45
Il detto dei turchi, desunto dalla loro dottrina fatalista, riguardo alla temperanza, che, cioè, in principio sia stata a ciascuno fissata la sua porzione di cibo, onde a quegli che si facesse a divorare sregolatamente la sua modesta parte, diminuirebbe in proporzione il numero dei pasti, e quindi la vita, tal detto può applicarsi al sonno. Credo espressione della verità la sentenza, che partendo dal principio che
46
il destino abbia ad ogni uomo assegnata la sua parte di sonno, dichiarasse, come a quelli che dormisse troppo nell’età virile, cioè oltre il terzo della giornata) venga in proporzione diffalcato il tempo di sonno ulteriore, cioè la vecchiaia.
Chi si forma un diletto del dolce sopor del sonno, come gli spagnuoli colla siesta, e lo prolunga oltre il terzo della giornata; oppure vi si abbandona ad intervalli durante il giorno, sbaglia il calcolo della vita, sia riguardo all’intensità che alla lunghezza della medesima. Poiché nessun uomo concepirebbe il desiderio di far senza del sonno, bisogna inferirne che la vita è considerata come una pena, dalla quale viene ad essere diffalcato il tempo dato al sonno. Ciò ammesso, il miglior consiglio sia per i sensi che per la ragione, sarebbe di sottrarre subito questo terzo
47
inattivo, abbandonandolo alla inevitabile riparazione della natura. Però bisogna ripeterlo con esatta e congrua distribuzione, secondo il modo accennato(4).
Una delle più incomode sensazioni morbose è di non poter dormire, oppure di non poter star desti nelle ore a ciò destinate. Peggiore è la prima, cioè mettersi a letto e non pigliar sonno. I medici sogliono nel caso consigliare di scacciar dalla testa ogni pensiero. Ma il difficile è riuscirvi. Essi ritornano persistentemente, oppure cedono il posto ad altri che tengono lontano il sonno. Io non veggo altro rimedio dietetico, che quando si è perseguito da un molesto pensiero, di stornarne l’attenzione, volgendola con sforzo ad altro oggetto; e via ad un altro, e poi ad un altro, senza mai fermarsi su alcuno. Così da queste continue interruzioni nasce una confusione d’immagini, che tolgono
(4) La divisione naturale della giornata è 8 ore di lavoro, 8 di riposo e 8 fra i pasti, l’esercizio corporale, la società e i divertimenti.
48
la consapevolezza della propria situazione corporea, e finiscono col degenerare in un gioco involontario della fantasia, che immerge nell’assopimento e nel sogno.
Invero nello stato di salute il sogno è un meraviglioso artificio delle facoltà psichiche, le quali allorché il corpo sospende i suoi moti organici, fanno ancora intima fede del moto vitale, suscitando manifestazioni, di cui, benché sia sparita la ricordanza in chi si ridesta, pure si può affermare, che non manchino in alcun sonno. Imperocché se intieramente mancassero, vorrebbe dire, che la forza nervosa insita nel cervello, sede delle rappresentazioni in discorso, non agirebbe più di concerto colla forza organica dei visceri, e in tale condizione la vita non si manterrebbe più un istante. E quindi probabile, che anche gli animali sognino dormendo.
49
Tuttavia può avvenire a certuni di mettersi a letto, senza riuscire ad addormentarsi, per quanto si sforzino a cacciare i molesti pensieri. In tal caso sia il cervello, che le membra restano colpite da una specie di spasimo, spiegabile anche dal fatto, che un uomo svegliandosi è mezzo pollice più lungo, che se avesse premuto il letto senza dormire.
L’insonnia è uno degli effetti della debolezza senile; e il lato sinistro è il più debole, essendo inesatto che la forza e destrezza delle membra dipenda interamente dall’esercizio e dall’abitudine. Infatti da circa un anno io sento alla parte sinistra del corpo e in modo assai viva questa specie di spasimi e di fitte, benché non affettino visibilmente gli arti colpito. Avendoli io dietro la descrizione di mali consimili reputati accidenti gottosi feci chiamare un
50
medico. Ma ben presto infastidito che questo tormento mi vietasse di dormire, ricorsi al mio stoico rimedio di rivolgere la mente ad un oggetto qualunque arbitrario ed indifferente, per esempio al nome di Cicerone, percorrendo tutte le immagini che vi sono associate. In tal modo riuscivo a stornare l’attenzione da quello spasimo, ond’esso fluiva rapidamente coll’ottundersi e lasciar prevalere la sonnolenza. Io sono in grado di ripetere coll’eguale buon esito l’esperimento ogni qualvolta simili accidenti m’interrompono il sonno notturno.
E che non si trattasse di dolori immaginari io poteva agevolmente convincermene osservando il rossore ardente delle dita del piede sinistro. Io vado persuaso che molti accidenti gottosi (purché il regime alimentare non vi si opponga di troppo) come pure
51
le convulsioni, e perfino gli eccessi epilettici e la podagra ritenuta incurabile, possano essere alleviati e gradatamente soppressi mediante questa fermezza di proposito di stornare dal male l’attenzione. Faccio però eccezione per le donne ed i fanciulli incapaci di tal forza d’animo(5).
(5) È incredibile quanta influenza l’uomo possa esercitare sul suo fisico, colla forza del fermo di riposo e 8 fra i pasti, l’esercizio volere; anche allorché questo venga determinato dalla necessità. Perciò la classe laboriosa, costretta alla fatica dal bisogno o dal dovere, va soggetta al malessere molto meno della classe oziosa. Ne è causa precipua che quella classe non ha tempo a sentirsi male, onde sorpassa una quantità di morbose disposizioni; vale a dire, le dimentica lavorando, quindi davvero le vince e le sopprime; mentre l’ozioso abbandonandosi alle sue sensazioni, spesso sviluppa così il germe di malattie. Quante volte nella mia vita professionale non ripetei io su me stesso questa esperienza? Quante mattine mi parve di non essere in grado d’uscir di stanza in causa d’incomodi corporei? Ma il dovere mi chiamava al letto dell’ammalato o alla cattedra, e per quanto la cosa dapprima mi riuscisse malagevole, dopo una serie di sforzi il male era dimenticato, lo spirito trionfava sulla materia e la salute era ristabilita. Anzi la forza morale si mostra nel modo più evidente durante l’invasione di morbi epidemici e contagiosi. È un fatto notorio che vanno immuni dal male specialmente i coraggiosi e i scevri di ripugnanza. Ma che l’infezione già avvenuta possa vincersi mediante un giocondo esaltamento dello spirito, io stesso ne sono un esempio. Nell’anno di guerra 1807 infieriva in Prussia una 1851 febbre putrida e pestilenziale, lo che aveva in cura molti di questi ammalati, un mattino nello svegliarmi sentii tutti i sintomi del morbo: vertigini, oppressione del capo, prostrazione di forze... insomma tutti i prodromi che precedono d’alcuni giorni lo scoppio effettivo della malattia. Ma il dovere comandava. Altri erano più ammalati di me. Io risolsi di adempiere come al solito alle mie funzioni; e a mezzogiorno di prendere parte a un lieto banchetto a cui era invitato. Quivi m’abbandonai alla chiassosa allegria che mi circondava. Vuotai di proposito più bicchieri del consueto; tornai a casa con una febbre artificialmente provocata, mi posi a letto, sudai copiosamente la notte, e al mattino seguente ero pienamente ristabilito.
HUFELAND