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Se la mia gratitudine pel dono del vostro dotto e gradevole libro sull’arte di prolungare l’umana vita fosse da misurarsi alla stregua d’una lunga vita percorsa, la data di questa mia risposta potrebbe dire quanta essa sia. Certo che l’essere invecchiati significa per sé stesso proroga di eventi importanti, e massimo fra tutti la proroga della morte, la quale tuttavia ci si annunzia sempre troppo presto; onde
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ci industriarne a trovare inesauribili espedienti per tenerla lontana.
Voi mi chiedete pertanto un giudizio sopra il vostro sistema di trattare moralmente il lato fisico umano, rappresentando l’ente-uomo come un essere anche fisicamente costrutto per un supremo scopo morale; e dimostrando come la nostra natura esistente allo stato di germe richiegga indispensabilmente la coltura morale per giungere alla perfezione fisica. Di più aggiungete com’io possa assicurare non trattarsi qui d’idee preconcette, ma di risultati che sorgano irresistibili dal lavoro e dall’investigazione.
Un simil modo di vedere rivela il filosofo e non il semplice ragionatore; rivela cioè, un uomo il quale trae dalla ragione pura (la quale sa ad un tempo saggiamente prescrivere sia quello che toma utile, sia quello che costituisce
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per sé stesso un dovere) trae, dico, dalla medesima ragione i mezzi d’eseguire i precetti. Inoltre addita all’arte medica non solo la via d’applicarli sperimentalmente, ma di più erigendosi quasi al grado di legislatore della corporazione medica, le offre nella filosofia morale pratica un rimedio generico, il quale invero se non può giovare a tutti, né applicarsi in tutti i casi, non deve però essere assente da nessuna prescrizione e da nessun metodo di cura.
Ma questa panacea siccome si limita alla dietetica, non opera che negativamente, cioè come arte di prevenire le malattie. Ma un’arte siffatta è frutto d’una facoltà che può essere conferita soltanto dalla filosofia, o, ad ogni modo che si deve supporre insita nello spirito filosofico. A tale significato poggia il supremo principio dietetico racchiuso nel seguente tema:
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Potere dello spirito umano di padroneggiare mediante la ferma volontà le proprie sensazioni morbose.
Gli esempi atti a provare la verità di questo tema io non debbo ricavarli da osservazioni fatte sugli altri, ma soltanto dall’esperienza mia propria; non v’ha nozione più sicura della consapevolezza di noi stessi, e non resta più che da chiedere agli altri se non abbiano in sé percepiti gli uguali fenomeni.
Mi trovo quindi costretto di far salire in cattedra il mio io, e dar luogo a un discorso personale-dogmatico bensì poco modesto, ma però giustificato trattandosi non d’un’esperienza comune, ma individuale, e di studi praticati su me medesimo, a fine di sottoporre poi al giudizio altrui quel metodo di generare sensazioni non a tutti concesse od avvertite.
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Sarebbe stolta pretesa il voler intrattener altri col giuoco de’ miei pensieri, il quale avendo per me importanza soggettiva, riuscisse indifferente agli altri; ma stante che questa attenzione rivolta su me stesso e le sensazioni che ne risultano sono cose non facilmente ottenibili, ma che richiedono in ciascuno una spinta, un eccitamento, così l’inconveniente d’intrattenere altri colle mie proprie intime sensazioni assume un aspetto che lo rende scusabile.
Ma prima d’esporre le mie particolari percezioni intorno alla dietetica, debbo fare alcune osservazioni sul modo del signor Hufeland di definire il compito della dietetica, cioè dell’arte di prevenire le malattie in opposizione alla terapeutica che le guarisce. Egli la chiama l’arte di prolungare la vita umana, comprendendo con questo titolo
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ciò che forma il più ardente desiderio dell’uomo, benché sia forse la cosa meno desiderabile. E qui trattasi d’un doppio desiderio, cioè di vivere lungamente e di fruire in pari tempo della salute. Però il primo desiderio non esige il secondo qual condizione necessaria ma è assoluto.
Il malato nell’ospedale che da lunghi anni soffre nel suo letto esclamerà bensì sovente che desidera che la morte venga il più presto possibile a liberarlo da’ suoi mali, ma non c’è da credergli; la sua invocazione è tutt’altro che sincera, essa gli è dettata dalla ragione, mentre però l’istinto naturale parla in senso contrario. Allorché egli invoca la morte liberatrice «Bovem liberatorem» chiede però sempre un piccolo respiro, e trova sempre qualche pretesto per indugiare il perentorio suo decreto.
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Né forma eccezione alla regola la risoluzione di troncar la vita presa dal suicida in un momento di frenesia selvaggia, essendo essa il prodotto d’un effetto esaltato sino al delirio.
Fra i due benefici promessi a chi osserva i doveri figliali, cioè «acciocché tu stia sano e viva lungamente sulla terra» il miglior allettamento è contenuto nel secondo, considerato anche alla stregua della ragione, trattandosi d’un merito che è dovere onorare. Infatti l’onoranza dovuta alla vecchiaia non si fonda sugli equi riguardi che imporrebbe ai giovani la debolezza dei vecchi: poiché la debolezza non racchiude in sè motivo alcuno d’onoranza. La si compatisce e sostiene, ma non la si onora. Invece la vecchiaia costituisce per sé stessa un merito.
Né questo merito consiste in ciò che gli anni di Nestore portino seco
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una sapienza, frutto di lunga e varia esperienza, per servire di guida ai giovani; ma l’uomo che attraversò le età, serbandosi scevro da vergogne, pel solo fatto d’essersi così lungamente sottratto alla mortalità, cioè alla condanna più umiliante che possa colpire un essere razionale «sei polvere e tornerai in polvere» per solo fatto d’aver conservata sì lungamente la vita, questo uomo merita d’essere segnato ad esempio.
Molte difficoltà avvolgono invece l’altro naturale desiderio, cioè la salute. Possiamo sentirci sani (giudicandone dalle intime gradevoli sensazioni) ma non mai sapere se siamo sani. Ogni causa naturale di morte è malattia, sia essa o no sentita.
Esistono molti, dei quali si dice seriamente, che sono sempre malaticci, senza che diventino mai ammalati;
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individui il cui metodo di vita è un continuo sregolato fluttuare, e che tuttavia riescono a toccare la tarda età, senza aver mai mostrato alcuna vigoria.
D’altra parte quanti amici e conoscenti non ho visto io soccombere, i quali si vantavano d’una florida salute, e di più vivevano regolatamente. Ma il germe della morte (la malattia) covava in essi latente, ed era prossimo allo sviluppo; onde mentre sentivansi sani essi erano ammalati, poiché la causa della morte naturale non può in fin dei conti chiamarsi che malattia.
Questa causa che non si rivela alla sensazione, abbisogna dell’intelletto per essere percepita, ma il giudicio di questo può essere erroneo. La Sensazione invece non sbaglia, quindi solamente il sentirsi ammalati prende il nome di malattia.
Se dunque in chi non si sente male
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di sorta, può tuttavia giacer nascosto e pronto a rapidamente svilupparsi il germe morboso, un tale falso benessere non consente d’essere definito altrimenti che apparenza di salute. Pertanto il solo fatto d’aver raggiunta una tarda età può attestare la salute goduta; onde la dietetica deve dar prova della sua abilità e del suo sapere insegnando il come prolungare (non godere) la vita. Difatti anche il signor Hufeland la intende a questo modo.