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Consiste quest’affezione nell’abbandonarsi totalmente alle proprie sensazioni morbose non solo senza tentar di padroneggiarle colla ragione, ma quasi senza conoscerne motivo. L’ipocondria vaga (da distinguersi dall’ipocondria intestinale) non avendo determinata sede nell’organismo, è una creazione fantastica, e potrebbe quindi chiamarsi ipocondria poetica. Il paziente crede di ravvisare in sé stessa tutti i
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sintomi delle malattie che trova descritte nei libri.
Questa affezione è l’esatto contrapposto della facoltà di padroneggiare le proprie sensazioni morbose, risolvendosi essa in una fiacca tendenza a escogitare sui malanni che possono colpir l’uomo, e insieme covar l’impressione di restarne vittima qualora venissero. E una specie di vaneggiamento che può di certo aver base in qualche accidente morboso (flatulenza o stitichezza) ma la cui presenza invece d’essere avvertita dal senso, viene percepita e rappresentata dall’immaginazione sotto forma della minaccia di grave male. Allora questo tormentatore di sé stesso invoca inutilmente l’arte medica; dico inutilmente per due motivi: primo che egli solo colla forza della volontà può distruggere queste fantastiche e dolorose percezioni di mali; secondo che se questi gravi mali
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realmente esistessero sfiderebbero ogni soccorso dell’arte medica.
Tuttavia non si può esigere da chi è affetto da simil malattia, che formi senz’altro il proposito di padroneggiare le proprie sensazioni morbose, poiché se fosse capace di tanto non sarebbe ipocondriaco.
Chi ha l’abitudine di ragionare non si lascia vincere dall’ipocondria; ma se viene assalito da sintomi capaci di presentare all’immaginazione i prodromi di grave male, egli anzitutto indaga se siasi reale motivo di temere, e se non ne trova, oppure se riconosce non esservi rimedio alla causa della sua pena, egli senza più passa in proposito all’ordine del giorno; cioè egli trascura quei sintomi e quella pena come cose a lui estranee, e rivolge la sua attenzione ad altro.
Io, in causa della costruzione del
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mio torace piatto e stretto, che lascia poco spazio ai moti del cuore e alla respirazione, sono naturalmente disposto alla ipocondria; la quale negli anni passati giungeva persino al tedio della vita. Ma riflettendo che questa affezione cardiaca procedeva da una causa meccanica ed irrimediabile, riuscii a formare la risoluzione di non badarvi; e mentre il petto mi gemeva d’angoscia, la mente serbava tanta calma e serenità da comunicarsi agli astanti. E ciò avveniva non per moti saltuari (come negli ipocondriaci), ma in modo intenzionale, costante e naturale.
E poiché i godimenti della vita derivano dal libero uso delle facoltà psichiche, più che dalla soddisfazione dei sensi, ecco trovato il mezzo di opporre colle occupazioni intellettuali una corrente di sensazioni gradevoli alle pene prodotte dalle imperfezioni materiali.
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L’oppressione mi afflisse sempre, avendo essa per causa la mia struttura toracica. Ma quanto alla sua influenza su’ miei pensieri e sulle mie azioni, io la ridussi al nulla, svolgendo affatto la mente da quella sensazione, come se essa mi fosse estranea(3).
(3) Anche nelle vere malattie dobbiamo ben distinguere la malattia dalla sensazione della medesima. Questa per lo più supera quella di gran lunga. Si può anzi opinare, che non di rado passerebbe inosservata la vera malattia (perchè consistente spesso nello sconcerto locale delle funzioni d’un organo insignificante) se non fosse per il malessere generale e pei dolori che ne derivano. Ma queste sensazioni di riflesso, questa influenza della malattia locale su tutto l’organismo sono per lo più sottoposte al freno della nostra volontà. Un animo debole o viziato, una sensitività eccessiva vi soccombono affatto; ma uno spirito forte e fermo le domina e le sopprime. Nessuno vorrà negare che un evento inaspettato, una gioconda distrazione, qualche cosa insomma capace d’assorbire fortemente l’animo, possa fare dimenticare il male corporeo. Perchè non potrebbe ottenersi l’uguale effetto colla risolutezza della volontà, colla forza dello spirito? Il miglior rimedio contro l’ipocondria e ogni altro male immaginario è quello di oggettivare sé stesso, come causa principale dell’ipocondria; la cui intima essenza può definirsi: la soggettivazione di tutte le cose. In altri termini: l’io fisico assunse la preponderanza sull’io morale; il menomo sconcerto nel primo fissa in sé ogni pensiero; e questa fissazione rimane quasi il centro della vita. Io ho sempre trovato che quanto più l’uomo fa vita attiva, cioè quanto più egli si estrinseca, tanto più è garantito dall’ipocondria. La miglior prova in proposito l’abbiamo nei medici pratici. Occupandosi essi continuamente di malattie, queste finiscono col diventare l’oggetto permanente dei loro pensieri. Ora, questi pensieri costituendo il loro io in azione, essi dovrebbero alla fine diventare ipocondriaci; eppure è constatato che i medici pratici vanno interamente esenti da questa malattia. Perché? per l’abitudine da essi contratta fin da principio di oggettivare tutti i mali, onde riescono ad oggettivare anche sé stessi ed i propri mali; cioè a distinguerli dal loro io morale, e a considerarli come parte del mondo esteriore, come oggetto dell’arte; poiché il vero io non si ammala mai.
HUFELAND