III
In quai lande selvagge, oltre quai mari, non è giunta e non giganteggia la fama di Emanuele Kant? Ma, forse, a profondi conoscitori, eziandio, degli scritti del grande regiomontano (tanto maggiore di Giovanni Müller, quanto la sua della costui Regiomonte) giungerà nuovo, che egli scrivesse, anche, versi. V’era l’usanza, in Regiomonte, nel secolo scorso, d’invitare i professori della Sapienza, a celebrare, in un cosiddetto programma accademico, con versi latini o tedeschi, la memoria de’ colleghi, de’ predicatori, degl’insegnanti liceali (come noi diremmo) e degl’impiegati o magistrati superiori, che trapassavano. A tali inviti, s’è conformato, più d’una volta, il Kant.
Nell’undecimo volume delle sue Opere, pubblicate da Carlo Rosenkranz e da Federigo-Guglielmo Schubert, leggonsi cinque
IV
di questi epicedi, che vi sono intitolati: Ehrendenksprüche auf verstorbene Collegen. A’ quali cinque, m’è dato, aggiungerne un sesto, sfuggito, a que’ raccoglitori, per quanto solerti. Tutti sono in alessandrini, rimati a coppie (AA; BB; CC; DD; eccetera); alternando, proprio, alla franzese, rime maschili e femminili, ma le maschili precedendo, sempre, le femminili. I più brevi constan di quattro; il più lungo conta dodici versi.