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INTRODUZIONE

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Indice

[Dedica]

Prefazione del traduttore

Introduzione

I. Dottrina generale elementare

Sezione prima - Dei concetti

Sezione seconda - Dei giudizi

Sezione terza - Dei raziocini

II. Metodologia generale

V
Conoscenza in generale. – Conoscenza intuitiva e discorsiva; intuizione e concetto, e loro differenza in particolare. – Perfezione logica e perfezione estetica della conoscenza

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Ogni nostra conoscenza(1) ha duplice relazione: primamente, una relazione all’oggetto; secondamente, una relazione al soggetto. Nel primo rispetto si riferisce alla rappresentazione, e nell’altro alla coscienza, condizione generale d’ogni conoscenza chiara. La coscienza(2) è propriamente una rappresentazione che un’altra rappresentazione(3) è in me. 

(1) Erkenntniss.

(2) Bewusstsein.

(3) Vorstellung.

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In ogni conoscenza si ha da distinguere la materia, cioè l’oggetto, e la forma, cioè la maniera onde conosciamo l’oggetto. Un selvaggio p. e. vedendo da lungi una casa di cui non conosce l'uso, ha, per verità, nella rappresentazione innanzi a sé, quell’oggetto appunto cui ha altri che la conosce determinatamente come abitazione accomodata per uomini. Se non che, rispetto alla forma, cotesta conoscenza di uno e medesimo obbietto è in lor due differente: nell’uno è mera intuizione, nell’altro intuizione e concetto. 

La differenza della forma della conoscenza dimora in una condizione che accompagna ogni conoscenza chiara, cioè nella coscienza. Se io mi sono consapevole della rappresentazione, essa è chiara; se io non mi sono consapevole, è oscura. 

Poiché la coscienza è la condizione essenziale di ogni forma logica della conoscenza, la logica può e deve occuparsi delle rappresentazioni chiare solamente, e non già delle oscure. Noi vediamo nella logica non come derivino le rappresentazioni, ma semplicemente come esse si accordino con la forma logica. In generale non può la logica affatto maneggiarsi intorno alle semplici rappresentazioni e alla loro possibilità, il che ella rimette alla metafisica; ma si occupa 

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solamente delle regole del pensiero nei concetti, nei giudizi e nei ragionamenti, come quelle secondo le quali avviene ogni pensiero. Prima che una rappresentazione diventi concetto, va certamente qualche cosa innanzi, come faremo vedere a suo luogo. Ma noi non cercheremo, come le rappresentazioni derivino. La logica tratta, a dir vero, del conoscere(1), per ciò che, nel conoscere ha già luogo il pensiero. Ma rappresentazione non è ancora conoscenza; al contrario, conoscenza presuppone sempre rappresentazione. E questa non può essere assolutamente chiarita: perciocché, a chiarire che sia rappresentazione, si dovrebbe ricorrere sempre nuovamente ad un’altra rappresentazione. 

Or tutte le rappresentazioni chiare, alle quali solamente sono applicabili le regole logiche, si possono dividere in distinte e indistinte. Se noi siamo consapevoli di tutta la rappresentazione, ma non della diversità che vi è contenuta, la rappresentazione è indistinta. A chiarimento della cosa togliamo prima un esempio nella

(1) Erkennen, conoscere con consapevolezza, ossia conoscere chiaro, che vale lo stesso per K, e di cui la logica, come testé ha detto, può occuparsi. 

Trad.

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intuizione. Scorgiamo da lontano una casa di campagna. Se siamo consapevoli che l’oggetto intuito è una casa, dobbiamo necessariamente avere ancora una rappresentazione delle diverse parti di questa casa, delle fenestre, delle porte e così di seguito. Che se noi non vedessimo le parti, non vedremmo né pure la casa stessa. Ma noi non siamo consapevoli, in questa rappresentazione, della diversità delle sue parti, e però la nostra rappresentazione del menzionato oggetto è indistinta. Se vogliamo inoltre un esempio di concetto indistinto, possiamo servirci all’uopo del concetto di bellezza. Ciascuno ha un concetto chiaro della bellezza. Ma in questo concetto si rinvengono diverse note; fra le altre che il bello debba essere qualche cosa che cada nel senso, e che generalmente piaccia. Or se noi non possiamo sceverare la diversità di queste e di altre note del bello, il concetto che ne abbiamo è tuttavia indistinto. 

La rappresentazione indistinta vien appellata confusa dai discepoli di Wolff. Ma questa espressione non va, perciocché il contrario di confusione non è distinzione, ma ordine. La distinzione, a dir vero, è un effetto dell’ordine, e la indistinzione un effetto della confusione; e però ogni conoscenza confusa è ancora indistinta. 

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Ma non è vera la proposizione inversa; non ogni conoscenza indistinta è conoscenza confusa; perciocché nelle conoscenze dove non si rinviene alcuna diversità non si trova ordine, e pure non ha luogo alcuna confusione. Tale è la condizione di tutte le rappresentazioni semplici le quali non diventano mai distinte; non perché è in esse confusione, ma perché non vi si rinviene alcuna diversità. Esse perciò si debbono appellare indistinte, ma non già confuse. Anzi, nelle stesse rappresentazioni composte in cui una diversità di note non si lascia distinguere, l’indistinzione spesso deriva non già da confusione, ma da debolezza di coscienza. Vale a dire può qualche cosa esser distinta quanto alla forma, cioè io posso essere consapevole della diversità nella rappresentazione; ma quanto alla materia la distinzione può venir meno, se si di minuisce il grado di coscienza, sebbene vi sia tutto l’ordine. Tale è il caso delle rappresentazioni astratte. 

La distinzione istessa può essere duplice: Primamente, sensibile. — Questa consiste nella coscienza della diversità nella intuizione. Io vedo, p. e. la via lattea come una striscia biancastra; i raggi di luce delle singole stelle in essa reperibili debbono necessariamente esser venuti nel 

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mio occhio. Se non che la rappresentazione di essa era solamente chiara, e diviene distinta per mezzo del telescopio, perché allora io discopro le singole stelle contenute in quella via lattea. Secondamente, intellettuale, distinzione nei concetti o distinzione d’intelletto. Questa dimora nell’analisi del concetto in riguardo alla diversità che vi è contenuta. Così, p. e., nel concetto di virtù sono contenuti, come note 1° il concetto di libertà; 2° il concetto di soggezione alle regole (del dovere); 3° il concetto del domare la forza delle inclinazioni, dove che si oppongano a quelle regole. Or noi, disciogliendo così il concetto di virtù nelle sue singole parti costitutive, per mezzo dell’analisi ce lo rendiamo distinto. Per questa distinzione poi nulla aggiungiamo ad un concetto; lo dilucidiamo solamente. Onde i concetti per mezzo della distinzione non sono migliorati nella materia, ma solamente nella forma. 

Riflettendo alle nostre conoscenze in riguardo alle due potenze fondamentali essenzialmente differenti, sensiva ed intellettiva, dalle quali derivano, c’incontriamo nella differenza tra intuizioni e concetti. Vale a dire, tutte le nostre conoscenze, considerate sotto questo rispetto, sono 

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o intuizioni o concetti. Le prime hanno la loro sorgente nella sensività, facoltà delle intuizioni; i secondi nell’intelletto, facoltà dei concetti. Questa è la differenza logica tra l’intelletto e la sensività, secondo la quale, l’una nient’altro fornisce che intuizioni; l’altro poi nient’altro che concetti(a). Veramente le due potenze fondamentali si possono riguardare ancora da un altro lato, e in altra maniera definire; ciò è a dire, la sensiva come potenza della ricettività, l’intellettiva come potenza della spontaneità. Se non che così fatta spiegazione non è logica, ma metafisica. Si suole ancora appellare la sensività potenza inferiore, l’intelletto al contrario potenza superiore; per la ragione che la sensività porge semplicemente la materia al pensiero, l’intelletto poi dispone questa materia e la subordina a regole o concetti. 

Nella differenza pur dianzi detta tra le conoscenze intuitive e le discorsive, o tra le intuizioni e i concetti, fondasi la differenza tra la perfezione estetica e la perfezione logica della conoscenza. Una conoscenza può esser perfetta o secondo le leggi della sensività, o secondo le leggi dell’intelletto; nel primo caso è perfetta esteticamente, nel

(a) Vedi la nota (a) pag. 26. Trad.

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secondo logicamente. Le due perfezioni, l’estetica e la logica, sono perciò di specie differenti; la prima si riferisce alla sensività; la seconda all’intelletto. La perfezione logica della conoscenza dimora nel suo accordo con l’oggetto; quindi nelle leggi valevoli universalmente, e però si può giudicare secondo norme a priori. La perfezione estetica consiste nell’accordo della conoscenza col soggetto, e fondasi nella sensività particolare dell’uomo. Onde nella perfezione estetica non hanno affatto luogo leggi obbiettive e universalmente valevoli, in relazione alle quali si potesse giudicare a priori in una maniera universalmente valevole per ogni essere pensante in generale. Intanto, se ci ha leggi generali della sensività, che, sebbene non abbiano un valore obbiettivo e per ogni pensante in generale, hanno nondimeno un valore subbiettivo per tutta l’umanità; si può pensare ancora una perfezione estetica, che contenga la ragione di un piacere subbiettivo generale. Tale è la bellezza, cosa che piace ai sensi nella intuizione, e appunto per questo può essere l’oggetto di un piacere generale, perché le leggi della intuizione sono le leggi generali della sensività. Per questo accordo con le leggi generali della sensività il bello proprio, per sé, la cui essenza sta nella semplice forma, differisce, quanto alla 

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specie, dall’aggradevole, che piace solamente nella sensazione mediante la grazia o il movimento, e perciò ancora può essere cagione solamente di un piacere meramente privato. Codesta perfezione estetica essenziale è ancora ciò che fra tutte le altre si confà con la perfezione logica e meglio vi si lascia collegare. 

Quindi sotto questo aspetto la perfezione estetica, in riguardo a quel bello essenziale, può essere di vantaggio alla perfezione logica. Per un altro rispetto poi l’è di nocumento, quando noi nella perfezione estetica non miriamo che al bello non essenziale, il toccante, o il commovente, che piace ai sensi nella sola sensazione, e si riferisce non alla semplice forma, ma alla materia della sensività. Perché il toccante e il commovente possono per lo più guastare la perfezione logica nelle nostre conoscenze e nei nostri giudizi. 

In generale, tra la perfezione logica e l[a] estetica della conoscenza, rimane sempre, in verità, una specie di opposizione che non può essere pienamente tolta. L’intelletto vuol essere istruito, la sensività mossa e avvivata; il primo brama di penetrar dentro le cose; la seconda ama cose d’immediata apprensione. Perché le conoscenze han da istruire, è d’uopo che sieno per ciò fondate; dovendo parimenti dilettare,

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bisogna che sieno ancora belle. Se una esposizione è bella, ma superficiale, può piacere alla sensività solamente, e non all’intelletto; se per contrario è fondata, ma arida, può piacere solamente all’intelletto e non alla sensività ancora. 

Intanto, poiché il bisogno della natura umana e il fine della popolarità della conoscenza richiede che noi facciamo opera a riunire tra loro le due perfezioni, egli ci è uopo avere a cuore di dare la perfezione estetica a quelle conoscenze, che in generale ne sono capaci, e di rendere popolare, mediante la forma estetica, una conoscenza regolare, logicamente perfetta. Se non che, studiandoci a collegare nelle nostre conoscenze la perfezione estetica con la perfezione logica, non dobbiamo perdere di vista le seguenti regole; cioè, primamente, che la perfezione logica sia la base di tutte le altre perfezioni, e però non possa essere affatto posposta o sacrificata ad altra; secondamente, che si badi sopra tutto alla perfezione estetica formale, accordo di una conoscenza con le leggi della intuizione, perocché appunto in ciò dimora il bello essenziale che si lascia meglio unire con la perfezione logica; in che col toccante e col commovente, onde una conoscenza opera con efficacia nella sansazione e per la quale interessa, ci è uopo essere assai 

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guardinghi, perocché l’attenzione di leggieri per quel mezzo può essere divertita dall’oggetto al soggetto, onde può evidentemente derivare azione assai dannosa alla perfezione logica della conoscenza. 

A rendere intelligibili le differenze essenziali, che han luogo tra la perfezione logica e la estetica della conoscenza, non solo in generale, ma ancora in molte parti speciali, vogliamo paragonarle tra loro tutte e due rispetto ai quattro momenti principali della quantità, qualità, relazione e modalità, da cui dipende il giudizio della perfezione della conoscenza. 

Una conoscenza è perfetta rispetto alla quantità, se è universale; alla qualità, se è distinta; alla relazione, se è vera; e in fine alla modalità, se è certa. 

Per questi aspetti considerata una conoscenza sarà perciò logicamente perfetta secondo la quantità, se ha universalità obbiettiva (universalità di concetto o di regola); secondo la qualità, se ha distinzione obbiettiva (distinzione nel concetto); secondo la relazione, se ha verità obbiettiva; e in fine secondo la modalità; se ha certezza obbiettiva. 

Or a queste perfezioni logiche corrispondono 

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le seguenti perfezioni estetiche per rispetto ai quattro momenti principali; cioè: 

1. la generalità estetica. La quale consiste nell’essere una conoscenza applicabile ad una molteplicità di obbietti che servono di esempi, nei quali si può fare l’applicazione, e perciò diviene acconcia al fine della popolarità; 

2. la distinzione estetica. La quale è distinzione nella intuizione, in cui per via di esempi un concetto astrattamente pensato vien esposto o chiarito in concreto; 

3. la verità estetica. Una verità semplicemente subbiettiva, che consiste solo nell’accordo della conoscenza col soggetto e con le leggi della apparenza sensibile, e conseguentemente non è altro che apparenza generale; 

4. la certezza estetica. La quale dimora in ciò che viene necessariamente dalla testimonianza de’ sensi, vale a dire, che è avvalorato mediante la sensazione e l’esperienza. 

Nelle anzidette perfezioni si offrono sempre due elementi che nella loro armonica unione formano la perfezione in generale, cioè: la diversità e l’unità. Per l’intendimento l’unità giace nel concetto, per i sensi nella intuizione. La sola diversità senza l’unità non ci può soddisfare. E 

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quindi principale fra tutte le perfezioni è la verità; perciocché essa è il fondamento dell’unità per via della relazione di nostra conoscenza all’oggetto. Nella stessa perfezione estetica la verità rimane sempre la conditio sine qua non, la principale condizione negativa, senza la quale nulla generalmente può piacere al gusto. Niuno può quindi sperare di progredire nelle belle lettere, quando non abbia posto a fondamento della sua conoscenza la perfezione logica. Nel maggiore congiungimento possibile della perfezione logica con la estetica in generale, rispetto a conoscenze che debbono del pari ammaestrare e dilettare, mostrasi ancora realmente il carattere e l’arte dell’ingegno . 

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