SEZIONE TERZA
DEI RAZIOCINI
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Per ragionare(1) è da intendere quella funzione del pensiero, onde si deriva un giudizio da un altro. Perciò raziocinio(2) in generale è la derivazione(3) di un giudizio da un altro.
Tutti i raziocinii sono immediati o mediati: raziocinio immediato (consequentia immediata)
(1) Schliessen.
(2) Schluss.
(3) Ableitung.
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è la derivazione (deductio) di un giudizio da un altro senza giudizio intermedio (judicium intermedium). Mediato è un raziocinio, se, per derivare una conoscenza di un giudizio, si usa altro concetto, oltre quello contenuto in esso giudizio.
I raziocinii immediati appellansi ancora raziocinii dell’intelletto(1); tutti i raziocinii mediati poi sono della ragione(2), e della giudicativa(3). Tratteremo prima degl’immediati o de’ raziocinii dell’intelletto.
Il carattere essenziale di tutti i raziocinii immediati, e il principio della loro possibilità consiste semplicemente in un cangiamento della
(1) Verstandesschlüsse.
(2) Vernunftschlüsse.
(3) Schlusse der Urtheilskraft.
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forma del giudizio; mentre che la materia de’ giudizi, il soggetto e il predicato, rimane la stessa senza mutazione.
Oss. 1. Per ciò che nei raziocinii immediati non si muta che la forma e per nulla la materia dei giudizi, cotesti raziocinii si distinguono essenzialmente da tutti i mediati, nei quali i giudizii, anche rispetto alla materia, sono differenti, dovendosi in questi aggiungere un nuovo concetto, come giudizio medio o come concetto medio (terminus medius), per derivare un giudizio da un altro. Se p. e. io ragiono così: tutti gli uomini sono mortali; dunque anche Cajo è mortale; questo non è un raziocinio immediato. Perciocché qui io uso per conchiudere ancora il giudizio di mezzo: Cajo è uomo; per questo nuovo concetto la materia poi è mutata.
2. Nei raziocinii dell’intelletto si può fare, a dir vero, un giudizio intermedio, (judicium intermedium); ma allora questo giudizio è meramente tautologico; come p. e. nel raziocinio immediato: tutti gli uomini sono mortali, alcuni uomini sono uomini, dunque alcuni uomini sono mortali; il concetto medio è una proposizione tautologica.
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I raziocinii dell’intelletto passano per tutte le classi delle funzioni logiche del giudizio, e sono perciò nelle loro maniere principali determinati mediante i momenti della quantità, della qualità, della relazione e della modalità. Di qui la seguente divisione di sì fatti raziocinii.
Nei raziocinii dell’intelletto per judicia subalternata, i giudizi sono differenti per la quantità, e quivi il giudizio particolare vien derivato dall’universale, secondo il principio: dall’universale al particolare vale la conseguenza; (ab universali ad particulare valet consequentia).
Oss. Un giudizio dicesi subalternato, in quanto è contenuto sotto l’altro, come p. e. un giudizio particolare sotto l’universale.
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Nei raziocinii intellettuali di questa specie, il congiamento riguarda la qualità de’ giudizi e considerata, per verità, rispetto alla opposizione. Or poiché questa opposizione può essere di tre maniere, ci è quindi la seguente divisione particolare de’ raziocinii immediati: per giudizi opposti contradittorii; per giudizi opposti contrarii; e per giudizi opposti subcontrarii.
Oss. I raziocinii intellettuali per giudizi equivalenti (judicia equipollentia) non si possono propriamente appellare raziocinii; perciocché, non avendo qui luogo alcuna conseguenza, essi sono piuttosto da riguardare come semplice sostituzione di vocaboli, che indicano uno e medesimo concetto, dove i giudizi stessi, anche rispetto alla forma, rimangono senza mutazione. Per esempio, non tutti gli uomini sono virtuosi, e alcuni uomini non sono virtuosi. Tutti e due dicono una e medesima cosa.
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Nei raziocinii dell’intelletto per mezzo di giudizi, che sono fra loro opposti contradittoriamente, e, come tali, costituiscono la semplice, pura opposizione, la verità di uno de’ giudizi opposti contradittorii si deduce dalla falsità dell’altro, e viceversa. Perciocché la pura opposizione, che qui ha luogo, contiene né più, né meno di ciò che appartiene alla opposizione. In conseguenza del principio del terzo escluso non possono perciò tutti e due i giudizi contradittorii esser veri, e né meno possono essere tutti e due falsi. Perciò, essendo uno vero, l’altro è falso, e viceversa.
Giudizi contrarii (judicia contraria) sono quelli, di cui l’uno è universale affermativo, l’altro è universale negativo. Or, poiché uno di loro dice più che la semplice negazione dell’altro, e in
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questo eccesso può aver luogo la falsità, essi non possono, per verità, essere tutti e due veri, ma possono essere tutti e due falsi. In riguardo a questi giudizi vale perciò solamente il conchiudere dalla verità dell’uno la falsità dell’altro, ma non viceversa.
Giudizi subcontrarii sono quelli, di cui l’uno particolarmente afferma o nega ciò che l’altro particolarmente nega o afferma.
Poiché essi possono essere tutti e due veri, e non mai tutti e due falsi, vale a loro riguardo soltanto la seguente conchiusione: se l’una delle due proposizioni è falsa, l’altra è vera; ma non viceversa.
Oss. Nei giudizi subcontrarii non ha luogo una pura, rigorosa opposizione; perciocché nell’uno non si nega o si afferma degli stessi oggetti ciò che si afferma o si nega nell’altro. Nel raziocinio p. e. alcuni uomini sono dotti; per ciò alcuni uomini non sono dotti: nel primo giudizio non si afferma degli stessi uomini, ciò che si nega nell’altro.
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I raziocinii immediati per conversione riguardano la relazione de’ giudizi, e consistono nella trasposizione de’ soggetti e de’ predicati nei due giudizi, così che il soggetto dell’uno passi a predicato dell’altro, e viceversa.
Nella conversione la quantità de’ giudizi o si muta o rimane immutata. Nel primo caso il converso (conversum) differisce per la quantità dal convertente (convertente), e la conversione dicesi mutata (conversio per accidens); nell’altro caso la conversione appellasi pura (conversio simpliciter talis).
In riguardo ai raziocinii dell’intelletto per mezzo della conversione ci ha le seguenti regole.
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1. I giudizi universali affermativi non si possono convertire che per accidens; perciocché il predicato in tali giudizi è un concetto più largo, e però non è contenuto che in parte in quello del soggetto.
2. Ma tutti i giudizi universali negativi si possono convertire semplicemente (simpliciter), perché in essi il soggetto è tratto fuori la sfera del predicato.
3. Allo stesso modo si possono, in fine, tutte le proposizioni particolari affermative convertire semplicemente (simpliciter); perché in questi giudizi una parte della sfera del soggetto è stata subordinata al predicato, e però si può ancora una parte della sfera del predicato subordinare al soggetto.
Oss. 1. Nei giudizi universali affermativi, il soggetto è considerato come un contentum del predicato, essendo contenuto sotto la sua sfera. Perciò non posso ragionare che a questo modo: tutti gli uomini sono mortali; dunque alcuni di quelli, che son contenuti sotto il concetto di mortale, sono uomini. Ma che i giudizi universali negativi si possono convertire simpliciter, la cagione n’è questa, che due concetti universali contradittori fra loro si contradicono in eguale estensione.
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2. Parecchi giudizi universali affermativi si possono, a dir vero, convertire ancora simpliciter. Ma la ragione di ciò non istà nella loro forma, ma nella proprietà particolare della loro materia; come p. e. i due giudizi: tutto ciò che è immutabile è necessario, e tutto ciò che è necessario è immutabile.
La maniera immediata di ragionare per mezzo della contraposizione consiste nel trasporre (metathesis) i giudizi in modo, che la quantità rimanga la stessa, e la qualità al contrario si muti(a). Essi non riguardano che la modalità dei giudizi, poiché trasformano un giudizio assertorio in un apodittico.
(a) Si vegga in questi due esempi: Ogni uomo onesto è giusto; dunque nessun ingiusto è uomo onesto. Alcuni cittadini non sono onesti; dunque alcuni non onesti sono cittadini.
Trad.
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Per la contrapposizione ci è questa regola generale:
Tutti i giudizi universali affermativi si possono contrapporre SIMPLICITER. Perché, se il predicato, come quello che contiene sotto di sé il soggetto e però tutta la sfera, vien negato, devesi ancora negare una parte di essa, cioè il soggetto. Oss. 1. La metathesis dei giudizi mediante la conversione e questa mediante la contrapposizione sono perciò fra loro opposte, in quanto che quella muta semplicemente la quantità, questa semplicemente la qualità.
2. Le anzidette maniere di raziocinii immediati si riferiscono solamente ai giudizi categorici.
Raziocinio della ragione è la conoscenza della necessità di una proposizione mediante il
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subordinamento della sua condizione ad una rego a universale data.
Il principio generale sul quale si fonda la validità d’ogni raziocinio della ragione si può precisamente esprimere nella seguente maniera:
Tutto ciò che sta sotto la condizione di una regola, sta ancora sotto la regola stessa.
Oss. Il raziocinio della ragione premette una regola generale e un assunto sotto la condizione di essa. Onde la conchiusione si conosce a priori non nel singolare, ma come contenuta nel generale e come necessaria sotto una certa condizione. E questo, che tutto sotto stia al generale e sia determinabile nella regola generale, è appunto il principio della razionalità o della necessità (principium rationalitatis s. necessitatis).
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Ad ogni raziocinio razionale appartengono di essenza queste tre parti:
1. una regola generale, che si appella maggiore (propositio major);
2. la proposizione che assume una conoscenza sotto la condizione della regola generale e dicesi minore (propositio minor);
3. in fine, la proposizione che afferma o nega della conoscenza assunta il predicato della regola, cioè la conchiusione (conclusio).
Le due prime proposizioni, prese insieme, si appellono premesse.
Oss. Regola è un’asserzione sotto una condizione generale. Il rapporto della condizione all’asserzione, come cioè questa sottostia a quella, è l’esponente della regola. La conoscenza che la condizione (dove che sia) ha luogo, è l’assunto. Il ligame di ciò ch’è assunto sotto la condizione, con l’asserzione della regola, la conseguenza.
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Nelle proposizioni antecedenti o premesse consiste la materia del raziocinio razionale; la forma poi nella conchiusione, in quanto contiene la conseguenza.
Oss. 1. Nel raziocinio razionale prima dunque è da esaminare la verità delle premesse, e poscia la legittimità della conseguenza. Nel rigettare un così fatto raziocinio, prima di rigettare la conchiusione, è d’uopo rigettare le premesse o la conseguenza.
2. Nel raziocinio razionale la conchiusione è data, sì tosto che son date le premesse e la conseguenza.
Tutte le regole (giudizi) contengono una obbiettiva unità di coscienza della diversità delle conoscenze; e però una condizione sotto la quale una conoscenza appartiene con un’altra ad
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una sola coscienza. Or non si possono pensare che tre condizioni di questa unità: cioè, come soggetto d’inerenza delle note; come ragione di dipendenza di una conoscenza rispetto ad un’altra; in fine come collegamento di parti in un tutto (divisione logica). Conseguentemente non si possono dare che altrettante specie di regole generali (propositiones majores), onde la conseguenza di un giudizio si ottenga per mezzo di un’altra.
E sopra ciò si fonda la divisione di tutti i raziocinii razionali in categorici, ipotetici e disgiuntivi.
Oss. 1. I raziocinii razionali non si possono perciò dividere, né per la quantità, perché ogni maggiore è una regola, e però qualche cosa generale; né per la qualità, perché è ugualmente valevole, comunque sia la conchiusione, affermativa o negativa; né, in fine, rispetto alla modalità, perché la conchiusione è sempre accompagnata con la coscienza della necessità ed ha perciò la dignità di una proposizione apodittica. Adunque non rimane che la relazione come ragione di una divisione possibile de’ raziocinii razionali.
2. Molti Logici tengono come ordinarii solamente i raziocinii razionali categorici; i
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rimanenti poi come straordinarii. Ma ciò è senza fondamento ed è falso: perocché tutte e tre coteste maniere di ragionare sono prodotti ugualmente legittimi della ragione, e del pari di sue funzioni essenzialmente differenti.
La differenza tra le tre anzidette maniere di raziocinii razionali sta nella premessa maggiore(1). Nei raziocinii razionali categorici la maggiore è una proposizione categorica; negl’ipotetici è ipotetica o problematica; e nei disgiuntivi è disgiuntiva.
In ogni raziocinio razionale categorico si rinvengono tre concetti principali(2) (termini), cioè:
1. il predicato nella conchiusione; il quale si appella concetto maggiore(3) (terminus major), perché ha una estensione maggiore del soggetto;
(1) Obersatz.
(2) Hauptbegriffe.
(3) Oberbegriff.
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2. il soggetto (nella conchiusione), il cui concetto appellasi minore(1) (terminus minor);
3. una nota media (nota intermedia), che appellasi concetto medio(2) (terminus medius), perciocché a suo mezzo una conoscenza si subordina alla condizione della regola.
Oss. Questa differenza dei termini anzidetti non ha luogo che nei raziocinii categorici, perché essi solamente conchiudono per via di un termine medio; gli altri, al contrario, non conchiudono che assumendo una proposizione, rappresentata problematicamente nella maggiore e assertoriamente nella minore.
Il principio sul quale fondasi la possibilità(3) e la validità(4) di tutti i raziocinii razionali categorici, è questo:
Ciò che conviene alla nota di una cosa, conviene alla cosa stessa; e ciò che ripugna alla nota di una cosa, ripugna ancora alla cosa
(1) Unterbegriff.
(2) Mittelbegriff.
(3) Möglichkeit.
(4) Gültigkeit.
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stessa (nota notae est nota rei ipsius; repugnans notae, repugnat rei ipsi).
Oss. Da questo principio appunto si può facilmente dedurre il così detto «Dictum de omni et nullo»; e perciò questo non può valere come principio supremo, né per i raziocini razionali in generale, né per i categorici in particolare.
I concetti generici e specifici sono cioè note generali di tutte le cose che sottostanno a cotesti concetti. Quindi vale qui la regola: ciò che conviene o ripugna al genere o alla specie, conviene o ripugna a tutti gli oggetti che sono contenuti sotto quel genere o specie. E questa regola significa appunto il Dictum de omni et nullo.
Dalla natura e dal principio de’ raziocinii razionali categorici derivano le seguenti regole a loro riguardo:
1. In ogni raziocinio razionale categorico non si possono contenere né più, né meno, di tre concetti principali (termini); perciocché qui si
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deve collegare due concetti (soggetto è predicato) mediante una nota media.
2. Le premesse non debbono essere tutte e due negative (ex puris negativis nihil sequitur); perché la subordinazione nella minore deve essere affermativa, indicando che una conoscenza sottostà alla condizione della regola.
3. Le premesse né meno debbono essere tutte e due proposizioni particolari (ex puris par ticularibus nihil sequitur); perciocché allora non si ha alcuna regola, cioè proposizione generale, onde si possa derivare una conoscenza particolare.
4. La conchiusione si conforma sempre alla parte più debole del raziocinio, cioè alla proposizione negativa e particolare nelle premesse, come quella che vien appellata parte più debole nel raziocinio razionale categorico (conclusio sequitur partem debiliorem).
5. Di qui è, che, essendo una delle premesse proposizione negativa, la conchiusione deve essere ancora negativa;
6. e, ove una premessa sia particolare, particolare deve essere ancora la conchiusione;
7. in tutti i raziocinii razionali categorici la maggiore deve essere una proposizione
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universale (universalis), la minore una proposizione affermativa (affirmans); e quindi segue in fine,
8. che la conchiusione deve conformarsi, per la qualità, alla maggiore; per la quantità poi, alla minore.
Oss. Che la conchiusione debba sempre conformarsi alla premessa, negativa e particolare, è cosa facile a vedere. Quando io fo sol particolare la minore e dico: alcuna cosa è contenuta sotto la regola; nella conchiusione posso dire solamente che il predicato della regola conviene a qualche cosa, perché non più di questo ho subordinato alla regola. E quando io ho a regola, cioè, a maggiore, una proposizione negativa, debbo fare anche negativa la conchiusione. Perciocché, se la maggiore dice: questo o quel predicato si deve negare di tutto ciò che sottostà alla condizione della regola, la conchiusione deve negare il predicato anche di tutto ciò (del soggetto) che è stato subordinato alla condizione della regola.
Un raziocinio razionale categorico è puro (purus), se non vi è intromessa alcuna
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conchiusone immediata, né l’ordine regolare delle premesse è mutato; nel caso contrario si appella impuro o misto (ratiocinium impurum o hybridum).
Ai raziocinii misti sono da annovare quelli che si formano mediante la conversione delle proposizioni, e in cui perciò l’ordine di queste proposizioni non è regolare. Tal caso ha luogo nelle tre ultime così dette figure del raziocinio cate gorico.
Per figure sono da intendere le quattro maniere di conchiudere, la cui differenza è determinata mediante la collocazione particolare delle premesse e de’ loro concetti.
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Vale a dire, il termine medio, dalla cui collocazione dipende la figura, può occupare:
1. nella maggiore il luogo del soggetto, e nella minore quello del predicato;
2. nell’una e nell’altra premessa il luogo del predicato;
3. nell’una e nell’altra il luogo del soggetto;
4. nella maggiore il luogo del predicato, e nella minore quello del soggetto.
Per mezzo di questi quattro casi è determinata la differenza delle quattre figure. Indichi S il subbietto della conchiusione, P il suo predicato, e M il termine medio; si può lo schema delle anzidette quattro figure rappresentare nella seguente tavola:
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La regola della prima figura è, che la maggiore sia una proposizione universale, e la minore affermativa. E poiché ciò deve essere la regola generale di tutti i raziocinii razionali categorici, ne segue che la prima figura sia la sola regolare, che giace a fondamento di tutte le altre, e alla quale tutte le altre, per essere valide, è uopo ridurre mediante la conversione delle premesse metathesis praemissorum(a).
Oss. La prima figura può aver una conchiusione d’ogni quantità e qualità. Nelle altre figure non ci ha che conchiusioni di certa specie; alcuni loro modi ne sono esclusi. Ciò indica già che coteste figure non sono perfette, ma vi si trovano certi limiti i quali impediscono
(a) L’A. chiarisce largamente quel che qui accenna in una sua dissertazione che ha per titolo: Die falsche Spitzfindigkeit der vier syllogistischen Figuren erwiesen: La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche dimostrata.
Vedi «zweiter Band. S. 53. Ediz. di Hartenstein.
Trad.
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che la conchiusione possa aver luogo in tutti i modi, come nella prima figura.
La condizione della validità delle tre ultime figure, sotto la quale è possibile in ciascuna di esse un modo giusto di ragionare, deriva da ciò che il termine medio nelle proposizioni tenga tal luogo, dal quale, per conseguenze immediate (consequentias immediatas) possa derivare la loro disposizione secondo le regole della prima figura. Di qui le seguenti regole per le ultime figure.
Nella seconda figura la minore è regolare; per ciò si deve convertire la maggiore, e in modo che rimanga universale. Or ciò non è possibile, se essa non è universale negativa; essendo affermativa, deve essere contrapposta. Nell’uno
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e nell’altro caso la conchiusione diviene negativa (sequitur partem debiliorem).
Oss. La regola della seconda figura è questa: ciò, cui ripugna una nota di una cosa, ripugna alla cosa stessa. Or qui io debbo prima convertere e dire: ciò, cui una nota ripugna, ripugna a questa nota; o debbo convertire la conchiusione: cui una nota di una cosa ripugna, ripugna la cosa stessa; per conseguenza ripugna alla cosa.
Nella terza figura la maggiore è regolare; si deve perciò convertire la minore; ma in modo che ne risulti una proposizione affermativa. Ma ciò non è possibile, se non quando la proposizione affermativa è particolare; perciò la conchiusione è particolare.
Oss. La regola della terza figura è questa: ciò che conviene o ripugna ad una nota, conviene ancora o ripugna a quelle, sotto cui questa nota è contenuta. Qui io debbo prima dire: conviene o ripugna a tutte quelle cose, che sono contenute sotto questa nota.
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Se nella quarta figura la maggiore è universale negativa, si può convertire puramente (simpliciter); nello stesso modo la minore, come particolare; perciò la conchiusione è negativa. Essendo, al contrario, la maggiore universale affermativa, si può convertire solo per accidens, o contrapporre; perciò la conchiusione è particolare, o negativa. La conchiusione non dovendo essere convertita (P S mutata in S P), è uopo fare una inversione di premesse (metathesis p[r]aemissorum), o una conversione di tutte e due.
Oss. Nella quarta figura si ragiona a questo modo: il predicato si riferisce al termine medio, il termine medio al soggetto (della conchiusione), quindi il soggetto al predicato; ma ciò non segue affatto, sì bene in ogni caso la sua reciproca.
Per rendere ciò possibile, la maggiore si deve passare a minore, e viceversa; di più la conchiusione devesi convertire, perciocché nel primo mutamento il termine minore vien mutato in maggiore.
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Dalle arrecate regole per le tre ultime figure apparisce chiaramente:
1. che in niuna di esse ci è conchiusione universale affermativa, ma che la conchiusione è sempre o negativa, o particolare;
2. che in ciascuna c’è misto un raziocinio immediato (consequentia immediata), che, per verità, non è espressamente indicato, ma che non per tanto deve essere tacitamente inteso; e però anche in grazia di questo,
3. tutte queste tre ultime maniere di ragionare non si debbono dire raziocinii puri, ma impuri (ratioc. hybrida, impura), poiché ogni raziocinio puro non può avere più di tre termini principali.
Raziocinio ipotetico è quello che ha per maggiore una proposizione ipotetica. Esso perciò
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consta di due proposizioni: cioè di un antecedente (antecedens) e di un conseguente (consequens), e quivi si deduce, o secondo il modo ponente, o secondo il modo tollente.
Oss. 1. I raziocinii razionali ipotetici non hanno perciò mezzo termine, medium terminum, ma in essi la conseguenza di una proposizione vien indicata solamente mediante un’altra. Va le a dire, nella loro maggiore vien espressa distintamente la conseguenza di due proposizioni, l’una dell’altra, delle quali la prima è premessa, la seconda conchiusione. La minore è un cangiamento della condizione problematica in una proposizione categorica.
Quindi si raccoglie come il raziocinio ipotetico sia da riguardare qual composto di due proposizioni, senza avere termine medio; che esso non sia propriamente raziocinio razionale, ma piuttosto una conchiusione immediata dimostrabile, per antecedente e conseguente, secondo la materia o secondo la forma (consequentia immediata de monstrabilis ex antecedente et consequente) vel quoad materiam vel quoad formam.
Ogni raziocinio razionale deve essere una prova. Or il raziocinio ipotetico non reca in sé che un fondamento di prova. Perciò è chiaro che non potrebbe essere un raziocinio razionale.
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Il principio de’ raziocinii ipotetici è la proposizione fondamentale: A ratione ad rationatum; — a negatione rationali ad negationem rationis valet consequentia.
Nei raziocinii disgiuntivi la maggiore è una proposizione disgiuntiva, e però deve, come tale, avere i membri della divisione o disgiunzione.
Qui si conchiude dalla verità di un membro della disgiunzione la falsità degli altri; o dalla falsità di tutti i membri, eccetto uno, la verità di questo uno. Quello procede per modum ponentem (o ponendo tollentem), questo per modum tollentem (tollendo ponentem).
Oss. 1. Tutti i membri della disgiunzione, eccetto uno, presi insieme, costituiscono l’opposto contradittorio di quest’uno. Perciò ha qui luogo una dicotomia(a) secondo la quale, se una
(a) Διχοτομία, divisione in due parti, da διχοτομέν, io fendo in due parti, io divido
Trad.
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delle due parti è vera, l’altra deve essere falsa, e viceversa.
2. perciò tutti i raziocinii razionali disgiuntivi, che hanno più di due membri, sono propriamente polisillogistici. Perché ogni vera disgiunzione non può essere che bimembre (bimembris), e la divisione logica è ancora bimembre; ma i membri della suddivisione (membra subdividentia) si pongono, in grazia della brevità, tra i membri della divisione (membra dividentia).
Il principio del ragionamento disgiuntivo è quello del terzo escluso:
A contradictorie oppositorum negatione unius ad affermationem alterius; — a positione unius ad negationem alterius — valet consequentia.
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Dilemma(a) è un raziocinio razionale disgiuntivo; o un raziocinio ipotetico il cui conseguente è un giudizio disgiuntivo. La proposizione ipotetica, il cui conseguente è disgiuntivo, è la maggiore; la minore afferma che il conseguente (per omnia membra) è falso, e la conchiusione afferma che sia falso l’antecedente (antecedens). A remotione consequentis ad negationem antecedentis valet consequentia.
Oss. Gli antichi facevano moltissimo uso del dilemma e l’appellavano raziocinio cornuto. Essi sapevano dar la stretta ad un avversario dire tutto ciò cui poteva rivolgersi, e, confutando tutto. Gli mostravano molte difficoltà in ogni opinione che ammetteva. Senonché è un arte sofistica quella di non confutare direttamente le proposizioni, ma solo mostrarne le difficoltà; il che invero attacca molle, anzi moltissime cose.
Or se vogliamo dichiarare falso tutto ciò in
(a) Δί – λεμμα da δια – λαμβἀνω, che significa, ricevo divisivamente, prendo con tutte e due le mani, tengo fermo.
Trad.
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cui si trovano difficoltà, riesce un giuoco facile il rigettare tutto. Mette bene, a dir vero, di mostrare la impossibilità dell’opposto; ma ci è qualche cosa d’illusorio in ciò, tenendosi la inconcepibilità dell’opposto per sua impossibilità. I dilemmi hanno perciò molto di capzioso in sé, sebbene conchiudano rettamente. Si possono usare per difendere proposizioni vere, ma anche per attaccarle col muovere difficoltà contro di esse.
Raziocinio razionale formale è quello che non solo contiene tutti i requisiti secondo la materia, ma ancora rispetto alla forma è regolarmente e perfettamente espresso. A’ raziocinii così fatti sono opposti i cryptica; ai quali si possono annoverare tutti quelli in cui l’ordine delle premesse è invertito, o una delle premesse tralasciata, o in fine il termine medio è congiunto solamente con la conchiusione. Un raziocinio razionale criptico (crypticum) della seconda maniera, in cui una delle premesse non si esprime, si appella raziocinio
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monco, o entimema(a). Quelli della terza specie si appellano raziocinii contratti.
(a) Il Trendelenburg per giustissime ragioni si allontana da questa maniera di pensare, generalmente accolta, intorno all’entimema. Egli fa notare anzi tutto come sì fatta specie di ragionare derivi da ciò che la nostra mente prende, talvolta, occasione da cose probabili, da verosimili, o da segni, e forma proposizioni universali. Enthymema, ei dice, ex verisimilibus vel signis. Se non che quelle proposizioni non hanno, assoluta universalità, cioè non son tali da non patire eccezione di sorta; di qui l’imperfezione di tal modo di ragionare. Né altro è costantemente presso Aristotele il significato di entimema: Haec prima enthymematis vis eaque apud Aristotelem sibi constans. E avvalora la sua sentenza con l’autorità di Quintiliano. L’entimema si appellò ancora sillogismo rettorico, o sillogismo imperfetto. Di qui è avvenuto che, guardandosi più alla forma esteriore che al valore suo proprio siasi detto «sillogismo in cui è tralasciata una delle premesse», facendo falsamente derivare entimema da ciò, che si ritenga una delle premesse nell’animo ἐν δυμῷ: derivazione lontana, come egli ben nota, sì dall’origine greca della parola entimema e sì dall’uso fattone da Aristotele: Enthymematis nomen si qui inde ducunt, quod propositio vel assumtio, ἐν δυμῷ, animo retineatur: quum ab origine Graeca tum ab Aristotelis usu discedunt. In vece è a dirsi entimema, giusta il Facciolati per questo che
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La facoltà de’ giudizi(1) è duplice: determinativa e riflessiva. La prima va dall’universale al
sia un certo pensiero ovvero una considerazione della nostra mente che ricerca in qualche cosa ciò che è conveniente e acconcio a persuadere: esse enim ἐνδυμεῐσται, versare animo, cogitare, commentari. E secondo Quintiliano ancora: Enthymema (quod nos commentum sane aut commentationem interpretemur, quia aliter non possumus Graeco melius usuri) unum intellectum habet, quo omnia mente concepta significat; eccetera.
Vedi: Elementa Logices Aristoteleae. Pag. 116.
Se non che ci è de’ nostri alcuni che han mantenuta cotesta tradizione filosofica, l’antico ed originario significato dell’entimema. Per fermo, Genovesi, filosofo del salernitano, scrive: Enthymema est forma argumentandi, quae progreditur a signis ad res significatas; ut Mulier lac habet; ergo peperit. Expalluit; ergo timet. Tussit, ergo laborat pectore. Calet; ergo febricitat. Dopo ciò passa a dire l’uso che se ne fa dai recenti.
Vedi «Istitutiones Logicae». Lib. V. §. 6°
Trad.
(1) Urtheilskraft.
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particolare; la seconda dal particolare all’universale. La seconda non ha che un valore subbiettivo; perciocché l’universale, a cui ella ascende dal particolare, non è che una universalità empirica, un semplice analogo dell’universalità logica.
I raziocini della facoltà giudicativa sono certe specie di raziocinii onde si passa da concetti particolari a concetti generali. Non sono perciò funzioni della facoltà determinativa de’ giudizii, ma della riflessiva; e però non determinano l’obbietto, ma solamente la maniera di riflettere su di esso, per giungere alla sua conoscenza.
Il principio che giace a fondamento de’ raziocinii della giudicativa, è questo: che molte cose non si accordano insieme in uno senza una
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ragione comune; ma ciò che conviene di questa maniera a molte cose, sarà necessariamente per una ragione comune.
Oss. Poiché un tal principio giace a fondamento de’ raziocinii della giudicativa, non si possono questi perciò tenere per raziocinii immediati.
La giudicativa, procedendo dal particolare al generale, per trarre giudizi generali dall’esperienza, e però non a priori (empiricamente), conchiude, da molte cose, tutte le cose di una specie; o da molte determinazioni e proprietà in cui convengono cose della stessa specie, le rimanenti in quanto appartengono allo stesso principio.
La prima maniera di ragionare si appella raziocinio per induzione; l’altra, raziocinio per analogia.
Oss. 1. La induzione perciò procede dal particolare al generale (a particulari ad universale), giusta il principio dal generaleggiare: ciò che
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viene a molte cose di un genere, conviene alle rimanenti cose dello stesso genere. L’analogia conchiude, dalla particolare simiglianza di due cose, la totale, giusta il principio della specificazione: le cose di un genere, delle quali si conoscono molte convenienze, convengono ancora nel rimanente che conosciamo in alcune cose di questo genere, ma non percepiamo nelle altre. La induzione allarga i dati empirici dal particolare al generale in riguardo a molti oggetti; l’analogia poi estende le qualità date di una cosa a molte della cosa stessa. Uno in molti, dunque in tutti: induzione; molti in uno (che è ancora in altri), dunque anche il rimanente in esso: analogia. Così l’argomento a favore dell’immortalità, cavato dal perfetto sviluppamento delle facoltà naturali d’ogni creatura, è un raziocinio per analogia.
Intanto in così fatti raziocini non si richiede la medesimezza della ragione (par ratio). Per analogia conchiudiamo solamente che ci ha abitanti ragionevoli nella luna, ma non uomini; né meno si può conchiudere per analogia oltre il terzo termine di paragone, tertium comparationis.
2. Ogni raziocinio razionale è uopo che porga necessità L’induzione e l’analogia non
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sono perciò raziocinii razionali, ma solamente presunzioni logiche, o raziocinii empirici; e per induzione si ottiene bene una proposizione generale, ma non universale(a).
3. Gli anzidetti raziocinii della giudicativa sono utili e indispensabili per lo allargamento delle nostre conoscenze sperimentali. Ma poiché non porgono che certezza empirica, dobbiamo servircene con accorgimento e circospezione.
Un raziocinio razionale appellasi semplice, se non è che un solo; composto, se risulta da più raziocinii razionali.
Un raziocinio composto, in cui i diversi raziocinii razionali sono fra loro collegati non per semplice coordinazione, ma per subordinazione,
(a) Vedi §. 21. Oss. 2.
Trad.
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cioè come principii e conseguenze, appellasi catena di raziocinii razionali(1) (ratiocinatio polysyllogistica).
Nella serie dei raziocinii composti si può procedere in due maniere: o dai principii alle conseguenze, o dalle conseguenze ai principii. Il primo procedimento è di episillogismi, il secondo di prosillogismi. Vale a dire, episillogismo è quel raziocinio nella serie dei raziocinii, la premessa del quale diviene la conchiusione di un prosillogismo, e però di un raziocinio, che ha la premessa del primo a conchiusione.
Un raziocinio, che risulta di più raziocinii abbreviati e fra loro collegati ad una sola conchiusione, si appella sorite(a), o raziocinio a catena,
(1) Kette von Vernunftschlüssen.
(a) Σωρεῖτης, da σωρός, cumulus, acervus.
Trad.
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il quale può essere progressivo o regressivo, secondo che dalle ragioni più prossime va alle più lontane, ovvero da queste a quelle.
I raziocinii a catena, sì progressivi come regressivi, possono di nuovo essere categorici o ipotetici. Quelli constano di proposizioni categoriche, come di una serie di predicati; questi di proposizioni ipotetiche, come di una serie di conseguenze.
Un raziocinio razionale falso nella forma, sebbene abbia l’apparenza di giusto raziocinio, appellasi raziocinio fallace. Così fatto raziocinio si appella paralogismo, in quanto alcuno s’inganna da sé; sofisma, in quanto altri di proposito cerca per tal mezzo ingannare.
Oss. Gli antichi molto si occupavano dell’arte di fare simili sofismi. Onde se ne
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distinguono molti di tal fatta; p. e. il sophisma figurae dictionis, in cui il termine medio è preso in diversi sensi; fallacia a dicto secundum quid ad dictum simpliciter — sophisma heterozeteseos, elenchi, ignorationis, ed altrettali.
Salto nel conchiudere o nel provare è il congiungere una premessa con la conclusione, di maniera che l’altra premessa sia tralasciata. Un tal salto è legittimo, se ognuno può di sua mente supplire la premessa mancante; ma è illegittimo, se l’assunto (premessa minore) non è chiaro. Allora si collega una nota lontana con una cosa senza la nota intermedia.
Per petizione di principio s’intende lo ammettere a principio di prova una proposizione come immediatamente certa, sebbene abbia pur bisogno di prova. E si cade in un circolo vizioso, quando la proposizione che si vuol provare si pone a fondamento della sua stessa prova.
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Oss. Il circolo nella prova spesso è difficile a scoprire; e vi si cade ordinariamente con la maggior frequenza allora appunto che le prove sono difficili.
Una prova può provare troppo o pure poco. Nel secondo caso non prova che una parte di ciò che si deve provare; nel primo si estende anche a ciò che è falso.
Oss. Una prova che prova poco, può esser vera e però non è da rigettare. Ma provando troppo, prova più del vero; e in tal caso è falsa. Così p. e. la prova contro il suicidio, che chi non si è data la vita, né meno la si può togliere, prova troppo; perciocché in virtù di cotesto principio né pure ci sarebbe permesso di uccidere alcun animale. Essa dunque è falsa.