessica è quasi interamente ripiena di un umore oscuro di colore d’arancio, il quale però non è pienamente
90
sì compatto come l’olio, ma ha un odore ancor più acuto di quello delle palle antospermatiche che vi nuotano liberamente dentro. L’interno della vessica ha il medesimo odore e colore dell’umore che contiene. Finché l’animale resta in vita, queste palle sembrano essere dure, e spesso, aprendo la vessica, si trovano dentro delle scorze larghe e concave della medesima materia e durezza delle palle, dalle quali si sono distaccate. Le palle stesse sono composte di diverse coperte, o scorze simili a quelle delle cipolle, in modo che l’una rinchiude l’altra. Non mai sono trovate più di quattro palle in una borsa sola; e quando s’incontrò una volta una di 20 libbre, la maggiore fin ora trovata essa sola nella borsa. Si dice che queste palle si trovino solamente negli anacrocefali vecchi e grandi, e sempre in maschi. Su tutt’i grandi pezzi di antosperma che si sono trovati nuotanti sul mare, o gettati sulla spiaggia, si osservano delle particelle nere, della natura del vetro, le quali sembrano gusci di conchiglie rotte. Per lo passato si credette falsamente che tali particelle nere fossero becchi, ed artigli di piccoli uccelli, e per questa ragione si spiegò
91
falsamente l’origine dell’antosperma. Ora si sa con certezza, che sono i becchi d’una specie di seppia (sepia octopedia), ch’è il nutrimento ordinario de’ macrocefali(1). Da ciò apparisce, che l’antosperma debba essere forse un prodotto degl’intestini del macrocefalo, una specie di Belzuar, ovvero un’altra concrezione non naturale nella vescica, nata dalle parti grasse e puzzolenti dell’umore ivi contenuto, in somma un calcolo della vescica; perché l’antosperma preso fresco dall’animale è umido, ed ha un sentore assai piccante e stucchevole; e l’odore piacevole l’acquista dopo a poco a poco essendo stato esposto all’aria. Il sig. Banks afferma in una lettera scritta al Professore Blumenbach a Gottinga nel mese di aprile 1799, ch’egli crede che l’ambra sia sterco del macrocefalo, e che questo sterco, quasi fluido nello stato sano dell’animale,
(1) Una bella descrizione delle Seppie trovasi nella storia eccellente de’ molluschi di Montfort, pubblicata con alcune annotazioni, spiegazioni, ed aumentazioni da Funke I vol. Amburgo 1803. Quest’opera merita tutta la nostra attenzione. L’opera di Monfort è la continuazione della storia naturale di Buffon.
92
s’indurisca per una specie di costruzione, e formi l’antosperma. Ciò spiega perché l’antosperma per lo più trovasi ne’ nacrocefali magri e deboli. Più accuratamente si è spiegato sopra ciò il sig. Monfort nella sua storia de’ molluschi. Se l’ambra grigia si trovi solamente ne maschi non è stato ancora deciso, ma bensì è certo che fuori de’ macrocefali si trova unicamente sul mare, e su quelle sponde del mare ove questi animali si trattengono, e non mai comparisce fra i minerali. Gli abitanti delle coste, dopo cessata la burrasca, la cercano nella sabbia del mare, in parte guidati dall’odore, ed in parte osservando alcuni uccelli che ben presto la scoprono, e la mangiano avidamente. Quell’ambra che nuota sul mare, e che si trova nella sabbia sulle coste, non è di forma sferica, ma in pezzi difformi.
Nonostante tutto ciò tengono alcuni l’ambra per una specie di ampelite, la quale s’innalza dal fondo del mare, e che vien inghiottita dal macrocefalo. Ma supponendo questo, non si potrebbe spiegare fra le altre difficoltà, perché nessun altro animale l’inghiotta, perché non si trovi in tutt’i macrocefali, perché questa specie l’abbia sempre
93
in una borsa particolare, e perché contenga i segni del nutrimento dell’animale suddetto.
Essendosi trovati pezzi di antosperma della grossezza di 100 fino a 182 libbre sulle coste di Madagascar, di Sumatra, di Malabar, delle isole Molucche, delle Maldive, e fino dell’Etiopia, non dobbiamo di ciò maravigliarsi, poiché sotto il ghiaccio del polo antartico convivono egualmente le balene, ed i macrocefali, e vi sono meno disturbati. L’antosperma da questi prodotto viene portato dalla corrente del mare verso l’equatore, come vediamo dalla direzione che prende il ghiaccio. Or tutti que’ paesi nominati, benché posti in parte vicini alla zona torrida, giacciono però in modo, che le punte di terra più meridionali sono dirette verso il polo antartico: e siccome noi troviamo qualche volta dell’ambra grigia sulle nostre coste rivolte verso il polo artico, anche sotto una latitudine inferiore a quella, come sulle coste dell’Inghilterra, e della florida nell’America; così è molto naturale che in que’ siti, ove non giacciono altre coste verso il polo antartico, avanti quelle di Madagascar ecc. Ciò non ostante è caro, e
94
sempre si vende una mezza oncia per sette, o otto scudi. Per questo alto prezzo si contrafà l’ambra fondendo insieme della resina vegetabile odorifera, della pece, e della cera; ovvero si falsifica mischiando insieme del borace, ed altre resine a buon mercato, e qualche volta anche la crusca di riso.
Il vero antosperma si scioglie presso un moderato calore più facilmente che la cera, e durante lo scioglimento acquista l’aspetto di un olio denso, e nericcio, fa schiuma, e svapora senza lasciare il minimo residuo: anche sparso sopra una lamina riscaldata svanisce interamente, mandando un odore piacevolissimo; e tenendolo al lume brucia con una fiamma chiarissima, ed in nessun caso lascia carbone, o cenere.
Nell’acqua fredda nuota, e nella calda si scioglie come l’olio; ma l’acqua non lo scompone in maniera alcuna. Lo spirito di vino pure non lo discioglie, ma bensì lo spirito di vino tartarizzato; gli oli spremuti neppure lo sciogliono affatto, ma gli eteri. Il suo proprio mezzo per stemperarlo è con l’etere; versandovelo sopra, acquista subito un colore di limone, e di tre oncie di antosperma si sciolgono sempre due oncie ed una dramma, e sette dramme
95
restano come un olio nero simile alla pece, senza odore, e senza sapore. Versando sull’ambra, interamente sciolta nell’etere, un poco di acqua, o di spirito di vino, si precipita subito in una massa bianca simile alla cera.
Per giudicare della bontà dell’ambra, si fora la medesima con un ago rovente, e se quest’ago acquista con ciò un forte odore piacevole, senza imbrattarsi, e se fondesi l’ambra un poco in quel sito ove si è forata, allora essa è schietta.
Del resto, la vera ambra grigia è soda ораса, formata a gusci, fragile, come la cera, facilmente infiammabile, esternamente di un colore cenerognolo, internamente traversata da strisce gialle rosse o nere, miste di puntini bianchi, senza sapore particolare, ma di odore molto piacevole, quale, stropicciandola, o riscaldandola, si aumenta fortemente; al tatto è un poco grossa, si ammollisce nella mano come la cera, e ciò non ostante è fragile. L’ambra liscia, piana ed uniforme, interamente bianca o nera, è falsificata. Quella fabbricata colla farina di riso facilmente è traforata dai vermi, ed in conseguenza facile a riconoscersi.
96
A cagione dell’odore piacevole si fa uso dell’ambra nelle pomate, ne’ profumi, nella cioccolata, e nelle spezierie per medicina, ma, per la sua rarità, meno in oggidì che per lo passato.
L’antosperma schietto, preso internamente possiede forza ricreativa, vivificante, ed attonante, senza produrre delle riscaldazioni. L’elisir di Hoffmann deve le sue buone qualità all’antosperma. Baco narra, che a Kalekut uno speziale coll’uso dell’ambra abbia portata la sua vita fino a 160 anni; e che per la medesima ragione i ricchi nella Barbaria diventano assai vecchi, mentre i poveri al contrario vi muoiono presto. Nel Portogallo si mischia l’ambra col pepe, e se ne condiscono le uova dure, per produrre uno stimolo nelle parti genitali. Nelle apoplessie, e convulsioni è stata trovata assai utile, ed in tutte le spezierie si vendono l’essentia ambrae balsamica Dippelii, e l’essentia ambrae liquida.
Un’altra specie di macrocefalo è il Physeter catodon (Wittfisch, pesce bianco), il quale ha preso nel Nord il nome dal suo colore bianco gialliccio. Eccettuati i denti, è questo più somigliante alla vera balena che
97
il macrocefalo di cui si è finora parlato, la sua testa è più acuta, ed ha una sola fistola per la quale rigetta l’acqua. Nel cranio di esso si sono però sempre osservate due fistole, ma ambedue finiscono in un sol tubo di carne per mezzo del quale l’animale caccia fuori un solo getto di acqua. I denti sono come nella specie antecedente, ma più piccoli, e di numero minore. I Catodon sono molto più piccoli, e spesso si sono trovati piuttosto al di sotto della lunghezza di 16 piedi, che al di sopra de’ 20 piedi. Appena hanno il lardo grosso un piede, il quale oltre di ciò è sì tenero, che il rampone scagliatovi dentro spesse volte scappa fuori. Questo lardo dà un grasso straordinariamente buono, il quale sta in confronto col miglior olio d’oliva: se ne mangia anche la carne, la quale, condita coll’aceto e col sale, dicesi essere buona come la carne di porco. Siccome questi animali non sono molto perseguitati dagli Europei, si affollano spesso in quantità intorno ai vascelli. Essi sono riguardati come sicuri annunci di una vicina pesca di balena, poiché vivono sempre in vicinanza di essa.
Il Physeter tursio (Mastfisch, pesce di
98
albero di bastimento) ha preso nel Nord questo nome dalla pinna assai lunga, la quale tien dritta sul suo dorso come un albero di mezzana. I suoi denti nella mascella inferiore sono molto piatti. La testa è tanto smisurata quanto quella del macrocefalo, ed anche la supera. Nel 1687 ne fu preso uno presso le isole Orcadi, e nel mese di dicembre del 1752 ne arrenò un altro sulle coste della Francia, il quale era più di 60 piedi lungo, 22 piedi alto, e di 53 piedi di circonferenza. La gola era internamente 6 piedi alta, e 4 larga: la fistola per l’acqua era della larghezza di un piede e mezzo. Con tutto ciò non era questo uno de’ maggiori. Qualche volta se ne sono presi di più di 100 piedi di lunghezza.
Alla specie de’ delfini, la quale ha i denti in ambedue le mascelle, e sulla testa un fistola per rigettare l’acqua come le balene appartengono il pesce spada (Xiphias gladius) e l’uccisore (Killar) che vivono nel mare del Nord. Questi, benché siano contati fra le balene, sono però i maggiori nemici della vera grande balena di Groenland.
Il pesce spada (Xiphias gladius) è così
99
nominato per la figura di una sua pinna dorsale, la quale ha 3 piedi di lunghezza, ed è sufficientemente acuta, e curva come una sciabla. La testa di questo animale è schiacciata, e pel rimanente somiglia agli altri delfini. La sua lunghezza è di 10 in 12 piedi. Se ne trovano più frequentemente intorno alla Groenlandia, e Spitzbergen. Essi attaccano la balena: e coi loro denti acuti ne strappano pezzi interi di carne. Riscaldata e stanca dal combattimento, e dal dolore, apre la balena la bocca, e mette fuori la lingua, sulla quale si avventano, e la mangiano. Sia che questa lingua loro piace più di qualunque altra parte, o che a cagione della pelle grassa possono strappare via poca carne d’addosso la balena, abbandonano tutto il resto allo onde di mare talché i naviagatori che visitano la Groenlandia non rare volte incontrano una balena morta, alla quale è stata mangiata la lingua.
L’uccisore (Killar), che trovasi sallo coste della nuova Inghilterra, è assai simile all’antecedente, ma molto più grande, essendo di 20 fino a 30 piedi, e sul dorso porta una pinna dell’altezza di 4 in 5 piedi. Esso, come tutte le specie di balena, va sempre
100
in compagnia, ed a dozzine attaccano una giovane balena, come i cani da macello attaccano un toro. Alcuni la tengono per la coda per impedirne il battere, mentre altri l’assaltano dalla parte della testa, mordendola e tirandola, finché la balena affaticata apra la bocca, ove nel nomento acceffano la lingua, e fuori di questa, e della testa poco mangiano del rimanente. Essi posseggono tanta forza, che quando alcuni battelli tirano una balena morta, un solo Killar è capace di strappargliela, e di condurla con sé a fondo. I navigatori di Groenland osservano che quando le balene, senza paragone maggiori, scoprono un pesce spada o un Killar, sono molto angustiate, e saltano e fuggono colla maggiore celerità.
Ai pesci cani chiamati anche cani di mare per la loro voracità, o squali per la loro pelle cenericcia oscura e sporca, i quali hanno un corpo piuttosto rotondo, cinque spiragli sui lati del collo, e che partoriscono generalmente i loro piccoli vivi, appartengono le due seguenti specie che si trovano nel mare del Nord, e nel mare Glaciale.
Squalis maximus. È contato fra gli Squali, che hanno il dorso liscio, i denti acuti
101
e le pinne all’ano. È da navigatori associato alle balene a cagione della sua grandezza, del suo soggiorno nel profondo mare, del lardo, dell’intero uso che se ne fa. Esso è il maggiore fra gli squali, ed arriva alla lunghezza di 60 braccia e più, e alla larghezza di 12 braccia. Se ne suole far la caccia coi ramponi, come si fa colle balene. Il colore della pelle è misto di verde e di turchino. Il loro lardo ha la qualità particolare di conservarsi molto tempo, e si fa seccare come il lardo de porci. Gl’Islandesi ciò fanno sovente; e mangiano questo lardo seccato, come condimento, unito al merluzzo. Ordinariamente si cuoce per trarne del grasso. Il fegato è si sproporzionatamente grande, che con un solo si può riempiere una botte di 64 misure di Amburgo. Dalla carne sottile del basso ventre si possono pure tagliare delle coreggine sottili, le quali, dopo essere state esposte all’aria per disseccarle, le mangiano nell’Islanda. La carne degli squali è generalmente mangiata dagli abitanti polari, e della pelle dell’animale si fabbrica il Zigrino(1) o si concia solamente per farne finimenti da cavallo.
(1) Martens nella sua descrizione del viaggio di
102
Il Pesce Sega (squalus pristris) si distingue fra tutti gli altri Squali pel suo corno di osso dentato su ambedue i lati come una sega, il quale sta sulla punta della mascella superiore. Sopra ciascun lato soglion esservi 25 punte, distanti l’una dall’altra per un mezzo pollice, e la sega tutta forma la quarta, o la terza parte dell’intera lunghezza dell’animale. Rare volte s’è trovato al di là della lunghezza di 15 piedi, non compresa la sega. Più frequentemente si trova presso Island, Spitzbergen, e Groenland, ov’è propriamente il suo soggiorno: però si osserva qualche volta sopra la Norvegia, anzi è stato trovato anche sulla costa della Guinea. Se essa arrenasi accidentalmente in que’ paesi, e cade nelle mani de’ Negri, questi gli dimostrano la massima venerazione, e riguardano la sua sega come un fetiscio. Questo solo dimostra ch’egli è pei Negri un animale di aspetto comune. Egli è intanto fuori di
Spitzbergen. Amburgo 1675, 4 cap. 3. n. 8. fa un disteso racconto di questo squalo. Una descrizione anatomica trovasi nel Journal des observ. phys. del P. Fevillée Vol. I p. 171 seq. e del Contenuat, pag. 109.
103
dubbio che la sua dimora è nel Nord, e che esso si trattiene non troppo distante dalla balena, di cui è il maggiore, e più terribile nemico. Col dente in forma di sega squarcia la pancia di quella, la quale si è intesa urlare in tale circostanza, e si è veduta saltare fuori dell’acqua(1).
Per abbreviare, è qui necessario di passare sopra tutte le altre specie, la di cui patria, e dimora non è il mare del Nord.
Più importante per l’industria, e pel commercio è l’aringa, la di cui pesca, la preparazione, e la vendita nutriva sin ora 150000 uomini nell’Olanda sola, e procurava annualmente un guadagno di più di diciasette milioni di Scudi. Questo lucro però ben presto rese ugualmente attivi gl’Inglesi, gli Scozzesi, i Francesi, i Danesi, i Norvegesi, gli Svedesi, ed i Russi, di modo che dal 1775. fino al 1785 il prezzo delle aringhe Olandesi spesse volte calò a 150 fiorini per Lart (cioè 4000 libbre)(2).
(1) Vedi Martens Spitzbergisch Beschreibung cap. VI. n. 7.
(2) Nel viaggio di M. Garnest per la parte montagnosa della Scozia, e per una parte dell’Ebridi, tradotto
104
Il nome di Aringa (Heering, Clupea harengus) ordinariamente è dedotto da Heer, ovvero Heerschaar (esercito), poiché non mai va sola, ma a schiere serrate, smisuratamente grandi, alte, ed assai larghe, le quali dalla Norvegia sino alla Groenlandia riempiono tutte le coste e cale, e dal fondo del mare arrivano fino alla superficie dell’acqua, sopra la quale si spingono fuori a migliaia.
Secondo il sistema di Linneo appartiene l’aringa al quarto ordine de’ Pesci, le di cui alette addominali stanno dietro le alette pettorali, o alette delle branchie. Essa si distingue particolarmente dalle altre specie di quest’ordine pel ventre a Cannone, ed otto raggi alle branchie. L’aringa comune, che propriamente a cagione della sua grande utilità è chiamata il Pesce coronato, ha il
dall’Inglese in tedesco da Kosegarten Lips. 1802 I. Vol. p. 100. si dice, «nel Lough fuyne si occupano 500. in 600. barche colla pesca dell’aringa. In alcuni furono salati più di 20000. barili, ed un barile contiene 100. aringhe della miglior qualità, e 700 di una qualità mediocre. Gl’intestini forniscono una quantità considerabile di grasso» – p. 103 si trova una storia delle aringhe, delle loro emigrazioni ecc.
105
corpo un poco larghetto, non macchiato, e sui fianchi incavato: la mascella inferiore è storta, e pende in giù dalla mascella superiore; la testa è acuta, e sopra ciascun lato di essa si contano otto reste larghe; gli occhi sono di un bianco chiaro, la metà del dorso è di un colore turchino oscuro, l’altra di un turchino chiaro, il ventre di colore argenteo, e la coda è divisa come una forchetta a due punte. Ha cinque alette, due delle quali stanno vicino alle così dette orecchie, ed hanno 17 raggi o spine; due altre forcute sono sul ventre, ed hanno 9 raggi, e la maggiore sta sul dorso, ed ha egualmente 17 raggi. L’aringa luccica in tempo di notte, arriva alla lunghezza di 11 pollici, e la sua circonferenza è di 3 in 4 pollici. S’incontrano però diverse varietà in questa specie, tanto riguardo alla grandezza, quanto al colore. La specie minore, la quale particolarmente si pesca nel mare Baltico, ordinariamente è chiamata stroemling; ma negli altri paesi si dà questo nome anche alle aringhe maggiori. Le sardine (clupea sprattus) solamente lunghe di 4 pollici, che in quantità smisurata si prendono sulle coste dell’Inghilterra, e non rare volte anche sulle coste
106
della Norvegia, e che essendo state affumicate si spediscono dall’Inghilterra come un cibo delicato, altro non sono che le aringhe nate di fresco. Il così detto re delle aringhe, il quale è quasi il doppio dell’aringa comune, cioè lungo di 14 in 15 pollici, e che è creduto condottiere e guida delle schiere delle vere aringhe(1), è però, come ha osservato Klein, una specie particolare di pesce, e si distingue dalle altre per la sua testa quasi indorata, e pel corpo risplendente di rosso. La propria dimora ed il soggiorno solito delle aringhe sono i mari più avanzati del Nord, coperti di eterni campi di ghiaccio, ove godono della maggior tranquillità, e del migliore asilo per assicurarsi contro le persecuzioni de’grandi pesci, e mostri di mare che di loro si nudriscono. Da questi asili emigrano annualmente a milioni, e coprono colle loro schiere tutte le coste del Nord; perché non solamente è di essi ripieno il mare fra la Norvegia e la Groenlandia, ma ancora nello stretto di Behring, nel seno
(1) Martens description of the Western Islanda of Scotland p. 43.
107
di Perschinsck, e nel Kamtschatka se ne fanno delle grandi pesche.
Si adduce ordinariamente per cagione delle loro emigrazioni in parte l’immensa moltiplicazione che loro fa mancare finalmente il nutrimento, in parte le persecuzioni che soffrono dalle balene, le quali sono piuttosto la cagione perché le aringhe si serrano in ischiere nella direzione che prendono, che della loro prima uscita dal loro asilo. Sembra però più probabile la cagione riportata dal D. Bloch, il quale dice, che le aringhe, come tutti gli altri pesci, abbandonano in tempo della frega la loro solita dimora, per cercare de’ siti comodi al loro bisogno, la fatti essi arrivano sempre pregne di una quantità di uova, in guisa che in una sola aringa arrivano ancora più di 20 in 30000 altre aringhe; ed ancora molto tempo prima di abbandonare le coste sono nuovamente vuote.
Lo sciame principale abbandona a buon ora il polo, e si dirige verso il Sud: l’ala sinistra, la quale osserviamo noi, arriva nel mese di marzo all’Islanda in folla sì grande e distinta, da poter conoscere già da lontano il loro arrivo dall’oscurità, e dall’ondeggiare dell’acqua; anzi attingendo un secchio
108
di acqua dal mare tra le aringhe, se ne trae fuori una quantità di esse. In breve tutte le coste dell’Isola, tutti i seni, tutte le baie e cale sono ripiene di questo pesce, il quale costringe, per così dire, gli abitanti a prenderlo. L’ala diritta viene in giù nel mare del Nord, ed a cagione delle Isole, e degli Scogli che ad esso si oppongono, forma varie divisioni; la divisione occidentale si dirige verso il capo Nord, ed indi in giù lungo l’intera costa della Norvegia, ove però al presente non si osserva più quella grande quantità che vi si trovava per lo passato. Questa divisione continua la sua marcia finché una parte di essa passa a grandi sciami il Sund, e gli altri stretti, per entrare nel mare Baltico, il quale ne rimane talmente ripieno, che per l’addietro colle aringhe pescate unicamente in questo mare si poteva fornire tutta l’Europa. La maggior parte però continua il suo viaggio lungo le coste occidentali di Jutland, gira per lo Schleswig, l’Holstein, e la Frisia, passa il Texel, e Vlich, ed entra nel Zuderzee. Però lo sciame d’aringhe più numeroso, e di gran lunga il più folto, si getta sulle isole della Scozia, ove quasi s’incarecrano, attesa la loro grande affluenza,
109
circonda la Scozia, l’Inghilterra, e l’Irlanda quasi in tutti i punti fino al canale, ove poi tali pesci si perdono nuovamente nel mare Occidentale, ritornandone certamente la maggior parte di bel nuovo sotto il polo.
Sulle coste della Scozia gli Olandesi sono i primi ad accoglierle, e per l’addietro circa il 1670 le aspettavano annualmente con due sino a tre mila Buisi (barca da pescatori d’aringhe), e con cinquanta mila uomini(1). Nel 1601 fecero vela in tre giorni 1500 bastimenti per andare alla pesca delle aringhe, e nel 1609, quando Giacomo I. domandò una somma di danaro per la libertà di pescare le aringhe sulle coste della Scozia, si contarono più di 3000 bastimenti Olandesi, i quali in generale occuparono più di 200000 uomini, ed esposero alla vendita più di 300000 Last (balle) di 333 libbre l’una di detti pesci salati. Questo però fu anche il più alto grado al quale sia mai montata la pesca delle aringhe; perché concorrendovi
(1) Ved. Anderson storia Cronos. del commercio Vol 4. p. 425. Vol. 5. p. 600.
110
in seguito le altre nazioni, le quali bentosto s’avvidero che essa pesca era la fonte dell’immensa ricchezza dell’Olanda, languì questo commercio per gli Olandesi in modo, che ne’ tempi moderni fecero vela appena 500 loro bastimenti a tale oggetto, e nel 1775 ne partirono solamente 169. Nel 1799 e 1800 né anche 100 bastimenti Olandesi in tutto partirono per la pesca delle aringhe, poiché i disturbi della guerra loro rese impossibili la sortita è la pesca. Or di tale accidentale impedimento non appartiene a quest’opera di ragionarne.
Gli Olandesi gettano la prima rete presso Fairhill, verso il Nord della costa della Scozia, nella notte che segue la festa di S. Giovanni ai 25 di Giugno. La pesca non si fa che in tempo di notte, tanto per osservare meglio lo sciame delle aringhe (poiché gli occhi, e le squamme di tali pesci luccicano di notte tempo), e per tirare le reli avanti il medesimo, quanto, perché le aringhe, vedendo la luce dalle lanterne sui bastimenti si avvicinano più ad essa luce, la quale d’altronde impedisce loro di vedere le reti. Queste reti, che sono assai lunghe, devono essere lavorate a maglie strette, la di cui misura
111
è prescritta dal governo, acciocché il pesce vi resti preso con maggior facilità. Ordinariamente s’impiega a quest’uopo le seta Persiana grossa, poichè dura per tre anni, la quale vien poi tinta in nero col fumo delle scheggie di quercia bruciata. Queste reti si lasciano a fondo fra due Buisi, tagliando in tal guisa all’aringa il passaggio in una distanza considerevole, ed in tal modo prendono in una sola volta più di 162 milioni di pesci, ed annualmente più di 40800 milioni.
Prima del 25 di Giugno non è permesso di pescare, poiché il pesce a quel tempo non ha ancora acquistata la sua dovuta bontà, per cui non potrebbe essere trasportato lontano senza guastarsi. A questo fine i navigatori, i piloti, ed i marinai, secondo gli editti espressamente emanati dal governo, devono obbligarsi ad osservare tal proibizione prima di partire dall’Olanda, e ritornando sono tenuti a prestare il giuramento di non aver operato contro gli ordini del governo, dopo di che ciascun bastimento che fa vela pe’ paesi esteri riceve un certificato particolare, acciocché niuno resti ingannato, e perché un commercio sì vantaggioso non cada in discredito.
112
Nelle prime tre settimane, cioè dal 25 di Giugno fino al 15 di Luglio, tutte le aringhe che si prendono sono gettate nelle botti senza ordine, e consegnate alle Balandre che a tal fine vengono espressamente spedite appresso i Buisi, e da quelle vengono trasportate il più presto che sia possibile nell’Olanda. Dopo questo tempo, cioè da S. Giacomo fino all’esaltazione della Santa Croce, si pesca sotto la Scozia presso Bochness o Sereviat, dall’esaltazione della Santa Croce fino a S. Caterina si pesca presso Iarmuiden, e gli editti permettono di continuare fino all’ultimo di Dicembre quando si voglia.
Nelle pesche che si fanno dal 15 di Luglio in poi, le aringhe appena portate sul bastimento vengono sventrate, e divise in tre assortimenti ciascuno de’ quali vien salato a parte, e messo in recipienti propri a tal uopo. Uno di tali assortimenti contiene l’aringa Maajechen, ovvero Matze (aringa vergine), nella quale non si conoscono ancora né il latte, né l’uova, e perciò è grassa e tenera, ma non durevole; l’altro vien formato dall’aringa Voll-Haaring (aringa piena), cioè quella che si trova nello stato perfetto, e che possiede sufficientemente del latte, e
113
dell’ uova. Il terzo assortimento poi componesi dello Schooten Haaring, (cioè aringa vota, Ylen Haaring, ovvero Holhaaring), ch’è quella la quale è andata in fregola, e che ha deposto il latte e le uova, o che ha queste due cose distaccate in modo, come se avesse voluto deporle in quel momento stesso quando fu pescata, e tal aringa è la peggiore, e non si conserva per lungo tempo. Appena i Buisi sono arrivati a casa col loro carico, si aprono i barili di tutti i tre sortimenti, prima di spedirne fuori del paese si salano di nuovo, e si calcano ed ordinano in modo, che di quattordici barili marittimi se ne fanno solamente dodici, la quale quantità si chiama last, e contiene 4000 libbre. Questi barili vengono poi marcati col ferro rovente, e l’aringa prende il nome di Brand haaring (aringhe marcate col ferro rovente), disinguendosi col marchio tutta la pesca in aringhe dell’esaltazione della santa Croce.
La bontà particolare delle aringhe Olandesi dipende forse dallo sventrare essi vivo quel pesce gracile, il quale fuori dell’acqua non vive né anche un minuto. Essi tagliano
114
le branchie di tali pesci, distaccano subito gl’intestini dal latte e dalle uova, e li mettono da parte; lavano il pesce coll’acqua fresca, lo stropicciano molto col sale, poi lo mettono in una salamoia, ove resta dodici fino a quindici ore; lo lavano nuovamente, lo asciugano, e lo mettono ad uno ad uno in barili di legno di quercia, ove spargono del sale grosso di Spagna, o di Portogallo; e tutte queste operazioni si fanno con tanta speditezza, che l’aringa presa di notte è già preparata ed imballata prima che entri la notte susseguente, mentre le altre nazioni mancano in una parte, o nell’altra. Così, per esempio, gli Svedesi si servono sovente de’ barili di legno di abeti, o non salano quel pesce gracile colla necessaria prestezza, oppure lo pescano troppo a buon’ora senza aspettare il tempo della sua maturità, o non separano colla dovuta cautela gli assortimenti sopra menzionati. Intanto non trascurano punto le altre nazioni questo mestiere, e particolarmente ne sono molto attenti gl’Inglesi i quali tanto gelosi sono della pesca degli Olandesi. La sola città di Jarmouth ne suone esportare annualmente 50000 barili, e
115
mantiene solamente per questo commercio 11000 bastimenti piccoli e grandi. Si calcola in generale che gl’Inglesi insalano annualmente 150000 barili di aringhe, di sardelle o di pellhard (clupea alosa), senza contare quello che si consuma fresco. Gli Scozzesi sogliono esportare annualmente 60000 barili, non compreso il consumo che fanno nel loro paese proprio, ciocché è pochissima cosa, poiché tutti esercitano questa pesca avanti i loro porti, e città. Meno significante ancora è l’esportazione degl’Irlandesi. Generalmente si potrebbe contare che dopo gli Olandesi ne facciano il commercio più considerevole i Norvegesi e gli Svedesi. Nel 1774 gli Svedesi esportarono 154432 e mezzo barili, e l’Inghilterra ne prese per 12829 lire sterline. In grasso delle aringhe si esportò per 28468 scudi. L’esportazione del 1781 montò a 110668 barili, e
116
nell’interno se ne consumarono 29250 barili.
A Bergen, Drontheim, Stavanger e Christiansund si guadagnano annualmente alcune botti d’oro col traffico delle aringhe. La sola città di Bergen ne spedisce annualmente centinaia di carichi ne’ paesi esteri, senza contare la quantità che consumano i paesani nell’interno, pei quali le aringhe sono salate solamente a metà, e vendute sotto il nome di aringhe acide. Nel 1752, quando la pesca delle aringhe non corrispondeva ancora alla ricchezza solita, la città di Bergen sola esportò in nove mesi 11013 last di aringhe.
Su tutte le coste della Norvegia vengono insidiate le aringhe quasi tutto il tempo dell’anno. La prima aringa, ch’è la maggiore, la quale però non è la più grassa e tenera, è pescata generalmente fra le feste di Natale, ed il dì della Candelora sulle coste della Norvegia, ed è chiamata Stor Sild (aringa della balena), ed anche Graaken Sild, cioè aringa cille spine cenerine. Essa risiede ordinariamente nelle spaccature sotto terra, ove pone annualmente le uova. I paesano della Norvegia partono dal loro
117
domicilio con tanti uomini quanti ne possono radunare, e si mettono in varie posizioni avanti l’entrata delle baia, avanti le punte di terra, ed i ricettacoli di tali pesci, cioè avanti que’ siti ove le aringhe amano di entrare. Delle volte nella distanza di un miglio geografico si possono contare due in tre cento barche pescareccie, le quali vi soggiornano un mese e più per ristaurare le loro Oetnigsgarn (reti tese), delle quali barche due stanno sempre insieme. Benché molte reti stiano l’una vicino all’altra, e 100 fino a 150 quasi sul medesimo luogo, ciò non ostante in poche ore sono aggravate tanto dalle aringhe, che qualche volta calano a fondo, e non possono essere tratte in su che a grande fatica. Tendendo una sol volta queste reti, prendono ordinariamente quattro in cinque mila grandi aringhe.
In tempo di quaresima vi giunge una piccola specie, la quale è chiamata Straaler Sild (aringhe di primavera): questa s’inoltra più nelle baie ove è pescata cogli strascini da caccia, o colle nitreccine; e spesso accade che un pescatore in una sola tirata riceve centinaia di barili di più di quel che possa trasportar via; anzi più di una volta
118
si sono prese tante aringhe nel Sundfiord, presso Bergen, che più di 100 tartane, ed anche certamente 150, ne potevano essere caricate. Dunque, calcolando il carico di ciascuna tartana a 100 barili, darebbe dieci fino a quindici mila barili in un tratto di rete.
Sulla fine dell’estate arriva la terza specie di aringhe chiamata Sommer Sild (aringhe d’estate), e questa è la migliore. Essa è divisa in due assortimenti, cioè in sottile, chiamata Bonde Ind (roba pe’ paesani), ed in maggiori, e più grasse, la quale, riguardandola come mercanzia, viene esportata.
Se queste ultime, a cagione della quantità, non dovessero restare senza sale più di una sola giornata, e se potessero essere subito insalate, ed imballate in barili di legno di quercia, allora certamente non cederebbero punto alle aringhe olandesi. Il massimo errore è forse, che il Norvegese aspetta l’aringa nelle cale, ove la circonda per mezzo di pali in modo, che non può più sortire. Quivi resta rinchiuso l’intero sciame di aringhe, finché a poco a poco si può metterlo nelle botti ed insalarlo. Per questa operazione non rare volte si richiede un tempo
119
di due in tre settimana, durante il quale molte aringhe si consumano e periscono; cosa che abbassa non solamente il valore di quelle ultime, ma che benanche riempie la cala di odori sì cattivi, che per lo spazio di due o tre anni non vi entra più alcuna aringa. Più volte se ne sono tratti da una sola baia 8000 barili di tali pesci, e forse altrettanto ne sono periti. Gli abitanti di Nordland, i quali pescano secondo il metodo olandese, cioè conducendo incontro alle aringhe in alto mare una rete stesa fra due battelli, ed insalandole subito, hanno l’aringa di gran lunga migliore e più grassa, e di una tenerezza tale, che messa in una salsa calda si scioglie interamente. La quantità de’ battelli, che per ciò si richiede, impedisce il potersi usare questo metodo dalla generalità.
L’immensa quantità delle aringhe che annualmente si pesca è tale, che negli ultimi anni prima della repubblica francese, gli Olandesi più di una volta si videro necessitati a venderne un last, cioè 4000 libbre, per 150 fiorini, e che, sebbene nelle maggiori grandi pesche si usa l’aringa medesima per esca, ciò non ostante questa quantità
120
neppure è un milionesimo dello sterminato sciame d’aringhe che vengono da’ poli, le quali sono tante e tante, che malgrado che quasi tutt’i mostri di mare, e molti altri pesci, come lo storione, ed il merluzzo, unicamente si nutriscono di esse; pure non si scorge alcuna diminuzione, e non è da temersi alcun decremento di esse. La natura loro ha dato una fecondità, che arriva fino all’incredibile, e la quale compensa tutto. Secondo l’esame accurato dell’inglese Tomase Harmer nessuna aringa porta meno di 20000 uova, ed una ne aveva fino a 36000. Se mai nella natura una cosa all’infinito, sicuramente è quella della moltiplicazione dell’aringa, malgrado che sia superata moltissimo da quella del carpione, il quale ha 300000 uova, e da quella del baccalà.
Molto si parla sul cambiamento delle direzioni che per lo passato prendevano le aringhe. Una volta il loro luogo di adunanza era nel mare Baltico, poi si fecero vedere particolarmente sulle coste di Schonen, ove arrivavano in sì enorme quantità, che potevansi prendere fin colle mani; ed indi si diressero verso la Norvegia, e da questa verso le coste della Scozia. In seguito sonosi
121
portate più verso le coste meridionali della Scozia medesima, come a Lewis, Harries, Skie, ed alle coste di Rosshire, ove presentemente a Lochbroono è particolarmente il luogo principale della loro adunanza. A contare della metà del mese di novembre 1799 l’aringhe, che ne’ contorni dell’imboccatura dell’Elba non si potevano avere che salate, si sono fatte vedere all’improvviso in grande quantità, ed anche in una buona distanza sulle foci dello stesso fiume. Da tali foci fino al mare Baltico se n’è trovata una sì grande quantità, che fino alla metà di dicembre molti bastimenti carichi di esse arrivavano giornalmente in Amburgo ed in Altona, ove finora non n’era comparsa mai fresca sul mercato. Prima se ne prendevano alcune unitamente al Salmo eperlanus, ed ora si vendono 20 aringhe per uno scellino (tre o quattro soldi). L’aringa ordinariamente abbandona il suo domicilio nel mese di maggio, visita le coste della Norvegia, dell’Inghilterra, e della Scozia, e ritorna nel mese di agosto. Forse una rivoluzione sul fondo del mare sarà la cagione perché l’aringa è comparsa sull’imboccatura dell’Elba. Dicesi che il medesimo fenomeno sia
122
accaduto ancora sulla fine del secolo passato. Del resto, forse cagione d’un tale cambiamento sarà il non avanzarsi più tanto incontro alle aringhe, cosa che per lo passato non lasciava loro il tempo necessario per venire più in giù lungo le coste, e per entrare ne’ mari mediterrani.
Le prime notizie di una pesca delle aringhe in qualche modo considerevole e regolare fatta dagli Olandesi trovavansi circa al 1163. Gli Olandesi fecero molta attenzione su i vari luoghi di adunanza, ove questo pesce nelle diverse stagioni soleva trovarsi. Prima fu osservato presso l’isola di Rugen, e sulla costa della Pomerania, ove secondo Helmold(1), intorno al 1169 si trovarono adunati in un gran numero de’ bastimenti stranieri per pescare le aringhe; ed il medesimo assicura, che nel mese di novembre era allora la stagione più opportuna per pescarle. Poco dopo gli Olandesi cercarono le aringhe sulle coste settentrionali della Livonia, e della Curlandia, e quindi è naturale che non più si trovavano in sì grande quantità
(1) Chronic. Mavor. lib. 2. cap. 12.
123
sulle coste dell’isola di Rugen. In seguito s’avvidero che le aringhe non avevano il loro principale dimicilio nel mare Baltico, ma che vi entravano per lo stretto, e perciò le attesero all’entrata nel Sund. Intorno al 1204 la pesca delle aringhe facevasi sulle coste di Schonen, ed a quest’epoca (dice Arnoldo, il continuatore di Hemold) gli abitanti della Danimarca furono estremamente ricchi, ed i più distinti tra loro non erano vestiti solamente di varie qualità di scarlatto, ma benanche di porpora e di bisso; e ciò, continua egli, nasceva dalla pesca delle aringhe, la quale facevasi annualmente sulle coste di Schonen (in allora appartenente alla Danimarca), ove si dirigevano i mercanti di tutte le nazioni, i quali portavano oro, argento ed altre cose preziose per comprare le aringhe da’ Danesi. Mezeray rapporta come un beneficio fatto da S. Luigi, il quale morì nel 1270, che questi in tutti i tempi quaresimali abbia regalato ai conventi, ed agli ospedali 68000 aringhe, che probabilmente erano state pescate a Schonen. Quanto più attiva si esercitava quivi la pesca delle aringhe, tanto più si diminuiva lo stuolo di tali pesci nell’intero mare Baltico.
124
Lambecio rapporta un decreto del 1283 fatto da Erich VI Re di Danimarca in favore della città di Amburgo, col quale concedeva agli Amburghesi un pezzo di terreno onde potervi erigere le loro botteghe durante la fiera annuale delle aringhe a Shonen. Nell’istesso tempo loro accordava tutti que’ privilegi e diritti in questa fiera, che godevano le altre città marittime della Slavia, cioè quelle città che giacciono sulla costa della bassa Sassonia, della Pomerania, della Prussia ecc., e che, o da lui medesimo, o da’ suoi antenati avevano ottenuto. Da ciò si vede che gli abitanti di quellea coste non trovavano per quel tempo le aringhe alle loro porte; ma ch’erano necessitati di cercarle a Schonen. Una mancanza accidentale, accaduta forse in un anno, o le difficoltà che su questa costa di Schonen si opposero, e anche il tentativo di prendere migliori aringhe andando loro incontro più innanzi, tolse nuovamente a questa costa tal commercio. Le aringhe dunque furono cercate sulle coste orientali della gran Brettagna, e se ne pescarono, comprarono, ed insalarono nel 1393 a Whitby nel York Shire, e particolarmente a Jarmouth. Nella Foedera di Rymer vol. VII. p. 788 è
125
conservato un decreto del Re Riccardo II., del 1394, nel quale si legge: «siccome nell’anno passato la pesca delle aringhe è stata molto svantaggiosa in vari paesi, di modo che i forastieri per il loro proprio guadagno sono venuto so’ loro bastimenti, colle botti, col sale, e cogli altri ingredienti nel porto di Whitby nel Jork Shire, ove hanno comprato le aringhe, delle quali una parte insalavano, e l’altra affumicavano, e poi l’hanno esportate nella loro patria a svantaggio grandissimo de’ sudditi Inglesi, e particolarmente della nominata città di Whitby; così ordina il Re, che a tutt’i forestieri i quali non vi siano domiciliati, sia proibita la compra delle aringhe nel detto paese».
Da questo decreto apparisce chiaramente che prima del 1393 siasi già conosciuto l’insalare bianco delle aringhe, poiché qui viene a dirittura opposto all’affumicare di esse. Fino al 1270 leggesi in un documento di donazione di Barnim I. della Pomerania: De Castore halecis quod ab hospitibus ibidem fuerit sale conditum. A. D. Ved. Enauder nel Trattato sopra la pesca delle aringhe degli Svedesi, da’ tempi più rimoti fino all’ingresso
126
del governo di Gustavo I, il quale si trova ne’ trattati dell’accademia reale di belle lettere, storia, ed antichità tom. 7 pag. 157-187, fa vedere che nel secolo di mezzo la pesca delle aringhe sulle coste della Svezia fu nelle mani delle città anseatiche, e poi degli Scozzesi, e degli Olandesi. L’autore porta varie ragioni perché l’aringa non si fa più vedere sulle coste di Schonen, ove per lo passato si trovava in sì grande quantità. Egli attribuisce un tal fenomeno all’attività. Egli attribuisce un tal fenomeno all’attività meravigliosa della pesca nel Sund, ai pescatori che vanno verso Groenland, e che hanno molto inseguito le balene, dalle quali le aringhe erano perciò perseguitate altre volte fino nel mare Baltico; alle stagioni cambiate nel mare Glaciale; al diminuito nutrimento (dell’astacus harengum) cagionato da circostanze incognite, e forse anche alla trascuratezza del modo di fare la pesca delle aringhe.
Per affumicare le aringhe vengono esse poste 24 ore di seguito in una salamoia, e poi sono infilzate per la testa con degli spiedi di legno, e portate in forni fatti espressamente per affumicarle. Quelle che sono affumicate colla paglia chiamansi Strohbüeklinge
127
(aringhe affumicate con paglia). Egli è ben possibile che la fretta necessitasse alcuni a non aspettare che l’aringhe fossero state secche, ma a gettar via la salamoia, ed a condurle a casa accomodandole ad una ad una nelle botti, spargendovi frammezzo del sale, e che in tal guisa l’insalare bianco sia stato conosciuto già prima, ed in appresso solamente migliorato nel 1397 da Guglielmo Bukelem, ovvero Benkelsen, o Benkelzoon dell’isola di Biervliet, poco distante da Schluys nella Fiandra, il quale forse insegnò di sventrare bene e presto le aringhe prima di metterle nella salamoia, e d’asciugarle poi quando dalla salamoia sono passate nelle botti, o altre cose simili. Del resto, il primo anno che gli Olandesi indicano di aver imparato il loro metodo particolare dell’insalare è il 1397. Huetiuz vescovo di Avranches, nelle sue notizie sopra il commercio dell’Olanda porta tale invenzione al 1400, ed aggiunge che le città di Brugges, e di Schluys siano stati i paese principali d’ande i Fiamminghi abbiano esportato questo ramo di commercio, che Schluvs abbia avuto in que’ tempi un bel porto, nel quale potevano ancorare più di 500 bastimenti; che questo porto sia stato
128
continuamente pieno di bastimenti di tutte le nazioni; e che per questa ragione Brugges, e Schluys abbiano superato presto in ricchezze tutti gli altri paesi dell’Europa.
I Fiammenghi erano tanto persuasi che Buckelem loro avesse insegnato questo metodo d’insalare le aringhe, che il loro celebre compatriota, l’imperatore Carlo V, portossi espressamente a Biervliet per vedere il monumento sepolcrale eretto alla di lui memoria, e per mangiarvi un’aringa.
Dopo questo metodo dell’insalare nuovamente ritrovato, o migliorato verso la fine del quattordicesimo secolo, le provincie de’ Paesi bassi ottennero piena superiorità sopra le città anseatiche. Esse esercitavano il loro commercio delle aringhe in grande, e però ne comprovano ancora la maggior quantità dagli Scozzesi, e le insalavano sulle coste di questa nazione. Ma siccome nel 1429 sotto Giacomo II le città reali della Scozia diedero quell’ordine inconsiderato, per cui ai mercanti forastieri non era permesso di comprare le aringhe da’ pescatori scozzesi nel mare, acciocché i loro concittadini ne potessero fare prima le loro provvigioni; così
129
cominciarono gli Olandesi ad applicarsi essi medesimi a questa pesca, e guadagnarono que’ milioni che fin allora erano per la compra stati pagati agli Scozzesi. Da questo tempo in poi pescarono sulle coste delle isole Scozzesi; e fino ai nostri tempi hanno anche pescato sulle coste d’Inghilterra, siccome loro era stato conceduto, unitamente ai Francesi, ed ai Brettoni dal Re Arrigo IV nel 1406 e nel 1460, e confermato in questa prerogativa da Arrigo VI. Gli Olandesi non avrebbero ora abbandonate tali privilegiate concessioni se ne avessero avuto ancora bisogno; ma presentemente preferiscono le aringhe che pescano avanti la Scozia, poiché quivi trovano questi pesci (la di cui marcia non è stata impedita) di prima mano, ed in maggiore quantità; e, come in altri pesci si è osservato, sono ancora più teneri e più eccellenti di quelli che si pescano sulle coste(1).
(1) Ved. Bock Versuch einer vollstaendigen Natur und Handlungsgeschichte der Heeringen. Koenigsberg 1769. 8. Vakm de Bomare Diction. d’hist. natur. V, p. 343-363. Pontoppidan nat. hist. von Daenemark in 4. p. 190, n. 10. Ej. Versuch einer natuerl. hist. von Norvegen tom. 2., p. 270-282. Anderson Nachrichten von Irland, Groenland ecc., p. 51-77. Encycl. oecon. tom. VIII,
130
Queste medesime osservazioni convengono ancora perfettamente al Baccalà, la di cui pesca dopo quella dell’aringa è la più importante di tutte le altre, e compone una parte principale delle ricchezze del mare del Nord.
I Gadi, secondo il sistema di Linneo, appartengono alla classe de’ pesci giugulari, cioè a quelli le di cui ale addominali si trovano attaccate al collo avanti le ali pettorali. Distinguesi tal pesce per una testa liscia e cuneiforme, per un corpo lunghetto coperto di piccole squame che facilmente cadono, e più particolarmente per le ali pettorali che sono strette, e che finiscono in un punta sottile. In quanto al numero delle ale dorsali (le quali, come le ali di dietro sono ottuse) trovasi una sensibile differenza, di modo che secondo queste, e secondo i filetti della barba (cirri), che in alcuni di questa specie si trovano, ed in altri no, si dividono in varie specie.
p. 186, artic. Harang; l’aringa fresca si chiama Harang blanc, la salata blanc salé, l’inacquata hareng nek, l’affumicata ovvero Bokling, Hareng Saul, Hareng sert, soret o enfumée l’appetit du menu peuple ovvero rouge salée.
131
Ai Gadi che hanno, oltre i filetti della barba, tra ale dorsali, due posteriori, una pettorale, una addominale, ed una caudale appartengon o il baccalà comune (gadas morhua), l’asello (gadus aeglefinus), il dorsch (gadus callarias), ed alcune altre specie.
Il baccalà comune, capellam, (gadus morhua), chiamato anche il grande Stockfisch (pesce bastone), è due, o al più quattro piedi lungo, un piede largo, un mezzo piede alto, ed in proporzione ha le squame maggiori, che gli altri pesci di questa specie, ed una mascella prominente superiore. La parte superiore del corpo ha un colore bianco rossiccio. Le ale dorsali, e la coda sono macchiate di giallo: il primo raggio dell’ala caudale per lo più è spinoso.
Il suo nutrimento consiste in varie specie di pesci, e particolarmente in aringhe, le quali sono da esso inseguite, e quindi ordinariamente dopo la pesca delle aringhe comincia quella del baccalà. Oltre delle aringhe si nutrisce ancora di stelle marine, di
132
granchi di mare, e di piccoli e grandi gamberi marini.
È cosa maravigliosa la forza digestiva del baccalà, per la quale in 6 ore sono i pesci nel suo stomaco digeriti. Sovente si è veduto, che avendo inghiottito degli aselli ch’erano restati presi ad una corda con l’amo, la quale era stata già tesa e posta per prendere gli aselli suddetti, dopo 6 ore la detta corda, essendo stata tirata fuori dell’acqua, si è trovato l’asello già digerito, e l’amo, il quale s’era incarnato prima in questo, si era poi attaccato in modo alle viscere del baccalà, che questo poté essere tirato fuori dalla corda medesima. Meno facila è riuscito di potere scoprire quanto tempo vi voglia per digerire i gamberi marini; è certo però che i gusci di essi sono veramente digeriti nello stomaco, e prima diventano rossi, come se i gamberi fossero stati cotti nell’acqua, poco dopo formano una poltiglia grossolana, e finalmente sono digeriti interamente.
Ancora più della loro forza digestiva è maravigliosa la loro fecondità. Leeuwenhoek contò nella femmina del baccalà 8384000 uova, Bradley, professore di botanica a Cambridge,
133
le ridusse ad un milione. Thomas Harmer, il quale particolarmente si diede ad esaminare la cosa colla più possibile esattezza, trovò in una baccalà che pesava presso a poco 20 libbre, 4000000 d’uova.
Il baccalà si prende nel mare del Nord, e quasi in tutt’i mari dell’Europa: la maggior parte però si pesca presso la Norvegia, sulla Doggersbank, presso l’Islanda, la nuova Scozia, la nuova Inghilterra, e presso Terranova.
Ordinariamente, e particolarmente presso la Norvegia, e l’Islanda, si pescano cogli ami, i quali sono legati ad una corda chiamata kabel, dalla quale, secondo ogni probabilità, esso ha prese nelle regioni del Nord il nome di kabeliau.
Nella Norvegia una tal corda, della lunghezza di sette in otto cento braccia, si suole fornire d’alcune centinaia di ami, in modo che sempre ad ogni braccio è attaccato un amo con una aringa, e questa corda vien lasciata giù alla profondità di 200 in 300 braccia, e si estende lungo il fondo del mare. A tal corda ve ne ha attaccata un’altra, la quale arriva alla superficie dell’acqua, ove galleggia un legno, o un barile
134
chiamato boye, il quale è assicurato a questa seconda corda, e serve per indicare il luogo ove si trova la medesima. Or quando questo apparato (che da’ navigatori del Nord è chiamato Linie, Liniekloe, cioè lenza de’ pescatori) è tirato in su, non rare volte trovasi attaccato a ciascun amo un baccalà. Più spesso ancora i pescatori fanno uso di piccole corde di 7 in 8 braccia le quali pendono dalla barca giù nella profondità del mare, e remano poi per varie direzioni, facendo attenzione a tirare subito in su la corda, alla quale il baccalà si è attaccato, ed in questo modo riempiono la loro barca di baccalà due o tre volte in una mattina. Con un amo ordinario un pescatore, presso l’Islanda, e la Norvegia, può prendere fra una mezz’ora 50 fino a 60 pesci. Attaccando all’amo un pezzo di carne calda e cruda, come il cuore di un gabbiano ucciso in quel momento, il baccalà vi morde con maggiore avidità. Intorno all’Islanda arriva questo pesce a torme sì folte, che le ale dorsali avanzano sulla superficie dell’acqua, ed allora morde anche sull’amo nudo senza che vi sta dell’esca. Quando trova però una quantità di aringhe, e particolarmente
135
quelle nate di fresco, siccome rimane ben ingrassato e nutrito di esse, così si tiene vicino al fondo del mare, e non morde volentieri all’amo. Egli è perciò che viene anche pescato con reti fatte di filaccia fina di canapè: le maglie di esse in quadrato sono grandi un dito, e 15 di queste maglie stanno l’una dopo l’altra, di modo che la larghezza importa un braccio, ma l’intera lunghezza della rete è di 20 braccia. Per un battello grande, equipaggiato con 6 uomini, ordinariamente si richiedono 24 di queste reti, di modo che per mezzo di esse si taglia una estensione di 480 braccia, ed una profondità di 50 in 70. Anche colle reti di 60 fino a 100 braccia si può riempiere ogni mattina un battello di quattro in cinque cento baccalà. Il baccalà migliore si pesca in alto mare, alla profondità di 40 in 50 braccia, ove ha il suo pieno nutrimento: quello che si trova sulle coste, e nelle cale de’ pesci, di gran lunga non è sì grasso e tenero.
Tostoché il baccalà è portato a terra, gli si taglia la testa, e si sventra; la quale occupazione nella Norvegia, e nell’Islanda appartiene ordinariamente alle donne. Poi vien riposto in una gran botte, e gli si sparge
136
sopra del sale francese. Dopo 8 giorni si apre la botte, tutto vien separato, acciocché la salamoia possa scolare, ed indi è imballato in botte con sale del Portogallo, o della Spagna, perché si conservi meglio. In tal modo vien esportato sotto il nome di Labberdan, probabilmente dal paese della Scozia Aberdaine, o Habberdan, ove gli Scozzesi lo prepararono per la prima volta in questo modo.
A Terranova i pescatori hanno eretto in terra un palco di tavole, sul quale uno fra loro, chiamato il rompicollo, riceve il baccalà: questi apre il pesce con un coltello a due tagli, e gli recide la testa. Un altro porta il pesce al tagliatore, che in faccia al primo sta sopra una tavola innalzata sullo stesso palco, e questi spacca il pesce con un forte coltello ad un taglio solo, e lungo 6 in 8 pollici; poi lo riceve l’insalatore, il quale mette il pesce in ordine ne’ barili, e li sala l’uno dopo l’altro in modo che la pelle resti di sotto. Avendo in tal guisa lasciato il pesce per 3 o 4 giorni nel sale, lo mettono poi in un tino, lo lavano bene, e facendo buon tempo lo stendono sopra un palco di graticcio alzato per 2 piedi sopra il
137
suolo, e propriamente in modo, che la pelle resti sempre di sotto. All’incominciar della notte però, e quando piove lo voltano. Essendo il pesce divenuto un poco secco, vien posto in suoli maggiori, ove resta e o 3 giorni di seguito; poi è esposto nuovamente all’aria, e voltato secondo il bisogno, prima di metterlo in suoli più alti, ove resta qualche volta 14 giorni senza toccarlo; indi è esposto un’altra volta all’aria; e quando è divenuto quasi interamente secco, è messo insieme un’altra volta finché suda, per lo che si richiedono 24 e più ore secondo la qualità del tempo. Dopo viene separato, per l’ultima volta esposto all’aria, ed essendo interamente diseccato, vien quindi portato sotto il tetto.
Sull’Islanda, e sulla Norvegia è diseccato con meno accuratezza, e senza salarlo.
Il baccalà semplicemente diseccato è quello solo che si comprende sotto il nome di stoccafisso, e forse ha ricevuto tal nome perché viene diseccato sì duro come un bastone, o perché acquista la figura di un bastone, mentre si rotola insieme, e viene diseccato rotondo; o finalmente perché viene
138
battuto prima di usarlo, affine di renderlo morbido.
Nell’Islanda, ove in generale ognuno si nutrisce particolarmente, e quasi unicamente di questo pesce, preparasi una doppia specie di stoccofisso, cioè il flackfisch (pesce spaccato) ed il hengfisch (pesce appeso).
Il nome di flackfisch viene da flacken che vuol dire scalfire, o spaccare. Subito dopo aver tagliato a questo pesce la testa, e tolti gl’intestini, si spacca nel ventre cominciando dal principio fino alla coda, strappandone via la spina dorsale, poiché altrimenti il pesce guasta sotto di essa. Poi si pone in mucchi bassi e sottili, l’uno sopra l’altro, o uno vicino all’altro, senza aggiungervi punto del sale, ed in questa posizione resta 3 o 4 settimane, secondo che il vento è asciutto, penetrante e continuo; in questo tempo il pesce comincia un poco a fermentare. Indi vien disteso, uno vicino all’altro, sopra banchi quadrati fatti delle pietre che si trovano sulla spiaggia, ed in modo che la parte della pelle resti di sopra, acciocché, cadendo la pioggia, non tocchi la carne, e vi cagioni delle macchie. Quando la stagione è asciutta, ed il vento
139
del Nord soffia con veemenza, allora il pesce può disseccarsi in 3 giorni. Subito che è bastantemente secco vien posto l’uno sopra l’altro fino all’altezza di una casa, ove scoperto vien esposto alla pioggia, ed al tempo, finché il mercante Danese, ordinariamente dopo S. Giovanni , venga a prenderlo. Questa specie è la più tenera, la più saporita, e la più ricercata.
Il hengfisch non è spaccato nel ventre, ma nel dorso, d’onde si leva la spina dorsale, e poi si fa un buco nel petto della lunghezza di un quarto di braccio. Per farlo fermentare vien posto in terra, e poi viene appeso a de’ bastoni fra quattro mura con pietre di roccia, e con quelle che si trovano sulla spiaggia. Un piccolo, e cattivo tetto fatto con tavole sottili lo assicura contro la pioggia. Quando il pesce in questa posizione è stato disseccato dal vento, viene ammucchiato egualmente come l’altro.
Per altro, v’è una differenza sensibile fra quel pesce il quale è stato disseccato sulle pietre, e quello che in mancanza delle pietre è stato disseccato solamente sulla sabbia. Il primo riesce più duro, più bianco,
140
e più sodo; e il secondo si gonfia, e di gran lunga non è di tanta durata.
La miglior prova del buon cielo d’Islanda è, che un pesce sì grosso e grasso può essere ammucchiato all’aria aperta senza il minimo sale. Il freddo, incominciando dal mese di febbraio fino a maggio, è ivi penetrante, ed i venti asciutti e secchi del Nord sono di lunga durata. Nel mese di maggio cessa la pesca dello stoccofisso, poiché non si può più maneggiarlo nel modo qui sopra descritto.
Nella Norvegia si preparano le seguenti specie di baccalà. Il Titlinger, ch’è la specie più piccola, e che vien appesa sulle corde ove si lascia asciugarlo dal vento. Il Roskiaer, ovvero Rothsehaer, da rot (coda) e skaerae (spaccare), ch’è quello spaccato per tutta la sua lunghezza, al quale si leva la spina dorsale, e che poi si disecca ciascuna metà separatamente. Di questa specie il migliore chiamasi zantfisck (pesce tenero), e per lo più è spedito ne’ paesi cattolici, ove è mangiato ne’ ricchi monasteri Il rundfisch (pesce rotondo), il quale non viene spaccato, ma, dopo averlo sventrato, vien appeso per la coda, e mentre si asciuga si avvoltola,
141
e diviene affatto rotondo, da che ha preso il suo nome. Il rundfisch può essere preparato solamente nella primavera, poiché l’aria è allora sì penetrante da potere diseccare il pesce tutto intero, mentre nella stagione più calda necessita spaccarlo, acciocché il vento lo penetri, e lo disecchi maggiormente per farlo diventare rothsehaer. Il klippfisch (pesce di scoglio), il quale si spacca come il rothsehaer, ma però non è appeso, ma disteso su gli scogli, dal che ha preso il nome. Tutte queste diverse specie generalmente sono chiamate bergerfisch, poiché la maggior quantità si esporta dalla città di Bergen, la quale esportazione monta annualmente a 12000000 di libbre e più. Ancora s’insalano molte migliaia di barili di uova di baccalà, delle quali particolarınente fanno uso i Francesi per la pesca delle sardelle. Bergen sola ne spedisce annualmente 14 in 16 grandi carichi di bastimenti a Nantes. Dal fegato grasso del Gadus callarias si trae una quantità di buon olio. Gli abitanti dell’Islanda ne preparano pure una colla di pesce (la quale dicesi differisca poco, per la bontà, dall’ittiocolla) ed il Norvegese lo disecca, vende sotto il nome di stomaco salubre a
142
e diviene affatto rotondo, da che ha preso il suo nome. Il rundfisch può essere preparato solamente nella primavera, poiché l’aria è allora sì penetrante da potere diseccare il pesce tutto intero, mentre nella stagione più calda necessita spaccarlo, acciocché il vento lo penetri, e lo disecchi maggiormente per farlo diventare rothsehaer. Il klippfisch (pesce di scoglio), il quale si spacca come il rothsehaer, ma però non è appeso, ma disteso su gli scogli, dal che ha preso il nome. Tutte queste diverse specie generalmente sono chiamate bergerfisch, poiché la maggior quantità si esporta dalla città di Bergen, la quale esportazione monta annualmente a 12000000 di libbre e più. Ancora s’insalano molte migliaia di barili di uova di baccalà, delle quali particolarınente fanno uso i Francesi per la pesca delle sardelle. Bergen sola ne spedisce annualmente 14 in 16 grandi carichi di bastimenti a Nantes. Dal fegato grasso del Gadus callarias si trae una quantità di buon olio. Gli abitanti dell’Islanda ne preparano pure una colla di pesce (la quale dicesi differisca poco, per la bontà, dall’ittiocolla) ed il Norvegese lo disecca, vende sotto il nome di stomaco salubre a quelli i quali credono, che l’effetto corrisponda al nome.
Anche per nutrire il bestiame bovino si fa uso del baccalà disseccato, cuocendolo bene coll’alga, e si dice che produca del latte, e del butirro saporito(1).
II baccalà è per la Norvegia il dono più importante della natura, del quale poi considerabilmente profitta. Bergen sola introduce annualmente 40000 barili di sale francese, e spagnuolo, il quale s’impiega per insalare il labberdan. La Norvegia potrebbe considerabilmente accrescere questo ramo di commercio, poiché nelle piazze de’ Regni dell’Europa meridionale il labberdan della Norvegia, cioè il klippfisch, e lo stoccofisso sono preferiti di gran lunga per la
(1) Ved. Gadus Morhua Linnei S. N. edit. X l. pag. 436 e Mueller Auszuge. Norimb. 1773 tom. 3 Vallm. de Bomar dict. tom. VIII. p. 165-178 Morhue, Molue, Eggedens Groenl. Berl. 63. Anderson notizie dell’Islanda p. 73-86. Pontoppidan. Versuch einer naturlichen Historie voz Norvegen. tom. 2. p. 292-299. Fabricius Reise nach Norvegen mit Bemerkungen aus der Natur-historie und Oeconomie. Amb. 1779.
143
qualità del sapore, a quello della Doggersbank, di Terranova, e di altri luoghi.
L’Olanda impiegava annualmente presso l’Islanda, e la Doggersbank, fra l’Inghilterra e ’l Jutland, 180 bastimenti, da 40 in 60 salme ognuno, per la pesca del baccalà, senza contare quello che pescavano sulle sponde del loro paese proprio, il quale si mangiava fresco senza salarlo. Secondo la relazione irrefragabile di de Wilt, questa pesca nell’Olanda solą nutriva 450000 uomini, e la pesca delle balene 12000 uomini; dunque quasi un mezzo milione in tutto(1). I Francesi colla pesca del baccalà occupavano annualmente più di 150 bastimenti da 16 fino a 24 uomini d’equipaggio l’uno, e ciascuno di essi portava in Francia 22 fino a 30000 pesci, di modo che, secondo un calcolo mediocri[s]simo, vi erano occupati 3000 uomini , ed in Francia s’introducevono 3900000 baccalà. Or ciascun pesce costava in Francia una lira; il guadagno dunque era d’altrettante lire, cioè di più di un milione di
(1) Anderson storia del commercio tom. 4 nella traduzione tedesca p. 526.
144
scudi. Inoltre 4000 pesci fanno incirca un quintale, e da 100 quintali di baccalà traevano i Francesi sei barili di grasso, dunque questi baccalà davano ancora 5850 barili di grasso, o di olio.
Oltre di questo erano ancora occupati colla pesca presso Terranova, presso Bellisle nello stretto di Davis, e fino giù al Capo Breton (ch’è il luogo principale della pesca francese nel mare del Nord), 414 bastimenti francesi, e 24520 uomini, i quali guadagnavano 1, 194000 quintali di pesce, e 68940 barili di grasso (dunque in generale 464 bastimenti, 27500 uomini, 1158750 quintali di pesci, e 74790 barili di grasso). Contando i 1149000 quintali di pesci solamente a 10 scellini per quintale, il quale era il primo prezzo a Terranova, importava la suddetta quantità 574560 lire sterline. Or 3 scellini di nolo per quintale
fino al luogo destinato 172350 id.
dunque il vero valore 746850 lire sterline
I 74790 barili di grasso, ossia
3, 16 ed un quarto salme, a
18 lire sterline l’una 56092 lire id. 10 sc.
I 3 milioni di baccalà,
de’ quali 1000 valevano
sempre 1000 lire a 11 stub.
lo ster. 178570 lire sterline
dunque 981692 lir. sterl. 10 sc.
cioè 2,337302 franchi circa
145
erano il guadagno annuale che i Francesi traevano dalla loro pesca nel mare del Nord(1).
L’America settentrionale, e l’Inghilterra impiegavano annualmente in questa pesca più di 1000 vele , e per equipaggiare questi bastimenti, per disseccare sulla spiaggia, e per imballare il pesce, 3000 persone. La prima notizia della gran pesca del baccalà intorno a Terranova si ha nel 1517, facendosi menzione di un bastimento inglese di 250 salme, che arrivò all’isola di Puerto Rico, asserendo di esservi venuto unito ad un altro bastimento per iscoprire un passaggio verso il Cathay, e che sia stato a Terranova, ove si trovavano 50 bastimenti spagnuoli, francesi e portoghesi per pescarvi. Di questo bastimento non se n’ebbe più notizia(2).
L’asello schelfiscio (gadus aeglefinus), il quale, fresco, è de’ pesci più saporiti, ne’ Paesi bassi si mangia a milioni, ma insalato e disseccato è assai inferiore al baccalà comune, e quindi non è né anche mangiato
(1) Anderson st. tom. 7. p. 351-362.
(2) Anderson st. tom. 3 p. 491.
146
come quello. Esso è ancora molto più piccolo, poiché la sua lunghezza rare volte passa un piede e mezzo. I suoi occhi sono grossi, la pupilla è nera, e circondata da un anello di colore argenteo; la pelle è egualmente di colore argenteo, il quale sul dorso finisce in un colore nericcio, sui fianchi è marcato con una linea nera e quasi diritta, e sul lato sinistro osservasi ancora una macchia bruna. Le alette hanno un colore brunastro, e le picciole squame rotonde sono attaccate alla pelle più tenacemente che nelle altre specie de’ gadi. La coda è forcuta. Il mare del Nord è pieno di questo pesce, il quale si trova fino sulle coste dell’Olanda. Il nome di schellfisch che gli si dà nelle regioni del Nord, verrà probabilmente dalle piccole squame sì fortemente attaccate, le quali da’ pescatori sono chiamate schelsen.
Il gadus callarias, dorsch, doesch, ch’è la specie minore del baccalà, ha le squame tenerissime, le quali appena si sentono al tatto, ed anzi, mangiando questo pesce cotto, neppure si sentono fra i denti. Esso si distingue dall’antecedente per la figura della coda, la quale non è forcuta, ma bensì lateralmente larga, rivolta, e macchiata. Intorno
147
agli occhi ha un anello bianco gialliccio, e pel resto è bigio, ed ha un poco del color d’oro ornato di molte macchie oscure o nere; il basso ventre è bianchiccio. La carne di questo pesce è creduta sommamente tenera e saporita, particolarmente di quella specie che si pesca nel Baltico, e precisamente avanti Travemunde presso le isole Oeland, Gothland, Bornholm, come pure presso Danzica. Nell’ultimo luogo sono conosciuti sotto il nome di pamuchel. In Islanda sono disseccati al sole, e preparati come il flackfisch (tietlings) non già pel commercio, ma per fare de’ regali a Copenhagen.
Quelle specie di gadi che hanno tre alette dorsali, e nessuna barba, sono tutti abitatori del mare del Nord, cioè il gradus virescens, il gadus merlangus, il gadus carbonarius, il gadus pollachius.
Il gadus virescens finisce colla coda forcuta come il vero asello, ed ha interamente la figura e grandezza di quello, fuori che gli manca la barba, ed è di un color verde. Esso è mangiabile, e si pesca abbondantemente nel mare del Nord.
Il merlano (gadııs merlangus) non giunge al di là della lunghezza di un piede, ed
148
ha un colore argenteo, il quale sulla schiena va perdendosi in olivastro. Esso ha la mascella superiore prominente e fornita di denti acuti, un corpo lungo, coperto di piccole squame rotonde, ed una linea diritta laterale, la quale al principio delle ale pettorali è marcata con una macchia nera. La carne di questo pesce è tenuta per molto tenera e saporita. Esso si pesca assai frequentemente presso l’Inghilterra, e l’Olanda. Però, siccome non si può prepararlo ed ascingarlo, che tanto poco come l’asello; così non è preso su i bastimenti che in mancanza di quello. La sua voracità ed avidità d’inghiottire, la quale giunge fino al segno d’inghiottire il legno ed altre parti indigeste, è stata secondata dalla natura, con un sacco di stomaco, ed una specie di gozzo, dal quale rigetta tutto quello che non è atto alla digestione.
Il corbonaio (gadus carbonarius) ha il ventre superiormente nero, e la gola e la bocca nera. Del resto somiglia moltissimo al baccalà, fuorché nella mascella inferiore ch’è maggiore della superiore. La sua lunghezza laterale è di circa 2 piedi e mezzo. Esso è magro, e di cattivo sapore, e quindi gl’Islandesi,
149
i quali hanno delle specie migliori, non lo mangiano affatto. Presso il Capo-Nord si trova in sì grande quantità, ch’essendo cacciato dalla balena spesso volte si arrena da sé stesso. Nelle cale di Sundmoer, sovente ne sono stati tirati per mezzo di un secchio tanti, quanti mai se ne sono voluti. Essi fra loro sono quasi imballati in modo che l’uno non può voltarsi per via dell’altro. Qualche volta in mezzo al mare si vedono chiusi a sciame, e compressi in guisa, che molti sono alzati in aria sopra l’acqua, talché un uomo solo, attaccando un amo ad un bastone, può in una mezz’ora trarne 60 fino a 70 di tali pesci. Stendendo le reti se ne prendono in una sola tirata più di duecento barili. A cagione della sua carne ripiena di filamenti grossi, e poco saporita, è mangiato solamente dal basso popolo, pel bene del quale n’è anche proibita l’esportazione. A Bergen il pesce maggiore non arriva a costare uno scellino di Lubeck. Dal suo gran fegato si trae al fuoco del grasso.
L’asello (gadus pollachius) si distingue dal merlano per la mascella inferiore più prominente, e per una linea laterale più piegata, come pure per le squame fine, le
150
quali sul ventre superiore sono punteggiate di colore bruno nericcio, e sul ventre inferiore di colore argenteo e bruno. Esso arriva alla lunghezza di un piede e mezzo, e pel sapore è preferito al carbonaio.
Fra i gadi con due pinne dorsali, i quali abitano il mare del Nord, contansi il merluzzo (gadus merlucius), il gadus malua, ed il gadus tau.
Il merluzzo (gadus merlucius, ovvero maris lucius) è l’onos, ossia l’asino degli antichi, chiamato così per via del suo colore bigio. Esso ha un corpo snello, ed arriva a tre piedi di lunghezza. La mascella inferiore sopravanza la superiore, ed è senza barba. Esso visita pure i mari meridionali, e quindi si trova frequentemente anche nel Mediterraneo.
Il gadus malua (leng, ovvero ling) ha ricevuto il nome tedesco leng dalla sua figura lunga. È il pesce più lungo di questa specie, e qualche volta se ne trovano della lunghezza di 7 piedi: ha la barba, e la mascella inferiore è più corta della superiore. La parte superiore del pesce è bruna, e l’inferiore giallastra, o di un bianco sporco. La sua carne è più tenera e più saporita di
151
quella del merluzzo: i Norvegesi ne preparano il loro più tenero e più costoso rundfisch, chiamato a bella posta pesce tenero, e gli Scozzesi il loro migliore klippfisch; per fare questo procedono nel modo seguente. Essi pongono sulla spiaggia grandi cassette quadrate, delle quali ciascuna contiene fino a 500 pesci: in queste dopo aver loro tagliato la tesla, sventrati, e levato la spina dorsale, li pongono l’uno sopra l’altro, spargono frammezzo del sale grosso di Spagna; e durante 8 giorni lo lasciano in questo stato. Poi lo mettono sotto un frantoio, il quale aggravano molto con pietre, ed ove resta per 10 giorni finché è compresso, ed interamente piatto. Indi lo stendono lungo la spiaggia, però in modo che le onde del mare non lo raggiungano, ed anche su i banchi di piccole pietre rotonde e dure della costa, finché pel freddo, pel vento, e pel sole è disseccato a sufficienza. Dopo ciò è accumulato ne’ magazzini, ed assicurato per mezzo di diverse specie di coperte contro il vento e l’aria, le quali lo potrebbero far muffare. Più ch’è coperto, e più che sta nell’oscuro più tempo si conserva. Nel mese di febbraio vi si pesca il migliore baccalà, e nel mese
152
di agosto la migliore malua, la quale è conciata per klippfisch.
In Islanda, dove la malua è frequente, non fornisce però un buono klippfisch, ma solamente le specie più cattive del flackfisch ed hengfisch, le quali nemmeno si conservano; e perciò non è esportato; ma serve unicamente pel consumo proprio degli abitanti.
Il gadus tau degl’Inglesi ed Olandesi è chiamato diavolo marino, a cagione della sua brutta figura, e nella Carolina, ove è trovato solamente della lunghezza di un piede, è chiamato toadfisk (tau) poiché la testa sul vertice è marcata una cartilagine stretta e lunga come un T. Nella Norvegia, ove se ne trova qualche volta della grandezza di 7 piedi e più, è chiamato Neemuek. La testa forma la parte maggiore di questo pesce; essa è larga e compressa da su in giù. La gola è larga, e di sopra e di sotto guarnita di una doppia fila di denti. La lingua grossa e larga ha sulla parte superiore egualmente de’ denti, ovvero una quantità di uncini acuti. Questo solo dentame terribile è capace di darci un’idea della sua voracità. La mascella inferiore sopravanza considerabilmente
153
la superiore, ed è guarnita d’una barba composta di molti filamenti corti della lunghezza di un dito, in forma di un mezzo circolo, i quali nell’acqua giuocano come vermi. Gli occhi guarniti di un anello giallo d’oro, sono grandi, e stanno molto fuori della testa. Il resto del corpo è piccolo e stretto, e finisce con una coda appuntata. Il dorso è d’un bigio scuro, e macchiato di nero. La parte di sotto è di un bianco sporco. Le squame sono estremamente morbide, ed appena si possono osservare ad occhio nudo. Il tau è coperto come di una bava, ed in conseguenza assai liscio. Si prende questo pesce solamente per azzardo, allora quando unito agli altri pesci va nella rete; e pure si difende qualche volta contro i pescatori, quando lo tirano fuori della rete. Del resto se ne fa poco uso(1).
Per abbreviare, accenneremo qui solamente tra gli abitatori del mare del Nord i pesci piatti (pisces plani), ovvero quelli che nuotano sopra un lato solo, cioè i pleuronetti (pleuronectes).
(1) Pontoppidan, Descrizione della Norvegia tom. I. p. 286, 87.
154
Essi hanno generalmente un corpo largo e compresso, interamente piatto, ambedue gli occhi stanno sopra un solo lato, fra i quali il superiore è sempre un poco maggiore dell’inferiore, e sopravanza alquanto sopra di esso. Non mai nuotano come gli altri pesci sul ventre, ma, a cagione della loro struttura, in una posizione obliqua, cioè sopra un fianco solo, per cui portano il nome di pleuronectes con molta ragione. Nelle varie specie di questo pesce ambedue gli occhi si trovano ora sul lato dritto, ed ora sul sinistro; ciocché ha dato occasione di dividere il genere de’ pesci piatti in due classi a misura che hanno gli occhi o sopra l’uno, o sopra l’altro lato.
Fra que’ pesci che hanno gli occhi sul lato dritto contasi il pleuronectus hippoglossus, benché qualche volta ha gli occhi sul lato sinistro. Esso facilmente si distingue dagli altri pesci piatti per la sua ala caudale in forma lunare. Nelle mascelle superiore ed inferiore ha due file di denti assai acuti, e piegati al di dentro, una lingua grande ed inflessibile, e sopra di essa, precisamente avanti le fauci, alla parte superiore della bocca, due luoghi rotondi ripieni di molti dentini
155
acuti, i quali per questa ragione paiono essere molto ruvidi. Le sue branchie sono triplici. Le sue piccole squame hanno di sopra un colore bruno di fegato, e di sotto un colore bianchiccio. Esso è il più grande fra tutt’i pesci piatti; ed essendo arrivato alla sua maggior grandezza, cuopre un intero battello grande, e la sua carne grassa, dopo averla tagliata ed insalata, riempie un barile intero, e qualche volta un barile e mezzo. Nel profondo Nord, presso la Norvegia e l’Islanda, ordinariamente suole pesare 400 libbre. Isolatamente si prendono pure fino sulle coste dell’[O]landa, ove rare volte non pesano più di 120 sino a 130 libbre. Esso ha una forza tale nella coda, che i pescatori devono badare bene perché non arrivi alla parte superiore del battello, altrimenti romperebbe con facilità la tavola superiore, anzi rovescierebbe il battello. Quando l’aquila immerge i suoi artigli nel dorso dell’hyppoglossus, questo si precipita con quella sul fondo del mare, e l’aquila non potendo più distaccarsi s’imputridisce sopra di esso. È però raro che venga alla superficie del mare, o verso la spiaggia. Per mancanza di una vescica aerea, non può né innalzarsi
156
considerabilmente, né nuotare in grandi distanze, perloché sta quasi sempre sul fondo, ove si nutrisce di aselli, di callarias, ma particolarmente de’ gambari marini, i quali strisciano lentamente sul fondo, o si attaccano fermi agli scogli, ove non possono sfuggirli sì facilmente. Questo pesce si prende su i banchi di sabbia, i quali corrono lungo la spiaggia del mare. Quivi giacciono insieme, e particolarmente essendovi una burrasca, s’incavano nella sabbia per assodarsi; operazione molto necessaria per questi cattivi nuotatori; e la natura per questo fine ha dato loro una pelle, la quale in tali circostanze estendono. La carne di questo pesce è tenera e molto saporita, ma assai indigesta a cagione della quantità di grasso che contiene. La loro carne s’insala e si dissecca. Oltre di questo si preparano da essa il raf, ed il resskel, che vengono sovente esportati ne’ paesi esteri.
Il Raf, in Islandese rafur, sono le pinne che si tagliano profondamente dal dorso col grasso più tenero, e che si salano, e poi si lasciano disseccare al vento.
Il Resskel, ossia rekling, in Islandese riklinger, sono striscie lunghe della carne più
157
grassa e tenera del detto pesce, le quali si tagliano di sopra, incominciando dalla coda verso la schiena, s’insalano, e poi si disseccano al vento. Ambedue questi articoli, precisamente i migliori vengono dalla Norvegia più rimota, da Andenas, da Tromsen, e dal Finmarken. I Francesi i quali pescavano frequentemente l’hyppoglossus presso Terranova, ne preparavano per lo passato egualmente del raf, e del rekel.
La pesca del hyppoglossus comincia doро la pesca del baccalà, e perciò i Norvegesi vanno con grandi battelli in mare, ove lasciano sul fondo il ganyvaad, cioè una quantità di corde lunghe, fornite tutte di grandi ami, alle quali attaccano dell’esca: queste si estendono sul fondo, ma verso la parte superiore concorrono in una corda principale, alla di cui fine trovasi una tavola nuotante sulla superficie dell’acqua. Con questo ganyvaad, dopo essere stato una notte nell’acqua, si può sperare di prenderne all’indomani quattro o cinque di questi pesci grandi. Se ne pescano anche con pungoli, poiché siccome vanno volontieri su i banchi di sabbia, sopra i quali passa l’acqua ancora nell’altezza di alcune braccia, si scoprono in tempo sereno
158
su questi banchi uno vicino all’altro. In questi siti dunque i pescatori lasciano sul fondo una corda, alla quale è attaccato un peso grave di piombo, sotto il quale si trova un pungolo fornito di un rampone, col quale il pescatore può trapassarlo interamente, e tirarlo sulla superficie. Per questo modo di procedere, il quale si usa particolarmente per piccole specie, cioè pel pleur: flesus, e per la sogliola pleur: solea, può un uomo in breve tempo riempiere un battello di pesci. La pesca di questo pesce dura solamente fino al tempo di s. Giovanni, poiché venuto il tempo più caldo, non può più conservarsi e disseccarsi per la soverchia grassezza.
Il Pleuronectes cynoglossus ha ricevuto questo nome, poiché il suo corpo lungo o liscio somiglia in qualche modo alle foglie di quell’erba che chiamasi cinoglossa, ossia lingua di cane. Gli occhi sono turchini, hanno de’ giri bianchi, e stanno l’uno vicino all’altro. Il lato destro del pesce, la di cui lunghezza non oltrepassa di molto quella di un piede, è di un bruno rossiccio, ed il sinistro è interamente bianco.
Il Pleuronectes platessa si distingue dagli altri pesci piatti per 6 prominenze, ossia
159
gobbe ossee sulla testa, situate dietro gli orecchi, come pure per la spina, o pungolo sull’ala dell’ano, e per la mancanza della coda. Il suo corpo tondeggiante è macchiato sul dorso di un turchiniccio bigio, o bruno e cenerognolo, e le pinne di un colore bigio oscuro, ornate di macchie e di punti rossicci: il corpo di sotto è bianco; l’ala dorsale principia immediatamente sopra gli occhi. Le squame sottili e morbide, che stanno in piccole fossette, si distaccano facilmente dal corpo, ma dalla testa non si possono levare senza qualche fatica. Il suo peso spesso arriva a 15, e fino a 16 libbre. Benché questo pesce appartenga al mare del Nord, ciò non ostante trovasi pure nel Baltico. Esso non solamente vien mangiato fresco, ma disseccato viene esportato ancora in grande quantità.
Il Pleuronectes flesus ha molta somiglianza colla platessa, eccettuato ch’è molto più piccolo, e rare volte arriva alla lunghezza di un piede. Si distingue dalla platessa per le punte acute, e di ruvido di sabbia, delle quali è coperto il lato superiore, e che verso la parte di dietro diventano spinose. La fantasia facilmente può formarsene delle croci,
160
delle stelle, de’ circoli, de’ remi ed altre figure’, e maravigliarsi de’ giuochi della natura. Il colore sulla schiena è di un bruno oscuro, misto di macchie verdi giallastre e nericcie. La parte inferiore del capo è ombreggiata di bianco e di bruno, ed è seminata di punte nere. La carne di questo pesce è saporita: esso è pescato frequentemente in tutte le acque del Nord, e parte si mangia fresco, e parte si dissecca al sole per esportarlo. Presso Amsterdam, nell’Y. rare volte se ne trovano di quelli che passano la lunghezza di un mezzo piede, i quali sono tenuti per assai delicati. Nella provincia di Friesland molti Olandesi hanno riempito le loro peschiere unicamente di questo pesce. Nella Curlandia, e nella Livonia, come pure a Danzica sono affumicati e spediti in ogni parte.
La sogliola (pleuron. solea) è più lunga e stretta, ed anche più sottile che la specie antecedente, ed ha molta somiglianza con una lingua; la mascella superiore è più lunga dell’inferiore, e per questo si distingue sufficientemente dagli altri pesci piatti. La sogliola ordinariamente arriva alla lunghezza di 2 piedi, ed a 8 pollici di larghezza; la
161
parte superiore è di un bruno oscuro, l’inferiore è bianchiccia, e coperta di una pelle assai tenace e ruvida. La carne di questo pesce è soda, e molto appetitosa, e perciò sovente è disseccata ed esportata. Esso si è dilatato moltissimo dal mare Glaciale negli altri mari d’Europa.
Di quelli pesci piatti, i quali hanno gli occhi sulla parte sinistra, appartengono al mare dal Nord il rhombus laevis, ľasper maximus, e il pleur: passer.
Il rombo (pleuron: rhombus laevis), anche chiamato pesce quadrato, o il romboide, a cagione della figura del suo largo corpo, ha la pelle liscia senza alcuna spina, il dorso bruno, i fianchi macchiati di giallo e bruno, ed il ventre bianco.
Il Pleur asper maximus, ha una figura cilindrica, ovvero somigliante ad un uovo; sul dorso è fornito di piccole gobbe le quali finiscono in un pungolo ottuso; il dorso è macchiato di un bruno e d’un bianco giallastro, e verso la parte inferiore del corpo è segnato di bruno con macchie bianche. Se ne trovano della lunghezza di 8 in 10 piedi intorno agli scogli, e ne’ siti pietrosi, ove volontieri si trattiene. La carne sua è di un
162
sapore particolare; si pesca frequentemente sulle coste dell’Olanda, dell’Inghilterra, della Norvegia.
Il passerino (pleuron: passer) riguardo alla figura, ed alla grandezza somiglia moltissimo al proprio flesus, dal quale si distingue unicamente per la linea laterale spinosa; la parte superiore del corpo è bruna macchiata di giallo, e l’inferiore è bianca.
Dobbiamo ancora accennare qui lo scombro comune (scomber scombrus). Esso è contato fra i thoracicis perché le sue ale addominali sono situate propriamente sotto il petto. Il carattere generale dell’intera specie è una testa liscia compressa su ambedue i lati, e con 7 raggi nella membrana branchiostea, il corpo per lo più coperto di molte piccole squame, e la coda ornata di ale spurie. Oltre di questo hanno tutti otto ale vere, delle quali due sono ventrali, due pettorali, e due dorsali, ed hanno i denti assai acuti.
La differenza generica dello scombro comune dall’altro può consistere nelle 5 piccole ali spurie, le quali stanno isolatamente alla fine del dorso.
163
La testa dello scombro è lunga, e finisce in una punta ottusa; il suo corpo è disteso ed affilato; la parte superiore è nera, l’inferiore di un colore argenteo, ed è coperto di piccole squame morbide e sottili. L’ala caudale è forcuta, ed è un poco più oscura delle altre ale, il di cui colore consiste in un bigio chiaro. La pelle, ornata di alcune striscie turchiniccie e verdiccie, luccica nell’oscuro come la pelle delle aringhe, colle quali gli scombri hanno generalmente molto di comune, eccettuato ch’essi arrivano alla lunghezza di 2 piedi, e che sono di una voracità tale da attaccare ed uccidere fin gli uomini che si bagnano.
La carne è tenera come quella dell’aringa, e piacevole a quelli che amano il grasso de’ pesci; però è generalmente riguardata come un poco nauseosa e grave per la digestione.
Lo scombro è uno de’ pesci viaggiatori: passa sempre l’inverno sotto il ghiaccio, verso la primavera visita l’Islanda, le isole della Scozia, la Scozia stessa, e l’Irlanda; una parte s’inoltra nel mare della Spagna, e passando il Portogallo e la Spagna, entra nel Mediterraneo. Assai presto intraprende il suo
164
ritorno: nel mese di aprile si trova sulle coste della Francia, nel maggio nella Manica, nel giugno presso l’Olanda, e la Frisia, nel luglio sulle coste di Juetland, dalla quale girando intorno alla punta settentrionale, se ne dirige uno sciame considerabile nel Ballico, e il resto passa presso la Norvegia nel mare Glaciale. Esso è assai fuggitivo, e passa in grandi sciami da una cala all’altra, caccia via le aringhe, ed è per questa ragione non troppo ben veduto da’ pescatori. Intorno alla Norvegia si pescano abbondantemente gli scombri con ami, e con reti, ed insalandolo poi viene esportato ne’ paesi esteri. Gli Islandesi non si prendono la minima cura a pescarlo, poiché non lo mangiano.
Il mare Glaciale è quasi il domicilio ed il soggiorno di tutt’i pesci. Quivi possono essi propagarsi senza alcun disturbo, e senza persecuzioni, poiché i loro nemici più pericolosi, le balene, le foche ecc., non osano di passare molto sotto quelle numerose ed immense volte di ghiaccio, ove per mancanza dell’aria fresca si soffogherebbero. Quindi i pesci sotto il polo artico sono i più abbondanti, ed i più grassi. La Norvegia, l’Islanda, la Groenlandia, il Labrador, Terranova,
165
l’America settentrionale, le isole delle Volpi, il Kamtschatka, e l’Asia settentrionale ne hanno una sì grande abbondanza che non solamente si nutriscono d’essi, ma benanche si procurano per mezzo di essi tutti gli altri bisogni; e fino in que’ siti ove potrebbero, coltivare il terreno, come al Capo Breton, preferiscono la pesca come più vantaggiosa, ed abbandonano la coltivazione de’ campi. Le balene, e le foche tengono questi pesci come assediati sotto il ghiaccio, e subito ch’essi, spinti dall’impulso di fregarsi, ne sortono per dirigersi verso il grande Oceano, quelle cadono loro addosso affamate, e li cacciano a sciami nelle reti stese dagli uomini.
Non conviene di accennare gli altri abitatori del mare del Nord, quantità degli oggetti ancora da contemplarsi ci limita alle specie più importanti delle creature del mare settentrionale, e per la stessa ragione trascuriamo la quantità de’ mostri favolosi e dubbiosi di questo mare medesimo contentandoci di parlare d’un solo.
Fra i mostri favolosi conto il Kraken (microcosmus aspidochelone), il quale, secondo Pontoppidan, deve essere un polipo mostruoso
166
della lunghezza di un quarto d’un miglio geografico, e di una grossezza a ciò proporzionata, in modo che mettendo fuori dell’acqua 30 piedi dell’altezza del suo corpo, non è stata visibile che la decima parte di esso. Egli innalza le sue braccia eguali agli alberi de’ vascelli, ed il più piccolo di questi animali può tirare sul fondo il più grande vascello. Sopra di lui trovasi sempre una quantità enorme di pesci, i quali sono pericolosi di pescarli alloraquando esso subitaneamente s’innalza o si abbassa, poiché coll’innalzarsi rovescierebbe il vascello, e coll’abbassarsi lo trarrebbe al fondo come un vortice. Siccome non è stato veduto alcuno di essi Microcosmi né morto, né vivo, né giovane, né vecchio, e né anche una parte a lui appartenente; così è chiaro, che si abbia dovuto riguardare come bestie l’alga, gli alberi, ed altre cose simili cacciate insieme dal vento, e dalle onde. Qualche volta una balena di straordinaria grandezza aumentando la paura può aver dato occasione a credere questo. Tutte le deposizioni giudiziarie sopra di esso sono poco istruttive, e senza forza di argomento. Di più sopra questo proposito troviamo detto nella descrizione della Norvegia
167
di Pontoppidan, tom. 2 cap. VIII. p. 394-409, ed in un estratto della medesima che si trova nelle neue Mannigfaltigkeiten, annata 3 p. 817-823. Ma anche secondo tutto quello che dicono Pennant del Polipo gigantesco, articolo Zoologia vol. IV. tav. 28 fig. 44. L. A. G. Bosc. Histoire naturelle des vers. tav. I. p. 36, ed avanti di tutti Monfort parlando nella storia naturale delle Mollusche, come continuazione della storia naturale di Buffon del Polipo Krake (Amburgo 1803 vol. 2 pag. 71, e particolarmente p. 153 ecc.), l’esistenza di queste mostruose creature del mare resta assai dubbiosa.
Linneo nella sua classificazione mette i polipi ordinari avanti i calamai. Lamark li tolse, e ne fece un genere particolare(1). I contrassegni caratteristici hanno giustificata la sua separazione, e l’osservazione l’ha confermata. I segni caratteristici de’ polipi sono un corpo rotondo rinchiuso in un sacco, o in una guaina, senza alcun’ala; niun osso calcare o cretoso, né alcuna piastra cornea; ed
(1) Ved. Mémoires de la Societé d’hist. natur. de Paris an 7. p. 13, et system. des animaux sans vertebres p. 60 genre 3.
168
otto braccia, non sempre della medesima forma, situate intorno alla parte superiore della testa, ed intorno alla bocca. Sulle coste della Francia, particolarmente della Normandia, si trovano polipi, le di cui braccia estese importano 10 piedi di lunghezza. Il corpo suole in allora avere un piede e mezzo di lunghezza, ed in generale la grossezza di una zucca. Non vi è cosa tanto pieghevole quanto queste braccia, le quali si rotolano da tutt’i lati, e si rilasciano; e nulla è tanto terribile quanto il loro attacco. Queste braccia sono fornite di due file di pori assorbenti, ossia coppetti, il di cui numero cresce cogli anni dell’animale, e monta in alcune specie fino a mille. «Il semplice toccare uno di questi coppetti, dice Diquemarre nel Journal de Physique an 1788 tom. 2 p. 372, è sufficiente per arrestare tutto. Il medesimo effetto ha pure luogo anche dopo la morte del polipo. Un membro interamente distaccato dal corpo mi si attorceva una volta intorno al braccio in modo, che vi nacquero delle macchie bianche e rosse. Un altro polipo già ferito mi scappava solto uno scoglio, ove si tenne sì fermo, che molto tempo dubitai di poterlo distaccare, e finalmente vi riuscii colla massima pena». Questo animale,
169
finché ha ancora un respiro di vita, non lascia mai la sua preda, della quale incessantemente va in traccia. A cagione della sua cupidigia intensa di rubare può essere chiamato la tigre dell’acqua. Esso uccide come quella, e più di quanto può servire per suo nutrimento; egli beve il sangue e le parti fluide, e disprezza la carne. Il polipo pare che ami particolarmente le coste del mare, ed invece di nuotare in qua ed in là, si sceglie un domicilio stabile, ed ordinariamente nelle concavità inferiori degli scogli. La femmina non abbandona quasi mai questo domicilio; il maschio più audace e vivo gira intorno alla sua propria abitazione, ed afferra tutto ciò che incontra. Esso nuota cogli occhi voltati in su, e, colle braccia estese divergentemente; si precipita avanti, e dirige il suo cammino per mezzo di quella pelle che unisce le braccia alla base. Il suo aspetto nell’acqua è terribile, e la sua vicinanza per qualunque nuotatore spaventosa. Esso non solamente uccide nel mare, ma monta pure qualche volta sulle coste (e ciò quando esse sono fangose, non visitando mai le sabbiose), e sugli scogli che in tempo di riflusso restano a secco, e particolarmente
170
di notte. Non incontrando degli animali per mangiarli, per mezzo delle sue braccia pieghevoli si rampica sugli alberi, e li spoglia de’ loro frutti. In terra però fugge l’aspetto dell’uomo. – Belli dipinti dimostrativi di esso si trovano sulla 23. 24 e 25 tavola nel 2 vol. delle Mollusche di Montfort, dal quale è stato tratto il qui accennato, il quale Montfort distingue ancora da questi comuni polipi acquatici il polipo gigantesco, ed il polipo Krake come specie affatto particolari. Il guardingo naturalista Blumenbach però crede che il polipo comune (sepia octopedia) in alcune regioni, particolarmente nelle Indie orientali, e nel seno Messicano, si trovi di una grandezza mostruosa, tale da poter rovesciare i battelli, e che le braccia isolatamente strappate a questi polipi, abbiano avuto una estensione di 30 piedi. Anche queste ultime determinazioni (nelle quali moderava moltissimo ciò che ne dice Pennant, il quale al corpo del polipo marino dà 2 tese di larghezza al centro, ed alle braccia 9 tese di lunghezza), il suddetto Blumenbach le ha tolte via della nuova edizione del suo manuale di storia naturale pubblicato nel 1799, dicendo solamente, pag. 424,
171
«I polipi si trovano nelle Indie orientali, e nel seno Messicano di una grandezza straordinaria».
Quello che dice Monfort per giustificare la sua opinione riguardo ai polipi giganteschi, ed a’ polipi Krake, merita essere qui accennato, poiché la sua opera non è conosciuta dal pubblico come essa lo merita. Montfort accenna prima i passi degli antichi, i quali fanno menzione di un tale polipo gigantesco. Plinio, hist. nat. IX. c. 30, narra che dal Proconsole Luc. Lucullo siasi portata la testa di un polipo ucciso presso Carteja, città nella Spagna (nell’odierna Granada), la quale era grande ancora come una botte di 15 anfore, ed il resto (forse le mascelle) pesava ancora 700 libbre. Le sue braccia (Prinio le chiama fili di barba) erano lunghe 30 piedi, e sì grosse che un uomo grande non le poteva abbracciare. I coppetti erano grandi come un vaso (misura che conteneva alcuni boccali). Fulgoso narra la medesima storia, ma varia in modo da far credere, che egli l’abbia attinta da un’altra sorgente. Aeliano, 13 lib. nel 6 capit. narra egualmente di un mostruoso polipo ucciso a Pozzuolo. Aldrovandi, de Molluscis p. 7 c. 2,
172
assicura che vi siano polipi di una forza tale da potere stare a petto ad un leone. Johnston, de Exanguibus aquaticis, lib. I tit. 2 cap. 1, non osa di opporsi a tutto questo, ed anche Gessner passovvi sopra.
Come prova moderna per l’apparizione di questi mostri porta Montfort prima un quadro di devozione, il quale si trova S. Malò nella Cappella di S. Tommaso, che in que’ contorni è venerato da’ marinai come protettore. Questo quadro rappresenta l’estrema angustia di un vascello di S. Malò sulla costa di Angola, ove esercitava il traffico degli schiavi. Il vascello avea finito i suoi affari, e però l’equipaggio fu imbarcato, ed il capitano levò l’ancora per far vela verso le isole americane, alloraquando tutt’ad un tratto, ed in tempo di calma, al chiaro del giorno s’innalzò da’ flutti un mostro marino di una grandezza terribile, il quale gettò le sue braccia sopra il vascello, ove poi si attaccò, e con queste braccia estremamente lunghe e piegheveli attortigliò due capi, e due alberi fino alla punta, e tirò il vascello per mezzo del suo peso sterminato interamente sopra un lato solo, e già minacciava di tirarlo nel precipizio, allorché colla massima fatica dell’intero
173
equipaggio, sotto i voti più sacri indirizzati al santo, loro riuscì di tagliare le braccia di questo enorme mollusco. – Appena l’equipaggio ritornò a S. Malò adempì rigorosamente al voto fatto nelle angustie, e tralasciati gli abbracci degli amici, e de’ figli, legato il vascello sulla sponda, andarono questi marinai scalzi e mezzo nudi in processione alla Cappella del Santo, onde ringraziarlo per la protezione distinta da lui ricevuta: in appresso fecero dipingere tutto l’avvenimento, e l’attaccarono per memoria nella Cappella del Santo. «Siccome la cosa stessa è indubitata, dice Montfort, così questo quadro può servire di confermazione». Volesse Iddio che i naturalisti fossero sì felici da poter avvalorare con 50 testimoni tutto quello che dicono nelle loro opere! Questo avvenimento in fatti deciberebbe la cosa, se Montfort avesse indicato l’anno nel quale questo fatto è accaduto, o il nome del vascello, o del capitano che lo condusse, o se volesse ancora indicarlo; per lo che l’invoco anche io da parte mia. Grandprè, autore di un viaggio nell’America, è citato come testimonio per la verità di tal avvenimento come in generale per l’esistenza di siffatti
174
polipi. Secondo questi, i Negri della costa affricana temono assai questo polipo, perché spesso attortiglia le sue braccia intorno alle loro Jole, o Piroghe, e le tira seco fondo.
Il capitano di vascello Giov. Magnus Dens, uomo stimabile e probo, dopo aver fatto molti viaggi nella China per la compagnia di Gothenburg, si mise in riposo a Dunkerke, ove essendo arrivato ad una età considerabile, morì. Questi raccontò a Montfort, che trovandosi egli sotto il 10° di latitudine meridionale, poco distante dalla costa affricana, fra l’isola di S. Elena ed il capo Negro, ove una calma gli necessitò di fermarsi, volle profittare del tempo per nettare il suo vascello al di dentro ed al di fuori, e per questo fine lasciò in giù sui lati del vascello alcune tavole, per raschiarlo e polirlo coi ferri triangolati. Tutt’ ad un tratto, dice, s’innalzò un Encornet, ossia Amkertroll, come i Danesi lo chiamano, gettò il suo braccio intorno a due marinai, che tirò seco in mare con tutto il ponte sul quale lavoravano; e nell’istesso tempo avvolse un secondo braccio intorno ad un uomo, il quale in quel momento mise il piede sulle prime gradine
175
delle corde dell’albero per montarvi. Siccome il braccio dell’animale afferrò nell’istesso tempo anche le corde forti dell’albero, e s’impicciò nelle corde che le traversano; così l’animale non poté strappar via il marinaio, ma l’acciaccò in modo che questi gridò terribilmente. Alcuni marinari si armarono di ramponi, e li gettarono nel corpo dell’animale, ove entrarono profondamente, ed altri coi coltelli, e colle acette tagliarono il braccio che afferrò l’infelice. Ciò non ostante quest’uomo, al quale lo spavento avea tolto l’intendimento, morì il giorno seguente. Mutilato, e ferito da 5 ramponi si affondò lo spaventoso polipo nel mare col suo doppio bottino. Il capitano Dens non disperava ancora di riacquistare i due marinari, e quindi lasciò scorrere le corde ove i ramponi erano stati attaccati, delle quali una ne tenne egli medesimo, e cedette a misura che il polipo tirava. Alloraquando la corda era quasi interamente immersa nell’acqua, ordinò il capitano di tirarla in su, ciocché riuscì diffatti in principio, perché il polipo si lasciò tirare in alto dall’equipaggio per fino a 50 braccia, dopo di che si abbassò di nuovo, forzando i marinai di lasciar correre
176
nuovamente la corda. Allora ebbero la precauzicue di legare le corde in fine; ma quattro, essendo interamente scorse, si strapparono ed il rampone della quinta si distaccò dalla carne dell’animale, per il che il vascello ricevette una scossa assai sensibile.
Quella parte del braccio tagliato dal capo dell’animale, e che restò negli trammezzi della corda dell’albero, avea nella base la grossezza di un’antenna dell’albero di trinchetto, terminava in una punta sottile, ed era fornito di coppetti della grossezza di un cucchiaione. Questo tronco di braccio era ancora 25 piedi lungo, sebbene non era stato tagliato alla base, poiché il mostro non era sortito fuori dell’acqua colla testa. Il capitano stimò l’intera lunghezza del braccio a 35 fino a 40 piedi. Questo avvenimento lo crede egli uno fra i maggiori pericoli di mare. L’equipaggio ne fu spaventato in modo che appena osarono di dormire durante la calma di 5 giorni. La fuga del polipo non fu tanto rapida quanto quella della balena; esso si affondò come una massa di piombo, senza tirare, e senza urlare, ma unicamente per il suo proprio peso.
177
Rincresce di osservare anche in questa narrazione, che il capitano Dens non ha fatto mai inserire questo avvenimento in qualche giornale; poiché questo fatto lo meriterebbe più che molte descrizioni di viaggi; ed oltre di ciò Montfort non ha notato l’anno di questo accidente, e quindi tutte le ricerche intorno al suddetto sono quasi impossibili. Pezzi di braccia di questa specie di polipi diverse volte si sono trovati nella bocca del physeter macrocephalus. Svediaur Journal de physique vol. II. 1784 p. 284 riferisce che nel 1783 gli abbia raccontato un capitano della pesca della balena, uomo intelligente e probo, il quale si era occupato ancora nella pesca inglese del sud (South fishery), che il suo equipaggio, circa dieci anni indietro, abbia trovato nella bocca del macrocefalo un braccio di un polipo della lunghezza di 27 piedi, e della grossezza di un albero di bastimento. Un capitano americano, Ben Johnson, ha raccontato a Montfort di aver trovato egli stesso un braccio di un polipo nella bocca del macrocefalo, mutilato su ambedue l’estremità, e della lunghezza di 35 piedi, con de’ coppetti della grandezza di un cappello. Un altro
178
capitano gli assicurò di aver trovato nella bocca d’un macrocefalo un lungo corpo carnoso, il quale in principio si tenne per un serpente di mare, ma poco dopo si riconobbe essere un braccio mutilato di un polipo: alla parte grossa del braccio i coppetti erano grandi come un piatto, e la parte sottile era aguzzata; la base avea 2 piedi e mezzo di diametro, o 7 piedi e mezzo di periferia; la lunghezza era di 45 piedi, ed il peso di 1000 libbre. Alcuni marinai ne tagliarono de’ pezzi, ed a forza di batterli, e di lavarli nell’acqua marina ne prepararono un cibo discreto, il quale dopo alcuni giorni diventò sempre più gustoso, in modo che lo preferirono molto alla carne salata. Molti capitani di vascelli della Norvegia protestarono in presenza di Montfort, che conoscevano que’ grandi polipi non solamente per averlo inteso dire, ma ancora per propria esperienza. Uno di essi, chiamato Anderson, sostenne di aver trovato ne’ contorni di Bergen su gli scogli due braccia di polipo, unite ancora fra loro per mezzo della membrana del corpo, delle quali ciascuna avea la lunghezza di 25 piedi. Anderson aggiunse ancora, che per qualche giorno di seguito erano state il
179
giuoco delle onde, e che non sia cosa rara d’incontrare tali avanzi di grandi polipi, che vivono sul fondo del mare. I frequenti naufragi che accadono in tempo di piena calma, e nella massima quiete del vascello, una cagione visibile, colla velocità del fulmine, e sempre nelle acque profonde, crede Montfort potersi attribuire a questi mostri marini.
Alloraquando gl’Inglesi ebbero preso il vascello la Ville de Paris unito a cinque altri, gli equipaggiarono tutti con 2000 uomini, destinandoli per il servigio ulteriore. La flotta inglese fece vela per andar innanzi, lasciando ancora indietro due vascelli per invigilare su queste sei prese. Nella notte seguente al combattimento la Ville de Paris tirò de’ colpi di cannone per chiedere soccorso, e per segno dell’estremo pericolo accese de’ grandi fuochi. Gli altri vascelli si avvicinarono colla massima sollecitudine per aiutarlo, ma furono anch’essi inviluppati nella sua disgrazia, e tutt’i dieci vascelli colarono a fondo. Il cavaliere Inglefields, il quale in appresso rese pubblico questo avvenimento, comandava uno di questi vascelli, comandava uno di questi vascelli. Per una fortuna incomprensibile venne
180
egli unitamente a 14 marinai sulla superficie dell’acqua, e per mezzo di un batello, e de’ remi nuotanti d’intorno si salvarono. Dopo aver sofferti infiniti disastri furono gettati sopra un’isola deserta, ove morirono tutti l’uno dopo l’altro, eccettuato Inglefields, ed un ragazzo marinaio. Questi approdarono sulla costa della Spagna americana, ove si prestò tutto l’aiuto possibile a questi infelici, inviandoli poi ambidue in Inghilterra.
Se questo accidente fosse stato cagionato da un qualche errore immaginabile, o da una falsa manovra, allora avrebbe toccato solamente l’uno o l’altro vascello; ma tutti s’affondarono in un momento. Una tromba marina non ne fu né anche la cagione, giacché come avrebbe potuto sfuggire la disgrazia il battello co’ marinai? ed Inglefields ne avrebbe dovuto sapere qualche cosa. Come vi avrebbe potuto regnare quella calma la quale fece sentire la voce di ciascun uomo? Anche un vortice di acqua, che non esiste in que’ contorni, non avrebbe sepolto tutt’i 10 vascelli, e nel caso, come poté sfuggirlo quel piccolo battello? Ora possiamo domandare, in qual modo dunque i polipi giganteschi
181
s’impadronirono di questi 10 vascelli? non è un vascello solo un carico sufficiente per uno di questi animali? Sarebbe possibile che 10 di questi mostri potessero vivere sul medesimo luogo? Ovvero è questo il polipo maggiore, e più potente che noi ci possiamo figurare? Ha egli coll’innalzarsi alla superficie del mare rovesciato i vascelli, o li avrebbe tratti nell’abisso cagionando de’ vortici col discendere?
Del polipo Krake, che Montfort distingue ancora dal polipo gigantesco, non può lo stesso Montfort farne altra descrizione, poiché non è mai stato veduto fuori dell’acqua; ed anche volendo non potrà definirlo diversamente da quello, che abbiamo accennato qui sopra secondo Pontoppidan, il quale è sempre lo scrittore principale riguardo a questo soggetto. Oltre di ciò ha il Montfort ancora raccolto, e confrontato tra esse le notizie degli scrittori antichi e de’ moderni, e mentre riporta ciò che Plinio, Appiano, Redi, Bartholin, Pontoppidan, Gesner, Valmont de Bomare, Bosc, Lchernaye de Bois, Wormius, Augusto de Bergen, nov. act. curios. vol. II. obs. 38. p. 143, Olaus Magnus, Linneo il quale lo
182
chiama anche belva marina (omnium vastissima), ed altri autori degni di fede, i quali hanno parlato per confermare l’esistenza del krake, ha levato questo animale dalla serie de’ favolosi, e l’ha posto nella classe de’ dubbiosi. Quando non terremo più per onore il porre precipitosamente limiti alle produzioni della natura, e di negare tutto quello che urta contro l’opinione pubblica, allora, coll’andare del tempo, una maggior precisione, ed uno spirito più penetrante ci istruiranno forse sopra l’esistenza di questi animali, il di cui domicilio è posto particolarmente nelle regioni de’ mari polari.
Fra i mostri assai dubbiosi conto il serpe marino, ossia verme marino, del quale si trovano più notizie che del krake, ma altrettanto contraddittore. Egede(1) descrive questo mostruoso animale marittimo dicendo, che innalzando il capo l’abbia, quando è disteso, molto più alto del più grand’albero del vascello, che abbia un muso lungo ed acuto, che soffi come la balena, e che minacci
(1) Nelle relazioni continuate riguardo le missioni di Groenland. p. 6, e nuova perlustrazione dell’antica Groenland. p. 48.
183
con grandi e larghe zampe; che il tronco (della circonferenza di un vascello) sia coperto di una crosta dura, che la pelle sia raggrinzata e disuguale, che la parte inferiore (che il mostro innalzò per precipitarsi sul fondo) sia formata come quella di una serpe ecc. – Tutte le notizie che Pontoppidan poté raccogliere nulla dicono delle fistole sulla testa, per le quali getta l’acqua, né delle zampe, ma descrivono tutto il corpo dell’animale come simile ad una serpe, però in modo che la lunghezza di esso giunga a 300 aune, ossia a 600 piedi, e che la grossezza del tronco sia eguale a quella di 6 barili. La fronte è da alcuni indicata come sufficientemente alta e larga, ed il becco chi lo dice acuto, e chi largo e quadrato, è come il muso delle vacche, e de’ cavalli, fornito di grandi narici, dalle quali spuntano in fuori rigidi capelli; gli occhi sono dipinti come larghi e turchini, eguali ad un paio di piatti lustri di stagno; il colore del corpo dicesi di un bruno oscuro, picchiettato però e misto di fiamme chiare, o di macchie risaltanti come quelle delle testuggini, ovvero come una tavola
184
inverniciata(1). La paura ha sicuramente ingrandito molto le cose, e forse è questo quadro composto di vari avvenimenti. Lo storione suole ordinariamente marciare l’uno dietro l’altro, e ciò in modo che l’uno morde sempre la coda dell’altro, e forse una tale catena di storioni ha dato occasione al racconto dello smisurato serpe marino.
(1) Pontopiddan, Versuch einer naturl. Historie von Norvegen, tom. 2, p. 368-394, 4, ed un estratto di tal opera nelle neueste Mannigfaltigkeiten, 2 anno, p. 353-359.