DELLA LOGICA TRASCENDENTALE
DIVISIIONE II
DIALETTICA TRASCENDENTALE
LIBRO PRIMO
Analitica trascendentale
Della dottrina trascendentale della facoltà di giudicare
Cap. III - Del fondamento della distinzione di quanti sono generalmente
gli oggetti in fenomeni e nomeni
Sezione prima - Del principio supremo di tutti i principi analitici
Sezione seconda - Del principio supremo di tutti i giudizi sintetici
Appendice all'analitica di principi
Sull'anfibolia dei concetti riflessi, atteso il confondersi l'uso empirico dell'intelletto
Scolio all'anfibolia de' concetti riflessi
Della logica trascendentale
Divisione II. Dialettica trascendentale
Introduzione
I. Della illusione trascendentale
II. Della ragione pura, come sede della ragione trascendentale
B. Dell'uso logico della ragione
C. Dell'uso puro della ragione
Libro I. Delle idee della ragione pura
Sezione prima. Delle idee in generale
Sezione seconda. Delle idee trascendentali
Sezione terza. Sistema delle idee trascendentali
Libro II. Delle conclusioni dialettiche della ragione pura
Cap. I. Dei paralogismi della ragione pura
Confutazione dell'argomento di Mendelsohn per la perseveranza (perpetuità) dell'anima
171
Non ostante la somma ricchezza de’ nostri idiomi, non è raro che nasca imbarazzo al pensatore filosofo nello sporre i propri concetti con espressioni, che accuratamente corrispondano ad esso loro; il perché, in mancanza di quelle, non può egli renderli comprensibili altrui e né tampoco a sé medesimo. La creazione di vocaboli novelli annunzia una certa qual presunzione d’impor leggi alle lingue; oltreché tal pretesa ottiene di raro il suo scopo: ed, anzi che aversi rifugio a spediente sì equivoco, sarà opportuno divisamento il farsi ad esaminare
172
i dotti linguaggi di già tempo, affine di rintracciare, se fra questi espresso con vocabolo costante il concetto in discorso. Ove poi si trovi tal’espressione, benché vago sembri fatto ed ambiguo, per poco accorgimento de’ respettivi autori, l’antico uso della medesima, è però meglio riconfermarne la significazione, già specialmente a tal uso appropriata (quantunque rimanesse dubbio tuttavia, se, quando fu creata la parola in quistione, avesse il medesimo significato), anzi che porsi a risico di guastare i fatti suoi col rendersi oscuro e non inteso.
Per la qual cosa, ove ad esprimere un’idea certa non si trovasse, per avventura, che un unico vocabolo, che, nella già ricevuta significazione del medesimo, rendesse con esattezza quella tale idea; e trattandosi di concetti, che fosse di
173
molta importanza lo scernerli da altre idee affini, sarà prudente perché tal vocabolo non venga prodigato e neppure usato in qualità di sinonimo, affine di con altri e per altri alternarlo; ma che si abbi ogni cura di mantenerlo nella significazione a lui propria. Conciossiacché, altrimenti, gli è facile che, non impegnata in ispecial modo l’attenzione alla parola in quistione, perdasi questa nella massa di altre, di senso alquanto diverso, e perdasi quindi con essa il pensiero, che da lei sola poteva conservarsi.
Platone giovossi della parola idea in maniera, che ben si vede, avervi egli sottinteso cosa, che non solo è mai caso che presa venga in prestito dai sensi, ma oltrepassando sì pure di gran lunga il senso delle idee intellettuali d’Aristotele; giacché altra cosa non s’incontra
174
mai nella sperienza che s’accordi con quella prima e le sia congruente. Nel senso platonico, l’idea è immagine primitiva delle cose medesime non già mera chiave di sperienze possibili, alla maniera delle categorie. Giusta l’opinione di quel filosofo emanavano le idee dalla ragione suprema, ond’era fatto parte all’umana, resa però degenere dal suo stato primigenio, e che deve con fatica richiamare le antiche idee (già fatte oscure), mediante la memoria (che perciò fu detta filosofia). Non è mio pensiero il quivi divagare con ricerche letterarie, onde stabilire il senso, cui alla propria espressione accoppiava quel sublime fra i saggi: e piacemi soltanto riflettere, qualmente non è non è punto strano, sia nell’ordinario linguaggio, sia negli scritti, che, paragonando fra loro i pensieri emessi da qualche autore
175
sul proprio argomento, lo si comprenda anche meglio di quanto egli comprendeva sé medesimo, per non aver esso determinato bastevolmente il suo concetto, e quindi ragionato più volte, se non anche pensato, in opposizione al proprio scopo.
Ben aveva osservato Platone che la nostra facoltà di conoscere sente bisogno assai più elevato che non di meramente compitare conforme all’unità sintetica le apparizioni, onde poscia leggere, come su d’un libro, la sperienza; e che la natura umana si estolle naturalmente a cognizioni, che tropp’oltre progrediscono, perché possano mai essere congruenti ed analoghe alla medesima gli oggetti forniti dalla sperienza; cognizioni però, che hanno, cionnonostante, la realtà loro e non sono assolutamente finzioni d’ingegno e fantasime . Trovò specialmente Platone le
176
proprie idee in tutto ciò che alle azioni risguarda(*), vale a dire, in quanto è fondato sulla libertà; la quale fa parte, dal canto suo, delle cognizioni, che sono prodotto particolare della ragione. Chi volesse attingere dalla sperienza le idee della virtù, o ridurre a norma ed esemplare delle fonti del sapere quanto non potesse che servire,
(*) Esso ha bensì esteso il proprio concetto anche alle cognizioni speculative, quando erano pure, non che date pienamente a priori, e lo estese persino alle matematiche, quantunque non ricevano queste l’oggetto loro d’altronde che dalla sperienza possibile. Nel che però non mi è niente meno illecito seguirlo che nella deduzione misteriosa di siffatte idee nell’esagerazioni, per le quali esso poco mancò dal farne altrettante ipostasi; quantunque idoneo a più moderata ed alla natura delle cose confacente interpretazione il ragionar sublime di quel Saggio in tali materie.
177
tutt’al più, ad una imperfetta illustrazione del medesimo (come nel fatto praticarono parecchi), farebbe della virtù un equivoco non nulla di mutabile coi tempi e colle circostanze, il quale non potrebbe servire ad alcuna regola. Non è chi non senta, per lo contrario, qualmente, allorquando gli viene rappresentato un qualcheduno per norma e fior di virtù, egli ne ha però sempre, nella sua testa soltanto, il vero originale, con cui pone a confronto questo preteso esemplare, e solo ne giudica in conseguenza. Ma quest’esemplare o tipo consiste in quella idea di virtù, rispetto alla quale possono servire bensì ad esempio, non però come imagini primitive (archetipi), gli oggetti possibili quanti sono della sperienza. Che niun uomo agisca giammai, né sia per agire, adequatamente a quanto cape nell’idea della virtù,
178
ciò non prova essere inerente alcunché di chimerico in cotesto pensiero. Imperciocché non può aver luogo, ciò non di meno, mediante siffatto concetto, qualunque si voglia giudizio sul valore o demerito morale; quindi è ch’esso è base indispensabile a qualunque avvicinamento alla moral perfezione, per quanto ce ne possano tener lontani gli ostacoli, dei quali non è chi sappia determinare il grado nella natura umana.
È reputata esempio sì maravigliosso di sognata perfezione, quale non potesse aver sede che nel cervello dell’ozioso pensatore, la repubblica di Platone, talché divenne proverbio; e Brucker trovava ridicolo come il filosofo sostenesse che, senza partecipare alle idee, non potesse un principe mai reggere a dovere i suoi popoli. Se non che sarebbe assai meglio il tener dietro d’avvantaggio
179
a questo pensiero e nuova darsi premura, onde rischiararlo (dove il valent’uomo ne lascia privi di soccorso), anzi che porla da banda, come inutile, sotto l’altrettanto meschino che dannevole pretesto della ineseguibilità. Una costituzione della massima libertà umana (non è detto della massima felicità, come di quella, che già sarebbe conseguenza della suprema libertà), in forza di leggi, le quali facciano in modo, che la libertà di ciascheduno possa consistere unitamente a quella degli altri, è tuttavia, per lo meno; un’idea necessaria, che dev’essere posta, qual fondamento, non solamente al primo progetto di una costituzione sociale, ma sì eziandio a quante sono le leggi e nella quale vuolsi fare sin da principio astrazione da tutti gli ostacoli attuali, che potessero emergere, inevitabili quando mai, dalla natura dell’uomo
180
non tanto, quanto piuttosto dal trascurarsi nella legislazione le vere idee. Ché nulla è più dannoso e più sconvenevole alla dignità di un filosofo, quanto l’appellarsi, col volgo, alle pretese contraddizioni della sperienza; come quelle che né tampoco esisterebbono, se le istituzioni e misure avessero luogo e fossero prese, a tempo debito, in conformità colle idee e se, in vece che a queste, non fosse già stile attenersi a concetti rozzi e crudi, che, appunto perché dalla sperienza desunti, rendono vana e fanno abortire ogni buona intenzione. Quanto poi la legislazione od il governo si trovasse più d’accordo con quelle idee, tanto meno frequenti sarebbono sicuramente i castighi; ed è quindi affatto ragionevole quanto sostiene Platone, che mai, cioè, non sarebbe di questi bisogno in una perfetta costituzione di stato.
181
Ora, quantunque non sia per forse aver luogo giammai un tale reggimento, è però affatto giusta l’idea, che ne stabilisce, qual tipo, il maximum accennato più sopra; onde, in di lui conformità, sempre più avvicinare la costituzione legislativa degli uomini alla maggior perfezione possibile. Qual che, di fatto, possa essere il grado supremo, a cui dovesse arrestarsi di piè fermo il genere umano, e quanto sia quindi ancora vasta la lacuna, che necessariamente rimane, fra l’idea ed il di lei eseguimento, non è chi debba né possa determinarlo, appunto perciò che libertà è la sola capace di oltrepassare gli assegnati confini.
Ma non solo in ciò, dove l’umana ragione dimostra causalità positiva e dove le idee divengono cagioni efficienti (delle azioni e degli oggetti loro), voglio dire, non
182
solo rispetto ai costumi, ma sì eziandio rispetto alla natura medesima, rileva Platone, a buon dritto, prove manifeste di sua origine dalle idee. Un vegetabile, un animale, la fabbrica determinata e regolare dell’universo (quindi probabilmente anche l’ordine intiero della natura) dimostrano ad evidenza, esser, eglino possibili soltanto in conformità di concetti. Dimostrano, cioè, che niuna creatura isolata è d’accordo, per verità, né congruente, sotto le singole condizioni della propria esistenza, coll’idea del perfettissimo nel suo genere (niente meno che l’uomo coll’idea della natura umana, comeché la porti seco nell’animo, qual archetipo delle proprie azioni); che però nel supremo intendimento quei concetti sono uniti, immutabili, determinatı in modo assoluto, che in essi consistono le cause originarie delle cose
183
e che il solo insieme del loro accoppiamento è unicamente, perfettamente ed esclusivamente adequato alla detta idea, nella universalità delle cose.
Separando quanto vi è di soverchio ed alterato nell’espressione, lo spingere, cui fa il filosofo, lo spirito, affine di salire, dalla contemplazione atipica di quanto v’ha di fisico nell’ordine dell’universo, all’accoppiamento architettonico del medesimo, a norma degli scopi, voglio dire, delle idee, è fatica di pregio assai degna, non che d’essere imitata. Rispetto però a quanto interessa i principi della morale, delle leggi sociali e della religione, dove le idee sono quelle, che rendono finalmente possibile persino la sperienza (del buono), quantunque le non vi si possano esprimere giammai pienamente; il detto sospingersi dell’animo all’accennata
184
contemplazione è merito affatto particolare, che, se non è quanto si vorrebbe conosciuto, ciò proviene dal giudicarne appunto per via di quelle regole empiriche, il cui valore, in qualità di principi, doveva loro esser tolto, in forza di quelle idee. Perciocché, rispetto alla natura, è la sperienza, che regole ne somministra ed è sorgente di verità; ma, rispetto alle leggi morali, è la sperienza (pur troppo) la madre delle illusioni; ed è riprensibile all’eccesso quel volere da quanto si fa desumere leggi, o limitazioni di leggi, per quanto è da farsi.
In vece di con tutte coteste riflessioni, nel perfezionamento delle quali consiste quanto ha di particolare la dignità ed importanza della filosofia noi dobbiamo costà occuparci di lavoro non altrettanto splendido, però non affatto immeritevole;
185
qual si è quello di rendere piano, solido ed alto alle fondamenta il terreno, destinato all’innalzamento di quel sontuoso edifizio morale; poiché terreno reso malsicuro, ed inetto a tal uоро, da copia di talpe, le quali scavano, indarno sì, ma con piena fidanza in traccia dei tesori della ragione. Ciò che dunque ne incombe di ora precisamente conoscere, onde potere opportunamente stabilire, non che apprezzare, l’influenza della ragione pura ed il di lei valore, sono il di lei uso trascendentale, i suoi principi e le sue idee. Prima tuttavia che dipartirmi da questa preliminare introduzione, invito e prego quanti, ai quali sta a cuore la filosofia (il che vuol dire assai più che ordinariamente non s’incontra), se mai dovessero trovarsi di ciò e di quanto segue persuasi, perché piaccia loro di proteggere
186
il vocabolo idea nella sua originaria significazione; onde siffatto vocabolo non venga più frammesso e trascuratamente confuso con altre espressioni, pelle quali è d’ordinario dinotata ogni maniera di rappresentanze; con che impediranno perché tanto ridondi, quanto in fatti ne viene, detrimento alla scienza. Non è altronde che abbiamo inopia di denominazioni appropriabili ad ogni specie di rappresentazioni, senza che ci sia uopo d’invadere poderi stranieri. Rappresentazione (repraesentatio) è la classe generale. Sta sotto questa la rappresentanza in concorso della coscienza (perceptio). Una percezione, che si riferisca unicamente al soggetto, qual modificazione del di lui stato, è sensazione (sensatio). Una percezione obbiettiva è sapere (cognitio). Questa è poi visione, oppure concetto (intuitus vel conceptus). La prima
187
si riferisce immediatamente all’oggetto ed è unica: il secondo vi si riferisce mediatamente, con intervento di qualche indizio, per avventura comune a cose parecchie. Può essere empirico e puro il concetto; chiamandolo puro, allorché unicamente originario dell’intelletto (non già dell’immagine pura della sensibilità), nel qual caso può dirsi nozione (notio). Nel concetto provegnente da siffatte nozioni, e che oltrepassi ogni possibilità di sperienza, consiste l’idea ossia il concetto della ragione. A cui siasi addimesticato una volta con simile distinzione deve riescire insopportabile il sentirsi denominare idea la rappresentazione del rosso (colore), cui non deve nemmeno chiamarsi nozione (concepimento dell’intelletto).