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Egli torna malagevole determinare i limiti, dove finisca l’uso comune dell’intelletto, e incominci l’uso speculativo; ovvero, dove la conoscenza razionale comune divenga filosofia. Non per tanto c’è qui un carattere di differenza, abbastanza sicuro, ed è questo: La conoscenza del generale in astratto è conoscenza speculativa;
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la conoscenza del generale in concreto, è conoscenza comune. La conoscenza filosofica è conoscenza speculativa della ragione, e però essa incomincia là, dove l’uso comune della ragione incomincia a far tentativi nella conoscenza del generale in astratto.
Or, mediante cotesta determinata differenza tra l’uso comune e l’uso speculativo della ragione, si può discernere, da qual popolo si abbia a datare l’incominciamento della filosofia. Adun que fra tutti i popoli i Greci per i primi incominciarono a filosofare: perciocché essi i primi tentarono di coltivare le conoscenze razionali, non nell’involucro delle immagini, ma in astratto; laddove gli altri popoli non si adoperarono a rendere intelligibili i concetti che sempre per via d’immagini in concreto. Ci ha pure a nostri giorni popoli, come i Cinesi e alcuni Indiani, che, a dir vero, trattano di cose, l[e] quali sono apprese solamente dalla ragione, come, di Dio, dell’immortalità dell’anima ed altrettali, ma tuttavia non si adoperano a investigare, secondo concetti e regole in astratto, la natura di tali oggetti. Essi non fanno alcuna distinzione tra l’uso in concreto della nostra ragione, e quello in astratto. Appo i Persiani e gli Arabi trovasi, a dir vero, qualche uso
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speculativo della ragione; ma le regole che ne hanno sono le aristoteliche, e però tolte dai Greci. Nel Zend-Avesta di Zoroastro non si trova pur minimo vestigio di filosofia. Lo stesso è a dire ancora della magnificata sapienza egiziana, che, in paragone della filosofia greca, è stata un mero giuoco fanciullesco.
Come nella filosofia così in riguardo alla matematica ancora i Greci sono stati i primi a coltivare con metodo speculativo e scientifico questa parte delle conoscenze razionali, avendo essi dimostrato ogni teorema per via di elementi. Ma quando e dove fra i Greci sia prima sorto lo spirito filosofico, non si può precisamente determinare.
Il primo a introdurre l’uso della ragione speculativa, e da cui siensi ancora derivati i primi passi dell’intelletto umano per la cultura scientifica, è Talete, capo della setta ionica. Egli portò il soprannome di fisico, sebbene fosse ancora matematico; siccome generalmente la matematica è andata sempre innanzi alla filosofia. Del rimanente i primi filosofi vestivano tutto d’immagini. Perciocché la poesia, la quale in altro non consiste propriamente che nel vestire d’immagini i pensieri, è più antica della prosa. Onde a principio per sino nelle cose che sono assolutamente
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oggetto della pura ragione, si dovette usare parole d’immagini e maniere di scrivere poetiche. Ferecide vuolsi che sia stato il primo scrittore in prosa.
Agli Ionici seguirono gli Eleati. Il principio fondamentale della filosofia eleatica e del suo fondatore Senofane era: nei sensi è illusione ed apparenza, solo nell’intelletto sta la sorgente della verità.
Fra i filosofi di questa scuola si distinse Zenone, come uomo di grande intendimento e perspicacia e come dialettico sottile.
La dialettica a principio significò l’arte dell’uso puro dell’intelletto in riguardo ai concetti astratti, spogliati d’ogni sensibile. Di qui i molti encomi di quest’arte presso gli antichi. In seguito, come quei filosofi, che rigettavano interamente la testimonianza dei sensi, dovettero cadere per questo necessariamente in molte sottigliezze, la dialettica degenerò in arte di sostenere ed impugnare ogni proposizione. E così divenne un mero esercizio da sofisti, i quali volevano ragionare su tutto, e si adoperavano a dare all’apparenza il colore della verità, e di fare il bianco, nero, ed il nero, bianco. Per la qual cosa il nome ancora di sofista, che una volta significava uomo che poteva parlare con
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assennatezza e perspicacia sopra tutte le cose, divenne poscia sì odioso e spregevole, e in suo luogo s’introdusse il nome di filosofo.
Quasi a tempo della scuola ionica comparve nella Magna-Grecia un uomo di straordinario ingegno, il quale non solo fondò, come Talete, una scuola, ma ancora formò e pose in atto un progetto, che simile non si era avuto giammai. Quest’uomo fu Pitagora, nativo di Samo — Vale a dire stabili una società di filosofi, i quali erano insieme uniti fra loro mediante la legge della segretezza. Divise i suoi scolari in due classi: cioè in acusmatici, ἀκουσματικοί, che dovevano semplicemente udire, e acroamatici, ἀκροαμαικοί, a cui era ancora permesso di dimandare. Nella sua dottrina ci avea una parte essoterica che esponeva a tutti; e un’altra che era segreta ed esoterica, destinata solamente ai membri della sua società, che egli accoglieva nella più intrinseca amicizia e che segregava interamente da tutti gli altri. A veicolo della sua dottrina segreta egli faceva la fisica e la teologia, e però la dottrina del visibile e dell’invisibile. Ebbe ancora diversi simboli, i quali probabilmente non dovettero essere altro che certi segni usati dai pitagorici per intendersi tra loro. Il fine della sua unione pare non sia stato altro che:
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purgare la religione dai pregiudizi del popolo, temperare la tirannia e introdurre negli stati miglior forma legale. Ma questa unione, che i tiranni incominciarono a temere, fu distrutta poco prima della morte di Pitagora, e cotale società filosofica fu disciolta, parte per l’uccisione, parte per la fuga e l’esilio di molti de’ soci. I pochi rimasti erano novizi. E poiché costoro poco sapevano gl’insegnamenti propri di Pitagora, non se ne può dire niente di certo e di determinato. In seguito sonosi attribuite a Pitagora, che per altro era un grande ingegno matematico, molte dottrine del tutto, a dir vero, immaginarie.
L’epoca più importante della filosofia greca cominciò in fine con Socrate: perciocché egli fu appunto colui che allo spirito filosofico e a tutte le menti speculative diede un indirizzo pratico del tutto nuovo. Egli ancora fra tutti gli uomini è stato quasi l’unico, la cui condotta siasi più avvicinata all’idea del saggio.
Fra i suoi discepoli è Platone, il quale più che altri occupossi degl’insegnamenti pratici di Socrate; e tra i discepoli di Platone, Aristotele, il più celebre, che dette nuovo impulso alla filosofia speculativa.
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A Platone ed Aristotele seguirono gli Epicurei e gli Stoici, che furono nemici giurati fra loro. Quelli riponevano il bene supremo nella gioia del cuore, che appellavano voluttà; questi lo trovavano unicamente in quella elevatezza e forza dell’animo, in cui si può far senza d’ogni piacevolezza della vita.
Gli stoici erano del rimanente dialettici nella filosofia speculativa, dommatici nella filosofia morale, e mostravano nei loro principii pratici (onde hanno sparso il seme per i più nobili sentimenti che sieno mai esistiti) molta non comune dignità. Il fondatore della scuola stoica è Zenone da Cizico. I più rinomati di questa scuola tra i filosofi greci sono Cleante e Crisippo.
La scuola epicurea non ha potuto giammai pervenire a quella rinomanza in cui fu la stoica. Ma quello che si può sempre dire con certezza degli Epicurei, è questo, che essi mostravano la più grande temperanza nel godimento ed erano i migliori filosofi della natura fra tutti i pensatori della Grecia.
Notiamo ancora qui come le principali scuole greche portarono un nome particolare. Così, la scuola di Platone si appellò Accademia, quella di Aristotele Liceo, la scuola degli Stoici Portico, στοὰ, passeggio coperto, donde venne il
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nome di Stoici; la scuola di Epicuro, Orti, per ciò che Epicuro insegnava in giardini.
All’accademia di Platone tennero dietro ancora tre altre accademie, fondate dai suoi discepoli. La prima ebbe a fondatore Speusippo, la seconda Arcesilao, e la terza Carneade.
Queste accademie inchinavano allo scetticismo. Speusippo ed Arcesilao conformarono tutti e due la loro maniera di pensare al dubbio, e Carneade si cacciò più oltre ancora. Per questa cagione gli scettici, filosofi sottili, dialettici, sono stati pur detti accademici. Gli accademici seguirono perciò il primo grande scettico Pirrone e suoi successori. Platone istesso, loro maestro, ne aveva dato loro l’occasione, avendo esposte molte sue dottrine per via di dialoghi, sì che furono introdotte ragioni pro e contra, senza pronunciare sopra quelle sua sentenza decisiva, sebbene egli fosse, per altro, molto dommatico.
Facendosi incominciare l’epoca dello scetticismo con Pirrone, si ha una intera scuola di scettici che nel loro modo di pensare e nel metodo di filosofare si distinguono essenzialmente dai dommatici; poiché essi toglievano a prima massima d’ogni uso filosofico della ragione, il rattenere il proprio giudizio, anche nella più grande apparenza della verità; ed avevano elevato
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a principio, che la filosofia consista nell’equilibrio del giudizio, e c’insegni a scoprire la falsa apparenza. Di questi scettici poi non ci è rimasto che le due opere di Sesto Empirico che vi raccolse tutti i dubbi.
Passata poi la filosofia dai Greci ai Romani, non ha progredito, perciocché i Romani sono stati sempre discepoli. Cicerone era, nella filosofia speculativa, discepolo di Platone, nella morale, uno stoico. Della setta stoica i più celebri furono Epitteto, Antonino il filosofo e Seneca. Non ci fu alcun fisico tra i Romani, salvo Plinio il vecchio, che ha lasciato una storia naturale.
In fine anche presso i Romani disparve la cultura e si ebbe la barbarie, sino a che gli Arabi, nel VI e VII secolo, non cominciarono ad applicarsi alle scienze e a ritornare in fiore Aristotele. Allora perciò vennero nell’occidente di nuovo in su le scienze, e in ispecialità il rispetto per Aristotele, a cui poi si tenne dietro servilmente. Nell’undecimo e duedecimo secolo vennero gli scolastici; i quali spiegarono Aristotele e ne spinsero le sottigliezze all’infinito. Non si occuparono d’altro, che di vane astrazioni. Cotesto metodo scolastico di falso filosofare fu rimosso a tempo della riforma; e allora si
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ebbero gli eclettici in filosofia, cioè tali pensatori indipendenti, che non professavano alcuna scuola, ma cercavano la verità e la prendevano dovunque la si trovasse.
La filosofia nei tempi moderni poi deve il suo miglioramento, parte al maggiore studio della natura, parte al collegamento della matematica con la fisica. L’ordine che per lo studio di queste scienze provenne nel pensiero, si estese ancora ai rami speciali e alle parti della filosofia propriamente detta. Il primo e più grande fisico de’ nuovi tempi fu Bacone da Verulamio; il quale tenne nelle sue ricerche la via dell’esperienza, e fece por mente alla importanza e necessità somma delle osservazioni e degli esperimenti per iscoprire la verità. Del resto e gli è difficile dire onde propriamente derivi il miglioramento della filosofia speculativa. Non poco ben meritò di essa Descartes, poiché molto contribuì a dare lucidezza al pensiero, mediante il criterio da lui proposto della verità, che consiste nella chiarezza ed evidenza della conoscenza.
Ma tra i più grandi e benemeriti riformatori della filosofia a’ nostri tempi è da annoverare Leibnitz e Locke. Questi si adoperò ad esaminare l’intelletto umano, e a chiarire, quali
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facoltà e quali operazioni dell’anima appartengano a questa o a quella conoscenza. Ma l’opera del suo esame non fu compita; il suo procedimento ancora è dommatico, sebbene abbia prodotto il vantaggio di essersi incominciato a studiare meglio e più profondamente la natura dell’anima.
Per ciò che riguarda il metodo dommatico speciale di filosofare proprio di Leibnitz e di Wolff, si può dire che fu assai difettoso; anzi è cotanto illusorio, da doversi bandire in tutto il suo procedimento, e introdurre in sua vece un altro, il metodo cioè della filosofia critica, che consiste nel ricercare il procedimento della ragione istessa, nello esaminare tutta quanta la facoltà conoscitiva dell’uomo, e provare fin dove si possano estendere i suoi confini.
A’ nostri tempi è in istato fiorente la filosofia della natura, e tra i suoi cultori ci ha taluni di grande rinomanza, p. e. Newton — Ora non si può indicare propriamente alcun nuovo filosofo distinto, che sia per lasciare rinomanza di sé, perciocché tutto qui egualmente si dilegua. Ciò che l’uno fa, l’altro disfà dalle fondamenta.
Nella filosofia morale noi non siamo andati più innanzi degli antichi. Quanto alla
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metafisica pare come se fossimo stati sopraffatti nella ricerca di cotesta specie di verità. Mostrasi oggi una maniera d’indifferentismo contro questa scienza, poiché pare che ognuno si faccia vanto parlare con disprezzo delle ricerche metafisiche, come di mere sottigliezze. E pure la metafisica è la filosofia propriamente detta, la vera filosofia!
Il nostro secolo è il secolo della critica, e si ha da vedere ciò che escirà dai tentativi critici dei nostri tempi per rispetto alla filosofia e alla metafisica in ispecialità.