PARTE SECONDA
ARTICOLI DEFINITIVI
PER UNA PACE PERPETUA FRA LE NAZIONI
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Lo stato di pace tra gli uomini, viventi gli uni a lato agli altri, non è uno stato di natura (status naturalis) ché anzi questo è piuttosto la guerra(1), se anche non continuamente dichiarata, pur sempre alla vigilia di esserlo. È pertanto necessario dargli stabilità, giacché l’astensione da atti ostili non è garanzia
(1) Kant non condivide, in questo argomento, la celebre teoria di Rousseau sul così detto Stato di natura nei primordi dell’umanità e sulle cause delle disarmonie sociali, cause insite nella natura umana ben più profondamente che nol credesse l’autore del Contratto sociale. (Vedansi: Rousseau, Discours sur l’origine de l’inegalité parmi les hommes e Discours sur les arts). Non sarà forse inutile il rilevare come i risultati della Antropologia e della Etnografia concordino piuttosto colla dottrina di Kant che con quella di Rousseau. La vita dell’uomo primitivo, e anche del civile, si riassume in una lotta quotidiana e inesorabile contro le forze animate o inanimate della natura. L’idea di una fraternità arcadica fra gli uomini, fu uno dei tanti sogni inspirati al filosofo ginevrino da un affetto sincero verso i suoi simili, da intimamente sentita e verace filantropia e da tendenze sentimentali che lo spingevano a deduzioni aprioristiche fondate più sulle sue melanconie e sul dolore di veder la misera condizione in
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sufficiente e, ove questa non venga data da un vicino ad un altro che nel richieda (il che può solo avvenire in una condizione legale di cose) ei può trattarlo come nemico(1).
cui versa la maggior parte dell’uman genere, che non su rigorose e spassionate ricerche scientifiche. Disgraziatamente la scienza odierna ha, pur troppo, scalzata dalle fondamenta la teoria da lui con tanta eloquenza propugnata. Una tale condizione di cose verrà soltanto resa possibile dal progresso della civiltà. Vedansi le opere di Lubbock, Tyler, Haeckel e Spencer (Sociology) (Nota del Trad.).
(1) Si ammette in generale che nessuno debba agire in modo ostile verso un altro, se prima non sia effettivamente leso; ciò è giustissimo se ambedue vivono in condizioni legali e civili; giacché pel fatto medesimo di esservi si fornisce la necessaria garantia (a mezzo della autorità imperante). L’uomo però (o il popolo) vivente in un puro stato di natura, mi toglie tale sicurezza e mi offende già con questa circostanza medesima, se non di fatto, almeno colla sua condizione priva d’ogni legge (statu injusto), per la quale, avendolo a vicino, mi trovo
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continuamente minacciato: posso pertanto costringerlo o a mettersi con me in società legale, o a lasciar la mia vicinanza. Il postulato adunque che serve di base a tutti gli articoli seguenti è questo: Tutti gli uomini che possono mutuamente agire gli uni sugli altri, devono appartenere a qualche civile costituzione.
Ogni costituzione giuridica però, in quanto concerne le persone che vi sono sottoposte, è quella:
conforme al diritto pubblico nazionale (Staatsbürgerrecht) di un popolo (jus civitatis),
conforme al diritto internazionale dei popoli in rapporto gli uni agli altri (jus gentium),
conforme al diritto cosmopolitico (Weltbürgerrecht), in quanto uomini e Stati che stanno in relazione di vicendevole influenza gli uni sugli altri vengono considerati quali membri di una società umana universale (jus cosmopoliticum).
Una tale ripartizione non è punto arbitraria, ma necessaria all’idea di pace perpetua, giacché se anche uno solo di essi popoli essendo in contatto ed esercitando un’influenza concreta sugli altri, si trovasse tuttavia ancora allo stato di natura, sorgerebbe da ciò una condizione di guerra, dalla quale si tratta qui appunto di liberarsi.