PARTE SECONDA
ARTICOLI DEFINITIVI
PER UNA PACE PERPETUA FRA LE NAZIONI
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La Costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana
La costituzione fondata: primo, sul principio della LIBERTÀ dei componenti l’associazione (come uomini); secondo, su quello della dipendenza di tutti (come sudditi) da un’unica legislazione comune, e terzo, sulla legge dell’eguaglianza (come cittadini); l’unica costituzione che nasca dal concetto di un contratto
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originario su cui deve fondarsi ogni legislatura giuridica di un popolo(1), è la repubblicana(2). Pertanto in
(1) Kant stabilisce come fondamento della legale e civile convivenza il conflitto sociale tacito ed espresso. Tale principio viene implicitamente riconosciuto da tutte le Costituzioni che reggono gli Stati liberi odierni; è, a dir vero, negato da alcune scuole politiche e specialmente dalle autoritarie (teocratica ed assolutista) e dalla scuola storica tedesca che ebbe a fondatore il Savigny; ma se tale non è sempre di fatto l’origine storica di esse Costituzioni, pure non si può negare che in linea di diritto teorico, tale sia la ratio prima fundamentalis che ne ispira le norme (Nota del Trad.).
(2) La libertà di diritto (cioè esterna) non può venir definita quale facoltà «di fare tutto ciò che non nuoce ad
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ciò che concerne il diritto è dessa che serve di primo fondamento ad ogni sorta di Costituzione civile: resta solo a vedere se sia del pari l’unica, la quale possa condurre alla pace perpetua.
Ora, la Costituzione repubblicana, oltre alla purezza della sua origine, essendo nata dalle sorgenti limpide del concetto giuridico, ha inoltre la prospettiva di
altri». Poiché cosa significa facoltà (Befugniss)? È la possibilità di agire in quanto non si fa danno ad altri. Perciò la definizione di tale facoltà verrebbe a dire: che la libertà consisterebbe nella possibilità delle azioni in quanto non si fa danno ad altri: e siccome, in fin dei conti, ognuno può fare ciò che crede, quando non si facesse danno ad altri; il che è una vuota tautologia. Piuttosto devesi in tal guisa dichiarare la mia libertà esterna (giuridica): «la facoltà di non ubbidire ad altre leggi che a quelle a cui ho dato la mia adesione». Così del pari la eguaglianza esterna (giuridica) in uno Stato è quella condizione dei cittadini, secondo la quale nessuno può legalmente costringere un altro senza che egli reciprocamente sia sottoposto all’obbligo di poterlo essere in egual modo da questi. Il principio della dipendenza legale non abbisogna di spiegazioni, trovandosi esso già compreso nell’idea di costituzione. La validità di questi diritti innati, necessariamente proprii all’uomo e inalienabili, si conferma ed acquista importanza nei rapporti giuridici dell’uomo anche con esseri più elevati (qualora possa concepirli), in quanto che egli si raffigura, per gli stessi principii, qual cittadino di un mondo soprasensibile. Difatti, per ciò che concerne la mia libertà, io non ho alcun legame, se non vi ho dato il mio consenso, neppure verso le leggi divine, che io mi rappresento secondo la ragione pura, perché, in virtù della libertà di questa, mi formo anzitutto io stesso l’idea del volere divino.
Riguardo pio al principio dell’eguaglianza applicato a quel supremo essere universale (Weltwesen, un grande
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metter capo alla desiderata evenienza della pace perpetua. Ed eccone la ragione: quando si richiede l’assenso dei cittadini (né può essere altrimenti in questa Costituzione) per decidere «se debba esservi o no guerra» nulla è più naturale che essi abbiano ad esitar molto
Eone)(a) [Esseri intermedii tra Dio e l’uomo, immaginati dai Gnostici, di essenza puramente spirituale, rappresentavano delle astrazioni, come la Saggezza, la Fede, la Prudenza, ecc. – Dal greco αίον durata, eternità, perché si attribuiva loro un’esistenza eterna. Il loro numero variava da trenta, secondo certuni, fino a trecentosessantacinque, quanti i giorni dell’anno (Nota del Trad.)] che, oltre a Dio possiamo immaginarci, non vi è ragione per cui, se sto al mio posto e adempio ai miei obblighi, come Eone ai suoi, a me spetti solamente il dovere di ubbidire e a lui il diritto di comandare. Che questo principio di eguaglianza non si applichi (come quello di libertà) nei rapporti con Dio, ne è questi sola causa, essendo l’unico essere in cui cessi l’idea di dovere.
In quanto però concerne il diritto di eguaglianza di tutti i cittadini, quali sudditi, la questione se debba ammettersi la nobiltà ereditaria dipende e si risolve unicamente esaminando: «se il rango concesso dallo Stato (a un suddito di fronte a un altro) debba prevalere sul merito o questo su quello». Ora, egli è evidente che quando il rango è congiunto alla nascita, riesce incerto se vi si unirà anche il merito (capacità o fedeltà a una carica) in conseguenza è lo stesso come se il rango venisse concesso senza alcun merito al favorito; ciò non sarà mai ammesso per volontà di popolo in un contratto fondamentale (che pure è il principio d’ogni diritto). Difatti un nobile non è perciò una nobile persona. In quanto si riferisce ad un’aristocrazia di funzionarii (Amtsadel), come chiamar si potrebbe un’alta Magistratura da conferirsi per merito, ivi il rango non è annesso alla persona quale sua proprietà, ma al posto, e l’eguaglianza non né risulta offesa, giacché, quando essa depone la carica, si spoglia in pari tempo del grado e torna fra il popolo.
(a) Esseri intermedii tra Dio e l’uomo, immaginati dai Gnostici, di essenza puramente spirituale, rappresentavano delle astrazioni, come la Saggezza, la Fede, la Prudenza, ecc. – Dal greco αίον durata, eternità, perché si attribuiva loro un’esistenza eterna. Il loro numero variava da trenta, secondo certuni, fino a trecentosessantacinque, quanti i giorni dell’anno (Nota del Trad.)
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prima di avventurarsi ad un tal azzardo di cui essi medesimi dovranno sopportare tutte le sventure (come il combatter di persona, lo sborsare del proprio le spese di guerra, il riparare le devastazioni che essa cagiona, e l’addossarsi inoltre per colmo di sventura, un onere di debiti giammai saldati, a causa di guerre sempre imminenti, amareggiando così la stessa pace). In una Costituzione invece in cui il suddito non è cittadino, è la cosa più facile del mondo il far guerra, giacché il capo non è parte dello Stato (Staatsgenosse), ma proprietario, e nulla perde dei suoi banchetti, cacce, villeggiature, feste di corte, ecc., ma sembra anzi una partita di piacere e può, così, dichiararla per futili motivi, lasciando colla massima indifferenza al corpo diplomatico, sempre a ciò pronto, l’incarico di giustificarla per salvare le convenienze.
Acciò non si confonda la Costituzione repubblicana colla democratica (come accade comunemente) devesi por mente a quanto segue. Le forme di uno Stato (civitas) possono classificarsi; secondo l’autorità in cui risieda il potere sovrano o secondo il modo di governo usato dal capo, chiunque egli sia. La prima dicesi propriamente forma di dominio (forma imperii) e ve ne sono tre soltanto possibili: quelle, cioè, in cui il potere è posseduto da uno, da più fra loro uniti, o da tutti quelli che compongono la società (Autocrazia, Aristocrazia o Democrazia - potere di principe, di nobili o di popolo. La seconda è la forma di governo (forma regiminis) e si riferisce al modo determinato dalla Costituzione (che è l’atto della volontà generale
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per cui una moltitudine si fa popolo) secondo cui lo Stato fa uso della sua autorità; e sotto questo aspetto è o repubblicano o despotica. Il repubblicanesimo è il principio della separazione del potere esecutivo (governo) dal legislativo; il despotismo è l’arbitraria esecuzione data dallo Stato a leggi che egli stesso ha imposto; in conseguenza il volere privato del principe è stabilito come volere pubblico.
Fra le tre forme di Stati la Democrazia è, nel senso proprio della parola, necessariamente un Despotismo in quanto che essa fonda un potere esecutivo in cui tutti deliberano intorno e, dato il caso, anche contro uno che non è d’accordo cogli altri; ciò significa volontà di tutti che tuttavia non son tutti; una contraddizione, cioè, della volontà generale con sé stessa e colla libertà.
Perciò ogni specie di governo che non sia rappresentativa è una cosa informe (eine Unform) giacché il legislatore può essere, in una e identica persona, anche esecutore del proprio volere (cosa, invero, sì poco ammissibile come in un sillogismo sarebbe il fare che l’universale della maggiore fosse in pari tempo tutt’uno col particolare della minore) e quantunque le altre due Costituzioni in tanto siano difettose in quanto danno luogo ad una tal specie di governo; tuttavia è loro almeno possibile d’assumere una forma consona allo spirito rappresentativo, come talora soleva dire, almeno a parole, Federico II “esser egli il primo servitore dello Stato”; lo che è impossibile in un governo democratico, in cui tutti vogliono esser sovrani(1)
(1) Furono spesso biasimati gli appellativi sublimi che si appongono ad un sovrano (di unto del Signore, vicario e
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Si può dire pertanto che quanto meno sono le persone al potere (il numero dei sovrani), quanto maggiore è invece la loro rappresentazione, tanto più la Costituzione si avvicina alla possibilità del repubblicanismo e può sperare alla fine di conseguirla con graduali riforme. Per questa ragione è nell’aristocrazia più difficile che nella monarchia, e nella democrazia più difficile che nella monarchia, e nella democrazia impossibile altrimenti che con violenza di rivoluzioni, il giungere a quest’unica di pien diritto legittima Costituzione.
Al popolo però importa incomparabilmente assai più il modo di governo che non la forma dello Stato(1).
rappresentante in terra del volere divino, ecc.), quali adulazioni grossolane ed inebbrianti. Però, parmi, senza ragione. Ben lungi dal renderlo orgoglioso, lo umilieranno anzi nel suo animo, de ha criterio (lo che dobbiamo supporre), dandogli occasione a pensare aver egli assunto un ufficio troppo grave per un uomo, l’ufficio il più santo che dio abbia in terra, quello di regolare i diritti degli uomini, e deve ognora preoccuparlo il timore di offendere in qualche modo questa pupilla di Dio.
(1) Mallet du Pan si dà vanto, nel suo linguaggio altisonante (genietönende), ma vuoto e privo di sostanza essere finalmente convinto da un’esperienza di molti anni della verità contenuta nel celebre detto di Pope: «lascia disputare i pazzi sul governo ottimo, l’ottimo governo è il meglio diretto». Ove ciò significhi: il governo meglio diretto è il meglio diretto, in allora egli ha, secondo l’espressione di Swift, schiacciata coi denti una noce ed avutone un verme. Ove poi ciò significhi che il governo meglio diretto è la miglior forma di Stato, cioè di Costituzione, in allora è essenzialmente erroneo, dacché gli esempi di buoni governi nulla provano a favore o contro la forma dello Stato. Chi meglio ha governato di un Tito e di un Marco Aurelio? eppure il primo lasciò a
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Sebbene anche da questa dipende il suo maggiore o minore adattamento a quello scopo(1).
Ad un tal modo di governo, se vuol essere conforme all’idea di diritto, appartiene il sistema rappresentativo, nel quale soltanto è possibile una forma di Stato repubblicana e all’infuori del quale (qualunque sia la Costituzione) il governo sarà sempre
successore un Domiziano, il secondo un Commodo: lo che non avrebbe potuto avvenire con una buona Costituzione dello Stato, poiché la incapacità loro ad un tal posto sarebbesi conosciuta per tempo e la potenza del corpo sovrano sarebbe bastata ad escluderneli.
(1) Secondo che agevolerà o meno lo sviluppo della coltura intellettuale nei cittadini, e li renderà più o meno idonei ad un governo più perfetto. Il dire che «il governo meglio diretto è la miglior forma di Stato» equivale al sostenere che la bontà di una macchina dipende dal macchinista. La eccellenza della forma di uno Stato appunto si palesa nell’essere il suo regolare funzionamento quanto più è possibile indipendente dagli uomini che ne sono a capo, di guisa che questi, anche volendolo, non possano commettere il male, cioè violare le leggi; usare arbitrii od altro, ed a ciò tendono le garanzie costituzionali. Va da sé che l’imperfezione della natura umana non permetterà mai di pienamente raggiungere un simile ideale; potrà, solo avvicinarvisi. Distinguendo pertanto la forma di uno Stato dal funzionamento del suo governo, diremo che vi sono esempi di eccellenti governi in ogni forma di Stato. Sarà facile convincersene leggendo le storie di tutti i tempi e di tutti i paesi. Uno Stato, come ente morale, è organismo del tutto impersonale e sarà di grado elevato o basso, ottimo o pessimo, secondo le qualità sue proprie e la propria orditura. Il funzionamento, poi, del governo dipenderà, in ogni forma di Stato, dalle qualità dei governati e dei governanti. E in questo senso deve intendersi che un popolo ha il governo che si merita (Nota del Trad.).
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despotico e violento. Nessuna delle cosidette repubbliche antiche ha conosciuto ciò, e pertanto doveano assolutamente risolversi in un despotismo che, sotto il predominio d’un solo, è il più sopportabile.