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L’essenza della vita risiede unicamente nello spirito. Le manifestazioni di questo costituiscono la vera vita. Perciò si deve subordinare la vita del corpo a quella dello spirito, e non già rendere lo spirito schiavo degli istinti e delle voglie materiali, se si vuole fruire della vera vita.
Grande verità questa, la quale da tutti i sapienti venne in ogni tempo considerata e predicata quale base assoluta di ogni morale, virtù e religione, cioè
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di tutto quanto esiste nell’uomo di grande e divino, e per conseguenza d’ogni vera felicità.
Ma questa verità non sarà mai abbastanza ripetuta, in causa della tendenza ingenita nell’uomo, di riporre la gioia del vivere nella soddisfazione degl’istinti materiali, anziché nello sviluppo e perfezionamento delle facoltà dello spirito. E tanto più che in questi ultimi tempi dal seno stesso della filosofia già sostenitrice della vita spirituale, sorse una nuova dottrina, che attaccando il sistema dell’identità fra spirito e materia (anima e corpo) pretese di stabilire fra loro una differenza, e specificarla.
A questa scuola filosofica si unirono molti medici, e sviluppandone le premesse vennero talmente a subordinare le estrinsecazioni dello spirito a quelle dei sensi materiali, da dedurne la irresponsabilità d’ogni delitto, perché
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rappresentati quale conseguenza dell’assoggettamento dell’animo al corpo. Per questa china si giunge inevitabilmente al punto che nessuna azione umana si potrà più chiamare delitto.
Quest’opinione che a ciò conduce, non è essa contraria alle leggi divine ed umane fondate appunto sulla base dell’identità? Non tende essa a coronare il più grossolano materialismo? Non distrugge essa ogni morale, ogni forza della virtù, la quale appunto consiste nella vita ideale, e nel suo predominio sui sensi? E così viene distrutta ogni vera libertà, ogni indipendenza di carattere, ogni predominio su di sé stesso, ogni spirito di sagrificio; in una parola, svanisce la meta più sublime che sia data d’attingere all’uomo: la vittoria sulle sue passioni.
Eternamente vero permane il simbolo che rappresenta l’uomo quale un
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cavaliero su d’un cavallo selvaggio; additando così in lui uno spirito razionale unito ad una forza materiale che deve sostenerla e congiungerlo alla terra, ma essere da lui guidata e governata. Ciò dimostra essere come sia compito della vita di frenare e combattere le tendenze materiali per subordinarne gli atti ad una potenza superiore. Soltanto nell’assoggettarsi questa forza bruta, e rendersene passibilmente indipendente l’uomo acquista un’esistenza regolare, razionale e morale, e quindi veramente felice.
Se invece l’uomo si abbandona alla balìa del bruto, dovrà seguirne il corso, essere trastullo de’ suoi andirivieni e de’ suoi sbalzi sino alla mortale caduta.
Ma questo predominio psichico non importa soltanto alla vita spirituale e alla salute superiore, ma esso concorre altresì a conservare e perfezionare la vita e salute fisica; diventando in tal modo
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uno dei mezzi dietetici e terapeutici più efficaci. Non si vuol negare l’influenza dei sensi sull’intelletto, ma questo fatto implica l’evidenza del fatto concomitante, cioè la maggior influenza che l’intelletto può esercitare sui sensi, lo spirito sulla materia. Essa è capace di produrre e guarire malattie, anzi di uccidere e di ravvivare.
È un fatto troppo notorio, che la paura ed altre passioni, cioè un’influenza spirituale, generano epilessie, deliqui, paralisi, congestioni ed una quantità d’altre malattie, anzi in certi casi arrecano morte. Qual è in questi casi la causa della morte? Esclusivamente una violenza esercitata dallo spirito sul corpo, come se esso lo fulminasse. D’altra parte quante malattie gravissime non furono guarite semplicemente in causa d’una gioia, d’un sollievo, d’un eccitamento dello spirito? Il figlio di Creso
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da lungo tempo muto acquista la favella, al vedere il padre in pericolo d’essere ucciso. Pinel osservò come la concitazione, l’effervescenza generale prodotta dalla rivoluzione francese, guarisse e rinvigorisse individui da più anni infiacchiti e affetti da diverse malattie; e sopratutto poi dissipare gli usuali accessi nervosi a cui andavano soggette le classi ricche ed oziose. Io credo anzi di poter sostenere come la maggior parte delle comuni malattie nervose di lunga durata, e specialmente le così dette convulsioni, da altro non derivino che da inerzia e passività dello spirito, cioè siano causate dall’abbandonarsi fiaccamente alle sensazioni ed influenze corporee.
Chi potrebbe negare i miracoli e le guarigioni miracolose? Ma che cosa sono esse se non effetto dell’ardente fede in potenze celesti ed anche terrestri; e quindi una conseguenza d’attività
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spirituali? Tutti conoscono la potenza dell’immaginazione, e nessuno si farebbe a negare che esistano malattie puramente immaginarie, cioè che molti soffrono dei fantasmi della loro immaginazione. Nello stesso modo che si è prostrati dall’immaginazione di essere infermi, non si potrebbe attingere salute dalla credenza di essere sani? O almeno non sarebbe possibile di rinforzare con questo secondo mezzo e conservare la salute, come si peggiora col primo mezzo la malattia?
Quale saggio di questa importante dottrina, e quale eccitamento a promuovere il dominio e l’azione salutare dello spirito sul corpo renda pubblico il seguente scritto di Kant. Sono le ultime pagine dettate da quel grande spirito, l’ultimo de’ sommi doni da lui fatti all’umanità.