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La conoscenza umana è, da parte dell’intelletto, discorsiva, cioè avviene per mezzo di rappresentazioni, le quali pongono a fondamento della conoscenza ciò che è comune a più cose, e però avviene per mezzo di note come tali. Noi non conosciamo (intellettivamente) le cose, se non per mezzo di note, e appellasi appunto cognoscere(1), ciò che deriva dal noscere(2).
Nota(3) è ciò che in una cosa costituisce una parte della sua conoscenza; o, ciò che è lo stesso, una sua rappresentazione parziale, in quanto vien riguardata come fondamento di conoscenza dell’intera rappresentazione. Per ciò
(1) Erkennen.
(2) Kennen.
(3) Merkmal.
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tutti i nostri concetti sono note, e tutto il pensiero non è altro che rappresentazione per mezzo di note.
Ciascuna di esse si può considerare sotto duplice aspetto: primamente, come rappresentazione in sé stessa; secondamente, come appartenente, qual concetto parziale, all’intera rappresentazione di una cosa, e però come fondamento della conoscenza di questa cosa stessa.
Tutte le note, riguardate come ragioni di conoscenza, sono di duplice uso, cioè interno o esterno. L’uso interno consiste nella derivazione, per conoscere la cosa istessa mediante note quali ragioni di sua conoscenza. L’uso esterno consiste nella comparazione, in quanto che noi possiamo paragonare, per mezzo delle note, una cosa con altre secondo le regole della identità e della diversità.
Egli ci ha fra le note differenze specifiche di più sorte, su le quali è fondata la seguente loro classificazione.
1. Note analitiche e note sintetiche. Quelle sono concetti parziali del mio reale concetto (che io vi penso già); queste, al contrario, sono concetti parziali dell’intero concetto meramente possibile, il quale perciò si deve prima formare
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mediante una sintesi di più parti. Le prime sono tutti concetti razionali, le seconde possono essere concetti di esperienza.
2. Coordinate e subordinate. Questa divisione delle note riguarda la loro diversa maniera di connessione. Sono coordinate, se ciascuna di esse vien rappresentata come nota immediata della cosa; subordinate poi, se una non è rappresentata nella cosa che per mezzo di un’altra. L’unione delle coordinate al tutto del concetto dicesi aggregato; quella delle subordinate, serie. La prima, cioè l’aggregazione delle note coordinate costituisce la totalità del concetto, la quale in riguardo ai concetti sintetici empirici non può essere mai perfetta, e somiglia ad una linea retta senza limiti. La serie delle note subordinate riesce a parte ante, o dalla parte dei principii, a concetti indivisibili che per la loro semplicità non si lasciano più disciogliere; a parte post, o in riguardo alle conseguenze, al contrario, ella è infinita, perciocché noi abbiamo, a dir vero, il più alto genere, ma non alcuna specie infima. Con la sintesi d’ogni nuovo concetto nell’aggregazione delle note coordinate cresce la distinzione estensiva o larga; siccome con l’ulteriore analisi dei concetti nelle serie delle note subordinate, la distinzione
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intensiva, o profonda. Questa seconda maniera di distinzione, poiché serve necessariamente alla solidità e validità della conoscenza, è la cosa principale della filosofia, ed è spinta al più alto grado, specialmente nelle ricerche metafisiche.
3. Note affermative e note negative — Per quelle noi conosciamo ciò che la cosa è; per queste ciò che non è. Le note negative servono a tenerci lontani dagli errori. Quindi non sono necessarie là dove è impossibile errare, e sono necessarie e d’importanza solamente in quei casi, quando ci ritengono da grave errore in cui possiamo cadere. Così p. e. in riguardo al concetto di un essere come Dio, le note negative sono necessarissime e importantissime. Adunque, mediante le note affermative, vogliamo intendere qualche cosa; mediante le negative (alle quali si possono tutte ridurre), solo non vogliamo frantendere o errare, dovessimo pur non acquistarne notizia.
4. Note importanti e feconde, e note vuote e di niuna importanza.
Una nota è importante e feconda, se è ragione di conoscenza di grandi e numerose conseguenze, parte in riguardo al suo uso interno (uso di derivazione), in quanto è bastevole a conoscere per suo mezzo molto nella cosa stessa;
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parte rispetto al suo uso esterno (uso di com parazione), in quanto che serve a ben conoscere così la somiglianza di una cosa con molte altre, come la sua differenza. Del resto dobbiamo qui distinguere l’importanza e la fecondità logica dall’importanza e fecondità pratica (l’essere utile ed usabile).
5. Note sufficienti e necessarie o insufficienti e contingenti.
Una nota è sufficiente, se basta a distinguere sempre la cosa da ogni altra; in caso contrario è insufficiente, come p. e. la nota dell’abbaiar del cane. Se non che la sufficienza delle note ugualmente che la loro importanza si ha a determinare solamente in senso relativo, cioè in relazione ai fini che per mezzo di una conoscenza si ha di mira. Note necessarie sono, infine, quelle che debbono sempre ritrovarsi nella cosa rappresentata. Coteste si appellano ancora essenziali, e sono opposte alle non essenziali e contingenti che si possono disgiungere dal concetto della cosa. Fra le necessarie ci ha poi anche una differenza: Alcune di esse convengono alla cosa come ragione di altre note di una e medesima cosa; altre poi solo come conseguenze di altre note. Le prime sono primitive e costitutive (constitutiva, essentialia in sensu
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strictissimo); le altre appellansi attributi (consectaria rationata), e appartengono, a dir vero, all’essenza della cosa, ma solamente in quanto sono derivazioni delle sue parti essenziali, come p. e. i tre angoli, nel concetto di un triangolo, dai tre lati. Le non essenziali sono parimenti di due maniere; esse riguardano interne determinazioni di una cosa (modi), o sue esterne relazioni (relationes). Così p. e. la nota della dottrina segna una interna determinazione dell’uomo; esser padrone o servo, soltanto una sua relazione esterna.
L’insieme di tutte le parti essenziali di una cosa, o la sufficienza delle sue note secondo la coordinazione e la subordinazione, è la essenza (complexus notarum primitivarum, interne conceptui dato sufficientium, s. complexus notarum, conceptum aliquem primitive constituentium). In questa definizione non dobbiamo affatto pensare all’essenza reale o naturale delle cose, la quale non si può da noi, dove che sia, penetrare. Perciocché, la logica facendo astrazione da ogni contenuto della conoscenza, e conseguentemente dalla cosa stessa, non si può assolutamente far parola in tale scienza che della essenza logica; la qua le è facile ad avvisare. Per fermo a questo non
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altro appartiene che la conoscenza di tutti i predicati, in riguardo ai quali un obbietto è determinato mediante il suo concetto; in vece che per l’essenza reale della cosa (Esse rei), richiedesi la conoscenza di quei predicati, dai quali, come ragioni determinanti, dipende tutto ciò che appartiene alla sua esistenza. Volendo p. e. determinare l’essenza logica del corpo, egli non ci è affatto uopo ricercare i dati nella natura; non dobbiamo che dirigere la nostra riflessione alle note che, come elementi essenziali (constitutiva, rationes), ne costituiscono primitivamente il concetto fondamentale. Perciocché l’essenza logica non è certamente altro che il primo concetto fondamentale di tutte le note necessarie di una cosa (Esse conceptus).
Adunque il primo grado di perfezione della nostra conoscenza secondo la qualità è la sua chiarezza(1). Un secondo grado, o un grado più alto della chiarezza, è la distinzione(2), che dimora nella chiarezza delle note.
Dobbiamo qui anzi tutto far differenza tra la distinzione logica e la estetica. La logica consiste nella chiarezza obbiettiva delle note, la
(1) Klarheit.
(2) Deutlichkeit.
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estetica nella loro chiarezza subbiettiva. Quella è una chiarezza per concetti, questa una chiarezza per intuizioni. La seconda maniera di distinzione consiste perciò in una semplice vivezza e intelligibilità, cioè in una semplice chiarezza, per via di esempi in concreto: perciocché possono essere intelligibili molte cose che pur non sono distinte; e per contrario, possono essere distinte molte cose, che sono pur difficili a intendere, perché rimontano a note lontane, il cui nesso con l’intuizione non è possibile che per mezzo di una lunga serie.
La distinzione obbiettiva sovente cagiona l’oscurità subbiettiva, e viceversa. Quindi la distinzione logica non di rado riesce a danno della distinzione estetica, e viceversa; spesso la distinzione estetica, per mezzo di esempi e di paragoni che non convengono esattamente ma sono presi soltanto per certa analogia, riesce di nocumento alla distinzione logica. Inoltre certi esempi in generale non sono note e non appartengono come parti al concetto, ma solamente come intuizioni all’uso del concetto. La distinzione per via d’esempi (la semplice intelligibilità) è perciò di tutt’altra maniera che la distinzione per concetti come note. Nell’unione di tutte e due, cioè della distinzione estetica o
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popolare con la scientifica o logica, consiste la perfetta lucidezza(1). Perciocché mente lucida importa attitudine di esporre con tutta chiarezza e in maniera corrispondente alla capacità intellettiva del senso comune, conoscenze astratte e fondamentali.
Or per ciò che riguarda più da vicino la distinzione logica in ispezialità, è da appellare piena, se tutte le note, che insieme prese costituiscono l’intero concetto, sono pervenute alla chiarezza. Un concetto interamente o completamente distinto può esserlo di nuovo, o per riguardo alla totalità delle sue note coordinate, o per rispetto alla totalità delle sue note subordinate. Nella chiarezza totale delle note coordinate consiste la distinzione estensivamente completa o sufficiente di un concetto, la quale dicesi ancora ampiezza(2). La chiarezza totale delle note subordinate costituisce la distinzione intensivamente intera o completa, la profondità. La prima maniera di distinzione logica può ancora venir appellata integrità(3) esterna (completudo externa) della chiarezza delle note, siccome l’altra, integrità interna (completudo interna). Quest’ultima non si può ottenere che dei puri concetti
(1) Helligkeit.
(2) Ausführlichkeit.
(3) Vollständigkeit.
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della ragione e degli arbitrari, ma non dei concetti empirici.
La grandezza estensiva della distinzione, in quanto non è abbondante, dicesi precisione(1). L'ampiezza o la distinzione estensivamente completa (completudo) e la precisione (praecisio) fanno insieme l’adeguazione(2) (cognitionem, quae rem adaequat), e la conoscenza adeguata intensivamente nella profondità, insieme all’adeguata estensivamente nell’ampiezza e alla precisione, costituisce, secondo la qualità, la piena perfezione di una conoscenza, consumata cognitionis perfectio.
Or, poichè il compito della logica è, come abbiamo notato, rendere distinti i concetti chiari, si dimanda: in quale maniera li rende tali?
I logici della scuola wolfiana ritengono che le conoscenze non si rendono distinte che per mezzo della loro analisi. Ma non ogni distinzione dimora nell’analisi di un concetto dato. Per tal mezzo ella nasce solamente rispetto alle note che già pensammo nel concetto, ma in niuna guisa rispetto alle note che primamente aggiungonsi al concetto, come parti dell’intero
(1) Abgemessenheit.
(2) Angemessenheit.
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concetto possibile. Quella specie di distinzione, che nasce non per analisi, ma per sintesi delle note, è la distinzione sintetica. E però ci ha differenza essenziale tra le due proposizioni: far un concetto distinto e far distinto un concetto. Perciocché facendo un concetto distinto io incomincio dalle parti e da queste procedo al tutto. Non ci sono ancora note; io le ottengo prima mente per mezzo della sintesi. Da questo procedimento sintetico deriva la distinzione sintetica, la quale realmente aggrandisce secondo il contenuto il mio concetto, mediante ciò che come nota gli si aggiunge nella intuizione, pura o empirica. – Di cotesto procedimento sintetico nel rendere distinto un concetto si servono i matematici e ancora i naturalisti. Perciocché tutta la chiarezza distinta della conoscenza matematica propriamente, siccome di ogni conoscenza sperimentale, consiste in cotale suo allargamento mediante la sintesi delle note. Che se poi io fo distinto un concetto, la mia conoscenza mediante questa semplice analisi non si accresce affatto rispetto al contenuto. Questo rimane lo stesso; solamente si muta la forma, perché io imparo solo a meglio distinguere o a conoscere con chiara coscienza quel che già era riposto nel concetto dato. Siccome per la semplice illuminazione di una carta
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niente altro le si aggiunge, così ancora per lo schiarimento di un concetto dato, mediante l’analisi delle sue note, questo concetto non si accresce punto.
Alla sintesi appartiene il far distinti gli oggetti, all’analisi il far distinti i concetti. Qui il tutto precede le parti, là le parti il tutto. – Il filosofo non fa che rendere distinti concetti dati. Talvolta si procede sinteticamente, ancorché il concetto, che a tal guisa si vuol fare distinto, sia già dato. Ciò ha luogo spesso nelle proposizioni sperimentali, doveché non si è contento delle note già pensate in un concetto dato.
Il procedimento analitico produttivo della distinta chiarezza, della quale solamente può trattare la logica, è il primo e principalissimo requisito, quando vogliamo far distinta una nostra conoscenza: perciocché quanto più distinta è la nostra conoscenza di una cosa, tanto più forte ed efficace può essere. Solamente non si deve spingere l’analisi tanto che l’oggetto in fine sparisca, a così dire.
Se noi avessimo consapevolezza di tutto ciò che sappiamo, rimarremmo attoniti pel gran numero delle nostre conoscenze.
In riguardo al valore intrinseco obbiettivo della
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nostra conoscenza si possono pensare i seguenti gradi, secondo i quali può essere elevata.
Il primo grado della conoscenza è rappresentarsi(1) qualche cosa;
il secondo, rappresentarsi qualche cosa con coscienza o percepire(2), percipere;
il terzo, aver notizia(3) di qualche cosa (noscere) o rappresentarsi una cosa nel paragone di altre, così per la medesimezza come per la diversità;
il quarto, conoscere qualche cosa con coscienza, cognoscere(4); gli animali han notizia degli oggetti, ma non li conoscono con coscienza;
il quinto, intendere(5) una cosa, intelligere, cioè conoscere con l’intelletto per via di concetti, o concepire. Questo è differente non poco dal comprendere. Molte cose si possono concepire, sebbene non si possano comprendere; p. e. un moto perpetuo (perpetuum mobile) la cui impossibilità è dimostrata in meccanica;
il sesto, conoscere una cosa mediante la ragione o conoscerla a dentro(6), perspicere. Sino a tal punto non perveniamo che in poche cose e le nostre conoscenze divengono sempre tanto minori pel
(1) Vorstellen.
(2) Wahrnehmen.
(3) Kennen.
(4) Erkennen
(5) Verstehen.
(6) Einsehen.
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numero, quanto più vogliamo perfezionarle pel valore intrinseco;
il settimo finalmente è comprendere(1) una cosa, comprehendere, cioè conoscere mediante la ragione o a priori in tal grado che sia sufficiente al nostro fine. Perciocché ogni nostro comprendere non è che relativo, cioè sufficiente ad un certo nostro fine, nulla affatto comprendiamo in modo assoluto. Nulla si può meglio comprendere di ciò che il matematico dimostra, p. e. che tutte le linee nel circolo sono proporzionali. E pure egli non comprende donde proceda che una figura sì semplice abbia cotesta proprietà. Il campo dell’intendere o dell’intelletto spazia perciò in generale assai più largamente di quello del comprendere o della ragione.
(1) Begreifen.