SEZIONE SECONDA
DEI GIUDIZI
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Giudizio(1) è la rappresentazione dell’unità di coscienza di diverse rappresentazioni, o la rappresentazione della loro relazione in quanto formano un concetto.
(1) Urtheil.
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Ad ogni giudizio appartengono, come suoi elementi essenziali, materia e forma. La materia dimora nelle conoscenze date, raccolte ad unità di coscienza nel giudizio. La sua forma poi, nella determinazione della maniera e guisa onde le diverse rappresentazioni, come tali, appartengono ad una sola coscienza.
Poiché la logica fa astrazione da ogni differenza reale o obbiettiva della conoscenza; non può occuparsi della materia de’ giudizi, come non lo può del contenuto de’ concetti. Ella perciò ha semplicemente da considerare la differenza de’ giudizi rispetto alla loro mera forma.
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Le differenze de’ giudizi, rispetto alla loro forma, si possono ridurre ai quattro momenti principali della quantità, qualità, relazione e modalità; in riguardo a quali appunto si determinano altrettante diverse specie di giudizi.
Rispetto alla qualità i giudizi sono universali, particolari e singolari; secondo che il soggetto nel giudizio è totalmente, o in parte soltanto, incluso o escluso dalla nozione del predicato. Nel giudizio universale la sfera di un concetto è compresa del tutto entro la sfera di un altro; nel particolare una parte del primo sotto la sfera del secondo; e nel giudizio singolare finalmente un concetto che non ha affatto sfera, e però semplicemente come parte, è collocato sotto la sfera di un altro.
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Oss. 1. I giudizi singolari sono da considerare nell’uso, rispetto alla forma logica, uguali agli universali, perché negli uni e negli altri il predicato vale pel soggetto senza eccezione di sorta. Nella proposizione p. e. Caio è immortale, tanto meno può aver luogo la eccezione, quanto nell’universale: tutti gli uomini sono immortali. Perché ci ha solo un Caio.
2. Rispetto alla universalità di una conoscenza ha luogo una reale differenza tra proposizioni generali e universali, la quale veramente non importa per nulla alla logica. Vale a dire le proposizioni generali sono quelle che contengono semplicemente qualche cosa di generale di certi obbietti, e conseguentemente condizioni non sufficienti al subsumere; p. e. la proposizione: si dee fare fondatamente la dimostrazione; — proposizioni universali sono quelle, che di un oggetto affermano generalmente qualche cosa.
3. Le regole generali son tali analiticamente o sinteticamente. Quelle fanno astrazione dalle differenze; queste attendono alle differenze, e però determinano a loro riguardo. Quanto più semplicemente è pensato un oggetto, tanto più per la generalità analitica può essere concepito.
4. Quando proposizioni universali, senza conoscerle in concreto, non si possono vedere
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nella loro universalità, non possono servire di regola, e però valere largamente nell’applicazione; ma non sono che dati per ricercare i principi universali di ciò che è stato primo conosciuto in casi particolari. La proposizione, per esempio: chi non ha interesse d’ingannare e sa la verità, dice la verità, non è a considerare nella sua universalità, perocché noi non conosciamo i limiti della condizione del disinteresse che per mezzo dell’esperienza; vale a dire, che uomini possono ingannare per interesse, cioè, che non si attengono fermamente alla moralità. Osservazione che c’impara a conoscere la debolezza della natura umana.
5. Intorno ai giudizi particolari, è da notare, che, dovendo essere conoscibili per mezzo della ragione, e però avere una forma razionale, e non già semplicemente intellettuale (astratta), il soggetto deve essere un concetto più largo (conceptus latior) del predicato. Sia il predicato sempre =
il soggetto
è un giudizio particolare ; perchè qualche cosa di
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a è b, e qualche altra è non b: il che segue per la ragione. Ma sia:
può essere tutto a contenuto sotto b, se è minore; ma non, se è maggiore; perciò non è particolare che di una maniera contingente.
I giudizi rispetto alla qualità sono affermativi, negativi, o infiniti. Nel giudizio affermativo il soggetto è pensato sotto la sfera del predicato; nel negativo è posto fuori la sfera di esso, e nell’infinito è posto nella sfera di un concetto che è fuori la sfera di un altro.
Oss. 1. Il giudizio infinito indica semplicemente che un soggetto non è contenuto sotto la sfera di un predicato, ma che fuori della sua sfera si trova in altro luogo nella sfera infinita; conseguentemente questo giudizio rappresenta la sfera del predicato come limitata.
Ogni cosa possibile è A, o non A. Dicendo io: qualche cosa è non A, p. e. l’anima
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umana è non mortale, alcuni uomini sono non sapienti, e cose simili, è questo un giudizio infinito. Imperciocché per suo mezzo non è determinato, fuori della sfera finita A, a quale concetto l’obbietto appartenga; ma semplicemente che appartiene alla sfera fuori A, la quale non è affatto alcuna sfera, ma solamente il confine di una sfera nell’infinito e la limitazione stessa. Or, sebbene lo escludere sia negare, pure la limitazione di un concetto è operazione positiva. Quindi i limiti sono concetti positivi di oggetti limitati.
2. Secondo il principio del terzo escluso (exclusi tertii) la sfera di un concetto relativamente ad un’altra è esclusiva o inclusiva. Or, poiché la logica devesi occupare semplicemente della forma del giudizio, e non già de’ concetti rispetto al loro contenuto, la differenza dei giudizi infiniti dai negativi non appartiene a questa scienza.
3. Nei giudizi negativi la negazione modifica sempre la copula; negl’infiniti, non la copula ma il predicato è modificato dalla negazione; il che meglio si può esprimere nel latino.
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Rispetto alla relazione i giudizi sono categorici, ipotetici, disgiuntivi. Le rappresentazioni date nel giudizio sono, cioè, l’una all’altra, subordinate nell’unità di coscienza, come predicato a soggetto, o come conseguenza a principio, o come membro della divisione al concetto diviso. Per la prima relazione sono determinati i giudizi categorici, per la seconda gl’ipotetici e per la terza i disgiuntivi.
Nei giudizi categorici la materia è costituita dal soggetto e dal predicato; la forma, ond’è determinata ed espressa la relazione (di convenienza o di sconvenienza) tra soggetto e predicato, appellasi copula.
Oss. I giudizi categorici forniscono, a dir vero, la materia degli altri giudizi; ma non pertanto ei non devesi per ciò credere, come molti
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logici, che tanto i giudizi ipotetici, quanto i disgiuntivi non sieno altro che diverse maniere di giudizi categorici, e però tutti quanti si possano ridurre a questi. Tutte e tre le specie dei giudizi si fondano sopra funzioni logiche dell’intelletto essenzialmente differenti, e si han però a considerare secondo la loro differenza specifica.
La materia de’ giudizi ipotetici consta de’ due giudizi, che sono fra loro collegati come principio e conseguenza. L’uno di questi giudizi, che contiene la ragione, è l’antecedente (antecedens, prius); l’altro, che da quello procede come conseguenza, è il conseguente (consequens, posterius); e la rappresentazione di questa maniera di connessione de’ due giudizi tra loro nell’unità di coscienza si appella conseguenza, la quale costituisce la forma de’ giudizi ipotetici.
Oss. 4. Adunque ciò che è la copula per i giudizi categorici è la conseguenza per gl’ipotetici, cioè la loro forma.
2. Alcuni credono sia facile convertire una
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proposizione ipotetica in categorica. Ma ciò non va, perché, quanto alla loro natura, l’una differisce interamente dall’altra. Nei giudizi categorici non ci è niente di problematico, ma tutto è assertorio; negl’ipotetici, al contrario, non ci è che la conseguenza assertoria. Negli ultimi posso io connettere fra loro due giudizi falsi; perciocché in essi non si tratta che della legittimità del nesso, forma della conseguenza; nella quale si fonda la verità di questi giudizi. Ci ha essenziale differenza tra le due proposizioni: tutti i corpi sono divisibili, e se i corpi sono composti, sono divisibili. Nella prima proposizione io affermo la cosa in modo diretto, nella seconda solo sotto una condizione espressa problematicamente.
La forma del nesso nei giudizi ip[o]tetici è di due maniere: positiva (modus ponens), o negativa (modus tollens).
1. Se la ragione (antecedens) è vera, è ancora vera la conseguenza per esso determinata (consequens): questo si appella modus ponens;
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2. Se la conseguenza (consequens) è falsa, è falsa ancora la ragione (antecedens): questo dicesi modus tollens.
Un giudizio è disgiuntivo, se le parti della sfera di un concetto dato si determinano scambievolmente nel tutto, o come complementi di esso.
I diversi giudizi dati onde si compone il giudizio disgiuntivo, ne costituiscono la materia, e si appellano i membri della disgiunzione o dell’opposizione. Nella disgiunzione stessa, cioè nella determinazione del rapporto de’ diversi giudizi, in quanto scambievolmente si escludono e si completano tra loro come membri di tutta la sfera della conoscenza divisa, dimora la forma di questi giudizi.
Oss. Tutti i giudizi disgiuntivi rappresentano perciò diversi giudizi come in una sfera
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comune, e non producono ciascun giudizio che mediante la limitazione dell’altro in riguardo a tutta la sfera; quindi determinano la relazione di ciascun giudizio a tutta la sfera, e con ciò in pari tempo la relazione che si hanno fra loro questi diversi membri disgiunti (membra disjuncta). Perciò qui un membro determina ciascun altro, solo per questo che tutti quanti stanno in comunione come parti di tutta una sfera di conoscenza, fuori della quale nulla si può pensare in certa relazione.
Il carattere proprio di tutti i giudizi disgiuntivi, onde è determinata la loro differenza specifica, rispetto al momento della relazione, dai rimanenti giudizi e in ispecialità dai categorici, dimora in ciò, che i membri della disgiunzione sono tutti quanti giudizi problematici, dei quali non vien pensato altro che questo; cioè che essi, come parti della sfera di una conoscenza, ciascuno complemento dell’altro pel tutto (complementum ad totum), presi insieme, sieno ugualmente della stessa sfera. E di qui segue
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che in uno di questi giudizi problematici è contenula la verità, o, ciò che vale lo stesso, che uno di essi deve essere assertorio, perciocché fuori di essi la sfera della conoscenza niente altro comprende sotto le date condizioni, e l’uno è opposto all’altro; per conseguenza né fuori di essi può avervi qualche cosa di vero, né tra essi può più di uno esser vero.
Oss. In un giudizio categorico la cosa, la cui rappresentazione è considerata come parte della sfera di un’altra rappresentazione subordinata, si considera come contenuta sotto il suo concetto superiore; e però qui nella subordinazione della sfera la parte della parte è paragonata al tutto. Ma nei giudizi disgiuntivi io vado dal tutto alle parti prese insieme. Ciò che è contenuto sotto la sfera di un concetto è contenuto ancora sotto una parte di questa sfera. Quindi è uopo da prima dividere la sfera. Se io, per esempio, pronuncio il giudizio disgiuntivo: un dotto è dotto storicamente o razionalmente; determino con ciò, che questi concetti, in riguardo alla sfera, sono parti della sfera di dotto, ma in niun modo parti, l’uno dell’altro, e che essi tutti presi insieme sono completi.
Che nei giudizi disgiuntivi non la sfera del concetto diviso vien considerata come contenuta
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in quella della divisione, ma ciò che è contenuto sotto il concetto diviso, come contenuto sotto un membro della divisione, si può meglio chiarire pel seguente schema di paragone tra i giudizi categorici e i disgiuntivi.
Nei giudizi categorici, x, contenuto sotto b, ė ancora contenuto sotto a;
Nei disgiuntivi, x, che è contenuto sotto a, è contenuto sotto b o c, e così di seguito; La divisione adunque nei giudizi disgiuntivi mostra la coordinazione , non delle parti dell'in tero concetto, ma di tutte le parti della sua sfera . Qui io penso molte cose per mezzo di un concetto ; là poi una cosa per mezzo di più concetti; p . e. il definito per mezzo di tutte le note della coordinazione.
La divisione adunque nei giudizi disgiuntivi mostra la coordinazione, non delle parti dell’intero concetto, ma di tutte le parti della sua sfera. Qui io penso molte cose per mezzo di un concetto; là poi una cosa per mezzo di più concetti; p. e. il definito per mezzo di tutte le note della coordinazione.
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Rispetto alla modalità, pel quale momento è determinata la relazione dell’intero giudizio alla potenza conoscitiva, i giudizi sono problematici, assertorii, apodittici. I problematici sono accompagnati con la coscienza della semplice possibilità; gli assertorii con la coscienza della realtà, gli apodittici, in fine, con la coscienza della necessità.
Oss. 1. Questo momento della modalità non mostra, perciò, che la maniera e guisa come nel giudizio qualche cosa sia affermata o negata: se nulla si determini su la verità o non verità di un giudizio, come nel giudizio problematico: l’anima umana può essere immortale; o se vi si determini qualche cosa, come nell’assertorio: l’anima umana è immortale; o in fine, se la verità di un giudizio sia anzi espressa con la dignità della necessità, come nel giudizio apodittico: l’anima umana deve essere immortale. Cotesta determinazione della verità semplicemente possibile, o reale, o necessaria non riguarda perciò che il giudizio stesso, e per nulla la cosa su la quale si giudica.
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2. Ne’ giudizi problematici, che si possono ancora definire quelli la cui materia è data con la relazione possibile tra il predicato e il soggetto, il soggetto deve sempre avere una sfera minore del predicato.
3. Sopra la differenza tra i giudizi problematici e gli assertorii si fonda la vera differenza tra i giudizi e le proposizioni, che si vuole per altro porre falsamente nella semplice espressione per mezzo delle parole, senza le quali non si potrebbe al certo affatto giudicare. Nel giudizio la relazione delle diverse rappresenta zioni all’unità di coscienza vien pensata sempli[ce]mente come problematica; in una proposizione al contrario come assertoria. Proposizione problematica è una contradictio in adjecto. Prima che io abbia una proposizione, mi è uopo giudicare; e giudicando sopra molte cose che io non decido ma che debbo fare, tosto determino un mio giudizio come proposizione. Del rimanente è cosa buona giudicare problematicamente, prima che si ammetta il giudizio come assertorio, per esaminare in tal maniera. Né tutte le volte è necessario al nostro scopo avere giudizi assertorii.
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Quei giudizi in cui si contiene del pari un’affermazione e una negazione, ma di una maniera nascosta, sì che l’affermazione si faccia esplicitamente, e la negazione poi in modo implicito, sono proposizioni esponibili.
Oss. Nel giudizio esponibile, p. e. pochi uomini sono dotti, ci è, sebbene velatamente, 1° il giudizio negativo, molti uomini non sono dotti; 2° l’affermativo, alcuni uomini sono dotti. Poiché la natura delle proposizioni esponibili dipende semplicemente dalle condizioni del linguaggio, secondo cui si può brevemente esprimere due giudizi in una sola volta, è opportuno osservare che nella nostra lingua si possano dare giudizi bisognevoli di esposizione, non logicamente, ma grammaticalmente.
Proposizioni teoretiche si addimandano quelle che si riferiscono all’oggetto, e determinano ciò che gli convenga e ciò che non gli convenga;
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proposizioni pratiche, al contrario, sono quelle, che esprimono l’operazione per cui un oggetto è possibile, come sua condizione necessaria.
Oss. La logica deesi occupare delle proposizioni pratiche solamente rispetto alla forma, che in quanto a ciò sono opposte alle teoretiche. Le proposizioni pratiche, rispetto al contenuto e in quanto differiscono dalle speculative, spettano alla morale.
Proposizioni dimostrabili sono quelle che sono capaci di prova; quelle che non sono affatto capaci si appellano indimostrabili.
Alcuni giudizi immediatamente certi sono indimostrabili, e però si han da considerare come proposizioni-elementari.
Alcuni giudizi a priori immediatamente certi si possono appellare proposizioni fondamentali, in quanto che per essi si possono dimostrare
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altri giudizi, e non si possono subordinare ad altri. Perciò si appellano ancora principii(a).
I principii sono intuitivi e discorsivi. I primi si possono esporre nella intuizione e si appellano assiomi (axiomata); i secondi non si possono esprimere che per via di concetti, e si possono appellare acroami (acroamata).
Proposizioni analitiche diconsi quelle, la cui certezza si fonda su la identità de’ concetti (del predicato con la nozione del soggetto). Sintetiche poi sono da appellare quelle, la cui verità non si fonda su la identità de’ concetti.
(a) Quanto ai principii formali, vedi a pag . 98.
Trad.
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Oss. 1. A ogni x, cui conviene il concetto di corpo (a+b), conviene ancora l’estensione b; questo è un esempio di proposizione analitica. A ogni x, cui conviene il concetto di corpo (a+b), conviene ancora l’attrazione c; è questo un esempio di proposizione sintetica. Le proposizioni sintetiche accrescono la conoscenza rispetto alla materia, materialiter; le analitiche semplicemente rispetto alla forma, formaliter. Quelle contengono determinazioni (determinationes), queste solamente predicati logici.
2. I principii analitici non sono assiomi; perché essi sono discorsivi. E i principii sintetici ancora non sono assiomi, se non quando sono intuitivi.
La identità de’ concetti nei giudizi analitici può essere esplicita (explicita) o implicita (implicita). Nel primo caso le proposizioni analitiche sono tautologiche.
Oss. 1. Le proposizioni tautologiche sono vuote di valore (virtualiter), o vuote di conseguenze; perciocché sono senza utilità e senza uso.
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Così fatta è p. e. la proposizione tautologica, l’uomo è uomo: perciocché, se io nient’altro so dire dell’uomo che egli è uomo, io nient’altro so di lui.
Le proposizioni implicitamente (implicite) identiche non sono, al contrario, vuote di conseguenze e senza frutto; perciocché esse fanno chiaro, per mezzo della spiegazione(1) (explicatio); il predicato che era implicitamente nel concetto del soggetto.
2. Le proposizioni vuote di conseguenze si han da distinguere dalle vuote di senso, che nulla porgono all’intelletto, perciocché esse riguardano la determinazione delle cose dette qualità occulte (qualitates occultae).
Postulato è una proposizione pratica immediatamente certa, o un principio che determina una operazione possibile, nella quale si suppone che le maniera di eseguirla sia immediatamente certa.
(1) Entwickelung.
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Problemi (problemata) sono proposizioni dimostrabili, bisognevoli di ammaestramento, o tali che esprimono una operazione, la cui maniera di eseguire non sia immediatamente certa.
Oss. 1. Si possono dare ancora postulati teoretici a favore della ragion pratica. Ciò sono ipotesi teoretiche necessarie al fine pratico della ragione, come quelle dell’essere di Dio, della libertà e di un altro mondo.
2. Al problema appartiene 1. la questione, la quale contiene ciò che si deve fare, 2. la risoluzione, che contiene la maniera e guisa onde l’operazione si può eseguire; e 3. la dimostrazione, che, essendosi operato a quel modo, si è fatto ciò che si dovea.
Teoremi sono proposizioni teoretiche capaci e bisognevoli di prova. Corollari sono conseguenze immediate di proposizioni precedenti. Lemmi (lemmata) appellansi quelle proposizioni che alla scienza, dove si suppongono dimostrate, non sono estranee, ma sono tolte da altre scienze. Scolii, in fine, sono proposizioni di semplice
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schiarimento, che però non appartengono come membri al tutto del sistema.
Oss. Momenti essenziali e generali d’ogni teorema sono la tesi e la dimostrazione. La differenza tra teoremi e corollarii si può, del resto, riporre anche in ciò, che questi sono derivati immediatamente; quelli, al contrario, sono ricavati per mezzo di una serie di conseguenze da proposizioni immediatamente certe.
Un giudizio di percezione(1) è meramente subbiettivo; un giudizio obbiettivo per percezioni è un giudizio d’esperienza(2).
Oss. Un giudizio di mere percezioni non è possibile se non per questo solamente, che io esprimo la mia rappresentazione, come percezione: io, percependo una torre, percepisco in essa il colore rosso. Ma non posso dire: è rossa. Perciocché questo non sarebbe giudizio solamente empirico, ma anche di esperienza, cioè un giudizio empirico pel quale io ottengo un
(1) Wahrnehmungsurtheil.
(2) Erfahrungsurtheil.
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concetto dell’oggetto. Toccando p. e. una pietra, io sento calore: questo è un giudizio di percezione; al contrario, la pietra è calda, è un giudizio di esperienza. A quest’ultimo appartiene che io non ponga nell’oggetto ciò che è semplicemente nel mio soggetto; perché un giudizio di esperienza è la percezione, onde un concetto deriva dall’oggetto; p. e. se nella luna punti luminosi si muovono, o nell’aria, o nel mio occhio.