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La miglior garanzia di essa è la Natura, grande artefice (daedala rerum), dal cui procedere a guisa di meccanismo risulta visibilmente il fine di far scaturire la concordia dalla discordia degli uomini, anche loro malgrado; lo che costituisce il destino, quasi a indicare la necessità di una causa agente secondo leggi a noi ignote: causa agente secondo leggi a noi ignote: causa che vien chiamata Provvidenza quando esaminiamo la finalità nel corso del mondo, e ne riconosciamo la saggezza profonda predeterminante esso corso, diretta all’obbiettivo ultimo dell’uman genere(1).
(1) Nel meccanismo della natura, cui appartiene anche l’uomo (come essere sensitivo), già si scorge una forma che ne è il fondamento e che può solo divenirci comprensibile pensandola come rispondente allo scopo di un Creatore predeterminante. Questa predeterminazione viene, in generale, chiamata Provvidenza (divina): e si dice Provvidenza fondatrice (conditrix) riferendosi all’origine del mondo (semel jusit semper parent: sant’Agostino); Provvidenza reggitrice (gubernatrix), nel corso della natura e riguardo al fine di mantenere lo svolgimento conforme a leggi generali: Provvidenza direttrice, se rivolta a scopi determinati, non prevedibili dall’uomo e soltanto presunti dopo un avvenimento, e, infine, se ha in mira alcuni eventi particolari di fine divino chiamasi, non più Provvidenza, ma volere divino (Fügung, directio extraordinaria), il cui
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Noi, invero, non riconosciamo questa Provvidenza alle disposizioni meccaniche della natura, né la deduciamo da esse, ma (come in ogni relazione della forma allo scopo)
intervento l’uomo, per sciocca presunzione, ammette; lo che, nel fatto, denoterebbe un miracolo, mentreché gli eventi non vengono in tal guisa considerati. E in vero il voler indurre da un semplice fatto un principio speciale della causa agente che lo elevi a scopo e non lo riconosca come semplice risultato meccanico e naturale di scopi che ignoriamo, e del tutto assurdo e presuntuoso, per quanto lo si professi con linguaggio umile e pio.
Così del pari la divisione della Provvidenza, considerata materialmente, in una universale e una speciale, riguardo all’azione sua verso gli oggetti nel mondo è falsa e in contraddizione con se stessa; per esempio, allorché si afferma che essa prende cura bensì della conservazione della specie, ma abbandona gli individui al caso; difatti essa viene appunto chiamata universale acciò non possa credersi esistere cosa alcuna esclusa dal suo potere.
Presumibilmente si è qui inteso dividere la Provvidenza (considerata formaliter) secondo il modo di eseguire i suoi disegni; cioè in ordinaria (come nel periodico morire e rinascere della Natura nella vicenda delle stagioni) e straordinaria (come pel trasporto del legname alle cose glaciali, dove non può crescere, fatto dalle correnti marine per uso degli abitanti di quelle regioni, i quali senza di ciò non potrebbero vivere). In questi casi, sebbene ci rendiamo perfettamente ragione della causa fisica di tali fenomeni (per esempio: sapendo che le sponde dei fiumi nelle zone temperate sono popolate da alberi che, cadendo in essi, vengono poi trascinati dal Gulfstream), pur tuttavia non possiamo trascurare la teleologica che ci richiama alla previdenza di una saggezza imperante sulla natura. – Deve, in ogni modo, escludersi il concetto in voga nelle scuole di un intervento o cooperazione (concursus) divina, che si eserciti sul mondo sensibile. Infatti anzitutto è una contraddizione in se stessa il voler appajare cose diverse (gryphes jungere equis) e il far completare,
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solo possiamo e dobbiamo riferirvici per avere un’idea della sua possibilità, secondo l’analogia del meccanismo nelle azioni umane; il rappresentarcela, però, in rapporto e concordanza col fine (morale) prescrittoci in modo immediato dalla ragione, è un concetto teoreticamente temerario, ma praticamente, per esempio rispetto all’idea di pace perpetua, dogmatico e fondatissimo sulla realtà. – L’uso della parola natura quando si tratta, come qui, puramente di scienza e non di religione, è più adatto ai limiti della ragione umana,
durante il corso degli avvenimenti la Provvidenza predeterminante (che così sarebbe difettosa) da colui medesimo che è causa assoluta dei mutamenti che accadono; questo si fa, per esempio, dicendo che il medico ha risanato l’infermo coll’aiuto di Dio, nel qual caso Dio interverrebbe come assistente; causa solitaria non juvat: Dio è l’autore del medico e delle sue medicine, a lui pertanto deve interamente attribuirsi l’effetto qualora si voglia risalire alla più alta causa prima che, teoricamente, ci è incomprensibile.
Possiamo anche per intiero attribuirlo al medico, se noi consideriamo un tal evento conforme all’ordine della natura nella catena delle cause del mondo. In secondo luogo, un modo simile di ragionare sconvolge ogni principio riconosciuto necessario a giudicare un effetto.
Ma da un punto moralmente pratico (diretto, cioè, unicamente al soprasensibile), nella credenza, per esempio, che nulla debbasi trascurare per conseguimento del bene, fiduciosi che Dio supplirà, anche con mezzi per noi incomprensibili, al difetto della nostra propria giustizia, purché buone le nostre intenzioni, l’idea del concorso divino è tutt’altro congrua (schicklich), anzi necessaria, però va da sé che nessuno può tentar di spiegare, secondo questi principii, un’azione buona (quale evento), poiché il farlo presupporrebbe una cognizione teoretica del soprasensibile, il che è assurdo.
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come quella che, nella ricerca di rapporti fra effetti e cause, deve contenersi nei confini di una possibile esperienza; oltre a ciò è anche più modesta che non l’espressione d’una Provvidenza da noi conoscibile, valendoci della quale potremmo abbandonarci a voli icariani per scrutare più davicino l’impenetrabile mistero dei suoi disegni.
Prima però di determinare con maggior precisione questa garanzia, sarà mestieri indagare la situazione in cui la natura colloca i personaggi che agiscono sulla sua gran scena, situazione che da ultimo renderà loro necessaria la pace; indi esamineremo come essa la conseguenza.
Le sue disposizioni provvisorie consistono:
nell’aver preso cura che gli uomini possan vivere in ogni regione terrestre;
nell’averli spinti col mezzo delle guerre, anche nelle più inospitali contrade, per popolarle;
nell’averli costretti, cogli stessi mezzi, a stabilir relazioni, più o meno legali, fra di loro. – È semplicemente meraviglioso che nei glaciali deserti dell’oceano polare il muschio nasca anche sotto la neve e possa così venir raspato dalla renna, che se ne ciba, e si rende utile, poi, come animale da tiro, agli Ostiaki ed ai Samojedi; che l’abitante dei deserti possegga il camello, mirabilmente adatto a percorrerli, e cui si deve se essi non impediscono ogni comunicazione fra i diversi popoli. – Più evidente ancora appare lo scopo(1) ove si consideri che oltre gli animali a
(1) Questa finalità che attribuisce ad una predeterminazione della natura i risultati della forza stessa delle cose, è stata completamente scalzata dal trionfante
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pelliccia, i mari glaciali son popolati da foche, morse e balene, che giovano agli abitanti di quei lidi, sia per nutrimento, che per riscaldarsi coll’olio che ne ricavano. La più grande ammirazione, però, desta in noi la natura, allorché, per opera sua, il legname galleggiante è spinto sulle nude coste glaciali, dove, senza di esso, le popolazioni che vi dimorano mancherebbero di mezzi di trasporto, armi e materiale da costruzione per le capanne; popoli del resto abbastanza occupati a difendersi dagli animali, da dover vivere in pace fra di loro.
Ma, presumibilmente, ciò che li ha spinti ivi, non fu altro che la guerra. Il primo strumento di guerra, fra tutti gli animali che l’uomo ha domati, è senza dubbio il cavallo; l’elefante appartiene a tempi posteriori, a quelli di nazioni già avvezze al lusso. Così, del pari, l’arte di coltivare alcune specie di vegetali, i cereali, le cui primitive qualità non sono più riconoscibili, e di moltiplicare alcune sorta di frutti, perfezionate colla riproduzione e l’innesto, può essere solamente nata in una condizione di cose che assicurava la proprietà e, pertanto, in uno Stato regolare,
Darwinismo e dalla teoria evoluzionista dello Spencer. Non è già, difatti, che la natura abbia provveduto a che gli uomini possan vivere in tutte le regioni, ma piuttosto essi vi sono perché vi trovano di che vivere o, meglio, essi abitano colà ove trovano da cibarsi. La dottrina di Darwin, colla lotta per l’esistenza, la selezione naturale e l’adattamento all’ambiente, e la filosofia Spenceriana, poco o nulla han lasciato sopravivere di tutte le teologie antiche e moderne. Ciò sia inteso con tutto il rispetto dovuto al massimo filosofo della Germania (Nota del Trad.).
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dopo che gli uomini ebbero attraversato i periodi della caccia(1) e della pastorizia per giungere a quello agricolo; vennero poscia trovati il sale e il ferro, che sono gli articoli primi di commercio in una tal epoca; indi si svilupparono le relazioni pacifiche, anche fra i più lontani, e la comunione degli scambi.
Così avviene che, mentre la natura ha provveduto che gli uomini possano vivere ovunque, in pari tempo ha dispoticamente voluto che lo devano anche contro il lor desiderio, senza che, però, vi sia connessa alcuna idea di legge morale che imponga tal obbligo, ma valendosi della guerra per raggiungerlo. Vediamo pertanto popoli di cui l’origine è dimostrata identica dalla lingua, come i Samojedi e gli abitanti dell’Altai, dimorare ad oltre duecento miglia(2) di distanza: causa ne fu l’irruzione dei Mongoli che, penetrando nel mezzo di un popolo, ne spinsero una parte nelle
(1) Fra tutti i generi di vita, la caccia è, senza dubbio, la più contraria alla civiltà. Difatti le famiglie, costrette ad isolarsi e a disperdersi in vaste selve, divengono bentosto ostili le une alle altre, avendo ognuna bisogno di molto spazio per procacciarsi il vitto e il vestiario. – La proibizione di Noè, di sparger sangue umano, (Genesi IX, 4-6) che, spesso ripetuta, divenne condizione imposta (benché sotto altro riguardo) ai pagani per la ammissione loro al cristianesimo (Acta Apost., XV, 20, XXI, 25), pare non essere stata, in origine, che la proibizione della caccia, perché, in questa, si presenta spesso il caso di mangiar la carne cruda, e impedendola, si impediva anche ciò.
(2) Crediamo che si tratti del miglio prussiano equivalente a circa chilom. 7 ½. (Nota del trad.).
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inospite regioni boreali(1), dove certamente non sono andati di loro libera volontà. Così, del pari, i Finni dell’Europa settentrionale, chiamati Lapponi, vennero disgiunti dagli Ungari, loro affini, per via di Goti e Sarmati che s’internarono fra essi. E che altro può essere, se non la guerra, ciò che spinge gli Eschimesi (razza affatto distinta dalle americane e forse, in origine, avventurieri europei), e i Fuegini verso i poli? – La guerra stessa non abbisogna, poi, di altro movente all’infuori di quello insito nella natura umana, sotto veste di nobile e disinteressato impulso all’ambizione. Perciò, non soltanto fra i selvaggi americani, ma anche nei tempi cavallereschi del medio evo, il valore militare fu tenuto in grandissimo pregio sia durante la guerra (come di logica) che quale sprone a combattere per isfoggiarlo. A ciò si deve se la guerra fu stimata cosa altamente onorevole in sé stessa anche dai filosofi che ne fanno l’apologia, comeché ad essa vada attribuito il nobilitarsi dell’uman genere, dimentichi di quel detto di un greco: «La guerra è un male, inquantoché produce un numero di malvagi più grande di quelli che distrugge».
(1) Si potrebbe chiedere: Se la natura ha voluto che i lidi glaciali non rimangano disabitati, che avverrebbe di quelle popolazioni, qualora non vi facesse più giungere il legname? Giacché è da supporre che gli abitanti dei paesi da cui proviene sapranno, col crescere della civiltà, utilizzarlo meglio che non lasciandolo cadere e trasportare dalle correnti. Rispondo: i rivieraschi dell’Obi, del Jenissei, della Lena ve lo recheranno, esportandone in cambio i prodotti del regno animale; ciò avverrà quando la natura li avrà costretti a vivere in pace.
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E questo è quanto la natura fece, pel fine suo proprio, in ciò che riguarda gli uomini come animali.
Ed ora si presenta la questione essenziale per la pace perpetua: cosa, cioè, la natura faccia relativamente a questa ed al fine di imporre all’uomo il dovere di sottostare alla ragione; cosa, in conseguenza, faccia per favorire il suo scopo morale e come garantisca che l’uomo, secondo le leggi della sua libertà e senza danno di essa, farà, anche costrettovi dalla natura, ciò che non fece; e come l’assicuri sotto i tre aspetti del diritto pubblico, dell’internazionale e del cosmopolitico. Allorché dico; la natura vuole che questo o quello accada, non intendo già significare che essa ci imponga un dovere di farlo (ciò spetta soltanto alla ragione pratica e libera), ma che fa sì che noi dobbiamo volerlo o no; fata volentem ducunt, nolentem trahunt.
1. Quand’anche le dissensioni intestine non costringessero un popolo a sottomettersi all’ubbidienza delle leggi, vi si troverebbe obbligato dalle guerre, avendo la natura collocato, come già dissimo, di fianco ad ogni popolo un altro che lo stringe e l’obbliga a costituirsi in forma di Stato capace di opporsi, quale Potenza, alle sue aggressioni. Ora la costituzione repubblicana, la sola pienamente conforme ai diritti dell’uomo, è, del pari, la più difficile a fondare e a mantenere, di guisa che molti sostengono che occorrerebbero angeli, e non uomini dominati dalle passioni, per costituire una forma di Stato così sublime. E qui appunto la natura interviene, valendosi di tali tendenze egoistiche per dare alla volontà generale, di per sé impotente, l’efficacia pratica di cui manca: si tratta invero soltanto di organizzare lo Stato (il che è nelle
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forze umane) in guisa che l’azione e reazione delle varie forze intervengono a regolarne gli effetti di tal maniera che la ragione non li risenta, costringendo perciò l’uomo, anche se non moralmente buono, a divenirlo civilmente, quale buon cittadino.
Il problema di fondare uno Stato è risolubile anche da un popoli di demoni, per quanto la parola sembri dura, purché sia forniti d’intelligenza, ed ecco in che modo: «Una moltitudine di esseri ragionevoli che desiderano leggi generali per la loro conservazione, cui però ognuno è, in segreto, disposto ad eludere: trattasi di ordinarli e di regolare la Costituzione in guisa che, sebbene, essi, nei loro sentimenti privati, contrastino gli uno cogli altri, tuttavia siano in tal modo trattenuti che, nella condotta pubblica, l’effetto sia come se non nutrissero tali malvage intenzioni». Un tal problema deve essere solubile. Non si tratta già, difatti, di un morale perfezionamento degli uomini, ma soltanto di trar partito del meccanismo della natura, per sapere come dirigere il contrasto dei sentimenti torbidi in un popolo, talché si costringano reciprocamente a sottomettersi a leggi coattive, producendo, pertanto, quello stato pacifico in cui han vigore le leggi.
Anche attualmente possiamo vedere che gli Stati esistenti, benché imperfettamente organizzati, pure si approssimano abbastanza, nella condotta esteriore, a quanto prescrive l’idea del diritto, benché non sia, per certo, causa di ciò la moralità intrinseca; né, invero, possiamo attenderci che questa produca una buona Costituzione, ché, anzi, è la buona Costituzione quella che educa un popolo moralmente.
In conseguenza la ragione può valersi del meccanismo della natura per adoperare quali mezzi le
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propensioni egoistiche, agenti, com’è naturale, le une contro le altre, e raggiungere il suo proprio fine dell’ordine legale, promuovendo ed assicurando pure, in quanto spetti allo Stato, la pace interna ed esterna.
Il che, adunque, significa: La natura vuole irresistibilmente che, alla fine, il diritto abbia la supremazia. Ciò che altri evita di fare in questo senso, lo fa essa medesima, benché con modi poco gradevoli. – «La corda troppo tesa si spezza; e chi troppo vuole, nulla vuole» Bouterweck.
2. L’idea di un diritto delle genti presuppone la separazione (Absonderung) di molti Stati indipendenti e vicini e, benché una tale condizione di cose già sia in sé stessa uno stato di guerra, (qualora lo scoppio delle ostilità non venga evitato da una unione federale di essi), tuttavia, secondo la ragione, simile coesistenza è preferibile ad un assorbimento dei vari Stati da parte di uno di loro che li soverchi, trasformandoli in monarchia universale. Colla cresciuta estensione del governo le leggi perdono di vigore e un dispotismo senza anima, dopo aver soffocati i germi del bene, degenera da ultimo in anarchia.
Ciò non pertanto è questo il desiderio di ogni Stato e sovrano, di assicurarsi, cioè, una pace durevole col soggiogare, se fosse possibile il mondo intiero. – Ma la natura vuole altrimenti.
Essa adopera due mezzi per distogliere i popoli dal frammischiarsi; la diversità delle lingue e delle religioni(1): questa, invero, trae con sé una
(1) Diversità delle religioni: strana espressione! appunto come se si parlasse di diverse morali. Possono bensì
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predisposizione ad odiarsi e pretesti a guerre, ma colla crescente civiltà e le progredenti relazioni fra gli uomini, conduce pure ad una maggiore uniformità di principii e ad un accordo per la pace, che è prodotto ed assicurato dall’equilibrio di tutte le forze, non già dal loro indebolimento, come avviene col dispotismo che si fonda sulla tomba della libertà.
3. Come la natura separa, saggiamente, popoli che la volontà di ogni Stato anirebbe volentieri sotto la propria dipendenza, valendosi dell’astuzia o della forza od anche rispettando i dettati del diritto internazionale, così, d’altra parte, essa congiunge, nel reciproco interesse, così, d’altra parte, essa congiunge, nel reciproco interesse, popoli che non sarebbero stati garantiti contro la violenza e le guerre dalla semplice idea del diritto cosmopolitico. Un tal risultato è prodotto dallo spirito commerciale, che non può coesistere colla guerra, e che, prima o poi, si diffonde presso ogni popolo. La potenza del denaro, fuor d’ogni dubbio il più sicuro, così gli Stati si vedono costretti (e certamente non per impulso di moralità) a promuovere la nobile pace, e dove, ciò non ostante, una guerra sta per iscoppiare, a procurar con mediazioni di impedirla, appunto come se si trovassero in lega permanente a questo scopo;
esservi specie di credo storiche, diverse nel modo di estrinsecarsi e che sono di competenza dell’erudito, non relative alla religione, come vi sono diversi libri di religioni (il Zendavesta, il Veda, il Corano, ecc.), ma una religione sola, valevole per tutti gli uomini e tempi. Quelli pertanto, i credo e i libri, non possono esser che i veicoli della religione, né contener altro che il casuale; differenti secondo la diversità dei tempi e dei luoghi.
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e infatti le grandi alleanze per la guerra possono, secondo la natura medesima della cosa, ben di rado avvenire, e ancor più raramente condurre a ben esito.
In tal guisa la natura garantisce, collo stesso meccanismo delle tendenze umane, la pace perpetua; non invero con sicurezza sufficiente a predirne in teoria l’avvenire, ma pur sempre bastante in pratica, ed essa così ci impone il dovere di agire, per ottenere un tale scopo, che non è puramente chimerico.