123
Verità è proprietà obbiettiva della conoscenza; il giudizio, onde qualche cosa è rappresentata come vera (la relazione ad un intelletto e però ad un subbietto particolare) è subbiettivamente la credenza(1).
La credenza in generale è di due maniere: certa, e incerta. La credenza certa, o la certezza(2) è unita con la coscienza della necessità; la incerta, al contrario, o la incertezza(3) coscienza della contingenza o possibilità dell’opposto. – La seconda è di nuovo o insufficiente obbiettivamente e subbiettivamente, ovvero obbiettivamante insufficiente, e subbiettivamente sufficiente. Quella dicesi opinione, questa è da appellare fede.
Egli ci ha perciò tre specie o modi di
(1) Fürwahrhalten.
(2) Gewissheit.
(3) Ungewissheit.
124
credenza; opinione(1), fede(2) e sapere(3). La opinione è un giudizio problematico, la fede, assertorio, e il sapere, apodittico. Perciocché quel che io semplicemente opino, tengo nel giudizio con coscienza solo per problematicamente certo; quello di cui ho fede, per assertoriamente, ma di necessità non obbiettiva, bensì subbiettiva solamente (valevole solo per me); quello in fine che io so, tengo per apoditticamente certo, cioè per necessario in modo universale ed obbiettivo (valevole per tutti); posto anche che l’oggetto stesso, al quale questa credenza certa si riferisce, fosse verità semplicemente empirica. Perciocché questa diversità di credenza, secondo i tre modi or ora nominati, riguarda solamente la facoltà giudicativa per rispetto ai criteri subbiettivi della sommissione di un giudizio a regole obbiettive. Cosi sarebbe p. e. semplicemente problematica la nostra credenza dell’immortalità, operando come se fossimo immortali; assertoria, avendo fede di essere immortali; e apodittica, in fine, sapendo tutti che vi è un’altra vita dopo questa.
Tra opinione, fede e sapere ha luogo perciò.
(1) Meinen.
(2) Glauben.
(3) Wissen.
125
differenza essenziale, che vogliamo qui ancora più esatta e distesamente dilucidare.
1. Opinione. – L’opinione, o il credere per una ragione di conoscenza, che non è sufficiente in alcun modo, vuoi obbiettivo, vuoi subbiettivo, si può riguardare come un giudizio provvisorio (sub conditione suspensiva ad interim), di cui non si può facilmente far senza. Egli è uopo che si opini, avanti di ammettere e di affermare, e in ciò si guardi pure dal tenere una opinione per qualche cosa di più che semplice opinione. Dall’opinare incominciamo per lo più in ogni nostro conoscere. Talvolta abbiamo un oscuro presentimento della verità; una cosa ci sembra di contenere note di verità; abbiamo già un presentimento della sua verità, prima ancora di conoscerla con determinata certezza.
Ma dove ha luogo propriamente la semplice opinione? – In nessuna scienza che contenga conoscenze a priori; perciò né nella matematica, né nella metafisica, né nella morale, ma semplicemente nelle conoscenze empiriche: nella fisica, nella psicologia e altrettali. Perciocché egli è in sé stesso assurdo opinare a priori. Ancora, niuna cosa sarebbe nel fatto tanto ridicola, quanto p. e. opinare solamente in matematica. Quivi, come nella metafisica e nella morale, ci ha
126
sapere o non sapere. Quindi le cose di opinione non possono essere, in ogni caso, che negli oggetti di conoscenza sperimentale che è possibile in sé, a dir vero, e solo per noi impossibile, a cagione de’ limiti empirici e delle condizioni di nostra facoltà sperimentale e del suo grado da loro dipendente. Così p. e. l’etere dei fisici moderni è una semplice cosa di opinione(a). Perciocché di essa, siccome di ogni opinione in generale,
(a) Se non che oggi, dopo le grandi attenenze tra il calorico e la luce dimostrate specialmente per opera del chiarissimo Macedonio Melloni; dopo le scoperte di Fresnel in ispecialità e di Arago su la diffrazione, interferenza e polarizzazione della luce; dopo sparite, per opera de’ migliori fisici delle diverse nazioni civili, le grandi differenze tra l’elettrico e il magnetico, e vedute le loro recipriche attenenze, e come l’elettrico raccolga in sé i fenomeni propri, e quelli del magnetico, della luce e del calorico; dopo i felici risultamenti degli studii del Babinet, del Pouillet e di altri sopra il sistema delle vibrazioni e le proprietà dell’etere, e veduto chiaramente come con questo fluido sottilissimo ed elasticissimo sparso per tutta la natura, riesce assai facile la spiegazione dell’indefinita varietà de’ fenomeni luminosi, calorifici, elettrici e magnetici; la sua esistenza è tale da non potersi, a mio avviso, dimostrare nel fatto il contrario, anzi essere quasi certezza.
Trad.
127
quale che ella possa mai essere, io scorgo questo, che forse si potrebbe dimostrare l’opposto. La mia credenza è qui dunque insufficiente così obbiettivamente come subbiettivamente, sebbene, in sé considerata, possa essere completa.
2. Fede. – La fede o la credenza per ragione obbiettivamente insufficiente, ma subbiettivamente sufficiente, si riferisce agli obbietti, riguardo ai quali non solamente nulla si può sapere, ma ancora nulla opinare, anzi né pure pretendere una verisimiglianza; semplicemente può esser certo che non è contradittorio pensare simili oggetti a quel modo che si pensano. Il resto è qui libera credenza, la quale non è necessaria se non rispetto ad un fine pratico dato a priori; una credenza perciò di quel che io ammetto per ragioni morali e di maniera, per verità, che io sia certo che non si può dimostrare il contrario(*).
(*) La fede non è fonte particolare di conoscenza. È una maniera di credenza incompleta con coscienza, considerata come ristretta ad una particolare specie di oggetti (che non sono che di fede), differisce dalla opinione, non pel grado, ma per la relazione che, come conoscenza, ha all’operare. Così il negoziante p. e. ad imprendere un negozio, bisogna che non opini soltanto che in quello sarà per guadagnare, ma che ne abbia fede, cioè che la sua opinione su l’intrapresa, sebbene incerta, sia sufficiente. Or, avendo noi conoscenze
128
Cose di fede non possono dunque essere.
I. Gli oggetti della conoscenza empirica. Quindi la così detta fede storica non può appellarsi propriamente fede, ed essere, come tale, opposta
teoretiche (del sensibile), in cui possiamo giungere alla certezza, e per rispetto a tutto ciò che possiamo appellare conoscenza umana, è uopo che questa sia possibile. Sì fatte conoscenze certe appunto e, per verità, del tutto a priori noi abbiamo delle leggi pratiche; se non che queste fondansi in un principio soprassensibile (la libertà) e, per ver dire, in noi stessi, come principio della ragione pratica. Ma questa ragione pratica è una causalità rispetto ad un oggetto parimenti soprassensibile, cioè al bene supremo, che nel mondo de’ sensi non possiamo conseguire per via delle nostre facoltà. Nulla di meno la natura, come oggetto della nostra ragione teoretica, vi deve insieme accordare; perciocché la conseguenza o l’effetto di questa idea dee ritrovarsi nel mondo sensibile. Dobbiamo dunque adoperarci a questo fine.
Troviamo nel mondo sensibile ancora tracce di sapienza artistica, e abbiamo fede che la causa del mondo agisca con morale sapienza pel bene supremo. La è questa una credenza sufficiente all’operare, vale a dire, è fede. Or noi non abbisogniamo di essa per operare secondo le leggi morali, perocché queste son date solamente per mezzo della ragion pratica; ma ci è uopo ammettere una sapienza suprema per oggetto della nostra volontà morale, sul quale, oltre la semplice legittimità delle nostre azioni, non possiamo fare a meno di regolare i nostri fini. Sebbene ciò obbiettivamente non fosse una relazione necessaria al nostro arbitrio, il bene supremo è non pertanto l’obbietto subbiettivamente necessario di una buona volontà (anche umana), e la fede di poterlo conseguire vi è necessariamente supposta.
Fra lo acquistare una conoscenza per via dell’esperienza
129
al sapere, per la ragione che ancora può essere sapere. La credenza ad una testimonianza, né per grado, né per ispecie, differisce dalla credenza per esperienza propria.
(a posteriori) e per via della ragione (a priori) egli non ci ha mezzo di sorta; ma tra la conoscenza di un obbietto e la semplice supposizione della sua possibilità, ci ha un mezzo; cioè una ragione empirica, o razionale di ammettere la seconda (la possibilità) in relazione ad un allargamento necessario del campo degli oggetti possibili, oltre quelli la cui conoscenza si può da noi conseguire. Questa necessità trova luogo solamente in riguardo a ciò, poiché l’oggetto è conosciuto come pratico e per mezzo della ragione come praticamente necessario; perciocché ammettere qualche cosa a semplice allargamento della conoscenza teoretica è sempre accidentale. Cotesta supposizione praticamente necessaria di un oggetto è quella della possibilità del bene supremo come oggetto dell’arbitrio, e però della condizione ancora di tale possibilità (Dio, libertà e immortalità). Ciò è una necessità subbiettiva di ammettere la realtà dell’obbietto per la necessaria determinazione della volontà. Questo è il casus extraordinarius, senza il quale la ragione pratica non può sussistere in riguardo al suo fine necessario, e in cui le cade acconcio il favore delle necessità (favor necessitatis) nel suo proprio giudizio. Ella non può acquistare logicamente alcun obbietto, ma solamente opporsi a ciò che impedisce l’uso di questa idea che praticamente le appartiene.
Questa fede è la necessità di ammettere la realtà obbiettiva di un concetto (del bene supremo), cioè la possibilità del suo oggetto come oggetto necessario a priori dell’arbitrio. Se guardiamo solo alle azioni, non abbiamo necessariamente questa fede. Ma volendo per mezzo delle azioni estenderci al possesso del fine per loro possibile, ci è uopo
130
II. Gli oggetti di conoscenza razionale (conoscenza a priori), né teoretica, come p. e. nella matematica e nella metafisica, né pratica, come nella morale.
Le verità razionali matematiche si possono, a dir vero, credere su la testimonianza, perché quivi l’errore, parte non è facile ad accadere, parte si può facilmente discoprire; ma ciò non
mettere che questo sia assolutamente possibile — Adunque io posso sol dire: mi veggo pel mio fine forzato, secondo le leggi della libertà, ad ammettere come possibile nel mondo il bene supremo, ma non posso costringere a questo alcun altro per via di ragioni (la fede è libera).
La fede razionale non può mai per ciò menare alla conoscenza teoretica; perciocché, quando ci è credenza obbiettivamente insufficiente, non ci è che opinione. Essa è semplicemente una supposizione della ragione a fine pratico subbiettivo ma assolutamente necessario. Il sentimento secondo le leggi morali conduce ad un oggetto dell’arbitrio determinabile mediante la ragion pura. L’ammettere che cotesto oggetto si possa recare ad atto, e però la realtà ancora della causa da ciò, è una fede morale o una credenza libera e necessaria per lo scopo morale di effettuare i suoi fini.
Fides è propriamente fedeltà nel patto, o subbiettiva confidenza di uno nell’altro, che uno manterrà la sua promessa all’altro, fedeltà e fede. La prima, se il patto è conchiuso; la seconda, se si ha da conchiudere.
Secondo l’analogia la ragion pratica è in certa maniera il promettente; l’uomo, quegli a cui la promessa è fatta, promissarius; il bene atteso per l’opera, la cosa promessa, promissum.
131
per tanto esse non si ponno in tal maniera sapere.
Le verità razionali filosofiche ancora non si lasciano mai tener per fede; è d’uopo che sieno assolutamente certe; perciocché la filosofia non soffre in sé alcuna semplice opinione. E per ciò che riguarda in particolare gli oggetti della conoscenza razionale pratica nella morale, i diritti e i doveri, tanto meno può aver luogo una semplice fede. Si deve essere pienamente certi, se una cosa sia giusta o ingiusta, conforme al dovere o contra, lecita o illecita.
Su l’incertezza nulla si può arrischiare nelle cose morali, nulla risolvere sul rischio di mancare contro la legge. Così p. e. non è bastevole per un giudice aver fede semplicemente che l’accusato d’un delitto l’abbia realmente commesso: bisogna che lo sappia (giuridicamente), altrimenti egli giudica senza certezza.
III. Non sono cose di fede che quegli oggetti ne’ quali la credenza è necessariamente libera, cioè non è determinata per via di ragioni obbiettive della verità, indipendenti dalla natura e dall’interesse del subbietto. La fede dunque non porge, per le ragioni semplicemente subbiettive, alcuna convinzione che si possa partecipare e che comandi universale assentimento,
132
come la convinzione che procede dal sapere. Io stesso non posso esser certo che del valore e immutabilità della mia fede pratica, e la mia fede nella verità di una proposizione, o nella realtà di una cosa è ciò che, rispetto a me, tiene luogo solamente di conoscenza, senza pur essserla.
Moralmente incredulo è colui che non ammette ciò che, per ver dire, è impossibile a sapere, ma che è moralmente necessario a supporre. Cotesta maniera d’incredulità proviene sempre da mancanza d’interesse morale. Quanto maggiore è il sentimento morale di un uomo, tanto più ferma è più viva sarà la sua fede in tutto ciò che per interesse morale sentesi obbligato ad ammettere e supporre in riguardo ad un fine praticamente necessario.
3. Sapere. – La credenza che proviene da ragione di conoscenza, sufficiente così obbiettivamente come subbiettivamente, ossia la certezza è empirica o razionale, secondo che ella si o fonda su l’esperienza, vuoi propria, vuoi partecipata da altri, o su la ragione. Questa differenza si riferisce perciò alle due fonti, l’esperienza e la ragione, dalle quali deriva tutta la nostra conoscenza.
La certezza razionale è di nuovo matematica
133
o filosofica: quella è intuitiva, questa è discorsiva.
La certezza matematica appellasi ancora evidenza, perciocché una conoscenza intuitiva è più chiara di una discorsiva. Perciò, sebbene tutte e due, la conoscenza razionale matematica e la filosofica, sieno in sé stesse ugualmente certe, pure si ha in loro a distinguere la maniera di certezza.
La certezza empirica è originaria (originarie empirica), se io son certo di qualche cosa per esperienza propria; derivata (derivative empirica), se lo sono per esperienza altrui. La seconda vuole appellarsi ancora certezza storica.
La certezza razionale differisce dall’empirica per la coscienza della necessità, che l’è unita; essa è perciò apodittica; l’empirica, al contrario, è meramente assertoria. Si è razionalmente certo di ciò che, senza alcuna esperienza, si conosce a priori. Perciò le nostre conoscenze possono riguardare oggetti di esperienza, e la loro certezza non per tanto essere del pari empirica e razionale, in quanto però conosciamo per principii a priori una proposizione empiricamente certa. Non possiamo avere di ogni cosa certezza razionale; ma, potendosi avere, si ha da preferire all’empirica.
134
Ogni certezza è immediata, o mediata, cioè o abbisogna di prova, o non n’è capace e bisognevole. Quantunque moltissime nostre conoscenze non sien certe che mediatamente, cioè per prova, pure deve darsi qualche cosa indimostrabile o immediatamente certa, e tutta quanta la nostra conoscenza deve procedere da proposizioni immediatamente certe. Le prove, su le quali fondasi la certezza mediata di una conoscenza, sono dirette, apagogiche. – Quando io provo una verità per le sue ragioni, io porgo una prova diretta; quando poi dalla falsità del contrario conchiudo la verità di una proposizione, ne porgo una apagogica. Ma per aver valore quest’ultima, è uopo che le proposizioni sieno contradittorie, ossia diametralmente opposte. Perciocché due proposizioni sol contrariamente opposte fra loro (contrarie opposita) possono essere tutte e due false. Una prova(1), che è ragione di certezza, appellasi dimostrazione(2); e quella, che è ragione di certezza filosofica, dicesi acroamatica. Le parti essenziali di ogni prova sono la materia e la forma, o il fondamento della prova e la conseguenza.
Dal sapere viene la scienza, che vuol dire un
(1) Beweis.
(2) Demostration.
135
insieme di conoscenza, come sistema. Ella è opposta alla conoscenza comune, cioè alla conoscenza come semplice aggregato. Il sistema consiste in una idea del tutto, il quale precede le parti; nella conoscenza comune, al contrario, o nel semplice aggregato di conoscenze, le parti vanno innanzi al tutto. Egli ci ha scienze storiche e scienze razionali. In una scienza spesso noi sappiamo conoscenze solamente, ma non le cose per esse rappresentate; onde si può dare scienza di ciò, la cui conoscenza non sia sapere.
Dalle precedenti osservazioni sopra la natura e le specie di credenza possiamo ora trarre questa conseguenza generale: che ogni nostra convinzione sia logica o pratica. Vale a dire, quando sappiamo che noi siamo liberi da ogni ragione subbiettiva, e che non pertanto la credenza è sufficiente, noi siamo convinti, e per verità convinti logicamente o per ragioni obbiettive l’oggetto è certo. La completa credenza per ragioni subbiettive che, sotto l’aspetto pratico, valgono quanto le obbiettive, è ancora convinzione, non solamente logica, ma pratica (io son certo). E questa convinzione pratica o questa fede morale razionale è spesso più ferma d’ogni sapere. Nel sapere si può dare ascolto
136
ancora alle ragioni contrarie, ma nella fede no; perciocché quivi non si dipende da ragioni obbiettive, ma dall’interesse morale del subbietto(*).
Alla convinzione è opposta la persuasione, credenza per ragioni insufficienti, le quali non si sa se sieno semplicemente subbiettive, ovvero anche obbiettive.
La persuasione(1) spesso precede la convinzione(2). Di molte conoscenze noi siamo sol consapevoli di non poter giudicare, se le ragioni della nostra credenza sieno obbiettive. Quindi a poter pervenire dalla semplice persuasione alla convinzione, ci è uopo anzitutto esaminare, cioè
(*) Questa convinzione pratica è perciò la fede morale razionale, la quale sola più propriamente bisogna appellar fede, e come tale opporre al sapere e ad ogni convinzione teoretica o logica in generale, perciocché ella non può giammai elevarsi al sapere. La così detta fede storica, al contrario, non si può di stinguere, come già si è notato, dal sapere, poiché essa, come una maniera di credenza teoretica o logica, può essere anche un sapere. Noi possiamo con la stessa certezza ammettere una verità empirica su la testimonianza altrui, che se vi fossimo pervenuti per mezzo di fatti di nostra esperienza. Se nella prima maniera di sapere empirico ci è qualche cosa d’ingannevole, ci è pure nella seconda. Il sapere empirico storico o mediato si fonda su questo, che la testimonianza è degna di fede. Requisiti di una testimonianza incorrotta sono autenticità e integrità.
(1) Überredung.
(2) Überzeugung.
137
vedere, a quale facoltà conoscitiva una conoscenza si appartenga; e allora ricercare, cioè saggiare se le ragioni rispetto all’obbietto sieno sufficienti o insufficienti. In molte cose si rimane nella persuasione, in alcune si viene alla riflessione(1), in poche alla disamina(2). Colui, che sa ciò che è certezza, non confonde facilmente persuasione e convinzione, né meno perciò si lascerà facilmente persuadere. –
Egli ci ha un perché che determina al consentimento, il quale perché consta di ragioni obbiettive e di subbiettive, e la maggior parte degli uomini non distingue quest’azione mista.
Sebbene ogni persuasione rispetto alla forma (formaliter) sia falsa, in quanto cioè una conoscenza incerta apparisce di essere certa; pure, rispetto alla materia (materialiter), può esser vera. E cosi distinguesi ancora dalla opinione, che è conoscenza incerta, in quanto che si ritiene per incerta.
La sufficienza della credenza (nella fede) si può mettere a prova per mezzo di scommesse o di giuramenti. Alla prima è necessaria una sufficienza comparativa, alla seconda una sufficienza assoluta di ragioni obbiettive; in luogo delle
(1) Überlegung.
(2) Untersuchung.
138
quali, non essendovene, vale pure una credenza subbiettiva assolutamente sufficiente.
Si suole spesso usare le espressioni: acconsentire al suo giudizio, ritenere il suo giudizio, sospenderlo, o darlo. – Queste e simili maniere di dire pare diano ad intendere che nel nostro giudizio sia qualche cosa di arbitrario, tenendo per vera qualche cosa, perché tale la vogliamo tenere. Perciò si dimanda: la volontà esercita azione sul nostro giudizio?
La volontà non esercita un’azione immediata su la credenza; ciò sarebbe ancora più assurdo. Che se dicesi: noi volentieri aggiustiamo fede a quel che desideriamo, ciò mostra solamente i nostri benigni desideri, come p. e. quelli del padre pei suoi figliuoli. Se la volontà esercitasse una immediata azione su le nostre convinzioni intorno a ciò che desideriamo, noi ci faremmo una continua chimera di uno stato felice e la terremmo sempre per vera. Se non che la volontà non può lottare contro prove convincenti della verità, contrarie ai suoi desiderii, e alla sue inclinazioni. Ma in quanto la volontà eccita l’intelletto alla ricerca della verità, o ne lo distoglie, le si deve concedere un’azione su l’uso di esso e però mediatamente ancora su la
139
stessa convinzione, dipendendo questa non poco dall’uso della facoltà anzidetta.
Per ciò che riguarda poi in particolare la sospensione(1) o ritenimento(2) del nostro giudizio, diciamo che ella consiste nel proposito di fare che un giudizio semplicemente provvisorio non diventi definitivo. Giudizio provvisorio è un cotale giudizio onde io mi rappresento che ci ha, a dir vero, più ragioni pro che contra la verità di una cosa, ma che coteste ragioni ancora non bastano per un giudizio determinativo o definitivo, pel quale io mi decida a dirittura per la verità. Quindi il giudizio provvisorio è un giudizio semplicemente problematico con coscienza. La sospensione del giudizio può accadere per duplice fine; o per ricercare le ragioni del giudizio definitivo, o per non giudicare giammai. Nel primo caso dicesi critica (suspensio judicii indagatoria); nel secondo dicesi scettica (suspensio judicii sceptica). Perciocché lo scettico rinunzia ad ogni giudizio; il vero filosofo, al contrario, lo sospende solamente, quando non ha ragioni bastevoli a tenere per vera qualche cosa.
A sospendere regolarmente il proprio giudi
(1) Aufschiebung.
(2) Zurückhaltung.
140
giudizio si richiede una giudicativa esercitata, la quale non si acquista che con l’andar degli anni. In generale la sospensione del nostro consentimento e cosa assai difficile, parte perché il nostro intelletto è bramoso di estendersi per via di giudizi, e di arricchirsi di conoscenze, parte perché si è sempre propensi a certe cose più che ad altre. Ma chi ha dovuto spesso ritrarre il suo consentimento, e per questo è divenuto prudente e circospetto, non lo darà cosi prestamente, per tema che non dovesse in seguito ricredersi. Cotesta ritrattazione fa sempre pena ed è cagione di diffidare di tutte le altre conoscenze.
Notiamo ancora qui, come lasciare il giudizio in dubbio (in dubio) sia cosa diversa dal lasciarlo sospeso (in suspenso). In questo io ho sempre un interesse per la cosa: in quello poi non è sempre conforme al mio fine e al mio interesse il decidere, se la cosa sia vera o no.
I giudizi provvisorii sono assai necessari, anzi indispensabili per l’uso dell’intelletto in ogni meditazione e ricerca. Perciocché essi servono a guidare l’intelletto nelle sue investigazioni e a porgergli all’uopo in mano diversi mezzi. Quando meditiamo sopra un oggetto, ci è uopo sempre di già provvisoriamente giudicare e aver quasi sentore della conoscenza che ci sarà data
141
mediante la meditazione. E facendoci alle invenzioni o scoperte, è mestieri sempre formarci un piano provvisorio; altrimenti i pensieri vanno meramente a caso. Perciò sotto giudizi provvisorii si possono concepire norme per la ricerca di una cosa; le quali si potrebbero ancora appellare anticipazioni, perocché si anticipa il giudizio di una cosa, prima che se ne abbia il definitivo. Così fatti giudizi hanno perciò la loro utilità, e si possono anzi dare regole come dobbiamo provvisoriamente giudicare sopra un oggetto.
Dai giudizi provvisorii si hanno a distinguere i pregiudizi.
I pregiudizi(1) sono giudizi provvisorii in quanto sono ammessi come principii. Ogni pregiudizio è da riguardare come un principio di giudizi erronei, e da pregiudizi non derivano pregiudizi, ma giudizi erronei. Quindi la falsa conoscenza che deriva dal pregiudizio, devesi distinguere dalla loro sorgente, cioè dal pregiudizio stesso. Così p. e. la significazione dei sogni non è in se stessa un giudizio, ma un errore, che deriva dalla regola generale ammessa: ciò che si
(1) Vorurtheile.
142
avvera una volta, si avvera sempre o sempre è da ritenere per vero. E questo principio, sotto il quale la significazione de’ sogni è compresa, è un pregiudizio.
Talvolta i pregiudizi sono veri giudizi provvisorii; solo non è ben fatto che essi ci valgano come principii o come giudizi definitivi. La causa di cotesta illusione è da ricercare in ciò, che ragioni subbiettive falsamente son tenute come obbiettive, per mancanza di riflessione necessaria ad ogni giudizio. Perciocché, potendo pur ammettere parecchie conoscenze, p. e. le proposizioni immediatamente certe, senza ricercarle, ossia senza esaminare le condizioni di loro verità; non possiamo e non dobbiamo per questo sopra cosa alcuna giudicare, senza riflettere, cioè senza paragonare una conoscenza con la potenza conoscitiva, sensitiva o intellittiva, dalla quale deve derivare. Or, ammettendo giudizi senza questa riflessione che è necessaria pur là dove non ha luogo ricerca; ne nascono pregiudizi e principii di giudicare per cagioni subbiettive che falsamente si tengono come obbiettive.
Le fonti principali de’ pregiudizi sono: imitazione(1), abitudine(2) e inclinazione(3).
(1) Nachahmung.
(2) Gewohnheit.
(3) Neigung.
143
La imitazione esercita un’azione generale sopra i nostri giudizi; perciocché è un forte motivo di ritenere per vero ciò che altri ci ha dato per tale. Di qui il pregiudizio: ciò che tutto il mondo fa, è giusto. Per ciò che riguarda i pregiudizi derivati dall’abitudine, non si possono sradicare che con l’andar degli anni; poiché l’intelletto, a poco a poco, fermato e ritardato da ragioni contrarie nel giudicare, pian piano è condotto per tal mezzo ad una maniera opposta di pensare. Che se un pregiudizio di abitudine provenga ancora da imitazione, colui che n’è preso difficilmente se ne libera. Un pregiudizio d’imitazione si può ancora appellare l’inclinazione all’uso passivo della ragione, o al meccanismo della ragione, in luogo di un esercizio spontaneo regolare.
La ragione è, a dir vero, un principio attivo che nulla dee accettare dalla semplice autorità altrui, e, quando il suo uso è puro, nulla mai ancora dall’esperienza. Se non che la pigrizia fa sì, che moltissimi uomini, anzi che usare le proprie forze intellettive, calchino più volentieri le pedate altrui. Tali uomini non possono divenire che copisti d’altri, e se tutti fossero così, il mondo non progredirebbe giammai. Egli è quindi sommamente necessario ed importante, che
144
la gioventù non si fermi alla semplice imitazione, come ordinariamente accade.
Egli ci è di parecchie cose che cooperano ad avvezzarci alla massima della imitazione, e però a fare della ragione un suolo ferace di pregiudizi. A così fatti aiuti della imitazione appartengono:
1. Le formole(1). Queste sono regole la cui espressione serve a modello da imitare. Elle sono del resto sommamente utili allo agevolamento nelle proposizioni intrigate, e però le menti più illuminate cercano di trovare di simili formole.
2. I detti(2), la cui espressione è sì precisa e sì piena di significato, che pare non lo si possa comprendere con più pochi vocaboli. Tali espressioni (dicta), che debbono essere prese da coloro cui si attribuisce una certa infallibilità, servono, a cagione di questa autorità, di regola e di legge. – Le sentenze della Bibbia si appellano detti, κατἒξοχἠν, per eccellenza.
3. Le sentenze(3), cioè le proposizioni che si raccomandano e spesso conservano per secoli la loro autorità, come prodotti di una giudicativa
(1) Formeln.
(2) Sprüche.
(3) Sentenzen.
145
matura per la energia dei pensieri che comprendono.
4. I canoni(1). Questi sono sentenze generali che servono di fondamento alle scienze, e significano qualche cosa di elevato e di meditato. Si possono ancora esprimere in una maniera sentenziosa, perché maggiormente gradiscano.
5. I proverbi(2) (proverbia). – Essi sono regole popolari del senso comune, o espressioni che ne significano il giudizio popolare. – Così fatte proposizioni semplicemente locali non servendo di sentenze e di canoni che al volgo non si trovano nelle persone più finamente educate.
Dalle tre fonti generali di pregiudizi dianzi indicate, e in particolare dalla imitazione, derivano molti pregiudizi particolari, tra i quali vogliamo qui accennare i seguenti, come i più ordinari:
1. Pregiudizi di autorità. — A cotesti è da annoverare:
a. Il pregiudizio della considerazione della persona. – Se nelle cose, che si fondano su l’esperienza e la testimonianza, appoggiamo le nostre conoscenze alla considerazione dell’altrui persona; non ci facciamo per questo colpevoli 2 i Canones . Sprüchwörter
(1) Canones.
(2) Sprüchwörter.
146
di pregiudizi; perciocché nelle cose di tal fatta, non potendo tutto sperimentare da noi stessi e comprendere col nostro proprio intelletto, la considerazione anzidetta è uopo che sia il fondamento del nostro giudizio. Ma se noi la poniamo a fondamento della nostra credenza in riguardo alle conoscenze razionali; noi ammettiamo queste conoscenze per semplice pregiudizio. Perciocché le verità di ragione hanno un valore impersonale; quivi non si dimanda: chi ha detto, ma che cosa ha detto? Nulla importa, se una conoscenza sia di nobile origine; ma non per tanto il pendio alla stima de’ grandi uomini è assai comune, parte per la limitatezza della propria penetrazione, parte per desiderio d’imitare ciò che ci vien descritto come grande. Al che si aggiunge ancora che tale considerazione serve indirettamente a solleticare la nostra vanità. Vale a dire, come i sudditi di un potente despota van superbi di essere trattati da lui ugualmente, potendosi i plebei stimare uguali ai nobili, in quanto che gli uni e gli altri sono nulla innanzi alla potenza illimitata del loro sovrano; così pure i veneratori di un uomo grande si giudicano uguali, in quanto che le differenze che possono avere tra loro stessi, riguardate
147
per rispetto al merito del grande uomo, sono da reputare come insignificanti.
Quindi gli uomini grandi celeberrimi favoriscono, più che ogni altro principio, l’inclinazione al pregiudizio della considerazione della persona.
b. Il pregiudizio della considerazione della moltitudine. – A cotesto pregiudizio è principalmente inclinato il popolo. Perciocché non potendo giudicare del merito, della capacità e conoscenza della persona, volentieri si attiene al giudizio della moltitudine, nella supposizione che debba essere verissimo ciò che è detto da tutti. Non pertanto questo pregiudizio non riguarda che le cose storiche: nelle cose di religione, delle quali ha più interesse, si affida al giudizio de’ dotti.
Egli è notevole in generale come l’ignorante abbia un pregiudizio pel sapere, e i sapienti, a loro volta, pel senso comune. Quando il sapiente, dopo d’aver sufficientemente percorso il cerchio delle scienze, non ottiene da tutte le sue fatiche la conveniente sodisfazione, cade in ultimo in diffidenza verso il sapere, specialmente in riguardo a quelle speculazioni, in cui i concetti non possono esser fatti sensibili, e i cui fondamenti sono barcollanti, come p. e. nella metafisica. Ma pure, pensando che la chiave della
148
certezza di determinati oggetti si dovesse in alcun luogo ritrovare, si fa a ricercarla nel senso comune, dopo di averla si lungamente cercata indarno nella via delle investigazioni scienti fiche. Ma questa speranza è assai illusoria; perciocché, se la facoltà razionale coltivata non riesce a niente per rispetto alla conoscenza di certe cose, tanto meno sicuramente vi riesce la incolta. Nella metafisica l’appello al giudizio del senso comune è del tutto inammissibile, perché in tale scienza niun caso si può esporre in concreto. Ma nella morale la bisogna è ben diversa. In essa non solo si possono tutte le regole dare in concreto, ma la ragion pratica mostrasi ancora in generale più chiara e più retta per l’organo dell’uso comune dell’intelletto, che per quello dell’uso speculativo. Quindi il senso comune sopra cose di moralità e di dovere spesso giudica più rettamente dell’intelletto speculative.
c. Il pregiudizio della considerazione dell’età. Il pregiudizio dell’antichità è de’ più considerevoli. Noi abbiamo, a dir vero, tutta la ragione di giudicare favorevolmente dell’antichità, ma non la è questa che ragione di moderato rispetto, i cui confini spesso oltrepassiamo, per ciò solo che facciamo gli antichi, tesorieri di
149
conoscenza e di scienze, eleviamo il valore relativo de’ loro scritti a valore assoluto, e ci affidiamo ciecamente alla loro scorta. Stimare così eccessivamente gli antichi, vale ricondurre l’intelletto all’età fanciullesca, e negligere l’uso del proprio ingegno. Parimenti assai c’inganneremmo, ritenendo per fermo, che tutti dell’antichità abbiano scritto così classicamente, come quelli le cui opere sono giunte sino a noi. Vale a dire, poiché il tempo tutto vaglia e non ritiene che ciò che ha intrinseco valore, noi possiamo am mettere, non senza ragione, che possediamo solamente le migliori opere degli antichi.
Ei ci ha parecchie cagioni che ingenerano e fomentano il pregiudizio dell’antichità. Se qualche cosa sorpassa l’aspettazione secondo una regola generale, si è tosto preso da maraviglia, la quale spesso si converte in ammirazione. Questo è il caso degli antichi, quando si trova presso loro qualche cosa che, avuto riguardo alla circostanza del tempo in che vivevano, non si cercava. – Un’altra cagione sta nella circostanza che la conoscenza degli antichi e dell’antichità dimostra una erudizione e una consumata lettura, che procaccia sempre stima, per comuni ed insignificanti che possano essere in sé stesse le cose ricavate dallo studio degli antichi. Una
150
terza cagione è la gratitudine che dobbiamo agli antichi per averci aperta la via a molte conoscenze. Pare sia giusto testimoniar loro per questo un particolare rispetto, nel che noi spesso trasmodiamo. Una quarta cagione è in fine da ricercare in una certa invidia verso i contemporanei. Chi non può misurarsi con loro, magnifica a lor costo altamente gli antichi, affinché essi contemporanei non possano levarsi sopra di lui.
L’opposto dell’anzidetto pregiudizio è quello della novità. Talvolta cadde il rispetto dell’antichità e il pregiudizio a suo favore; specialmente al principio di questo secolo (XVIII in cui fiorì Kant), quando il celebre Fontenelle si fe’ dalla parte dei moderni. Trattandosi di conoscenze suscettibili di allargamento, egli è naturalissimo avere più fiducia nei moderni che negli antichi. Ma cotesto giudizio non ha ragione che come un semplice giudizio provvisorio; come definitivo diviene pregiudizio.
2. Pregiudizi di amor proprio o di egoismo logico, secondo il quale l’accordo del proprio giudizio coi giudizi altrui si tiene per un superfluo criterio di verità. Si fatti pregiudizi sono opposti a quelli di autorità, poiché si manifestano in una certa predilezione per
151
tutto ciò che è prodotto del proprio intelletto, p. e. del proprio sistema.
È egli buono ed utile lasciar correre i pre giudizi, o anche favorirli? Fa maraviglia come nel nostro secolo si possa ancora proporre simili dimande, specialmente in riguardo al favorire i pregiudizi. Favorire un pregiudizio vale lo stesso che ingannare uno per un fine buono. Lasciare intatti alcuni pregiudizi, passi pure; perciocché, chi mai può occuparsi a scoprire e disfare tutti i pregiudizi? Ma, sarebbe egli utile affaticarsi a tutto potere per isradicarli? La è questa un’altra dimanda. Difficil cosa è veramente il combattere antichi e inveterati pregiudizi, perciocché essi stessi sono in certa maniera giudice e parte ad un tempo. Si cerca ancora giustificare il lasciar correre pregiudizi con ciò che deriverebbero danni dalla loro distruzione. Ma avvengano pure cotesti danni, ché in avvenire recheranno tanto maggior bene.