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La grandezza della conoscenza si può pren dere in due sensi , cioè come estensiva e come intensiva : la prima si riferisce alla sfera della
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conoscenza, e però consiste nella sua multiplicità e diversità; la seconda al suo intrinseco valore(1), e risguarda propriamente il molto valore(2) o la logica importanza e fecondità di una conoscenza, in quanto che essa vien riguardata come fondamento di molte e grandi conseguenze (non multa sed multum).
Nello estendere le nostre conoscenze, o nel perfezionarle secondo la grandezza estensiva, egli è bene calcolare, quanto una conoscenza si accordi coi nostri fini e con le nostre attitudini. Questo esame riguarda la determinazione dell’orizzonte delle nostre conoscenze, pel quale è da intendere la convenienza della grandezza di tutte quante le conoscenze con le attitudini e i fini del soggetto.
L’orizzonte si può determinare:
1. Logicamente, cioè per rispetto alla facoltà o potenza conoscitiva in relazione all’interesse dell’intelletto. Nel che abbiamo da giudicare fin dove possiamo avanzarci nella nostra conoscenza, fin dove ci sia uopo in essa progredire, e quanto certe conoscenze possano servire, nell’aspetto logico, di mezzo a queste o quelle conoscenze principali come nostri fini.
(1) Gehalt.
(2) Vielgültigkeit.
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2. Esteticamente, rispetto al gusto in relazione all’interesse del sentimento. – Colui che determina il suo orizzonte estetico, cerca d’accomodare la scienza secondo il gusto del publico, cioè farla popolare, o in generale fornirsi solamente di tali conoscenze che si possano comunicare a tutti, e nelle quali ancora la classe non istruita trovi piacere ed interesse.
3. Praticamente, rispetto all’utilità, in relazione all’interesse della volontà. L’orizzonte pratico, in quanto è determinato secondo l’azione cui una conoscenza esercita su la nostra moralità, è pragmatica e della maggiore importanza.
L’orizzonte perciò riguarda il giudicare e il determinare ciò che l’uomo può sapere, ciò che gli è permesso sapere, e ciò che deve sapere.
Or, per ciò che riguarda l’orizzonte teoreticamente o logicamente determinato, di cui solamente può qui esser parola, possiamo considerarlo sotto l’aspetto obbiettivo e sotto l’aspetto subbiettivo. In riguardo all’obbietto, l’orizzonte è storico o razionale. Il primo è molto più vasto del secondo, anzi immensamente grande, perciocché la nostra conoscenza storica non ha limiti. L’orizzonte razionale al contrario si può fissare; si può p. e. determinare a qual maniera di oggetti non si possa estendere la conoscenza matematica.
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Così ancora, in riguardo alla conoscenza razionale filosofica, fin dove in essa si possa andare a priori, senza alcuna esperienza. – Relativamente al soggetto l’orizzonte è generale ed assoluto, o particolare e condizionato (Privat-Horizzont). – Per orizzonte assoluto e generale è da intendere la convenienza dei limiti delle conoscenze umane coi limiti di tutto il perfezionamento umano in generale. E però qui si dimanda: che cosa può l’uomo come uomo in generale sapere? – La determinazione dell’orizzonte privato dipende da condizioni empiriche di varie maniere, e da rispetti speciali, p. e. dell’età, del sesso, dello stato, della maniera di vita ed altrettali. Quindi ogni classe particolare di uomini, rispetto alle sue facoltà conoscitive speciali, fini e punti determinati, ha il suo particolare orizzonte; ognuno, in conformità delle sue potenze individuali e alla sua situazione, l’orizzonte suo proprio. In fine possiamo ancora concepire un orizzonte della sana ragione, e un orizzonte della scienza, il quale ultimo abbisogna eziandio di principii, a fine di determinare, che possiamo sapere, e che no. – Ciò che non possiamo sapere è sopra il nostro orizzonte; ciò che non ci è dato sapere o non ci è uopo sapere, è fuori il nostro orizzonte. Questo secondo può nondimeno
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valere soltanto relativamente, rispetto cioè a questo o a quel privato fine particolare, al cui conseguimento certe conoscenze potrebbero non solo non giovare affatto, ma anzi essere d’impedimento. Perocché niuna conoscenza al certo è assolutamente inutile e inservibile, sebbene non sempre possiamo vederne l’utilità. Egli è quindi un rimprovero, quanto insipiente altrettanto ingiusto, quello che è fatto dagl’insensati agli uomini grandi che si travagliano con ogni diligenza intorno alle scienze, quando loro si dimanda: a che utile questo? Tale dimanda è uopo che si faccia, volendosi occupare delle scienze, e non mai per lanciarla contro di esse. Posto che una scienza potesse porgere chiarimenti sopra un oggetto qualunque, ella sarebbe perciò già utile abbastanza. Ogni conoscenza logicamente perfetta ha mai sempre un utile possibile, il quale, sebbene fin ora non ci sia conosciuto, sarà forse ritrovato dai posteri. Che se nella cultura delle scienze si fosse badato sempre al profitto materiale soltanto, alla loro utilità, noi non avremmo aritmetica e geometria. Il nostro intelletto è, oltre a ciò, così fatto che trova appagamento nella pura penetrazione delle cose, più che nell’utile che ne deriva. Il che fu ben avvisato da Platone. L’uomo prova in ciò la sua propria eccellenza; sperimenta
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che significhi aver intelletto. Gli uomini che ciò non sentono, han da invidiare gli animali. Il valore intrinseco che alcune conoscenze hanno per la perfezione logica, non è da paragonare col loro valore estrinseco, valore nell’applicazione. Se non ci è permesso sapere, come superfluo per noi, giusta i nostri fini, quel che è fuori del nostro orizzonte, e ancora, se non dobbiamo sapere, come dannoso per noi, quel che è sotto il nostro orizzonte; è ciò da intendere in un senso relativo solamente, e non affatto in un senso assoluto.
In riguardo allo estendimento e ai confini della nostra conoscenza sono da raccomandare le seguenti regole:
Devesi il proprio orizzonte:
1. determinare ben per tempo, ma però allora soltanto, quando lo si può da sé: il che ordinariamente non ha luogo prima del ventesimo anno;
2. non mutarlo facilmente e spesso (non passare da uno ad un altro);
3. non misurare l’orizzonte altrui secondo il proprio, e non tenere per inutile ciò che a noi non sia per nulla giovevole; sarebbe temerario, voler determinare l’orizzonte altrui, perciocché
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non se ne conoscono bene le attitudini e i fini;
4. né troppo estenderio, né troppo restringerlo. Perciocché chi vuol troppo sapere, alla fine si trova di non saper nulla, e per contrario chi crede che alcune cose non gl’interessino punto, spesso s’inganna; come se p. e., il filosofo credesse che la storia non gli sia giovevole. Si cerchi ancora:
5. di determinare anzi tratto l’orizzonte assoluto di tutto il genere umano (quanto al passato e all’avvenire), siccome determinare ancora in ispecialità:
6. il luogo che la nostra scienza occupa nell’orizzonte della conoscenza tutta. A ciò serve l’universale-enciclopedia, come carta universale (mappamondo) delle scienze.
7. Nella determinazione del proprio orizzonte particolare si esamini diligentemente, a quel parte del sapere si abbia maggiore idoneità e inclinazione; ciò che sia più o meno necessario rispetto a certi doveri; ciò che non possa stare insieme coi doveri necessari.
8. In fine, si cerchi di allargare sempre, anzi che restringere, il proprio orizzonte.
Per lo allargamento del conoscere non è da fare in generale ciò che fece d’Alembert; perciocché egli non ci comprime il peso, ma ci fa
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più stretto il volume spazioso delle nostre conoscenze. Una critica della ragione, della storia, degli scritti storici, uno spirito generale che comprenda le conoscenze umane nel tutto insieme, e non già semplicemente in particolare, faranno sempre la sfera più piccola, senza che si scemi qualche cosa del contenuto. Dal metallo non va via che la scoria o l’invoglio cotanto fin ora necessario. Con lo incremento della storia naturale, della matematica e così di seguito, saranno ritrovati nuovi metodi che abbrevieranno lo antico e renderanno superflua la moltiplicità dei libri. Egli dipende dal ritrovamento di cotali nuovi metodi e principii che noi, senza molestare la memoria, possiamo col loro aiuto, secondo ci aggrada, ritrovare tutto. Quindi si fa degno di storia, come un ingegno, colui che li comprenda sotto idee che possono per sempre rimanere.
Alla perfezione logica della conoscenza in riguardo alla sua sfera è contraria la ignoranza; imperfezione negativa o imperfezione di mancanza che per i limiti dell’intelletto è inseparabile dalla nostra conoscenza.
Possiamo riguardare l’ignoranza sotto l’aspetto obbiettivo, e sotto l’aspetto subbiettivo. Obbiettivamente presa , l’ignoranza è materiale o
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formale. La prima dimora in una mancanza di conoscenza storica; l’altra in una mancanza di conoscenza razionale. – In niun genere del sapere si deve essere del tutto ignorante, ma ben si può limitare il sapere storico per darsi maggiormente al razionale, o al contrario. In senso subbiettivo l’ignoranza è dotta, cioè scientifica, ovvero comune. Colui che avvisa distintamente i confini della conoscenza, e però d’onde incomincia il campo dell’ignoranza, il filosofo p. e. che vede e dimostra, quanto poco si possa sapere della composizione dell’oro, per mancanza di dati necessarii all’uopo, è ignorante a ragion veduta, ossia di una maniera dotta. Colui, al contrario, che è ignorante, senza avvisare le ragioni dei limiti dell’ignoranza e sentir pena per questo, lo è di una maniera non scientifica, ma comune. Un cotale non sa né pure di non saper nulla. Perocché non si può mai rappresentare la propria ignoranza che per mezzo della scienza, siccome un cieco non può rappresentarsi il buio che per essere stato finora veggente. La conoscenza della propria ignoranza suppone adunque la scienza, e ci fa modesti; il sapere presuntuoso, al contrario, gonfia. In tal maniera il non sapere di Socrate fu una ignoranza onorevole; e propriamente un sapere di non
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sapere, giusta la sua propria confessione. Per ciò il rimprovero d’ignoranza non può propriamente colpire coloro che posseggono moltissime conoscenze, e ciò non per tanto stupiscono della moltiplicità delle cose che non conoscono.
Non è biasimevole (inculpabilis) in generale la ignoranza in cose la cui conoscenza sorpassa il nostro orizzonte; e può essere permessa, sebbene in senso relativo solamente, rispetto all’uso speculativo delle nostre facoltà conoscitive, in quanto che gli oggetti si trovano, sebbene non sopra, fuori nondimeno il nostro orizzonte. Ma ella è vituperevole in cose che è assai necessario e ancora facile a sapere.
Egli ci ha differenza tra non sapere qualche cosa e ignorare qualche cosa, cioè non prenderne notizia. È buono ignorare molte cose che non è buono a sapere. Lo astrarre ancora differisce da tutte e due coteste cose. Si astrae da una conoscenza, quando se ne ignora l’applicazione; pel che si acquista in astratto, e quindi in generale si può meglio considerare come principio. Un tale astrarre da ciò, che nella conoscenza di una cosa non appartiene al nostro fine, è utile e lodevole.
Coloro che sono storicamente ignoranti sono, d’ordinario, razionalmente istruiti.
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Il sapere storico senza determinati confini è polistoria; questa gonfia. La polimatia ci guida alle conoscenze razionali. Questo duplice sapere, il sapere cioè storico estesamente senza de terminati confini, ed il sapere razionale si può appellare pansofia. Al sapere storico appartiene la scienza degli organi della erudizione, cioè la filologia che comprende in sé una conoscenza critica de’ libri e delle lingue, letteratura e linguistica. La semplice polistoria è una erudizione ciclopica, a cui manca un occhio, l’occhio della filosofia; e un ciclope di matematica, di storia, di storia naturale, un filologo e un linguista, è un dotto, che è grande in tutte queste parti, ma che ritiene per inutile ogni filosofia su di esse. Le cose umane (humaniora) fan parte della filologia, per le quale s’intende la conoscenza dell’antichità, che giova all’unione della scienza col gusto, toglie la ruvidezza e promuove la communicabilità e l’urbanità, nel che consiste l’umanità.
Quindi le umane cose (humaniora) riguardano una istruzione in ciò che serve alla coltura del gusto conformemente ai modelli degli antichi. Ad esse appartiene p. e. l’eloquenza, la poesia, la erudizione sopra gli autori classici, ed altrettali. Tutte queste conoscenze di umanità si
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possono stimare come parte pratica dello filologia, avente direttamente per fine la formazione del gusto. Ma noi distinguendo tuttavia il semplice filologo dall’umanista, essi differirebbero in ciò, che quegli cerca negli antichi il mezzo della erudizione, questi, per contrario, il mezzo della formazione del gusto.
Il bello ingegno, o le bel esprit, è un umanista secondo modelli contemporanei in lingue viventi. Egli non è perciò un dotto, perciocché solamente le lingue morte son ora lingue dotte, ma un semplice dilettante per conoscenze di gusto secondo la moda, senza aver bisogno degli antichi. Lo si potrebbe appellare la scimia dell’umanista. Il polistorico deve, come filologo, essere linguista e letterato, e come umanista essere versato nei classici e saperli interpretare e comentare. Come filologo egli è colto, come umanista è incivilito.
In riguardo alle scienze ci ha due trasmodamenti del gusto dominante: cioè pedanteria e galanteria. L’una professa le scienze solamente per la scuola, e però le limita rispetto al loro uso; l’altra le professa per la sola conversazione o pel mondo, e però le restringe rispetto al loro contenuto. Il pedante è da
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riguardare o come dotto in opposizione all’uomo del mondo, e lo è, quanto il gonfio dotto mancante della conoscenza pratica degli uomini, cioè senza conoscere la maniera e la guisa di comunicare ad uomo la sua scienza; ovvero, come uomo di abilità in generale, ma solamente nelle mere forme, e non già quanto alla essenza e al fine. Nel secondo significato egli è un minuto ricercatore di formalità; ristretto per ciò che riguarda il nocciolo delle cose, non guarda che alla veste esteriore e alla buccia. È la imitazione rovescia o la caricatura dello spirito metodico. Quindi la pedanteria si può dire ancora cura minuziosa e precisione inutile (micrologia) in cose di mere forme. E cotale formalismo del metodo scolastico è reperibile fuori la scuola non solo nei dotti e in materie dottrinali, ma ancora in altri stati e in altre cose. Il cerimoniale nelle corti, nella conversazione, che altro è mai, se non una caccia, a così dire, e ricerca minuta di pure forme? Nella milizia non è totalmente così, sebbene così apparisca. Nel parlare, nel vestire, nella maniera di vita, nella religione, spesso domina molta pedanteria. Una esattezza di espressioni, conveniente al fine, è profondità, perfezione regolare, scolastica. Quindi pedanteria è profondità affettata; siccome galanteria,
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qual mera cortegiana per piacere al gusto, altro non è che popolarità affettata: perciocché la galanteria si studia di rendersi graziosa al lettore, e quindi di non offenderlo né pure con qualche parola grave.
Ad evitare la pedanteria, si richiede conoscenze estese non solo nelle scienze stesse, ma ancora in riguardo al loro uso. Quindi il vero dotto solamente può preservarsi dalla pedanteria, propria sempre di una mente ristretta.
Studiandoci di procurare insieme alla nostra conoscenza la perfezione della profondità scolastica e del pari quella della popolarità, senza cadere nell’anzidetta mancanza di un’affettata profondità, o di un’affettata popolarità, ei ci è uopo guardare anzitutto alla perfezione scolastica della nostra conoscenza, forma regolare della profondità; e allora soltanto badare al modo di rendere la conoscenza metodicamente imparata nella scuola, veramente popolare, cioè communicabile agli altri con facilità e generalmente, di maniera che la profondità non iscapiti per la popolarità. Perciocché in grazia della perfezione popolare (per piacere al popolo) non si deve sacrificare la perfezione scolastica, senza la quale ogni scienza non sarebbe altro che trastullo e baloccamento.
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A imparare poi la popolarità, si deve leggere gli antichi, p. e. gli scritti filosofici di Cicerone, i poeti, Orazio, Virgilio, e così di seguito; e tra i moderni Hume, Schaftesbury ed altrettali; uomini tutti che hanno avuto molta frequenza col mondo civile, senza di che non si può essere popolare. Per fermo, la vera popolarità richiede molta conoscenza pratica del mondo e degli uomini; conoscenza dei loro concetti, del loro gusto e delle loro inclinazioni, al che è da riguardare costantemente nella esposizione, ed anche nella scelta delle espressioni più acconce e più convenienti alla popolarità. Questo abbassarsi (condiscendenza) alla intelligenza del publico e alle espressioni comuni, in cui non è posposta la perfezione scolastica, ma solamente la veste del pensiero e ordinata in modo che non si lascia vedere il ponte (la regolarità e la tecnica di quella perfezione), a quel modo che tiransi con la matita le linee sopra cui si scrive, e poscia, tergendo, si fanno sparire, questa verace perfezione popolare della conoscenza è nel fatto una grande e rara perfezione che dimostra grande profondità nella scienza. Ella, oltre molti altri meriti, ha ancora questo che per la perfetta conoscenza di una cosa può darne una dimostrazione. Perciocché il semplice saggio
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scolastico di una conoscenza lascia ancora dubitare, se esso sia imperfetto, e se la conoscenza istessa ben anche abbia un valore che le si può concedere da tutti gli uomini. La scuola ha i suoi pregiudizi, come il senso comune. L’uno qui corregge l’altro. Egli è perciò importante saggiare una conoscenza in uomini, il cui intelletto non sia ligio ad alcuna scuola.
Questa perfezione per cui la si rende capace di comunicazione facile e universale potrebbesi ancora appellare la estensione esterna o la grandezza estensiva di una conoscenza, in quanto che ella è estesa esternamente tra molti uomini.
Poiché ci ha tante e diverse conoscenze, metterà bene formarsi un piano secondo il quale si ordini le scienze, come meglio si accordino ai fini proposti, e conferiscano al loro agevolamento. Tutte le conoscenze hanno fra loro una certa na turale connessione. Or, se nell'adoperarsi per lo allargamento delle conoscenze non si pon mente a questa loro connessione, da tutta la moltiplicità del sapere nient’altro risulterà che una rapsodia. Ma, ove si faccia a scopo una scienza principale, e si consideri tutte le altre conoscenze sol come mezzo per arrivare a quella, si reca nel suo sapere un certo carattere
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sistematico. E a por mano all’opera per lo allargamento della sua conoscenza secondo un tal piano ben ordinato e rispondente allo scopo, è uopo per ciò studiarsi d’imparare a conoscere quel collegamento delle conoscenze fra loro. Al che è introduzione l’architettonica delle scienze, la qua le è un sistema informato ad un’idea, in cui le scienze sono considerate per rispetto alla loro attenenza e al legame sistematico in un tutto di conoscenza interessante l’umanità.
Per ciò che riguarda poi in ispecie la grandezza intensiva della conoscenza, cioè il suo valore intrinseco, o il suo molto valore e la importanza, che essenzialmente differisce, come sopra abbiamo notato, dalla grandezza estensiva, semplice loro ampiezza, faremo solamente queste poche osservazioni:
1. È da distinguere una conoscenza che va al grande, cioè al tutto nell’uso dell’intelletto, dalla sottigliezza nel piccolo (micrologia).
2. Logicamente importante è da appellare ogni conoscenza che promuova la perfezione logica quanto alla forma, p. e. ogni proposizione matematica, ogni legge della natura, distintamente avvisata, ogni retto schiarimento
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filosofico. La importanza pratica non si può prevedere, ma si deve aspettare.
3. Non si deve confondere l’importanza con la difficoltà. Una conoscenza può essere difficile, senza essere importante, e viceversa. La difficoltà perciò non decide né pro, né contra il valore e l’importanza di una conoscenza. Questa dimora nella grandezza o multiplicità delle conseguenze. Quanto più o maggiori conseguenze ha una conoscenza, e maggior uso può farsene, tanto maggiormente è importante. Una conoscenza senza importanti conseguenze appellasi sottigliezza; come era p. e. la filosofia scolastica.