(1) Per la descrizione di questo mare è uscita un’opera importante intitolata: The British Mariners Directory and Guide to the trade and navigation of the Indian and China Scas. Containing Instructions for Navigating from Europe to India and China, and from Port to Port in Those regions, and parts adjacent With an Account of the Trade mercantils habits, manners and customs of the natives By. H. M. Elmore many years a Commender in the nouctry service in India, and late Commender of the Varuna. Extra East Indiaman. Lond. 1802. 4. Questo libro è pieno d’interessanti notizie geografiche, di storia naturale, di commercio e di statistica, stimabili pel valore e per la novità. Per ciascun sito sono indicati la situazione, la veduta, la profondità dell’acqua, i pericoli, e le regole di precauzione.
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Secondo il celebre Buache, il quale da fisico ha esaminato questo mare, e le sue coste, è diviso questo Oceano dal grande mare del Sud da una catena di montagne che si
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estende sott’acqua. Questa catena comincia presso l’isola Madagascar, e continua fino a Sumatra, siccome si vede dagli scogli e bassi fondi lungo la direzione di questa costa. Quel mare ch’è situato fra questa lunga estensione d’isole, e la costa meridionale dell’Asia, pare averlo la natura diviso in tre grandi bacili di limiti assai distinti.
Il primo bacile è confinato dall’Africa orientale, dall’Arabia, dalla Persia, e dalla costa di Malabar; e verso il mezzo giorno è rinchiuso da quella catena d’isole, la quale dal promontorio Comorin, e dalle isole Maledive si estende fino a Madagascar. Da questo bacile il mare si estende mollo dentro terra, e forma due grandi braccia conosciute sotto il nome di seno Persico, e di mar Rosso.
Il secondo bacile è il seno di Bengala, ed esso è confinato da una catena che da Ceylan corre fino a Sumatra.
Il terzo è quel grande gruppo d’isole, che abbraccia quelle della Sonda, delle Molucche, e delle Filippine. Questo gruppo d’isole possiamo riguardarlo come una muraglia di rocce che unisce l’Asia colle isole
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del sud, e che all’Asia serve di diga contro l’urto del mar Pacifico.
Fra questo mare Pacifico, ed il gran gruppo d’isole potremo stabilire ancora quarto bacile, poiché verso l’oriente scopresi una nuova catena sotto il mare, la quale dalle Mariane, ovvero Ladroni, si estende in su fino alle isole del Giappone.
De’ bacili particolari di questo mare delle Indie come di questo Oceano in generale, che fra gli Oceani grandi è il più piccolo, ma nulladimeno di grande importanza, non sarà fuori di proposito il farne qui menzione particolare.
Il primo bacile dunque contiene due grandi seni, cioè quello del mar Rosso, o quello del seno Persico, dai quali, fin da tempi immemorabili si è navigato lungo le coste di questo mare, trasportando i tesori delle Indie a Babilonia, ed a Palmira, come ad Arsinoe, ed a Pelusia, ed in appresso ad Alessandria, ed indi in Europa.
Il mar Rosso, la di cui lunghezza da Babel Mandeb fino a Suez arriva a 300 miglia geografiche, e la larghezza fra Mecia e Sana a 40 miglia, e che cominciando da Gardafui, e dall’isola Socotora forma una
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estensione di 3400 miglia geografiche quadrate, appartiene totalmente al mare delle Indie, poiché non riceve quasi alcun fiume, e prende d’altronde moltissima parte del movimento dell’Oceano. Basta che osserviamo con attenzione la posizione della costa marittima, sopra e sotto l’apertura di Babel Mandeb, e facilmente ci persuaderemo che questo mare è una conquista dell’Oceano, che quivi produsse una rottura, violenta. Così, secondo tutte le osservazioni fatte, la costa dell’Arabia si estende dal promontorio Rozalgat fino al promontorio Farlak nella medesima direzione, come la costa dell’Africa da Guardafui fino al promontorio Sands; e gli strati del suolo, tanto sopra l’una, quanto sopra l’altra sponda, seguonsi tra loro nello stesso ordine. La medesima cosa osserveremo, esaminando la sponda su ambidue i lati fino a Kassoir, e Tor. Presso Tor, sotto il 28° di latitudine, il mare si divide nuovamente in due seni lunghi. Il seno occidentale, per lo passato chiamato Heroopolites Sinus, è presentemente conosciuto sotto il nome di Bahr Assuez, ovvero Korfum, sul confine dell’Egitto. Esso ha preso il nome della città poco distante, per
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l’addietro nominata Heroopolis ora Suez (Sues), e Kastam. Nella Biblia, parlando del mar Rosso, comprendesi propriamente questa parte del Nord ovest del seno Arabico, altre volte chiamato anche il mare delle canne(1). Esso non solamente ci fa rammentare una cosa rimarchevole, cioè la produzione della canna di Bambù, ma ben anche ci prova la poca profondità dell’acqua di questo braccio di mare, e ci schiarisce la storia del passaggio degl’Israeliti, come egualmente la rovina degli Egizi, ed il loro spavento quando furono sopraggiunti dalla rapidità del flusso di mare.
In nessun mare Mediterraneo il flusso e riflusso è tanto considerevole quanto nel mar Rosso, il che avviene 1. per essere un semplice braccio dell’Oceano, 2. per avere la sua apertura direttamente all’Oriente, e che dall’equatore si estende verso il Nord ovest; e 3. perché nessuna corrente si oppone al suo movimento, come più o meno accade negli altri seni di mare. Il seno orientale era nominato per l’addietro Aelanites Sinus,
(1) 2. Mosè 10. 19. 23. 28. Salm. 106. 7. 9.
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è presentemente conosciuto sotto il nome di Bahr Elakaba. Questo seno si divide nuovamente in due seni minori, fra i quali l’occidentale è propriamente il seno elanitico, e l’orientale è quello che conosciamo solto il nome di seno di Eziongabar: però ambedue i seni non differiscono molto nella loro lunghezza, e Strabone dà a quello di Eziongabar la lunghezza di 500 stadi, circa 12 miglia geografiche.
È molto difficile di navigare sul mar Rosso, poiché le montagne dell’Arabia giacendo molto dentro terra, i venti di Sud Ovest gettano fra gli scogli una quantità di sabbia, e formano molle isole sulla parte dell’Arabia, che maggiormente sono riunite nell’estate dal vento Nord Ovest; e per ciò la sponda Araba ha poca profondità di acqua, e la sponda egiziana al contrario è più profonda, mentre quivi le montagne rapide dell’Egitto e dell’Abissinia, le quali, simili a quelle dell’Arabia, consistono in porfido, granito, alabastro, e basalto, giacciono in poca distanza dalla costa, e rendono le sponde occidentali di questo mare assai scoscese. Quindi ne avviene che si rende molto pericolosa la navigazione per la quantità degli
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scogli nascosti, ed acuti come lancie; e non dobbiamo maravigliarci se quivi, per l’inesperienza ed ignoranza di navigatori Indiani ed Arabi, perisce un gran numero di bastimenti. La differenza delle profondità nelle due suddette coste scopresi subito nell’entrata; poiché propriamente in mezzo ad essa, ovvero nello stretto di Bab el Mandel, giace l’isola Mium, la quale divide questo stretto in due minori, e quel braccio, che giace fra esso e l’Arabia è largo quasi un miglio geografico, ma contiene solamente una profondità di 12 braccia, mentre il braccio che passa sulle sponde dell’Africa è molto più stretto, e contiene una profondità di 23 in 24 braccia. Sarebbe dunque vantaggioso che tutti i porti fossero da questo lato. Sull’intero mar Rosso conviene dunque meglio tenere la direzione di mezzo per non incontrare de’ pericoli, poiché quivi avvi la maggior profondità, e non s’arrischia di urtare contro gli scogli.
Nessun mare è tanto ricco in prodotti marittimi quanto il mar Rosso. In tempo di calma veggonsi nell’acqua, ch’è assai limpida, selve ințere di coralli, di madrepore, e simili creature di mare, e il porto di Tor
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potrebbe solo fornire delle conchiglie di ogni genere. Gli abitanti di questi contorni sono però portati pochissimo per questo dono della natura, e trascurano questi oggetti. Benché quivi si trovino tutte le specie de’ crustacei, ciò non ostante né Forskal, né Bruce videro l’ostrica (edulis). Gli scrittori più antichi di viaggi vi hanno già notato i pesci volanti; ed alcuni moderni, avendoli veduti in quantità prodigiosa, hanno creduto che essi fossero le quaglie nominate da Mosè.
I manati (trichechus manati), che gli abitanti non prendono per superstizione, e che avendoli pescati contro la loro volontà oppure essendosi questi animali arenati, non possono tenerli presso di loro, si aumentano quivi in quantità incredibile, e circondano i bastimenti come i pesci cani.
Molto più piccolo del seno Arabico è il Persiano tra la parte orientale dell’Arabia, e l’occidentale della Persia. Esso è lungo circa 160 miglia geografiche, e largo 29, e secondo Strabone contiene 20000 stadi, incominciando dall’imboccatura del Tigri fino all’isola Ormus. Gli Arabi sogliono chiamarlo il verde seno di mare, e presso gl’Italiani è conosciuto sotto il nome di golfo di
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Bassora. Questo seno si estende dall’Ovest all’Est, come quasi tutti i fiumi dell’Asia meridionale, e quindi è chiaro, che tutt’i fiumi che in esso si scaricano abbiano contribuito alla sua formazione. Fra questi fiumi il Tigri, che prima si unisce coll’Eufrate, è il più abbondante di acqua, e perciò l’acqua del seno Persiano è meno salata di quella del mare Rosso. Anche il flusso e riflusso è meno sensibile in quello che in questo, benché il flusso importi ancor sempre una differenza di 20 piedi circa. Appena la terza parte di questo seno è navigabile come accade egualmente nel seno Arabico; e le quantità de’ bassi fondi, e de’ banchi di sabbia sopra un lato, e gli scogli sull’altro, lo rendono assai pernicioso alla navigazione. A ciò si uniscono ancora le frequenti burrasche, le quali lo renderebbero totalmente impraticabile, se il gran numero de’ porti stabiliti sulla spiaggia non offrisse un pronto rifugio ai naviganti. Propriamente all’entrata di questo seno giace l’isola Ormus, un miglio in circa dalla sponda Persiana, e da essa è diviso lo stretto in due braccia minori, de’ quali l’orientale tra Ormus e la Persia, a cagione della poca profondità dell’acqua,
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rare volte è visitato. Ormus per se stesso non è fruttifero, ed altro non produce che una buona qualità di sale bianco, del quale è quasi coperta, ed una sabbia splendida di un bel nero. La costa di quest’isola, fino da’ tempi antichi è stata famosa riguardo alla pesca delle perle, ed ancora in oggi, però parcamente, è questa pesca il ramo principale del sostentamento degli abitanti, poiché ambedue le sponde del seno Persiano sono totalmente infruttifere. La vegetazione non comincia che in distanza di 10 in 12 miglia dalle sponde; ed anche l’acqua vi è cattiva, e da per tutto salata, e gli abitanti della spiaggia di questo seno vivono assai stentatamente.
Le più belle conchiglie delle perle trovansi nel seno Persiano, e nel mare delle Indie orientali in generale. Le perle che se ne traggono sorpassano tutte le altre in durezza, colore, splendore e chiarezza, e particolarmente sono più frequenti in questo seno che nelle altre acque. La maggior quantità di perle la produce la madreperla (mytilus margaritiferus), una di quelle specie di conchiglie che hanno il guscio ruvido, e che per mezzo di filamenti simili a quelli
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della seta, e che sortono dal guscio della conchiglia, sono attaccate agli scogli, o ad altri corpi.
La madreperla distinguesi dagli altri mitili pell’esteriore. Il suo guscio piatto, e quasi rotondo, è fornito di una pelle squamosa di colore bigio, frammischiata di alcuni raggi bianchi, ma nell’interno è interamente liscia, e guarnita della propriamente così detta madreperla, ovvero di quella bella specie di conchiglia, della quale ci serviamo per ornare diversi nostri utensili, e per fabbricare tanti oggetti utili. I gusci arrivano alla lunghezza di un piede, e diventano grossi come un dito. Per fabbricarne de’ bottoni, delle scatole ed altri oggetti simili, vengono spaccati e tagliati; la parte esteriore più sottile si getta via, o si ammollisce nell’aceto, poiché immediatamente sotto di essa trovasi una tessitura bella, fina e trasparente.
Oltre la madreperla vi sono ancora altre specie di conchiglie che forniscono delle perle, e particolarmente quella, fra le myae, che chiamasi mya margaritifera. Essa nell’interno assomiglia alla madreperla (mytilus margaritiferus), ed al di fuori è coperta di
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una crosta oscura. Ancora producono delle perle le came (chamae,) i cardi (cardii) l’ostrea ephippium, e diverse altre specie di ostriche; anzi le orecchie marine (haliotes) ne contengono. Ma in tutte queste specie accennate pure scarsamente si trovano perle, e pescandole, non si può calcolare sopra una buona preda come nella pesca della madreperla propriamente detta.
Riguardo alla pesca delle perle, non v’era luogo più rinomato presso gli antichi dell’isola Ormus(1), ed ancora in oggi vi è esercitata moltissimo, se non immediatamente sulle coste di Ormus, almeno nella vicinanza dell’isola di Baharain, sulle coste dell’Arabia, di contro all’isola di Ormus, a Catifa, Bendor, Gamron, Bender Congo, e su altre coste ancora del seno Persico. Plinio loda particolarmente l’isola Taprobana a motivo delle perle(2), e l’isola Stoidis(3),
(1) Strab. lib. 16. p. 527, Athen. lib. 3 cap. 14. pag. 93.
(2) Plin. lib. 6. c. 32. Solin c, 53.
(3) Plin. lib. 6 C. 25.
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come anche il promontorio Perimula nelle Indie(1). La Taprobana dev’essere l’odierna Ceilan, la quale a cagione del suo eccellente banco delle perle è ancora assai rinomata; Perimula potrebbe essere forse il luogo, ove presentemente giace Permud.
Quelle perle che il seno Persiano produce come grani bianchi, erano conosciute egualmente sì bene dagli antichi, come da noi(2). Plinio(3) loda l’isola Tylon vicino alla città dell’istesso nome, la quale riguardo alle perle era riputatissima. Questo Tylon è creduto l’odierna isola Baharain, le di cui perle sono pesanti, belle, liscie e durevoli, benché un poco gialle, cosa che presso gli Indiani orientali non arreca però alle stesse alcun pregiudizio, mentre essi preferiscono le perle gialle, considerandole come più mature delle bianche, che soffrono più facilmente dal sudore, e delle quali si dice che
(1) Plin. lib. 9. C. 38. Aelian de animal. lib. 154 cap. 8.
(2) Plin. 6. 27. 10. 13, Marzial, S, ep. 38. I. 8. ep. 28. 1. 10. ep. 6.
(3) Lib. 6. 27.
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nelle regioni calde perdono particolarmente il loro splendore.
Presso Din, Bombay, Goa, ed ove l’Indo si scarica nel mare si trovano delle perle in quantità, ma non sono cercate con egual premura e diligenza. Il banco delle perle presso Goa, che si estende più di 3 miglia, è dagli Olandesi stimato più di mille botti d’oro. L’isole Maldive abbondano di questo prodotto nobile del mare, egualmente che le coste del seno Persiano.
Una delle pesche di perle più riputata trovasi nello stretto di mare fra Madura e l’isola di Ceylan, e propriamente su ambedue le coste, particolarmente però presso il borgo Manaar, che appartiene alla detta isola. Quivi si trovano le perle più belle riguardo al colore, alla chiarezza ed alla rotondità; ma rare volte pesano più di tre o quattro carati l’una. I banchi delle perle si estendono per alcune miglia lungo la costa di Manaar, e sono annualmente affittate dal governo. Non si pesca ogni anno di seguito sopra lo stesso banco, ma si lascia passare un intervallo di 7 anni prima di ritornarvi; questo tempo si crede necessario perché la conchiglia possa maturare. Il banco
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più ricco è posto in faccia alla baia di Condatchy ad 8°, 43' di latidudine settentrionale a la distanza di 20 miglia inglesi dentro il mare, e 5 miglia più verso il sud dell’isola Manaar. Questa baia, appena coperta di quando in quando di arbuscelli, mancante di acqua, che in distanza di più miglia deve procurarsi; questa baia infruttifera, deserta, ed abbandonata, ciò non ostante nelle 6 o 8 settimane di pesca, incominciando coi primi giorni di febbraio fino al principio di aprile, offre uno spettacolo assai vivo ed interessante, per la folla di migliaia d’uomini di diversi paesi, colori, classi, costumi, e mestieri. I marangoni, de’ quali si servono in questa occasione per lo più sono delle coste di Malabar, e di Coromandel. Prima che questi si attuffino nel profondo del mare, si attaccano alla barca per mezzo di due corde, una pietra, ed una rete. Il marangone col dito grosso del piede destro si pone sopra il setone della pietra, e col piede sinistro nella rete; e poi afferrando con una mano ambedue le corde, e stringendosi coll’altra le narici si affonda nel mare. Appena è giunto sul fondo, s’appende la rete al collo, raccoglie colla maggiore
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prestezza possibile tante conchiglie quante fra due minuti si possono raccogliere, le quali rare volte passano al di là di 100, ed indi, dando un segno pel mezzo delle corde, è tirato alla superficie. Ordinariamente dopo essere stato due minuti di seguito sul fondo del mare corre dalla loro bocca una quantità di acqua, e spesse volte scorre il sangue dalla bocca, dagli occhi, e dal naso. Ma tutti questi inconvenienti non li scoraggiano punto di affondarsi di nuovo, e quale che volta, in una giornata sola, discendono 40 fino a 50 volte. Il loro pagamento consiste, o in una parte del profitto, o, secondo i patti convenuti, in moneta effettiva.
Tutti i battelli su i quali s’imbarcano i marangoni fanno vela nell’istesso tempo, cioè verso le 11 ore di notte circa, profittando del vento di terra, onde giungere sul banco delle perle prima del nascere del giorno. Ciascuna barca conduce 21 uomini, 1 pilota, 10 marangoni e 10 rematori, i quali assistono i marangoni quando rimontano alla superficie del mare. Sempre discendono 5 marangoni per volta, e questi cambiano cogli altri 5, per cui si trovano solamente 5 pietre in ciascun battello. Cominciando la mattina
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a buon’ora, finché s’innalza il vento di mare, dopo mezzodì, continua la pesca, ed allora ritornano tutti insieme sulla costa. Appena le barche si sono avvicinate alla terra innalzano la bandiera, ed indi gettano l’ancora, e scaricano le conchiglie, il di cui numero monta circa a 30000 pezzi tra grandi e piccoli.
Le conchiglie si sotterrano in fossi sopra stuoie, ove restano finché s’imputridiscono. La puzza insoffribile che cagionano dura ancora molto tempo dopo la pesca, ed infetta per molte miglia il circondario. Ciò non ostante questo odore pestifero non isbigottisce punto la cupidigia, che avidamente apre queste conchiglie imputridite per cavarne le perle, per separarle, contarle, pesarle, traforarle, e prepararle acciocché possano essere vendibili; anzi dopo alcuni mesi si veggono ancora uomini che avidamente frugano nell’immondizia gettata, per trovare l’ultima perla sfuggita all’attenzione di quelli che ne fecero il primo spoglio. Durante questa pesca accade che uno o più marangoni, morsicati da’ pesci cani, o per altri accidenti, perdono un braccio, una gamba, e che loro arriva una qualche disgrazia. Perciò vi sono
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molti maghi, i quali, malgrado l’esperienza che mostra la nullità di quello che dicono, nutrono di prestigi que’ marangoni, lor facendo credere di garantirli da ogni disgrazia; ed in caso che nasca un qualche sinistro accidente, sostengono ciononostante le loro pretensioni sul pagamento, adducendo delle ragioni speciose a favore della loro pretesa scienza. Un quadro assai vivo di ciò veggasi nella descrizione di Ceilan fatta da Percival.
Questa pesca delle perle si eseguisce parimente tutti gli anni dagli Olandesi presso Sumatra, Java, e Borneo.
Nessuna costa però è più ricca in perle, e nessuna dà de’ pezzi si grandi, come le sponde del Giappone. I Giapponesi, preferendo le pietre a questi prodotti, poco le stimano. Gli Olandesi, pescando in que’ contorni sempre hanno trovato delle perle di una singolare grandezza, le quali però sono mal formate. Forse, se fosse permesso agli Olandesi di pescare liberamente su tutte le sponde del Giappone, si troverebbero de’ banchi che contengono perle di migliore qualità.
Sulle coste dell’Africa le perle quasi
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non sono conosciute. Gli abitanti, preferendo i coralli di vetro, e l’elettro, non le cercano; e perciò se ne occupano gli Europei, i quali ne trovano a sufficienza ne’ siti che ordinariamente vanno a visitare. La costa dell’Africa orientale però, benché rinchiuda quel mare ch’è la patria delle perle, pare che non ne contenga.
Anche nelle Indie occidentali vi son delle perle, e delle pesche delle medesime, come per esempio, nel seno del Messico, intorno a Margarita, all’imboccatura del Rio della Hacha; e forse quivi, benché non siano generalmente sì belle, e sì abbondanti come nelle Indie orientali (poiché sono meno trasparenti e chiare di queste), se ne trovano di una grandezza considerabile, come dimostrano le perle di 55 carati trovate intorno a Margarita. La ragione di ciò è forse, che gli Americani, prima dell’arrivo degli Europei, non le conoscevano affatto (ed ancora al presente non le cercano, fuorché quando vengono da questi guidati ed istigati), per cui la perla ha avuto il tempo necessario per maturare. Tali grandi perle sono portate quasi immancabilmente nelle Indie orientali, ove propriamente dovrebbero avere meno
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prezzo che presso di noi, poiché dalle Indie orientali, è che si esporta il maggior numero delle perle che veggiamo in Europa. Questa esportazione però si limita unicamente sulle perle mezzane e piccole, mentre le più grandi e le più belle sicuramente vi restano; poiché fino da tempi immemorabili sono ivi stimate come le cose più preziose, e pagate a prezzo assai caro(1). Tavernier racconta d’aver egli stesso venduto quella perla di 55 carati ad un principe della Mongalia nelle Indie orientali; ed aggiunge che un principe arabo aveva avuto una perla di 12 ed un sedicesimo di carato, nella quale però la bellezza compensava la mancanza di grossezza, mentre era sì chiara e limpida da lasciare quasi trasparire la luce del giorno; e che il Chan di Ormus offrì per questa perla al suddetto Principe 2000 Tomani, ed il Gran Mogol 40000 Talleri, senza poterlo indurre a venderla. Nel 1633 uno Schach Persiano pagò ad un mercante arabo 1400000 franchi per una perla, che si contava fra le più grandi e più perfette.
(1) Matteo 13. 45, 46.
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Anche ne’ contorni dell’Europa trovansi delle perle, ed ordinariamente ne’ fiumi, come in quelli della Scozia settentrionale, particolarmente ne’ fiumi Ross, Aberdeen e Tay; ma non mai questa pesca ha recato grandi vantaggi. Il commercio che ne fece la città di Perth durante quattro anni, cioè dal 1761 fino al 1764, appena montò a 60000 scudi; cagione per cui in oggi questa pesca vi è affatto trascurata(1). Niente più importante e migliore è tal pesca ne’ fiumi della Livonia, e dell’Ingria(2), e nelle altre provincie della Russia, ma piuttosto reca qualche vantaggio nella Germania, e particolarmente nel ducato di Zelle(3). Però tutto questo appartiene al Capitolo de’ fiumi. Generalmente possiamo qui accennare che nessuna pesca di perle sorpassa in valore, ed in quantità quelle delle Indie orientali. In Ceilan la compagnia olandese delle Indie orientali tiene al suo servizio alcune centinaia di pescatori
(1) I viaggi di Pennant per la Scozia nell’anno 1769.
(2) Pallas Reisen. 1. tom. p. 7. e 141.
(3) Taube Beytraege zur Naturkunde des Herzog thums Zelle 1 e 1777. 6 Divis. delle conchiglie delle Perle.
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di perle, i quali sono organizzati in compagnie, e stanno sotto il comando di un capitano. Rare volte si servono questi pescatori della campana urinatoria, e spesso si lasciano i marangoni, uno dopo l’altro, sul fondo del mare alla profondità di 50 braccia, nel modo che abbiamo descritto qui sopra. Alcuni giorni prima si ungono di olio, e non mangiano che cibi secchi. Nel discendere prendono un poco di olio in bocca. I Bramini per allontanare i pericoli, e particolarmente i pesci cani, ricevono il 20 per cento. Quello che senza pagare questo tributo fosse sorpreso da qualche sinistro accidente sarebbe senza compassione abbandonato, e privo d’ogni aiuto. Nell’alto mare non si possono impiegare le reti per questa pesca, siccome si suol fare ne’ fiumi.
Finora non si è potuto ancora scoprire se le perle sieno prodotte da malattie della conchiglia, come sostiene Tertuliano, il quale le chiama rifiuto del mare, malattie di animali che vivono nella melma; oppure se nascano da un certo umore loro proprio, il quale, rompendosi i vasi, esce fuori e s’indurisce, e che con ciò la natura fa sanare la ferita fatta da un qualche animaletto;
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oppure se naturalmente appartengano alla conchiglia in buon stato, e se sieno tanto naturali a certe specie di conchiglie, come le pietruzze bianche ai gamberi; ovvero se, come sostiene di D. Eberhard nel suo trattato sopra le perle, sieno da riguardarsi come uova non mature della conchiglia. Reaumur, Geofroy, Lucas Schroeck, e Fischerstein si sono sufficientemente persuasi, dopo una serie di osservazioni, che le perle altro non sono che un preservativo usato dall’animale che abita dentro la conchiglia, onde impedire che resti traforata la sua abitazione. Qualche volta si trovano le perle dentro la carne dell’animale, e qualche volta dentro un budelletto che sorte fuori della carne in que’ luoghi, ove l’animale è congiunto alla conchiglia; ordinariamente però si scoprono sul margine della conchiglia, ove è attaccata. Quelle perle che si staccano da sé sono le più chiare e le più trasparenti. Tutte quelle attaccate alla conchiglia non sono trasparenti, ed ordinariamente sono senza splendore in quel sito ove erano attaccate. Spesso si trova una perla sola in una conchiglia, e spesso si raccogliono 20, anzi 30, 50 e fino a 100 perle in una conchiglia sola. Nel maggior
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numero delle conchiglie la perla più grande trovasi sull’estremità del margine, e la minore appresso di essa(1).
Finora non si è ancora trovata una gola sicura, secondo le quale cangisi la grossezza delle perle nelle conchiglie. Si trovano delle perle piccole nelle grandi conchiglie, e nelle piccole conchiglie delle grosse, come fu osservato anche da Eliano. Per fissare la grandezza delle perle si servono di 9 crivelli di ottone, ove in ciascano i buchi sono diversi da quelli dell’altro. Quelle perle che cascano pe’ buchi più piccoli sono vendute secondo il peso, sotto il nome di polvere di perle; per le altre della grossezza di un granello di canapuccia si stabilisce un prezzo di due fanem (una lira circa), e così si seguita secondo che cresce la grossezza. Quelle che restano nel crivello maggiore spesse volte sono grosse come le uova de’ colombi, anzi qualche volta come quelle delle galline;
(1) Aelian. XIII. 26 osserva che si sono trovate perle in una conchiglia , ed è affatto falso quello che dice Solin cap. 66., nunquam duo simul reperiuntur, inde unionibus nomen datur.
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e queste non hanno prezzo fisso, e non rare volte sono vendute per somme straordinarie(1). Così la perla, che sciolta nell’aceto bevve Cleopatra, fu valutata un milione di lire(2); e quella, che Giulio Cesare comprò per la madre di Bruto, 600000 lire(3). Il Papa Paolo II. pagò ad un mercante Veneziano 140000 ducati per una perla delle Indie orientali. La perla più bella del fornimento della regina di Spagna, ch’ella possedeva circa il 1605, era stimata 31000 ducati. Le perle della grossezza delle nocciuole si pagano alcune migliaia di piastre.
Le perle rotonde sono tenute per le più preziose; ma non tutte sono di questa forma. Quelle che hanno la forma di pera, cioè che finiscono sottili alla parte superiore, si chiamano perle a pera; quelle formate a mezza, palla, occhi di perle (tympana); e quelle che non hanno la forma perfettamente rotonda sono nominate cipolle. Si trovano pure delle perle scabrose. Alcune sono lunghe
(1) Plin. 9. c. 35. fin.
(2) Centies. H. S.
(3) Sexagies H. S. Svet. Cals. c. 50.
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e vi si veggono attaccate due altre perle rotonde (Priapiti). In alcune perle lunghe se ne scoprono due altre di grossezza disuguale (Cynosorchiti); ad altre sono attaccate tre perle; ed altre poi giacciono serrate una coll’altra in modo che assomigliano ad un verme strisciante (Scolociti). Quelle che sono un poco grandette e rotonde si conoscono sotto il nome di perle che si contano, e le piccole rotonde (come i granelli di papavero) sotto il nome di perle di semenza.
Il colore delle perle è quasi sempre di un bianco splendido d’argento, sovente anche di un bianco latteo, e perciò gli antichi poeti spesso fanno de’ paragoni fra gli oggetti bianchi, e le perle(1). Sull’isola Zypangri, nell’alto mare delle Indie, si trovano delle perle grosse e rotonde, di un colore rosso, le quali sono stimate più che le bianche(2). Ovidio narra di averne posseduto delle nere, tanto oscure come il carbone. Si potrebbe domandare se queste erano
(1) Marc. Paul. Venet. de regionib. orientalib. lib. 2. c. 38.
(2) Hist. Ind. lib. 9. c. 8.
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prima bianche, e se si guastarono in appresso; mentre sappiamo, che le bianche spesse volte, diventano nere. Egualmente sostiene egli di averne posseduto delle gialle, le quali in parte risplendevano come l’oro, ed in parte erano smorte e senza splendore; e che alire avevano del turchiniccio, ed altre del bigio. Anche fra le perle britanniche se ne sono trovate di colore purpureo. Delle perle gialle frequentemente se ne incontrano, e se ne vedrebbero più spesso anche fra noi, se gl’Indiani non le preferissero alle bianche, sostenendo che le ultime appena conservino lo splendore e la trasparenza, mentre al contrario le gialle, ovvero le più mature, resistono più a qualunque corruzione. Nell’Europa si preferiscono generalmente quelle perle che hanno un’acqua bella, cioè quelle che sono molto chiare e bianche, e che traspariscono, come il più bello allume(1).
(1) Chi desidera saper tutto quello che gli antichi opinavano, e sapevano intorno alle perle potrà leggere Plin. lib. 9 c. 35 quomodo et ubi inveniantur margarithae; e le annotazioni di Harduin su questo proposito, come egualmente Salmas. Exercit. Pliniun. f. 821. [484] e Berlinis. Magaz. vol. 4 p. 149-158 ove si trovano molte notizie su questo proposito, e nell’istesso tempo un indice di molte opere che trattano delle perle.
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Plinio narra che la madreperla, per vendicarsi del rubamento che ad essa si fa, poiché sa che viene spogliata delle perle, sovente afferri e serri la mano di quello che la vuol prendere(1). Isidoro Characeno, geografo greco, racconta la stessa cosa, ma molto più alterata; mentre dice, che la madreperla spesso uccida i rubatori(2). Quello che si racconta falsamente della madreperla succede in fatti con altre conchiglie, e particolarmente colla gran conchiglia.
Cama (Chama gigas), la più grande fra tutte le conchiglie. Tutte le Came hanno due gusci forti e grossi, ch’esse tengono sempre aperti per prendere de’ pesci giovani
(1) Plin. I. c. Concha ipsa cum manum vidit, comprimit sese operit opes suas, gnara propter illas se peti manumque se praeveniat, acie sua abscindit, nulla justiore poena, et aliis munita suppliciis, quippe inter scopulos major pars invenitur; sed in alto quoque cominantur marinis canibus.
(2) Scalig. ad Minil. V. p. 396 cita però questo passo con disapprovazione.
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che le servono di nutrimento. La serratura (ovvero il luogo ove i gusci sono congiunti) contiene de’ denti lunghi e forti che combaciano in una fossetta storia dell’altro guscio. Si contano 14 specie di esse came. Le grandi, che s’incontrano ne’ mari dell’Asia, hanno de’ gusci della lunghezza di 4 in 5 piedi, e della grossezza di mezzo piede. Esse pesano 400 in 700 libbre, e particolarmente di questa grandezza se ne trovano frequentemente intorno ad Amboina, ed alle Molucche. Esse giacciono sul fondo del mare, quasi sempre aperte e pronte alla presa, e non rare volte, cascando le gomene fra i loro gusci le mozzano se fossero anche della grossezza di un braccio. Le came minori di 15 libbre abitano nel mar Rosso. L’animale essendo una Tetide rappresenta una massa di carne molle; grande, di color giallo bianchiccio, rigata di color rosso, turchino e verdiccio, e non solamente si mangia fresca, ma pure viene affumicata e venduta a Macassar come un cibo squisito. Oltre il nome di gigas è anche chiamata bacile o trogalo, a cagione dell’uso che se ne fa. S’egli è vero che una tale conchiglia cresce annualmente un anello a traverso il guscio, dovrebbe
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vivere un numero di anni maggiore del numero delle libbre che pesa. Sulle montagne delle Indie se ne trovano anche delle petrificate lunghe 5 piedi, e pesanti 800 libbre; e siccome da alcuni si vuole che siano del tempo del diluvio, così sono chiamate conchiglie di Noè.
Le arche (arcae), che hanno i gusci perfettamente uguali fra loro, ed una figura lunghetta, cioè larga e piatta fra la serratura ed in fine stretta, ed a forma di chiglia, di modo che assomigliano ad un battello: sono contate fra le rarità de’ gabinetti di oggetti di storia naturale. La serratura ha una quantità di piccoli denti fini ed acuti su ambidue i lati, i quali stanno vicini l’uno all’altro. Fra queste si contano 17 specie, e le più rare e più care, sono l’arca torta, o il naspo (arca tortuosa), la quale è torta in modo che i due lati sono piegati l’uno contro l’altro come una tassa di refe sul naspo. Essa trovasi quasi unicamente nelle Indie. L’Arca di Noè (arca Noae), di figura romboidale, ha delle prominenze piegate in dentro; al di fuori un fondo bruno rigato, al di dentro un colore giallo, ed è lunga 3 pollici, ed un pollice
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larga. Essa abita profondamente nella melma, e fuori dell’Oceano delle Indie trovasi anche nel mare dell’America, e nel Mediterraneo.
Delle ostriche (ostraea), delle quali conosciamo più di 50 specie, si trovano benanche le più rare nel mare delle Indie.
Alcune hanno delle orecchie uniformi alla serratura; molte altre però ne hanno delle storte o disuguali. L’animale che vi abita e ch’è una tetide di una figura semplice ed irregolare, lascia da sé de’ filamenti della specie di seta.
Fra le ostriche che hanno le orecchie uguali meritano essere nominate particolarmente la cappa santa, o di S. Giacomo (ostraea Jacobaea), e l’ostraea pleuronectes.
La Cappa Santa, o di S. Giacomo arriva alla lunghezza di 5 sino a 10 pollici, il guscio inferiore è qualche volta affatto bianco, e il superiore al contrario è ornato di circoli di colore d’arancio, e d’altri colori brillanti, ed al di dentro è bianco. Questa conchiglia per la sua bellezza e rarità è pagata assai cara da quelli che fanno raccolte pe’ gabinetti di storia naturale. Presso
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Malacca qualche volta se ne trovano anche di una grandezza maggiore.
L’Ostraea pleuronectes è sottile e trasparente quasi come la carta, e rotonda come la luna. I gusci al di fuori sono lisci, e il superiore è rossiccio e marcato di piccole punture bianche, e sul suo margine corrono de’ circoli paralelli e bianchi, i quali sono intersecati da altri d’un color nero pallido, incominciando dalla punta, come dal centro, fino al margine. Tenendo il guscio verso la luce in guisa che trapassino i raggi, allora tali circoli compariscono d’un bruno rossiccio. Il guscio nell’interno è di uno splendore argenteo, e verso il margine di colore di rosa. L’altro guscio è affatto eguale a questo, eccettuato ch’è bianco al di fuori, ed al di dentro. Questa conchiglia è contata fra le più belle, ed ha due fino a 5 pollici di diametro.
Le ostriche colle orecchie disuguali chiamansi pettini (pectines), ed alcune per la loro particolare bellezza sono state chiamate ostraeae pallium (munto reale). Dal centro di queste conchiglie corrono de’ raggi voti come un canaletto, e sono incrociati da strisce increspate. I gusci al di dentro sono bianchi
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e guarniti sul margine di una fascia rossa che sull’elevato de’ raggi è d’un rosso oscuro, e nel concavo d’un colore d’arancio. Al di fuori il guscio per lo più è bianco e tinto di macchie rosse oscure e chiare. Questa conchiglia rare volte si trova in altri mari; che come egualmente l’ostrica nodosa, al di fuori ed al di dentro è d’un rosso oscuro, e della quale tanto il convesso, quanto il concavo de’ raggi sono rigati secondo la lunghezza della conchiglia, vedendosi sulla convessità de’ raggi de’ nodi voti e rotondi, che si paragonano ai coralli. Questa conchiglia trovasi ancora, benché più rara presso il Brasile, ed in qua ed in là sulle coste dell’Africa: ordinariamente è pagata 50 fiorini.
Alle ostriche col guscio ruvido e gibboso, che sono le ostriche propriamente dette, appartiene l’ostrica martello (ostrea malleus), i di cui gusci piatti, divisi in tre braccia, assomigliano ad un martello con un manico forte, piegato un poco al di sotto. Il guscio al di fuori è di color terreo misto di bianco e di verde, ed al di dentro è bianco come il lucido del piombo. Questa conchiglia quasi unicamente trovasi nel mar
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delle Indie; e siccome è rara, paga 80 fino a 100 fiorini. Le ostriche propriamente dette diventano in questo mare sì grandi, che qualche volta se ne trovano di quelle che richiedono 4 uomini per portarle via. Sopra alcune coste se ne veggono di quelle, delle quali un guscio solo pesa 200 libbre circa. Presso l’isola di Goa fu per caso tirata su coll’ancora un’ostrica, della di cui carne mangiarono più di 100 persone che formavano l’equipaggio. I gusci nel diametro avevano tre piedi ed un mezzo pollice, nel circuito otto piedi e mezzo, e pesavano 450 libbre. Ambidue questi gusci si conservano ancora nel gabinetto reale di Copenhagen. Frequenti sono le ostriche di 25 libbre, particolarmente sulle coste di Bornea, ed in altri luoghi del mare delle Indie.
Fra le 20 specie de’ Mitili (i di cui filamenti a foggia di seta abbiamo già accennato, come egualmente la madreperla) appartiene al mare delle Indie il mytilus modiolus. Si prende ordinariamente sulla terra di Bapua (costa), o sulla punta Nord ovest della Nuova Guinea. Esso arriva alla grandezza di 3, fino a 6 pollici, ed è di diversi
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colori, cioè d’un bruno rossiccio, di colore d’agata, ed anche violetto, con istrisce rosse, e di colore rosa.
Fra le Telline (Tellinae) che hanno una punta piegata, e tre denti alla cerniera, e che per lo più sono di forma ovale, e curve o piatte, e qualche volta anche rotonde, e che sono abitate da una Tetide, si contano 29 specie, delle quali sono rimarchevoli la tellina gari, e la tellina fragile.
La Tellina gari, è ovale e gibbosa molto, ha de’ raggi sottili, quasi a foggia di ferrata, al di fuori ha de’ raggi rossi e bianchi, e non rare volte è interamente gialla. Giunge a 4 pollici di lunghezza, e due di larghezza. Ordinariamente sia un piede profondata nella sabbia; ed alla parte più lunga avanza due cubi, che all’apertura sono guarniti di una specie di frangie. Ad Amboina si suole insalare la loro carne, di là trasportarla sotto il nome di Bocassan quasi in tutt’i luoghi delle Indie. Si preparano due sorte di Bocassan, una bianca , e l’altra nera. Il Bocassan bianco, che amano gli Europei che si trovano nelle Indie, consiste nella carne ben peltata e lavata di questa conchiglia, la quale è stata prima
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e 8 giorni in una salsa piccante di sale, ed indi tagliata in fettine, e posta nell’aceto con radici di galanga, zenzero bianco, pepe, aglio, e riso, o in vece del riso, col Culitlavan, ingredienti i quali tutti sono tagliati in piccoli pezzetti. Preparata in tal modo questa carne viene conservata in vasi di una piccola apertura, si aggiunge un poco d’olio, e si ricopre colla massima attenzione; perché il Bocassan non soffre l’aria. In tal modo si conserva degli anni, ed è usato come una salsa che eccita l’appetito, particolarmente unita all’arrosto. Il Bocassan nero al contrario, che molto è stimato da’ Malesi, e da’ Chinesi, e che molto corrisponde al Garum de’ Romani(1), è preparato senza
(1) II Garum era una delle delicatezze de’ Romani, ed era preparato dal sugo e dagl’intestini di certi pesci, particolarmente del costoso sgombro, e doveva stare per qualche tempo nella salamoia. Plin. 31. 7. fin. Aliud etiamnum liquoris exquisiti genus, quod Garua vocavere, intestinis piscium, caeterisque quae abjicienda essent, sale maceratis, ut sit illa putrescentium sapies. Hoc olim conficiebatur ex pisce, quem graeci garon vocabant ib. c. 8. garum ad colorem mulsi veteris adeoque dilectam suavitatem ut bibi posset.
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aceto. La conchiglia, appena levata la sabbia, è messa nella salamoia, ed essendovi stata per qualche tempo si leva e si mangia la carne bianca immediatamente, oppure si mette colla parte nera in un’altra salamoia, ove prende un colore nero bruniccio; indi è messo ne’ vasi, ed esportato, e mangiandolo viene unito con un poco di sugo di limone, ed un poco di riso.
La Tellina fragile è ovale e lunga un pollice. L’animale estende due tubi guarniti di peli sottili, con uno de’ quali imbeve l’acqua, e coll’altro la schizza per la distanza di 15 piedi. Con ciò scopre la sua presenza, ed è presa nella sabbia, nella quale si approfonda molto, e vien mangiata.
Ancora dobbiamo far menzione delle conchiglie marine con un guscio solo (univalves), e particolarmente dell’Argonauta, del quale esistono solamente due specie, ma vi sono delle varietà. Il suo guscio è assai sottile, spirale, ma piatto e compresso, di una camera sola, ed assomiglia ad una barca, nella quale l’animale, ch’è una seppia ad otto piedi, rema co’ due piedi posteriori, con due altri stende come una vela la sua
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pelle assai sottile, e cogli altri rema sulla superficie del mare. Volendo questa conchiglia andar a fondo, fa entrare l’acqua nel guscio per diventare più pesante. Questa operazione la fa ne’ momenti che si accorge del minimo pericolo, e però è difficile di poterla prendere malgrado che ve ne sieno anche nel mar Mediterraneo, ed in altri mari. I più grandi di questi Argonauti sono lunghi un piede, ed hanno di rimarchevole, che l’animale non è attaccato al suo guscio, come nelle altre conchiglie.
Il guscio del Nautilus rappresenta una nave colla chiglia rotonda, è più grosso del guscio dell’Argunauta, ed ha nel suo interno molte suddivisioni, ovvero camere che per mezzo di un tubo comunicano fra loro. Riguardo alla sua figura, ed al modo di vivere assomiglia all’abitatore dell’Argonauta . Se ne contano 17 specie, delle quali però molte si trovano petrificate. La Chancha (nautilus Pompilius) appartiene alle conchiglie più belle, e se ne trovano nel mare delle Indie d’un pollice fino ad un piede di diametro; ed è la più grande conchiglia di questo genere. Il suo guscio, spiralmente voltato, supera nello splendore e nella bellezza
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quasi la madreperla, e gli artisti se ne servono a vari usi. Ordinariamente ha essa nell’interno 50 separazioni ben voltate, che formano altrettante camere, tutte fornite di un buco nel mezzo, pel quale passa un tubo assai sottile e fragile, che in principio è grosso come un bruscolo di paglia, e procedendo innanzi diventa sottilissimo; anzi siccome le camere sempre più si ristringono, diventa in fine quasi insensibile. Per questo tubo passa un budello dell’animale, che abita solamente nella prima camera dell’apertura della conchiglia, e le altre camere sono riempite di aria. Questa conchiglia pagasi molto cara.
I coni, o volute (coni) sono assai ricercati a cagione della bellezza de’ loro colori e disegni. La conchiglia più rara e più bella fra esse è l’ammiraglio Cedonulli (Conus cedonulli). Il guscio è di un color d’oro giallo ornato al di sopra di macchie bianche, di tre strisce larghe e puntate, e di quattro righe a foggia di perle. Per questa specie pagansi 100 ed anche 200 ducati. Questa conchiglia trovasi più frequentemente nel mare del Sud. L’ammiraglio d’Orange (conus
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aurisiacus) è di un colore di rosa macchiato di bianco e nero, oppure di bruno; ed alle volte è di colore d’arancio. Anch’esso è qualche volta pagato 100, o più scudi.
Le Porcellane (Cypraeae) in nulla cedono allo splendore ed alla bellezza della porcellana chinese propriamente detta. Esse hanno un guscio rotolato in sé stesso, e rappresentano un uovo tagliato per metà nella maggior sua lunghezza, di cui la parte rotonda è il dorso; l’apertura (ch’è su ambidue i lati dentata) trovasi al di sotto, e passa da una estremità all’altra. L’animale, che con una specie di manto può coprire intieramente il guscio, ha una bocca lunghetta, e due tentacoli cuneiformi, alla di cui radice al di fuori veggonsi gli occhi. Si contano 24 specie di porcellane, fra le quali molte sono assai rare, come la Cypraea Amethystea il di cui guscio è di colore di Ametista, ovvero violetto; la Cypraea mappa marcata sul dorso con un colore giallo bruniccio ornata di diverse strisce oscure che arriva alla lunghezza di 3 pollici, e che trovasi sulla costa dell’Africa; e la Cypraea arabica, grande come l’antecedente, che ha una quantità di striscette sopra un fondo oscuro, le
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quali sono poste una vicina all’altra, e de’ tratti fatti in modo da poterli facilmente confondere colle lettere arabiche. Fra le specie minori delle porcellane alcune portano il nome di Cypraea moneta, e particolarmente è da notarsi quella che si trova presso le Maldive, con un guscio bianco giallastro, cangiante qualche volta in turchino, grande appena un pollice, e che fuori dell’Europa corre come moneta sonante, come, per esempio, presso gli Indiani propriamente detti, in Visapour, in Golconda(1), e nel Bengala, ove i Bramani se ne servono come segni da contare; 2500 di queste porcellane valgono presso di loro uno scellino inglese (quasi due lire), e vi sono ciò non ostante degli articoli di commercio, che si comprano per una sola di queste conchiglie. Egualmente corrono come moneta sonante quasi in tutta l’Africa, come nell’Etiopia, nel Tombut, nella Guinea e Whida, nel Congo, in Angola, sul Capo verde ec.(2),
(1) Tavernier viaggio per le Indie orientali tom, 2 lib. I cap. 2.
(2) Allgemeine histoire der Reiben zu Wasser und zu Lande 4 tom. p. 304 e 314. Ciò confermano Mango
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anche sulle Antille, e presso diversi popoli Americani(1).
In tutti questi paesi vengono portate dagli Olandesi e dagli Inglesi, i quali le prendono sulle Maldive come zavorra. Sono vendute a peso, ed il loro prezzo cresce, cala, secondo la quantità che vi è nell’Inghilterra o nell’Olanda. Se ne trovano di diverse grandezze: le più piccole sono un poco più grandi di un pisello comune, e la più grande arriva alla grandezza di una noce, ed ha la forma dell’oliva. Di queste ultime poche se ne trovano, ma ciò non ostante hanno il medesimo prezzo delle altre, e sono pesate unite alle piccole, oppure gl’Indiani le spendono dopo averle infilate col refe. Ordinariamente gli abitanti delle Maldive le imballano, ed indi sono deposte nelle fattorie Inglesi ed Olandesi per essere
Park e tutti i viaggiatori moderni. Con 100 di queste conchiglie poté Mango Park a Bambana, nell’interno dell’Africa mantenere giornalmente sé ed il suo cavallo, malgrado che ivi si contassero 250 per uno scellino.
(1) Dopper Schloezer, e ciascheduno che ha descritto l’America.
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impiegate nel traffico che fassi colla Guinea.
A Whida ed Ardra se ne servono tanto per l’ornamento, quanto per moneta sonante. A Whida i nazionali traforano queste porcellane con un ferro lavorato a bella posta per questa operazione, ed ordinariamente infilano 40 conchiglie sopra un refe, ed una di questa fila è chiamata nel loro linguaggio Senre, ed in Portoghese Toques. Cinque di queste Senre, ciascuna a 40 porcellane, fanno una Gallenha ovvero Fore, e 50 di queste Fore fanno un Alcone, o Guinbatton. Un tal Alcone pesa ordinariamente 60 libbre, e contiene 4000 conchiglie.
Con questi Toques ovvero fila si compra e si vende a Whida qualunque specie di mercanzie, e di beni, ed ivi si stima la ricchezza d’una persona dalla quantità delle Alcone che possiede. Uno schiavo ordinariamente è stimato un Alcone, e spesso è quivi una vacca venduta più cara. Viaggiando in que’ contorni conviene provvedersi di questa moneta, della quale nelle fattorie Inglesi ed Olandesi se ne riceve una libbra per uno scellino, e che fra i selvaggi e valutata due scellini, oppure due scellini e mezzo. Col
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danaro di metallo comprasi in que’ contorni assai più caro.
Le bolle (bullae). Il loro guscio voltato spiralmente ha un’apertura lunghetta, inarcata, ma esternamente non ha né pungoli, e la punta interna è storta e non dentata. Se ne contano 23 specie, fra le quali nomineremo l’uovo di gallina (bulla ovum), che assomiglia alle porcellane, è d’un bianco splendido, ed al di dentro di un colore purpureo, o di viola mammola, mentre l’abitatore della conchiglia è nero come il carbone, e da un sugo come l’inchiostro. Qualche volta questa conchiglia è più grande di un uovo di gallina.
Le Volute (Volutae) per lo più hanno una figura cilindrica, e le spire assomigliano in qualche modo alle volute dell’architettura. Se ne contano 46 specie, fra le quali avvi la voluta musica. Questa è di un colore giallastro cenerognolo, ha due fasce guarnite di 4, o 6 linee nere, che sono egualmente distanti l’una dall’altra, e sopra e sotto di esse linee veggonsi de’ puntini neri rotondi o quadrati, con alcune striscette. Questa conchiglia diventa considerabilmente grande, e la più piccola è ancor sempre lunga
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un pollice. La voluta olla trovasi sulle coste dell’Africa, e particolarmente presso le Filippine. Il suo guscio giunge fino ad un mezzo piede di lunghezza, ed allora pesa 300 libbre circa. Di questo guscio si possono fare diversi utensili, come secchie, piatti ec. La carne dell’abitatore viene seccata, e mangiata come il baccalà.
I Turbini, de’ quali Linneo conta 60 specie, hanno un guscio ritorto semplicemente, ed un’apertura circolare senza alcuno segmento. Il più rimarchevole fra tutti è il turbo scalaris; esso ha un guscio cuneiforme a guisa di rete, e puossi ben paragonare ad una scala a chiocciola. Otto giri, senza che l’uno stia sull’altro, circondano questa conchiglia, e sopra di essi discendono alcuni rampini curvati che vanno ad incontrare i giri. Il guscio ha oltre di ciò un buco d’umbilico, mediante il quale si vede fino alla punta. Un bell’esemplare della specie più grande pagasi, anche nelle Indie, mille, o duemila scudi. I più piccoli nell’Olanda si pagano 100 e più zecchini; e fin quelli che sono affatto bianchi, che non hanno il bel colore del fiore di pomo, e che oltre di ciò sono intaccati da un verme, si
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pagano 50 ed 80 fiorini. Questi Turbini si trovano il più facilmente intorno ad Amboina. Il Turbo clathrus, che non è più lungo di un pollice, assomiglia in qualche modo al Turbo Scalaris, e si distingue da esso pe’ giri che procedono l’uno sopra l’altro, e per la mancanza del buco dell’umbilico. Esso trovasi frequentemente sulle coste dell’Olanda.
Il genere delle conchiglie Elice (Helix) ha un guscio semplice spirale ed in qualche modo trasparente e sottile, ed un’apertura stretta a foggia di luna. Alle 60 specie che compongono questo genere, e che per lo più sono conchiglie terrestri, o vivono nell’acqua dolce, appartiene l’Helix janthiña, il di cui guscio è assai tenero, trasparente e di colore turchino violetto. Questa conchiglia abita sul fondo del mare, e non comparisce alla superficie, che in tempo di burrasca, nuotando come il Nautilo. Essa è della grandezza di quelle de’ giardini, e senza umbilico. L’animale è estremamente molle, assomiglia ad una gelatina turchina, e produce in tempo di notte una luce assai chiara.
Le conchiglie di un guscio solo, e non ritorte, ovvero quelle conchiglie i di cui
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tubi non si allargano a poco a poco (univolvia absque spira) sono da Linneo chiamate Serpulae, e divise in 5 generi. Le Patelle (Patellae), delle quali si contano 36 specie, si attaccano alle rocce come le Haliotes: l’abitatore ha due tentacoli corti , ed a foggia di setole, e per la maggior parte si mangiano. Fra tutte queste specie accenneremo solamente la patella laciniosa, la quale è propria alle Indie orientali, ed all’Africa. Il guscio è intieramente bianco, o bruno misto di bianco, con raggi assai marcati sul margine: questa conchiglia è lunga due in tre pollici. Qualche volta trovasi anche in altri mari. Nell’Olanda pagasi spesso 30 fiorini.
I Dentali (Dentalia) hanno ricevuto il nome dalla loro figura di dente. Il guscio consiste in un tubo semplice, per lo più un poco curvato ed angolato, senza camere, ed aperto su ambidue i lati. L’abitatore è una Folade senza tentacoli, ed alla parte posteriore di esso veggonsi de’ filamenti che gli servono per tenersi fermo nella sabbia. Se ne trovano 9 specie, le quali, paragonandole coi denti dell’elefante, del lupo, del cane, e del porco, ne hanno ricevuto il nome.
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Le Serpule, tubuli vermiculares, hanno la loro apertura rotonda, e per lo più si attaccano alle piante marine, ai granchi, ed alle conchiglie. Se ne trovano 16 specie, delle quali alcune non sono più grandi d’un seme di cavolo, o di coriandro; altre sono della grandezza di un’unghia o di un dito, ed altre arrivano alla grandezza di due piedi; altre poi sono a foggia di fili, e più volte attortigliate, come la Serpula anguina, la Serpula contortuplicata, e la Serpula glomerata, la quale è lunga quasi 3 palmi e pesa 20 libbre e più. La specie più rimarchevole delle serpule diritte è la Serpula penicillus (anche amphitrite penicillus), il di cai guscio, ch’è lungo 6 pollici circa, è rotondo e diritto; e dalla grossezza di un pollice diminuisce fino alla grossezza di un quarto d’un pollice. Sulla parte grossa ha un margine a foggia di manichetto, che lo rende simile ad un pennello. La parte interna del guscio assomiglia ad una botte da innaffiare, ed è a foggia di crivello, cioè traforata con molti piccoli buchi rotondi. Il disegno sotto il margine a guisa di manichetto, mediante la fantasia un poco alterata, può rappresentare facilmente quello di un volto umano
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e quindi alcuni hanno attribuito a questa Serpula il nome di monaco marino.
La Bruma (Teredo navalis), il di cui guscio rappresenta un turcasso arcato e rotondo, è bianca e rugosa. L’animale arriva alla lunghezza di un dito circa, ed alla grossezza d’un cannoncino di penna, ed ha due mascelle calcari e semirotonde, incavate al di fuori, ed angolate al di sotto. Ancor piccolo penetra nel legno de’ bastimenti e nei pali posti dell’acqua, poiché in essi spesso trovasi una quantità di questi animali già grandi, senza scoprire al di fuori de’ buchi più grandi della testa di una spilla. Nel 1730 questi vermi, portati per mezzo di alcuni bastimenti delle Indie orientali ne’ porti d’Olanda, rovinarono in breve tempo i bastimenti, ed i pali delle dighe, talché ne nacque un danno assai considerabile: i bastimenti dovettero essere coperti di nuovo, ed i pali essere rimpiazzati con ispese non indifferenti(1).
Le Anfitriti hanno un guscio a forma di
(1) Salii historia Teredinis S. Xylophagi marini, Traj. ad. Rhen. 1733. in 4. maj.
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turcasso, composto da grani di sabbia attaccati l’uno all’altro, da ghiaia, e da piccole cortecce. L’animale è una specie di Necide, è fornito di una bocca a guisa di tenaglia, ed ha dietro la testa due tentacoli grossi. La metà del corpo è composto di diverse articolazioni, delle quali ciascuna ha due piedi a foggia di porri. Il corpo posteriore, che finisce in una punta, è composto d’anelli, come quello de’ vermi, ed è senza piedi. Linneo ne conta 7 specie, fra le quali alcune sono sì piccole da poterle riconoscere solamente per mezzo de’ microscopi. Altre trovate sulle coste dell’Africa arrivano alla lunghezza di un dito, ed hanno un guscio di forma cilindrica assai sottile, ed aperto su ambidue i lati. Sui lati della testa si osservano delle fogliette dentate con 16 piccoli denti dorati, ed a foggia di corno, per cui si è dato a questa specie il nome di dente dorato (amphitrite auricoma).
Degli altri abitatori del mare ha l’Oceano delle Indie poco di particolare: e la maggior parte de’ pesci che in esso si trovano, e de’ quali abbonda, vive egualmente negli altri mari.
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La Torpedine (raja torpedo) è frequente nel mar Rosso, e nel seno della Persia. Negli stessi luoghi si trovano anche i pesci cani, i manati, ed altri mammiferi viventi nell’acqua.
I pesci della classe branchiastegi, o sia que’ pesci che non hanno branchie, e che respirano per mezzo di polmoni, e che Linneo nell’ultima edizione del suo sistema naturale pone fra gli anfibi, vivono tutti nel mare delle Indie; anzi alcuni generi quasi vi appartengono particolarmente come il Centrisco, e l’Ostracion.
Difficilmente troverassi negli altri mari l’ostracion gibbosus, il quale è quasi quadrato, ed ha sulla schiena una gobba; l’ostracion cubicus, che ha la forma d’un cubo, ed è senza spine; e fra i tetrodon, il tetrodon testudineus, il quale ha ricevuto questo nome a cagione di una somiglianza che esiste fra lui e la testuggine. Il dorso di questo è marcato con diverse strisce bianche a guisa di una rete, ed i fianchi del corpo sono tinti di bruno. Quello che lo distingue particolarmente è una quantità di piccoli buchi sulla pelle della parte inferiore del corpo, ne’ quali i pungoli si nascondono
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e si ritirano in modo, che esternamente non si possono punto osservare.
I Centrisci sono aperti al di sopra da uno scudo osseo, ovvero da una corazza che finisce in una punta lunga e pungente; il loro corpo inferiore è cuneifornie; le alette stanno attaccate l’una vicino all’altra, ed hanno delle fistole larghe, come il centriscus scutatus; ed il centriscus scolopax, i quali al più arrivano alla lunghezza di un pollice. Il centriscus scutatus ha una testa acuminata, un corpo lunghetto, ed assomiglia ad un coltello da tavola: pare che non abbia branchie, e che prenda il suo nutrimento a forza di succhiare. Il centriscus scolopax è un poco più grande dell’antecedente, ma non oltrepassa 4 pollici: il suo corpo è squamoso e ruvido; sulla parte posteriore del dorso vi è un pungolo lungo e dentato, diretto verso la coda, e che si lascia piegare in su ed in giù: davanti a questo pungolo grande se ne vedono ancora tre altri piccoli; la minima ferita prodotta da essi pungoli fa nascere un’infiammazione forte, e per ciò sono creduti velenosi. Il centriscus scolopax trovasi anche nel mare mediterraneo, ed è dagl’Italiani chiamato Acceggia
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di mare, trombetta (a Genova), e soffietta (a Roma).
Gli Ostracion sono pesci piccoli della langhezza di un dito; la loro bocca tubiforme sulla parte anteriore è piegata in su; la mascella superiore è guarnita di denti ma l’inferiore però, che chiude dentro di sé la superiore, non è dentata. La fistola per respirare trovasi avanti le alette pettorali, che molto si allargano a guisa di ale. Le due alette pettorali sono situate profondamente alla parte inferiore del corpo. Il loro corpo è coperto di una corazza composta di molte articolazioni ossee e tagliate. Se ne trovano tre specie, cioè il Pegasus draconis, la di cui bocca è cuneiforme, il corpo quadrato, e trovasi intorno ad Amboina; il Pegasus volans, che da per tutto trovasi nel mare delle Indie; ed il Pegasus natans con un becco a foggia di paletta.
Degli Oepodi, o del primo ordine di pesci secondo Linneo, si trovano nel mare delle Indie non solamente tutte le specie appartenenti agli altri mari, e da noi conosciuti, ma pure ve ne sono molti, che ad esso mare unicamente appartengono.
Le morene sembra che abbiano quiva il
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loro proprio domicilio, e si trovano non solamente la morena buona o mangiabile di una grandezza rimarchevole, ed il Grongo che oltrepassa sovente la lunghezza di 30 piedi; · ma si trovano anche disgraziatamente le due specie nocive, cioè la morena ophis colle macchie nere e pallide, ed il serpente marino (muraena serpens) d’un giallo sporco e d’un colore turchino chiaro alla parte inferiore del corpo. Ambedue queste specie diventano quivi più grandi che nel mare Atlantico; ed intorno alla costa di Malabar se ne trovano in sì grande quantità, che i navigatori destinati per la detta costa, vedendole saltare o rotolarsi sulla superficie del mare, cantano il Te Deum come segno di aver compiuto il loro viaggio.
Una specie particolare contata da’ sistematici fra i Gimnoti è il gymnotus asiaticus che si distingue dagli altri pesci, che hanno la forma di anguilla, e che sono della sua specie, per mezzo di un’aletta posta sul dorso. Le squame, che appena si scoprono negli altri pesci di questa specie, sono in lui ben conoscibili. La sua testa ha cinque punti incavati.
Una terza specie degli Apodi è il Trichiurus
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lepturus, il quale viene anche chiamato l’anguilla delle Indie. Il suo corpo è compresso su i lati, e d’uno splendore argenteo, e la coda è formata a foggia di punteruolo; è senza alette ventrali, anali e caudali; e lasciandosi in giù può egli abbassare le alette dorsali. Esso arriva alla lunghezza di 2 piedi, e diventa grosso mezzo pollice.
Intorno a Ceilan v’ha un’altra specie di anguilla con una proboscide lunga, la quale per questa ragione è chiamata pesce Elefante.
De’ Giugulari conta Linneo 6 generi, fra i quali, come il primo genere chiamato da lui Callionymi, appartiene anche il Calionymus indicus di figura piatta e di colore di piombo, il quale all’opercolo della branchia anteriore ha un pungolo doppio, ed a quella della branchia posteriore un pungolo semplice. Il pesce può aprire, e chiudere a piacimento detti opercoli.
Egualmente appartengono all’Oceano delle Indie alcune specie de’ Blenni: come il blennius cristalus, il di cui corpo è a foggia di lancia, e di colore olivastro; le narici sono tubiformi e dentate a traverso la fronte,
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frammezzo agli occhi, ha un pettine triangolare, consistente in una specie di pelle, e finalmente non arriva ad una maggior grandezza che a 6 fino a 7 pollici; il Blennius cornutus, il quale ha sopra gli occhi due filamenti isolati che assomigliano ad antenne la testa compressa e fornita di gibbosità tanto sulla fronte, quanto sulle guance; e il corpo ch’è lunghetto, e coperto di una pelle nuda, è marcato di punti e di macchie di colore di ferro: finalmente il blennius superciliosus ove le piccole antenne a foggia di pettine si trovano quasi attaccate alle ciglia.
Di altri giugulari vivono in questo mare l’Echeneis, e particolarmente la remora minore (Echeneis remora) della larghezza di 3 piedi, come egualmente le Corifene, e fra queste, diverse specie particolari, cioè 1. la Coryphaena pentadactyla. Su ambidue i lati delle branchie ha questa cinque macchie nere, delle quali la prima è un росо distante dalle altre, per cui si paragonano a quattro dita ed il pollice impresso. Essa è due volte più lunga che larga una figura a guisa di lingua, le squame sono lisce ed ottuse, marcate a traverso con una striscia bianca e larga, come
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lo sono egualmente le branchie; e le mascelle sono di eguale lunghezza, e fornite di piccoli denti. Il colore di esso vien indicato differentemente da scrittori di viaggi, poiché vi sono alcune variazioni. Ordinariamente è esso d’un giallo pallido), qualche volta verdiccio, le guance e gli occhi sono d’un giallo carico; sulla testa porta una striscia di colore ceruleo; le pettorali sono violette e coperte di strisce di colore d’arancio; la dorsale è di 21 raggi ed ha il colore verdiccio del mare, ornata con un margine giallo d’oro. La sua lunghezza è d’un piede. 2. La coryphaena acuta, 3. coryphaena lima, a cagione della lunga mascella inferiore, 4. coryphaena emiptera a motivo dell’aletta dorsale corta, e di 14 raggi, 5. la coryphaena velifera, 6. la coryphaena fasciolata.
Anche fra le Scorpene, altro genere di Giugulari, v’ha in questo mare una specie particolare, cioè la scorpaena horrida, la di cui pelle è coperta di piccole gibbosità.
I Chetodon, la di cui bocca è piena di denti pieghevoli a foggia di setole, e che volentieri si trattengono intorno agli scogli: oltre le coste delle Indie orientali si trovano ancora solamente sulle coste dell’America
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occidentale. Le specie che loro appartengono state nominate alloraquando abbiamo descritto il mare Atlantico. Qui si trovano solamente 1. il chaetodon rostratus, il di cui corpo forma quasi un quadrato, è tinto d’un bianco giallastro, ornato di quattro strisce oscure; la testa forma una tromba lunga ed ossea, e quasi a foggia d’un becco con una piccola apertura. Questo pesce per lo più si nutrisce degli insetti che svolazzano sopra l’acqua. Per prenderli innalza egli un poco il becco, e tira alcune gocce contro la preda, la quale, quasi infallibilmente, al primo colpo cade nell’acqua, e viene da lui mangiata con tale artificio. 2. Un’altra specie de’ Chaetodon chiamato chaetodon nigricans, e che si trova nel seno della Persia e nel mar Rosso, si distingue pel colore nericcio delle squame. 3. Il Chaetodon colla testa bianca, oppure Chaetodon aruanus, poiché si trova più frequentemente intorno all’isola di Aru, è conoscibile per la fronte bianca, e per tre strisce bianche sulla schiena.
Egualmente avvi una specie di Triglia chiamata triglia asiatica, la di cui mascella superiore finisce in una punta liscia. Del
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resto ha essa quattro filamenti a foggia di dita, ed è rotonda, e di colore argenteo.
Fra gli Sgombri di questi contorni trovasi in abbondanza una piccola specie particolare, di carne affatto rossa, ma appartenente alle specie più saporite de’ pesci(1).
Fra gli Spari coloriti appartiene al mare delle Indie lo Sparo spinoso (Sparus spinosus) che porta sul dorso un pungolo piegato in dietro, e che ha sul corpo delle strisce turchine; e fra i Pleuronetti solamente il plearo rectus trychodactylus presso Amboina: egli ha ricevuto questo nome a cagione delle alette pettorali che sono a guisa di fili o di capelli, il corpo è bruno ed ornato di macchie oscure, e gli occhi sono ambidue sul lato destro.
De’ Gobi si trovano qui tutte le specie, e particolarmente vi si osserva il Chiozzo nericcio (gobius niger), di corpo spirale, della lunghezza di 6 pollici, di testa grossa, e colle guance gonfie. La pelle liscia, morbida, coperta di squame, ed assai piccole,
(1) Allgemeine Historie der Reisen zu Wasser und zu Lande 7. tom. p. 13.
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è tinta d’un nero macchiato di giallo e di bianco. La schiena, la coda, e l’aletta anale sodo ornate di punti neri e turchini. Fra essi noterò il Gobius electris, senza squame fra la testa, e la prima aletta dorsale ed il gobius pectini rostris, i di cui denti, nella mascella inferiore, assomigliano ad un pettine. Queste due specie di gobi, come egualmente il gobius anguillaris, sono molto frequenti intorno alla China. L’ultima si distingue per l’aletta rossa, il suo corpo è lunghetto come quello delle anguille, la bocca è formata di labbra troppo grosse, e la pelle è lubrica e trasparente.
Fra i labri colla coda forcuta, e che vivono in questo mare, si conta il labrus opercularis, che su ambidue i lati degli opercoli ha una maci hia bruna: e fra quei labri, che hanno la coda dritta o troncata, si osserva il Chinese di colore piombino, e l’Indiano, ch’è bianco, e che ha un corpo lunghetto, e compresso.
Fra le Perche con una sola aletta dorsale, e senza la coda divisa, delle quali si conoscono 15 specie, appartiene a queste acque la Perca polymna con tre strisce bianche, e la Perca cottoides con due lime punteggiate
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su tutte le alette. Fra le Perche colla coda forcuta, ed un’aletta dorsale avvi la Perca Stigma marcata sull’opercolo; la Perca diagramma con diverse strisce gialle sul corpo, le quali sembrano rappresentare un’iscrizione, e la Perca radula con le squame dentate, ruvide ed acute, e con linee bianche e punteggiate.
I gasterostei delle Indie sono 1. il gasterosteo colla pancia morbida, il quale precisamente distinguesi da tutti gli altri della sua specie pel suo sterno molle, mentre gli altri generalmente lo hanno duro; 2. il gasterosteo volante; il quale ha quasi la figura di una Perca, e le alette pettorali più lunghe del corpo, che gli servono per volare, benché non si alzi a grande distanza. Egli ha presso gli occhi de’ copercoli, e sei cirri. Tredici pungoli dorsali, e la coda semirotonda pungente su ambidue i lati. 3. Il gasterosteo spinarella lungo un pollice, guarnito di quattro pungoli piegati, e dentati sulla parte posteriore.
All’ultim’ordine de’ pesci, secondo Linneo, ovvero agli addominali, ed ai loro diversi generi appartengono i pesci seguenti, che si trovano nel mare delle Indie.
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Acus chinensis della specie delle fistularie, fra le quali è stato contato a cagione del suo becco a foggia di turcasso, il quale è lungo 5 pollici, e largo un pollice. Esso si distingue dalla Tabacaria, particolarmente per la mancanza della verga lunga a foggia di osso di balena, la quale sorte dalla coda forcuta del secondo, ed anche per la sua coda che non è forcuta, e per la testa larga e grossa. L’aletta dorsale è posta vicino alla coda; e la parte media della schiena è guernita di alcuni raggi isolati che possono abbassarsi, e mettersi in una specie di solco. L’intera lunghezza del pesce non giunge a due piedi, della quale la testa ed il becco formano la terza parte circa. Il corpo è rossiccio, e guernito su i fianchi di puntini nericci, e sul dorso con istrisce di colore argenteo. Questo pesce si trova particolarmente intorno alla China, e scopresi anche sulle coste d’America, ove è chiamato trombetta acquatica.
Quella specie di pesci volanti, la quale per la figura, e grandezza assomiglia molto all’aringa, è assai frequente nel grande Oceano. Se essa penetri fino nel seno Persico, e nell’Arabico non è ancora deciso;
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poiché in alto mare, verso il 40° di latitudine, diventa rara, e non si vede più passata questa latitudine.
Il Paradiscus appartiene ai Polinemi, ed ha le alette pettorali; ha 7 processi liberi, non membranosi, ma filamentosi, i quali si paragonano alle dita, gran lunga la lunghezza del pesce, poiché questo intero è lungo 9 pollici, e largo due, mentre il primo de’ processi è lungo 16 pollici, ed i seguenti sono sempre più piccoli. Questo pesce è di colore d’arancio, risplende quasi come l’oro, e trovasi assai frequentemente nel seno di Bengala.
La Clupea thrissa, il di cui raggio ultimo nell’aletta dorsale è a foggia di setola; la Clupea sima colla bocca grossa; la Clupea mystus con piccole spine filamentose sul ventre, il di cui corpo è in gnisa di coltello, e l’aletta anale si unisce colla coda; la Clupea tropica con una coda cuneiforme; e la Clupea sinensis, nella quale il raggio estremo della membrana branchiostega è troncato, e le mascelle sono senza denti. Tutte queste Clupeae sono le aringhe che si trovano nelle Indie.
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Il Teuthis hepatus ha un colore di fegato con macchie turchine pallide; le sue alette sono tinte d’un turchino carico; su ambedue i lati della coda ha un pungolo acuto, mobile, forte, capace di piegarsi indietro, e che il pesce può alzare ed abbassare a piacimento. Le sue squame non si scoprono che per mezzo di un microscopio. Egli trovasi frequentemente intorno ad Amboina, e forma, unito alla Teuthis java, la quale non ha pungoli presso la coda, e vive intorno a Java, un genere particolare degli Addominali.
Siccome la maggior parte de’ pesci non ancora nominati appartengono a quelli che vivono nell’acqua dolce, o almeno in tempo della frega montano ne’ fiumi, ove sono pescati; così sarà sufficiente quanto si è detto per dare un’idea degli abitatori di questo mare.