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DELLA LOGICA TRASCENDENTALE
DIVISIIONE II

DIALETTICA TRASCENDENTALE

LIBRO SECONDO
DELLA DIALETTICA TRASCENDENTALE

avanti

Indice

Analitica trascendentale

Della dottrina trascendentale della facoltà di giudicare

Cap. III - Del fondamento della distinzione di quanti sono generalmente

 gli oggetti in fenomeni e nomeni 

Sezione prima - Del principio supremo di tutti i principi analitici

Sezione seconda - Del principio supremo di tutti i giudizi sintetici

Appendice all'analitica di principi

Sull'anfibolia dei concetti riflessi, atteso il confondersi l'uso empirico dell'intelletto

col trascendentale

  1. Identità e diversità

  2. Convenienza e ripugnanza

  3. Interno ed esterno

  4. Materia e forma

Scolio all'anfibolia de' concetti riflessi


Della logica trascendentale 

Divisione II. Dialettica trascendentale

Introduzione

I. Della illusione trascendentale

II. Della ragione pura, come sede della ragione trascendentale

A. Della ragione in generale

B. Dell'uso logico della ragione

C. Dell'uso puro della ragione

Libro I. Delle idee della ragione pura

Sezione prima. Delle idee in generale

Sezione seconda. Delle idee trascendentali

Sezione terza. Sistema delle idee trascendentali

Libro II. Delle conclusioni dialettiche della ragione pura

Cap. I. Dei paralogismi della ragione pura

Confutazione dell'argomento di Mendelsohn per la perseveranza (perpetuità) dell'anima

Conclusione. Dello scioglimento del paralogismo psicologico

DELLE CONCLUSIONI DIALETTICHE DELLA RAGIONE PURA

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Si può dire, che l’oggetto di una mera idea trascendentale consista in cosa, della quale non possediamo alcun concetto; sebbene generata cotesta idea, di tutta necessità,     

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nella ragione, a norma di sue leggi originarie. Perciocché non è, di fatto, possibile alcun concetto intellettuale di oggetto, che debba essere adequato a quanto richiede la ragione; tale, cioè, che sia per essere indicato e reso visibile (sensibile) in qualche sperienza possibile. Sarebbe però meglio espresso e con risico assai minore di sinistre interpretazioni, dicendo: non potersi per noi conseguire alcuna cognizione di un oggetto, che sia corrispondente ad una idea; comeché possibile averne un concetto problematico.

Ora, nell’essere noi guidati, mediante un raziocinio necessario, alle idee pure di ragione, ha, per lo meno, fondamento e consistenza la trascendentale realtà (subbiettiva) delle medesime. Vi saranno pertanto raziocini tali, che non contengano la menoma premessa empirica e, mediante i quali, da qualche 

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cosa, che nota ci sia, conchiudiamo qualche altra, onde non possediamo tuttavia concetto alcuno, e cui accordiamo realtà obbiettiva, sedotti a ciò fare da una inevitabile illusione(1). Simili conclusioni adunque,

(1) L’ontologia dovrebbe consistere nella scienza delle cose considerate obbiettivamente in sé stesse. Ma, essendo incomprensibile la cosa in sé stessa; giacché i pretesi di lei attributi ontologici o non sono che logici e mai non esprimono la realtà della medesima, o, dedotti sono dalla sensibilità, ed appartengono quindi alle cose, come fenomeni, e non come cose per sé stesse; per conseguenza le ontologie, che furono in voga finora, si risolvono in una mera sposizione delle forme dell’intelletto: ed, ogni qual volta esse arrogaronsi davvantaggio, divennero scienze prive di fondamento ed illusorie. Riescono però agevoli a dichiararsi le pretensioni dell’ontologia, solché riflettasi, qualmente confondevansi già tempo fra di loro la sensibilità e l’intendimento, Buhle.

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risguardo ai respettivi risultamenti, sono da chiamarsi piuttosto sofismi che raziocini, a malgrado che te fonti, ond’essi provengono non li rendano immeritevoli affatto di quest’ultimo nome; non essendo i medesimi finalmente fittizi o dall’azzardo nati, bensì dalla natura della ragione. Le sofisticherie degli uomini sono assai minori di numero che i sofismi della stessa ragione pura, dai quali non sa liberarsi, non che schermirsi, anche il più saggio fra tutti; e, benché possa per avventura evitarne, a costo di molta fatica, l’errore, non però mai gli riesce di rimuoverne da sé l’illusione, che incessantemente lo stuzzica e di lui si fa giuoco.

Non sono, adunque, se non di tre specie (classi) questi raziocini dialettici, precisamente quante sono le idee, alle quali tendono le conclusioni dei medesimi. Nel raziocinio della 

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prima classe conchiudesi coll’inferire dal concetto trascendentale del soggetto, in cui nulla cape di moltiplice, all’assoluta unità del soggetto medesimo, sul quale non si possiede, in tal guisa, il menomo concetto: e chiamerò paralogismo trascendentale cosiffatta conclusione dialettica. La seconda classe risguarda conclusioni sofistiche (ratiocinantes); le quali stanno riposte nel concetto trascendentale dell’assoluta università della serie delle condizioni di un’apparizione data in generale e per le quali, avendo sempre un concetto ripugnante, in sé stessso, dell’assoluta unità sintetica della serie di un lato, conchiudo la verità dell’opposta unità, non ostante che non possegga di essa concetto alcuno. E chiamerò antinomia di ragione pura lo stato della ragione in queste conclusioni dialettiche. Finalmente, seguendo la terza 

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maniera delle conclusioni sofistiche, inferisco, dalla totalità delle condizioni, oggetti in genere, in quanto ei possono venire offerti al mio pensiero, e conchiudo l’assoluta unità sintetica di tutte le condizioni della possibilità delle cose in generale. Da cose, cioè, che non conosco, secondo il mero concetto loro trascendentale, inferisco l’essenza di tutte l’essenze, la quale conosco ancor meno, mediante concetto trascendentale, e dell’assoluta necessità della quale non posso raffigurarmi alcun concetto. Questo raziocinio dialettico sarà da me denominato l’ideale della ragione pura. 

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