III. Circuito e grandezza della Terra: divisione di essa
IV. Mondo antico e mondo nuovo
V. Divisione esteriore de' continenti
VII. Divisione ulteriore della Terra con alcune brevi notizie sulle parti singolari di essa
Paesi, il di cui circuito e l'interno sono conosciuti interamente: l'Europa
Paesi, il di cui circuito è conosciuto interamente, e l'interno per la maggior parte: l'Asia
La Terra di cui è conosciuto solo il circuito, e niente affatto l'interno: l'Africa
Paesi che sono stati veduti, ma che non si hanno potuto più ritrovare
Paesi che solamente si suppongono per ragioni fisiche (la Terra del Sud), e per ragioni storiche (una parte delle Terre di Juan de Fuca e dell'Ammiraglio de Fonte, e molte isole che si veggono sulle carte spagnuole)
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La quantità delle isole piccole che giacciono intorno ai Continenti, è da La Brosse, secondo la loro posizione e proporzione colle maggiori masse di divisa 1. in ASIA AUSTRALE, alla quale appartengono Sumatra, Java, Borneo, le Celebes, le Molucche, la Nuova Guinea, la Nuova Olanda, la Nuova Zeelanda, Ceilan, le Laeshedive e le Maldive; 2. in AFRICA AUSTRALE a cui appartengono Madagascar, molte isole piccole nel mare delle Indie ed altre nel Sud dell’Africa, quelle scoperte di Kerguelen, Marion e Crozet; 3. in AMERICA AUSTRALE, che comprende la terra del Fuoco, le isole degli Stati, le Malovine, la Georgia meridionale, la terra di Sandwich, e 4. nella POLINESIA, o il gran numero delle isole piccole nel mare Pacifico.
Considerando queste isole fisicamente,
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potrebbero essere divise forse meglio in isole originarie, ed isole nate più tardi.
Le maggiori o minori masse di terra originarie, prodotte dalla natura in principio come isole, le quali perciò non debbono essere le più antiche, sarebbero o di origine Vulcanica o Nettunica.
DI ORIGINE VULCANICHA, cioè insorte dal fondo del mare per mezzo di eruzioni di fuoco e di tremuoto, è forse il maggior numero delle isole alte e montagnose. Certamente possiamo contare qui l’Isola Island malgrado la sua estensione considerabile di 2904 miglia quadrate(1), poiché ce lo dimostra la sua intera struttura. Essa consiste in una sola roccia vuota piena di caverne fin’anche nelle valli, ed è sovente esposta a’ tremuoti, ad affondamenti di terra ed incendi sotterranei. Il suolo è pieno di solfo e di sal nitro; ha molti vulcani accesi, valli fumicanti ed una quantità di sorgenti calde e bollenti. Incessantemente vi accadono de’ cangiamenti che provano la sua origine.
(1) Secondo il calcolo di Tempelmann nel 1769 nascono 2875 miglia quadrate.
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Nel 1726 presso Schlage Strande nel quartiere del Nord si approfondò in una notte una montagna alta, ed in luogo suo parve un lago grande e profondo. Nella distanza di un miglio e mezzo da questo luogo si asciugò un lago, il cui fondo non si era potuto scoprire per mezzo dello scandaglio, ed il fondo di esso fu alzato in modo che presentemente forma una regione considerabilmente alta in confronto della terra circonvicina.
Nel 1783 nacque un nuovo Vulcano nel Skastefield Syssel del quartiere orientale il quale per terribili tremuoti cagionò molte distruzioni. Il Skafte, fiume considerabile, rimase in quest’occasione asciutto, e l’intero distretto che prima era uno de’ più fruttiferi fu interamente distrutto, la terra coperta di una cenere sulfurea, i prati ruinati, e l’aria appestata. Nell’istesso tempo nacque la NYE OZ, ovvero nuova isola, di un contenuto superficiale di un miglio e mezzo danese, poco distante dal promontorio. Reykanes in Gullbringe-Syssel nel quartiere meridionale, la quale alloraquando fu scoperta nel mare, bruciava ancora a segno, che per 6 miglia distante se ne vide ancora il fumo. Ancora
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adesso è essa disabitata. L’Islanda nudrisce 60 mille uomini circa; ne’ primi tempi però questo numero era più considerabile.
Le isole FAEROEER probabilmente hanno la medesima origine. Esse sono di numero 25, delle quali però 17 solamente sono abitate; si estendono 15 miglia in lungo e 10 miglia in largo; consistono in rocce nude, che in alcuni siti appena sono coperte di 2 piedi di terra. Alcuna di queste isole, come STORE DIMEN (gran Dimen), che ha un miglio di circuito è quasi di figura rotonda, una sola roccia ripida circondata di precipizi e di banchi di sabbia, la di cui forma pare essere stata interamente formata dall’effetto violento del fuoco: poco distante da essa giace LILLE DIMEN (piccolo Dimen). Tutte queste isole, benché siano sotto il 62°, hanno l’inverno tanto moderato quanto l’estate, perciò il bestiame sta sempre allo scoperto, e le pecore, per diversi estati ed inverni corrono intorno come salvatiche. La maggiore di queste isole è STROEMEOF, 6 miglia lunga e 2 larga. Su essa trovasi la capitale Thorshayn. Quest’isola sola forma due parrocchie, mentre tutte le 27 isole sono divise solamente in 7 di tali parrocchie, SUEDEROEE
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è lunga 5 miglia e larga 2. Il miglior posto su queste isole è Lobroee, nel seno di mare Vaagsfiord. Presso il villaggio Famojen è una montagna sulla quale come abbiamo detto nel I. tomo havvi un piccolo lago, il quale giornalmente, come il mare, ha il flusso e riflusso. Sulla parte meridionale dell’isola Sumboee esiste una corrente più pericolosa e più violenta, che il conosciuto Moskoestrom nella Norvegia; in mezzo a questa corrente sta una roccia chiamata il monaco di Sumboe.
Una ricerca più esatta ci farebbe forse conoscere l’origine Vulcanica delle isole Orkneys (Orcadi), Schetland, e delle Ebridi. Per quelli che dichiarano essere il Basalto un prodotto vulcanico, non dovrebbe rimanere alcun dubbio su questo proposito, e molto meno riguardo alle Ebridi.
Le Orcadi sono divisi dalla parte Nord est della Scozia per mezzo del PENTLAND FIRTH lungo di 24 miglia e largo di 12. Questo stretto di mare, a cagione delle correnti violente, de’ flussi impetuosi e contrari, e de’ vortici che sono cagionati dalla moltitudine delle isole poste in questo stretto, come per la strettezza del canale stesso, è
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bastantemente conosciuto, poiché produce la rovina a quelli che non ne sono sufficientemente pratici. In tempo di calma le barche ed i piccoli bastimenti sono girati intorno fin tanto che sprofondano. Soffiando però il vento, vi si passa sopra senza il minimo pericolo. Il numero delle Orcadi monta a 28.; Plinio ne contava 40. Benché queste isole siano poste fra il 59 e 60° di latitudine, ciò non ostante l’inverno non è rigoroso, e produce più della pioggia che della neve, che ordinariamente non vi resta lungo tempo. L’aria vi è acuta, ma ciò non è prodotto tanto dal freddo quanto dal vento strepitoso; anche il freddo vi è durata. La pioggia non cade come da noi in goccie, ma si precipita abbasso in quantità. Non vi si trovano alberi, eccettuati quelli nel giardino del Vescovo sull’isola principale MAINLAND lunga 24 miglia e larga 6 fino a 9, che si chiama anche Pomona. Gli abitanti di queste isole, stimati circa 32000, sono forti, ben formati, carnosi e liberali. Di quando in quando il popolo comune parla il Norvegese, e ci fa rammentare con ciò la sua origine.
Le isole SHETLAND fra il 60 e 61°,
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consistono in 46 maggiori e 40 minori, che unicamente servono per pascolare il bestiame, ed in 30 scogli che solamente vengono visitati dagli uccelli. L’isola principale chiamasi MAINLAND come sulle Orcadi. Essa è lunga 60 miglia e larga in alcuni luoghi 16; ha una quantità di baie, di Cale, di promontori; lungo le coste è fruttifera e coltivata nell’interno montuosa, e piena di stagni paludi, che al viaggiatore recano grandi incomodi. L’aria vi è fredda ed acuta; ciò non ostante gli abitanti diventano vecchi. Nella giornata più lunga il sole resta appena 3 ore sotto l’orizzonte, e si può leggere durante la notte. Nell’inverno al contrario le nebbie rendono oscure anche queste 3 ore di giorno. I giorni corti, le burrasche terribili ed i flussi violenti, incominciando dal mese di ottobre fino al mese di aprile, privano questi abitanti di qualunque comunicazione col resto del mondo, di modo che quando nel 1689 nel mese di novembre era accaduta in Inghilterra la grande rivoluzione, quel pescatore, che nel successivo mese di maggio giunse su queste isole, raccontando questo avvenimento, non fu creduto, ma
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messo in prigione come uomo che spargeva notizie pericolose.
L’EBRIDI o isole occidentali giacciono sulla costa occidentale della Scozia, incominciando dalla penisola Kantyre fino alla punta più settentrionale della Scozia. Rimarcabile è ciò che narra TOMMASO PENNANT(1), che sulle coste occidentali di queste isole sovente si trovino delle FAVE MOLUCCHE. Queste sono le semenze della MIMOSA SCANDENS, DALICHOS URENS, GUILANDIA BONDUCELLA, che abbondantemente crescono sulle sponde de’ fiumi della Giamaica, e vengono da essi condotte nel mare. Per mezzo delle correnti, e del vento dominante dell’est vengono dentro il seno marittimo della Florida, e da questo nell’Oceano dell’America settentrionale. Lo stesso accade ancora col Sargasso che cresce pure in abbondanza sulle coste della Giamaica. Nell’Oceano americano per due terzi dell’anno soffiano i venti dell’ovest, che le summentovate semenze portano finalmente
(1) Ved. Pennant, Viaggi per la Scozia, e gli Ebridi 2 tom. con rami, traduz. tedesca, Lips. 1779.
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sulle coste delle Ebridi. Qualche volta si pescano quivi delle testuggini americane, anzi si pescò sulle coste della Scozia un pezzo di quell’albero che apparteneva al vascello di guerra Tisbury, il quale si abbruciò alla Giamaica nella guerra ehe gl’Inglesi facevano contro le provincie unite dell’America. Le isole meridionali di questo gruppo sono GIGHAMUD, ILAY e la più occidentale di tutte S. KILOA 2 miglia lunga ed un miglio larga. Su questa piccola massa di rocce, in mezzo al mare, ed almeno 50 miglia distante dalla prima isola delle Ebridi, e separate da qualunque comunicazione, vivono ciò non ostante degli uomini. Il loro numero è росо più di cento, dopo che, alla metà del Secolo XVIII il vaiolo ne distrusse la metà. Il suolo non è molto fertile, ma gli abitanti lo coltivano con molta diligenza. La sponda è formata da piccole rocce, eccettuato nella baia verso il sud est, ove possono entrare piccoli bastimenti. Gli abitanti che vivono in un piccolo villaggio sulla costa orientale sono buoni e liberali, non sono intemperanti ed appena conoscono l’uso del danaro. Le loro abitazioni sono fabbricate di pietre unite insieme alla terra, e coperte con altre pietre,
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sopra le quali pongono della paglia. I letti sono costruiti dentro le mura; e benché abbondino di penne, ciò non ostante dormono ordinariamente sulla paglia. Questi abitanti posseggono ancora le due isole piccole, ma disabitate, Soa e Borera, ciascuna di un miglio di circonferenza. Le sponde di ambedue sono scogli alti su’ quali esistono buoni pascoli, e vengono visitate a cagione della caccia del salvatico, che dal mese di aprile fino al settembre ivi soggiorna, ed anche a riguardo delle uova. L’intera isola possiede un solo schiffo al quale ciascheduno ha parte, secondo la proporzione di tributo che dà, e che consiste in pesci, volatili, penne, bestiame a corna, formaggio, e formento. Gli abitanti ardiscono di mettersi in mare senza bussola per andar a cercare le rocce, sulle quali montano con una facilità incredibile per prendere gli uccelli che nidificano fra gli scogli. Sempre due si attaccano ad una corda; l’uno si mette in un sito sicuro per poter sostenere il suo compagno in caso che facesse un passo falso; l’altro si lascia in giù colla corda che ordinariamente è lunga 30 tese, avvolto da triplici correggini di pelle di vacca che a
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quest’uopo viene salata: questa corda in occasione di eredità e di matrimonio è di somma importanza. Le rocce dell’isola secondo la proporzione delle derrate, sono divise con una sufficiente esattezza ogni tre anni; ogni tre anni però cambiano il possessore, e nascendo in tal occasione qualche quistione, viene decisa colla sorte. Gli uccelli principali che si prendono sono le oche scozzesi, le cui uova essi mangiano crude. La totale separazione dagli altri uomini rende questi abitanti tanto sensibili all’atmosfera degli Europei, che essi, fin anche i piccoli fanciulli prendono un raffreddore quando vi giunge un bastimento(1). L’isola più conosciuta fra l’Ebridi è STAFFA dopo che BANKS ci ha fatto fare attenzione sulle sue colonne di Basalto. La descrizione accurata che ne dà, è stata maggiormente schiarita per 6 belle stampe inserite nel viaggio di Pennant(2). Il nome di Staffa è Norvegese, e significa
(1) Vedi Allgemeine deutsche Bibliothek. Vol. 67 pag. 138.
(2) Vedi anche la nuova edizione di Tour Through the whose Island of great Britain, nel viaggio più recente per la Scozia fatto da Volkmann p. 271-277.
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bastone, sostegno, colonna, come in fatti l’intera isola è una massa di Basalto.
Su quest’isola di STAFFA e su le altre tutte si sono trovate delle specie di Lava, e molte altre cose di origine vulcanica. Lo stesso possiamo dire delle isole che giacciono sulla parte nord ovest della Scozia fino verso l’Irlanda. Sull’isola di Jona ovvero I-Colm-Kil (isola Colom), su quelle di Mull, Lismore, Ulva, Canna, Ilay la più vicina sopra l’Irlanda, il sig. MILLS facendovi ricerche più esatte sopra gli strati, ha trovato, che i WHYN DYKES, i quali in diverse direzioni formano una specie di filoni della larghezza di 12 piedi, sono veri torrenti di lava. Le rocce in diversi luoghi sono di lava rozza e senza pilastri, ma più spesso vi si veggono di questi pilastri; il suolo è formaio di una lava decomposta. Sovente vi si trovano de’ pezzi di selenito bruciato, di argilla indurita, di sorlo, e pezzi liberi di zooliti. Le alte rocce di granito spesso sono spaccate dall’alto in basso, e la spaccatura piena di lava. Sotto i carboni fossili di quest’isola da per tutto si trovano pezzi di lava, ed a Ardlun sopra l’isola di Mull vedesi
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uno strato di carbon fossile con istrati di lava di sotto e di sopra.
Le rocce a Ballycaste sopra l’Irlanda sono egualmente strati di lava che assomigliano ai Whyn Dykes di Ilay: esse traversano degli strati di carbone e di pietra arenaria, e corrono poi nel mare nella direzione dal Nord all’Est o dal sud all’ovest. Tutta la regione è abbondante di materie vulcaniche, come Ulsteri, è generalmente piena di pezzi di lava, ed è provvista in alcuni luoghi di masse intere di questo prodotto, le quali tutte sono spaccate dal Nord all’est, e dal sud all’est. Perciò con molta ragione potremo contare qui anche l’Irlanda, egualmente la Scozia fino a Derbyshire, ove si veggono egualmente delle traccie chiarissime di un origine vulcanica. Non trovando in que’ contorni alcun indizio di cratere, possiamo assicurarci che la lava rare volte giace vicino all’apertura del vulcano, e che in vece sua vi si pone il tufo o la cenere leggera e la ghiaja; d’altronde è anche probabile, che il cratere dal quale sortiva quella massa liquefatta, unita ad una gran striscia di terra verso il Nord, si sia interamente approfondita, e che da lungo tempo formi una
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parte del fondo del mare. Forse le isole britanniche sono frammenti della terra ferma che fra loro si separarono(1).
Le Azore non possono negare la loro origine Vulcanica. Ancora adesso hanno esse un Vulcano assai attivo sull’isola Pico, e tanti segni di uno stato antico vulcanico, e dacché noi le conosciamo visitiamo si sono ancora aumentate per mezzo del fuoco sotterraneo. Nel 1631 s’innalzò quivi tutt’a un tratto dalla profondità del mare una nuova isola; nel 1638 altre due; nel 1720 ai 31 di dicembre un’altra; e probabilmente molte più piccole in appresso.
La prima di quelle isole che nacquero nel 1638 comparve sopra un luogo, ove prima si era trovato il fondo del mare alla profondità di 20 tese ovvero 120 piedi del Reno. A principio si alzò in questo sito un fuoco che arrivò fino alle nuvole, cacciando
(1) Ved. Troil Viaggio verso l’Irlanda, e le 2 lettere di Mill sopra i strati e comparizioni vulcaniche nella parte settentrionale dell’Islanda e le isole occidentali della Scozia. Philos. transact. vol. 80 p. 1, da ciò un estratto nel Magazin di Voigt, vol. VIII. quint. 1. p. 44.
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in aria una quantità di acqua, sabbia e grandi pietre, le quali tutte insieme formarono una isoletta di 5 iugeri, che però nel corso di 14 giorni s’ingrandì in modo che la sua lunghezza giunse ad un miglio geografico.
La seconda, che presentemente è lunga più di tre quarti di un miglio geografico, e larga mezzo, giace poco distante da s. Miguel sopra un luogo ove per lo passato il mare aveva una profondità di 27 tese.
L’isola nata nel 1720 fra s. Miguel e Terceira s’innalzò durante un veemente tremoto. A principio toccava appena la superficie del mare, ma crebbe a poco a poco in modo da poterla vedere nella distanza di otto fino a dieci miglia. Essa è coperta di grandi scogli e masse di pietre, che molto assomigliano alla pietra pomice.
Vicino all’isola sulla parte del Nord un piloto non trovò fondo a 360 piedi. Durante la elevazione di questa isola, fumicava il Vulcano sull’isola Pico, che è distante più di 30 miglia marittime dall’isola nuova. Anche al presente questo vulcano brucia di tempo in tempo, e dimostra con ciò la continuazione dell’attività del fuoco in questi contorni.
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Lo stesso accade nelle isole Canarie, ovvero isole Fortunate(1) che sono piene di malerie vulcaniche. L’alto Pico de Teyde su Tenariffa, che alza la sua cima 1742 tese sulla superficie del mare, può essere cennato come una prova sufficiente dell’origine Vulcanica di queste isole. Il cratere di questo Pico è una nera fossa di zolfo circa 50 tese lunga, 40 larga, e 13 e un terzo profonda, e s’innalza assai rapidamente dall’ovest all’est. In molti siti non si può fermarsi nemmeno un minuto, poiché il calore penetra sensibilmente le suola delle scarpe. Per l’ultima eruzione di questo vulcano colossale nel 1704, il porto una volta bello di Garrachica è stato riempito di prodotti vulcanici in modo, che ora si veggono fabbricate delle case in que’ siti ove una volta i bastimenti
(1) Fin ora l’opera più bella su queste isole fu quella di Ge. Glass, storia e descrizione delle isole canarie 1764. della quale nel 1777 comparve una traduzione tedesca. Meglio è Essais sur les isles fortunées, et l’antique Atlantide, ou precis de l’histoire generale de l’Archipels des Canaries par J. B. G. M. Bory de S. Vincent. Paris. Germinal an. XI (aprile 1803) 522 p. in 4. con rami e carte.
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stavano sull’ancora. Sul margine del cratere, particolarmente in quel sito ove è più basso, si trovano diverse aperture dalle quali sortono vapori acquosi di acido solforico, ed il cui calore fa montare il termometro da 9° fino a 34. L’interno del cratere è coperto di argilla gialla, bianca e rossa, e di massi di lava in parte distrutti. Fra questi si trovano i più be’ cristalli di zolfo, di figura ottagona romboidale, e più belli di quanti ne producano gli altri vulcani. L’acqua cho svapora da questa apertura è pura e senza il minimo acido. Eccettuati i vapori umidi, l’aria è molto asciutta, l’elettricità a[t]mosferica assai considerabile e precisamente positiva ec. Supra di esso furono scoperte sette specie nuove di sorlo vulcanico(1).
Nell’arcipelago greco, come abbiam detto, molte isole sono vulcaniche(2). Anvi ancora molte isole, la di cui nascita passa al di là delle cognizioni umane, e che portano molti segni di una origine vulcanica. Così
(1) Ved. diverse osservazioni fatte da De Lamauon e Mongez sulla punta del Pico ec. nel magazzin di Voigt. L. Vol. 4. quint. 2. pag. 48 ec.
(2) Ved. Geografia fisica. II vol.
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fra le altre l’isola Milo ovvero Melos consiste per la maggior parte in una pietra pomice spongosa e vuota, ed in lava della quale gli abitanti costruiscono le fabbriche. Alcune regioni fumano continuamente, soprattutto Sidero Joannes, altre poi, come il piede di una montagna fra la città ed il porto di essa, hanno sorgenti sì calde da potervisi bruciare la pelle. Frequentemente vi si trova dello zolfo, che in alcune caverne è purificato, anzi quasi sublimato. Ancora più ricca è questa isola di allume, che si trova in forma di pietre piatte della grossezza di 9 in 10 pollici, qualche volta a foggia di penne, e qualche altra volta nelle misture di terra.
Stalimene che fu consacrato a Vulcano ha montagne alte, delle quali una, chiamata dagli antichi Meschila, gettò spesso del fuoco. Sciro, Paros e molti altri sono ancora pieni di segni non equivoci del modo col quale furono prodotti.
Le isole Pantalaria ed Ustica sulle coste della Sicilia meritano a questo riguardo, che se ne faccia menzione particolare. Ustica è piena di prodotti vulcanici; essa contiene diverse lave e sorli, e la terra vegetabile è una argilla rossa nericcia prodotta da cenere e lava distrutta.
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Pantalaria, una volta Cosyra, consiste in montagne alte e nude, divise violentemente per mezzo de’ precipizi, in scorie nere, ed in lave compatte, di natura del Porfido, le cui cime formano de’ crateri. Sulla medesima montagna, molto vicino a Serallid-fovata, il suolo è ardentemente caldo, un grosso vapore di salso vi prorompe ancora per innumerabili piccole spaccature ed aperture, e sbianchisce le pietre che tocca, e depone sul margine di queste aperture dello zolfo sublimato.
In poca distanza da questo luogo avvi una grotta, nella quale sentesi un rumore forte di una cateratta situata sotto di essa, de’ vapori grossi che si comprimono alla sortita, e che continuamente bagnando i boschetti vicini, vi prorompono incessantemente. Vicino a questa grotta scorre un ruscello tanto caldo da una spaccatura stretta, che riscalda interamente quel piccolo seno di mare nel quale sbocca.
Quasi in mezzo all’isola il lago Bagno di 80 passi di circuito e di una profondità impenetrabile, riempie il vuoto di un cratere antico. L’acqua in esso è tepida, e spesso bolle in colmo mentre, come se bollisse e
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s’innalza dell’aria sviluppata, l’acqua non è potabile, ma serve per lavare; l’acqua potabile la prendono gli abitanti da un ruscello, che zampilla in una caverna oscura, posta un poco più alta sulla stessa montagna. In fondo di questa sorgente trovasi una apertura, dalla quale sortono fuori de’ vapori riscaldati che si condensano sulla volta della caverna, indi scorrono in giù sulle pareti, e formano questo ruscello di acqua dolce. Ai piedi delle montagne sono molte sorgenti calde.
I prodotti vulcanici su quest’isola sono più che sulle altre neri e perfettamente vitrosi, indicano la forza degl’incendi antichi, senza però che la storia abbia accennato una qualche eruzione di fuoco.
Le isole Lipari sono una catena di vulcani, de’ quali alcuni sono in piena forza di attività, altri indicano la presenza del fuoco sotterraneo solamente per mezzo di sudatori e sorgenti calde; altri poi paiono essere affatto estinti, ma non ci assicurano di una perpetua inattività. Fino ai tempi di Plinio(1)
(1) Plinio histor. natur. lib. 3 Q. 8. fin. 9. Diod. Sic. V. 4.
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ed ancora più tardi, ve ne esistevano solamente 7 ed una di esse era di nascita assai recente; quella cioè che egli chiama Evonymos, probabilmente la nostra Lisca bianca. Tolomeo dopo la metà del secondo secolo ne conosceva una di più, cioè Hicelia, e giudicando secondo la sua posizione pare essere quella, che oggidì chiamiamo Panaria. Dopo il tempo suo ne sono nate ancora due altre, Datoli e Baziluzzo, di modo che si contano presentemente 10 isole di Lipari, senza contare gli scogli e le isolette che si sono alzate sulla superficie del mare.
Gli antichi conoscevano egualmente l’origine vulcanica di queste isole. Plinio pone l’origine dell’isola Hiera (presentemente Vulcano) verso l’anno 550 dopo l’edificazione di Roma ovvero 200 anni prima dell’era cristiana. Con lui vanno d’accordo Eusebio e Cassiodoro: ma ciò deve forse intendersi dell’isola Vulcanello, che si alzò dal mare vicino all’isola Vulcano, e che da essa era divisa per mezzo di un canale stretto, il quale nel 1550 fu riempito da eruzioni vulcaniche. Poiché Aristotele, che scrisse più di 300 anni avanti Cristo, conosceva Hiera, e narra di una eruzione più antica del suo vulcano, nella
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quale occasione il suolo di questa isola si era innalzato come una montagna, ed aveva gettato del fuoco e sparsa tanta cenere, che l’isola Lipari ne era stata coperta(1). Tucidide che scrisse ancora 200 anni prima, la nomina, ma ne’ tempi suoi quest’isola come due altre, che egli nomina Didyme (oggi Saline) e Strongyla (Stromboli) erano disabitate e coltivate dagli abitanti di Lipari. Sarebbe forse da credersi, che a’ tempi suoi esistessero solamente le quattro isole Liparis, Hiera, Didyme e Strongyla, e che la nascita delle altre tre Felicuda o Phormeudes, Alicuda una volta Ericodes, ed Evonymos cada nell’epoca fra lui e Plinio?(2)
L’isola di Lipari pare la più antica, sembra che il suo fuoco si sia estinto verso il 6 secolo dell’era cristiana(3). La sua superficie
(1) Aristotel. Meteorol. II. C. 8 ed. du Pin. tom. I pag. 800.
(2) Lib. 4. C. 88. ed. Steph. II. (ab. ao. 1588.) pag. 233.
(3) La sacra leggenda, dice che il protettore dell’isola s. Calogero abbia dapprima cacciato i diavoli, che sono creduti gli autori delle eruzioni vulcaniche, verso la pietra nera, montagna che giace isolata e separata dalla catena centrale dell’isola, e consiste in lave nere,
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è disuguale, poiché il suolo in diversi siti è sopraccaricato di eruzioni vulcaniche, ed un cratere giace vicino all’altro;
vitrose, compatte e traforate, ed in iscorie nere, e cenere bigia, il cui cratere è di forma ovale e profonda a foggia di imbuto; esso fu certamente l’ultimo che fece delle eruzioni. I diavoli essendo stati cacciati da Calogero anche fuori di questa montagna si sono in appresso nascosti sotto i bagni caldi per ricominciare di nuovo il loro primo giuoco; ma anche qui il Santo li insegui e li forzò a ritirarsi nell’isola Vulcanello. L’isola, continua la leggenda, fu liberata dal fuoco sotterraneo, ma la vicinanza di Vulcanello, ove i diavoli avevano incominciato maggiormente il loro antico giuoco di fuoco, le venne tanto più gravosa. Finalmente il Santo si risolvette di cacciarli tutti su Vulcano, da quell’epoca in poi Vulcanello non gettò più fuoco. Da questa favola superstiziosa, forse si lascierebbe dedurre qualche cosa d’importante intorno alla storia naturale riguardo l’andamento degl’incendi vulcanici. La pietra nera è stato l’ultimo Vulcano sull’isola Lipari; su di essa la vegetazione appena comincia. È probabile, che alloraquando questo Vulcano si estinse, i fuochi sotterranei abbiano cercato un’altra sortita, che resero i bagni caldi bollenti, e che in diversi luoghi a cagione di eruzioni e di vapori, abbiano angustiato gli abitanti, finché trovarono uno sfogo su Vulcanello da dove si rivolsero verso il Vulcano principale sull’isola Vulcano. Calogero ha vissuto circa all’anno 530.
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su di essa si veggono montagne di pietre pomici e di cenere bianca, che molto rassomiglia alla pietra pomice macinata. Torrenti di lava compatta hanno coperto le valli vicine, e la lava su questa isola è più vitrosa che quella sull’Etna. I bagni sudatori che giacciono sulla parte occidentale dentro pendici sterili, e che presso gli antichi erano molto rinomati, poiché formano l’oggetto fisico più rimarcabile dell’isola, la quantità immensa di pietre pomici, e la testimonianza uniforme degli antichi, che non mai parlano di questa isola che come incendiata(1); confermano la persuasione
(1) Aristotel. in mirabil. auscultat. ed. Du. Val. tom. II. p. 718. c. narra come tradizione, che sulle isole Lipari, la terra pareva bruciare in tempo di notte. Diodoro Siciliano V. 6. 7 lo conferma ancora di più. Teocrito nel 2 idilio paragona l’amore col fuoco di Lipari, e Silio Italico nel 14 libro del suo poema parla anche espressamente dell’incendio di essa
Nam Lipari vastis subter departa caminis
Sulphureum vomit exeso de vertice fumum.
Anzi Claudiano scrisse ancora in principio del V secolo dopo Cristo. De 3 Cons. Honor. num. 193. Ignifluisque gemit Lipare famosa cavernis. Quest’isola dunque ha bruciato fino al V secolo.
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sulla nascita di essa. Secondo le notizie degli stessi antichi era ancora assai infruttifera. Cicerone la nomina un’isola non coltivata, e descrive i suoi campi come deserti e sterili(1); e Diodoro il Siciliano, benché lodi i frutti eccellenti di essa, nota ciò non ostante l’esistenza limitatissima di esse. In oggi è assai fruttifera, e possiamo lodare la grande quantità delle frutta come il sapore di esse, benché la vegetazione non vi abbia quella vita e forza che con istupore ed ammirazione osserviamo sull’Etna. Su quest’isola non troviamo quella specie di argilla nera e tenace, che consiste in lava scomposta, pregna di ferro, alla quale dobbiamo attribuire la fruttificazione di tutte le terre vulcaniche.
Ne’ tempi antichi si preparava a Lipari dell’allume in quantità considerabile, e secondo la testimonianza di Diodoro(2) era essa l'unico luogo del mondo, che con questo
(1) Cicer. in Verr. III 37 emit agri Liparensis miseri atque jejuni decumas, et haec tam parva civitas in isola inculta tenuique posita etc.
(2) Nel 5 Lib. VIII capit.
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minerale facesse del commercio; e siccome mettevano il prezzo a loro piacere in questo articolo tanto cercato ed usato, così ne divenne una sorgente efficace per la ricchezza degli abitanti: presentemente questo commercio è totalmente cessato, ed è probabile, che le terre, estinto il Vulcano, non siano più sufficientemente pregne di questo sale, e che lo contengano molto meno schietto.
Sull’isola Vulcano, un colpo di martello dato da DOLOMIEU(1) sopra le pietre che quivi giacevano in una valle fra montagne, produsse un tale romore cupo sotterraneo, che egli stesso si spaventò. Questo romore che si estese nelle caverne sotterranee, era un segno infallibile ch’egli si trovava sopra una volta assai sottile di un immenso precipizio, dal quale erano sortite tutte quelle materie che formavano la montagna antica e moderna. Ciascun colpo in tutte le parti della superficie fece sentire un romore ora più
(1) Al quale dobbiamo una eccellente descrizione delle isole Lipari. Deodat de Dolomieu voyage aux isles de Lipari fait en 1781 Paris 1783.
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forte ora più debole, secondo che la terra era più grossa o più sottile.
Gli abitanti vedendo però, che questa crosta di terra è capace di portare il peso delle montagne, confidano con ragione nella solidità di questa immensa volta. Battendo anche con tutta la forza sulle pareti delle montagne, non mai si sentirà il minimo strepito.
L’isola Salini ha 3 montagne che fra di loro formano un triangolo; due si uniscono ai piedi, la terza al contrario n’è un poco stante, di modo che fra essa e le due altre si estende una valle per tutta l’isola, e trovandosi alcuno in mare alla parte del Sud, gli pare di vedere questa isola divisa in due, l’una diversa dall’altra. Da ciò ha preso me di DYDYMA (isola de’ gemelli). Tutte le tre montagne sono Vulcani estinti.
Le due montagne che si avvicinano giacciono nella direzione dal nord al sud, si dividono verso la metà dell’altezza, e ciascuna prende la figura conica. La punta meridionale forma la montagna più alta delle isole Lipari. Il suo cratere non è difficile ad essere ravvisato, egli è 30 piedi profondo, ed ha 300 passi di circuito; il margine forma una
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piccola collina. È nella stessa guisa si può ravvisare il cratere dell’altra punta più bassa. Sulla parte orientale trovansi de’ precipizi rapidi di lava nera, bigia, dura e compatta. Dolomieu vi scoprì ancora de’ torrenti di lava ch’erano giunti fino al piede della montagna, ove avevano innalzato la valle particolarmente nel mezzo; per questi torrenti di lava formali come scalinate si può discendere fino alla sponda del mare. Alcuni di questi torrenti hanno un’altezza considerabile; la lava rassomiglia al porfido, poiché è dura com’esso, si pulisce nello stesso modo, e probabilmente altro non è che porfido disciolto. Le montagne sono composte di pezzi di scoria e di cenere, ma poco legate fra loro. Esse dunque devono essere state necessariamente accese, e la loro altezza dimostra quanto siano state considerabili le eruzioni. Intanto nulla si è conservato per tradizione su questo particolare. Non troviamo alcuno scrittore storico, alcun poeta o geografo, che faccia menzione di una eruzione accaduta su questa isola; né abbiamo verun indizio di un incendio recente.
L’isola Panaria forma una parte di un cratere immenso. Esso consiste in un giogo di
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montagne a semicircolo, il di cui lato esteriore va perdendosi dolcemente fino alla spiaggia del mare, mentre l’interno al contrario discende rapidamente. Il suolo è composto di scorie e di lava.
I vulcani su Stromboli sono ancora in piena attività, ed è difficile di leggere la bella descrizione di queste isole, fatta dal summentovato Dolomieu, senza essere convinto che tutte siano figlie di Vulcano.
Anche le isole Ischia, Procida e Nisida poco distanti da Napoli, sono state innalzate dal fuoco come quelle di Lipari.
Gli antichi credevano che l’Isola Procida abbia una volta confinato con quella di Ischia, e che da essa sia stata divisa per mezzo di un tremuoto. Il suolo contiene lava, tufo e cenere miste con altre materie secche e molli.
Ischia(1), detta dagli antichi Aenaria ovvero Inarime, è stata sempre rinomata a cagione delle sorgenti bollenti, calde e fredde, la di cui acqua è pregna di ogni specie
(1) Ved. Bernoulli collezione della descrizione di piccoli viaggi I. tomo.
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di minerale. Il suolo è come quello di Napoli, ed in alcuni luoghi la sabbia sotto acqua è di un calore ardente. Sulla parte orientale dell’isola, verso Procida, giace la città d’Ischia. Da questa città verso la sponda Occidentale del mare è coperta la strada di una lava, che nel 1302 proruppe da una collina distante una lega circa dalla sponda del mare, e rese inservibile questo luogo dell’isola, che quasi vi formava una valle. Questa striscia, dagli abitanti chiamata Cremata, è al presente così nera e priva di ogni vegetazione, come lo fu al momento dell’eruzione. La parte superiore della lava è spongosa, ma l’interna è più dura. Generalmente è composta di grandi masse secondarie, rappresentanti colline e valli, in modo che è difficile comprendere come mai questa massa abbia potuto essere fluida. Alcune di queste masse sono lunghe più di 200 piedi, e la montagna di s. Nicola (presso gli antichi Epomeus) è composta intieramente di lava(1).
(1) Secondo Lucano vi regnavano ne’ tempi passati de’ vapori preziosi, Lib. V. 100
Campania fremens seu saxa vaporat
Conditus Inarimes aeterna mole Typhocus.
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La piaggia dell’isola è assai variabile, o per lo più composta di rocce, che precipitarono dalle montagne, o che da Vulcani vi furono gettate, in guisa che anche nel mare, in maggiore o minore distanza, nacquero de’ promontori, fra i quali si trovano molti piccoli seni di mare, che dagli abitanti sono chiamati MARINE. Questi promontori e queste marine aumentano la circonferenza dell’isola, la quale è poco più di 3 miglia geografiche.
Più vicino alla terra ferma giace la piccola isola di Nisida, la quale, come si dice, rende annualmente al re di Napoli 8000 ducati. Essa forma il cono di un Vulcano perpendicolarmente tagliato e vuoto. Una parte di essa pare essere stata annientata da un tremuoto; l’altra verso il mezzo giorno forma un porto chiamato porto Pavone.
Le Antille e le Caraibi, le quali dalla corrente impetuosa dell’Oceano, che quivi si osserva dappertutto, e particolarmente in temро di burrasca, possono essere formate in quella parte del mondo, ed avere ricevuto la forma attuale dalle dette correnti(1), debbono
(1) Ved. Geografia fisica Vol. I. pag. 238 e nel presente volume le Indie occidentali sotto la descrizione dell’America.
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ciò non ostante la loro figura presente al fuoco, ed una parte, (benché sia anche possibile che queste isole siano un tristo avanzo di una terra sprofondata) probabilmente dopo la grande rivoluzione si è innalzata sulla superficie del mare.
Sono numerosi i Vulcani su queste isole, e frequenti e terribili i tremuoti. La sola isola di Dominica rinchiude un numero intero di Vulcani. Quasi nel centro di essa trovasi, sulla cima di una montagna alta, la quale però è circondata da più alte ancora, un lago di acqua dolce sufficientemente grande, la cui profondità in diversi luoghi non ha potuto essere finora riconosciuta. Questo lago occupa una estensione di molti iugeri, si estende in tre diverse direzioni(1). Io sono sicuro che una ricerca più esatta ce lo farà conoscere per cratere sprofondato, e le montagne alte che la circondano, quali materie deposte dalle eruzioni di questa MONTAGNA SPROFONDATA. Così abbiamo trovato
(1) Notizia di alcune cose rimarchevoli della natura intorno all’isola di Dominica dalla storia di Atwood nel Magazzino di Voigt. Vol. VIII. 3 quint. pag. 30. ec.
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le montagne più alte di 3700 piedi sull’isola di s. Cristoforo di origine vulcanica, e quasi nel loro centro una montagna di un cratere immenso il quale discende presso a poco verticalmente fino alla profondità di 8000 piedi. Il suolo di questo cratere è affatto piano, e la sua estensione è calcolata 50 iugeri, de’ quali 7 sono occupati da un laghetto, e gli altri quasi tutti sono coperti di erbaggi(1).
Le isole Madera, l’Ascensione e s. Elena non possono aver ricevuto la loro esistenza, o almeno la loro forma attuale, che per l’effetto di un Vulcano sotterraneo.
Madera forma una grande montagna, che da tutti i lati del mare s’innalza verso il centro dell’isola, ove finisce in una punta. Il suolo è misto assai di tritume di tufo, e fra i minerali trovansi molte specie di lava. L’Ascensione è coperta di avanzi e di frammenti della più grande distruzione; la superficie è coperta di cenere nera sabbiosa in
(1) Supplimento alla storia naturale delle isole de’ Caraibi nel Magazzino di Voigt. Vol. 9, quint. 4. pag. 61.
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guisa di scorie, e di quando in quando anche di una terra di ocra bruna, giallastra, ed è interrotta da innumerabili collinette alte di 10 in 20 piedi, le quali altro non sono che scorie difformi, rozze e metalliche, oppure pietre bruciate e traforate, insomma esse sono lave di diverse specie, e la montagna principale consiste in un tufo calcare, misto di sabbia e di marna; finisce dappertutto in punte acute singolarmente formate, e in iscogli prominenti di lava; la parte più ruvida è particolarmente verso la spiaggia del mare.
Contemplando Sant’Elena, dalla rada offre un aspetto ancora più terribile dell’antecedente: la montagna che su d’essa si scopre è composta di alte masse di lava, e di scoria nera e traforata, la quale talvolta è vitrosa. Tutto in somma fa vedere una totale rivoluzione dell’isola, ed una esplosione violenta per mezzo di vulcani e di tremuoti, che probabilmente hanno seppellito sotto le onde del mare una gran parte di questa isola.
Le isole Mascarene, BOURBON E L’ISOLA DI FRANCIA, sulla parte orientale di Madagascar, sono formate interamente di materie vulcaniche, di torrenti di lava, di basalti,
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di zoolite, di materie vitrose, di breccie ec. Sull’isola Bourbon il vulcano Salazfo è ancora sempre terribile. La corrente di lava che ne sortì nel 1793 alla fine di maggio, corse lungo la montagna, e si estese fino ad una mezza lega di Francia. Avvicinandosi questa corrente al mare si divise in due braccia, delle quali la più forte era larga 100 passi, l’altra 50; la prima, come ordinariamente accade, avvicinandosi al mare si estese coprendo il suolo per 300 passi, e si avanzò 50 passi dentro il mare, ove nella medesima estensione si alzò per più tese sopra il livello dell’acqua. La larghezza media di questa corrente era di 700 tese, la grossezza 4, e la lunghezza 2800, e la massa totale 7840000 tese cubiche; dal che si роtrebbe formare un globo di 216 tese di diametro, ovvero due montagne, delle quali ciascuna avrebbe 600 piedi di altezza, 3845 piedi di circuito; dunque quasi un miglio geografico di periferia. Li quattro di luglio si fece sentire un piccolo tremuoto, che nella vicinanza della montagna era meno sensibile; li 17 s’innalzò un vapore nero denso che oscurò il cielo; e fra la montagua ed il fumo nacque un vivo splendore. Verso
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sera la montagna fu involta da questo fumo, od il giorno susseguente, nella distanza di 2 miglia e più dal cratere, si trovarono de’ filetti di vetro attaccati alle foglie degli alberi, ed estesi sopra l’erba e la terra; un pezzo della montagna, nella distanza di 600 tese dal cratere, si era sprofondata, e vi restò invece una specie di cratere che ancora fumava. In alcuni siti comparse la lava senza estendersi. Sulla montagna si scoprì una spaccatura larga due fino a tre piedi(1). I fili di vetro erano forse le ultime gocce di lava, che nella eruzione di maggio si erano attaccate nella volta interna della montagna, e che quivi avevano formato de’ fili lunghi come il vetro fuso, o come la cera di Spagna. Indi i vapori elastici li avevano gettati fuori e sparsi intorno sulla montagna. L’insieme dava una buona rappresentazione della prima formazione dell’isola.
Quasi tutte le isole del mare delle Indie, incominciando dall’Affrica fino al Giappone,
(1) Hubert sopra le materie vulcaniche dell’isola Bourbon nell’Espr. de journ. Aug. 1793 e tradotto nel Magaz. di Voigt. Vol. 9. quint. 3. pag. 40-50.
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possiamo chiamarle Vulcaniche. I Vulcani che ancora al presente imperversano in quei contorni sono i più violenti e i più potenti sopra tutto il globo, e paiono riposare sopra una volta immensa di un comune focolare.
Supponendo che il maggior numero delle isole della Sonda, le Molucche, e le maggiori fra le Filippine, alla prima eruzione di questo incendio sotterraneo sia stato innalzato dal fondo del mare, o tutto a un tratto, o da molti colpi immediatamente ripetuti uno dopo l’altro, allora una massa di acqua che sormonta qualunque immaginazione, doveva essere spinta contra la terra ferma, e cagionarvi le inondazioni più terribili; ed in fatti la terra ferma che giace nella vicinanza delle summentovate isole, ha tutto l’aspetto di aver preso la figura da uno sforzo tale dell’acqua(1).
Fra le MOLUCCHE quella di Ternate ha un grande Vulcano, che particolarmente in aprile e settembre getta vapori, fiamme e lava, e cagiona non rare volte tremuoti; egualmente sono piene di Vulcani le maggiori
(1) Ved. I. vol. pag. 239.
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e le più grandi delle Filippine, che formano uno degli arcipelaghi considerabili, il quale si estende in lunghezza più di 300 miglia marittime dal nord al sud, ed in larghezza per 190 di queste miglia, e comprende 15 isole grandi, ed un numero considerabile di piccole. Fra i Vulcani di queste isole se ne contano tre assai grandi, pieni di innumerabili sorgenti calde e bollenti. Queste, e le fiamme che di quando in quando con veemenza e con istrepito prorompono gl’immensi abissi e cadute di terra; i fossi di zolfo che su Mindanao in un antico Vulcano paiono inesauribili; le marche più chiare di una violenta rivoluzione di fuoco, i continui colpi e tremuoti che di tanto in tanto con grande violenza si ripetono; tutto questo, dico, non ci permette di dubitare un istante dell’origine Vulcanica di queste isole.
Le isole del GIAPPONE(1) dimostrano la loro origine per mezzo della formazione, per le montagne che tutte sono a Pico, e
(1) Kaempser viaggio verso il Giappone, tom. I, cap. 8 nella descrizione della China da Du Halde t. 4, traduzione tedesca p. 116-126.
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che in parte gettano ancora del fuoco regolare, o fumano, oppure hanno crateri; poi per la moltitudine delle sorgenti, e de’ bagni caldi e bollenti, e pe’ prodotti, fra i quali osservasi particolarmete il solfo, il cinabro, ed il carbon fossile. Oltre di ciò, eccettuate alcune piccole isole, sono esposte tutte a frequenti e terribili tremuoti.
Lo stesso possiamo dire delle KURILI. Quasi ognuna di queste isole ha un Vulcano più o meno impetuoso che fuma, o che periodicamente getta fuoco o pietre roventi, o almeno il segno di una montagna anticamente accesa; vi si trovano sorgenti di solfo, bagni bollenti, e di quando in quando si sentono scosse di tremuoti(1).
Non poche delle isole del mare del sud sono nate nello stesso modo. La TERRA DEL FUOCO, ove i vulcani sono ancora in piena attività; l’isola degli Stati, e la Georgia meridionale, lunga 80 miglia marittime circa (=240); poi Tanna ed Amorrym fra le
(1) Supplimenti del Nord da Pallas, il I. II. e particolarmente il IV. tomo p. 112. Georgi Russia. Lipsia, vol. II. p. 350 seq. 1783.
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nuove Ebridi, che hanno Vulcani e sorgenti bollenti, come ancora l’isola TOFUA fra le isole degli Amici, ed oltre a queste Macatea, Otaiti, Huaheine, Rajetea, Taha, Bolabola, Maurua, Waitahu, ovvero S. Cristiana, come gli Spagnuoli la chiamano, ed altre ancora fra le Marchesas, indicano non solamente i cangiamenti violenti seguiti per mezzo di fuochi ardentissimi, ma pure fanno conoscere l’origine avuta dal fuoco.
Le traccie delle scosse e rivoluzioni, che per lo passato sulle isole del mare Pacifico hanno prodotto tremuoti e Vulcani, sono presentemente coperte da una vivissima vegetazione, e si trovano in uno florido, e richiedesi un occhio pratico dell’osservatore per scoprire gli avanzi di un antico incendio sotto lo strato fruttifero, che pompeggia di tante specie del regno vegetabile. Intanto le punte vuote delle montagne a Pico, come a Maitea, Bolabola, Maurua, le rocce innalzate a foggia di ruine su Te-Arabu (piccola penisola su Taiti), le lave e li prodotti neri traforati delle montagne su Tobreonu (la penisola maggiore di Tajti), come ancora al presente i tremuoti che sovente si annunciano, ed i vulcani
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che di tanto in tanto s’infiammano sulle isole Marchesas, non lasciano alcun dubbio sulla loro nascita.
L’unica cosa che opporre si potrebbe a quest’ipotesi sarebbe, che non tutti gli arcipelaghi, almeno non i maggiori, non tutte le isole originarie, e come Hiera, ovvero Santorini, Vulcanello ec. siano nate a forza d’innalzamento del fondo del mare alla superficie, ma che siano piuttosto avanzi antichi di grandi striscie di terra, che a cagione di tremuoti, o di altre rivoluzioni abbiano trovato il loro sepolcro nel mare. Una tale tradizione religiosa regna fra gli abitanti delle isole della Società(1). L’isole Ascensione
(1) Essi dicono, che il loro Dio e creatore dell’isole O-Mauve, abbia strascinato una gran terra a traverso l’Oceano dall’Ovest all’Est, dalla quale durante questo movimento violento, alcuni pezzi si siano staccati a restati a giacere come isole; ma che la gran terra però si trovi effettivamente verso l’Oriente. Sarebbe difficile il sospettare in questo racconto favoloso la memoria oscura di un veemente tremuoto, che aiutato dalle onde, abbia distrutta la terra ferma, l’abitazione de’ loro padri in modo, che le isole le quali presentemente vi sussistono debbano essere considerate quali avanzi di un rovescio generale. Vedi le osservazioni di Forster sul suo viaggio ec. p. 127-134.
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e S. Elena hanno l’aspetto degli avanzi o delle rovine di una gran terra, e forse sono le punte estreme di un continente sommerso, il quale si estese da un’isola all’altra.
L’isola di Pasqua, ovvero Alarlos, dagli abitanti chiamata Woihu, contiene egualmente tanto indizi di distruzione per mezzo del fuoco, quanto di formazione per mezzo di esso. Tutte le rocce e pietre sono nere, bucate e bruciate, ed altre non sono che scorie metalliche.
Le pietre nere della natura del vetro, conosciute sotto il nome di agate vitrose dell’Islanda, giacciono quivi in grande quantità sulla superficie. Il suolo in vece della terra vegetabile è parcamente coperto di un ocrio giallo oscuro, e benché la periferia di quest’isola possa montare a 5 miglia geografiche, produce appena 20 specie diverse di piante, e queste sono ancora assai scarse. Ciò potrebbe indicare distruzioni moderne per mezzo del fuoco; ma ROGGEWEIN, che scopri quest’isola intorno al 1722 vi trovò le statue colossali come le viddero egualmente Forster, la Perouse ec.; esse sono scolpite di tufo spungoso, che ha sofferto pel fuoco, ed indubitatamente l’opera di tempi rimoti. Pare
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dunque essere chiaro, che lo stato presente dell’isola sia stato il medesimo, alloraquando Roggewein la scoprì, e che i segni evidenti i quali su di essa si veggono, nascano da un antico vulcano che per lo passato cangiò tutta l’isola in un mucchio di pietre.
Le isole summentovate non sono le uniche, le quali in tal modo presero origine, cioè che furono innalzate dal fondo del mare per mezzo del fuoco; ma esse sono molto a proposito per darci un’idea del modo onde si forma la natura, e per documentare la verità del medesimo.
Può servirci ancora di esempio il fenomeno accaduto addì 16 agosto 1803. Nel lago di Clavetz, distante un mezzo miglio geografico da Ploen nell’Holstein, si scoprì nel mezzo, e precisamente ove è più profondo, una montagna alta 20 piedi sopra il livello dell’acqua. La parte sopra l’acqua non era molto grande, ma era tanto più estesa la parte sott’acqua. La terra della montagna è della natura della torba, e coperta di una crosta bianca eguale alla cenere. Nessuno si era accorto, che il lago fosse stato prima agitato, poiché addì 15 del detto mese si navigava ancora sopra di esso.
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Le isole NETTUNICHE sono innalzate dall’acqua stessa, o fabbricate dalle creature del mare.
Riguardo alle isole formate immediatamente dall’acqua, ne troviamo frequenti ed infallibili esempi ne’ fiumi e laghi. I fiumi più che essi si avvicinano alla loro imboccatura più lentamente corrono, poiché in lontananza dalla sorgente diminuisce la celerità della caduta; più piani che essi corrono, più facilmente ed in maggior quantità depongono sabbia e melma ed alberi, e tutto ciò che conducono seco. Tutti dunque giungendo in quel luogo ove sboccano nel mare, vi formano senza eccezione una quantità di isole, e moltiplicano per ciò le loro imboccature. Gli esempi più cogniti si trovano ne’ siti bassi della Vistola, presso Marienburg e Danzica, nelle isole alle foci del Reno della Mosa, del Danubio, del Po; nel Delta del Nilo, dell’Indo, del Gange, del Senegal, del fiume Amazone ec.(1).
Il medesimo fenomeno osserviamo però
(1) Strab. geogr. lib. XV. ex recens. et cum comm. Causaub, exc. ab Eustath. Vignon 1587, p. 475. lin. 33-53.
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anche in alto mare. Anche quivi sono correnti, che radunano la deposizione del mare, e ne formano maggiori o minori banchi di sabbia ed isole. Il Frische Haff, ed il Curische Haff, due lingue di terra formate dal mare Baltico, benché siano penisole strette possono confermare quest’operazione della natura e spiegarcela . Esempi più grandi e più frequenti di tali isole Nettuniche ci offre l’America settentrionale, ove, particolarmente nella direzione di Terra Nuova fino all’isola Long, si trova una quantità innumerabile di montagne di sabbia abitate e disabitate, piccole e grandi, che parte sono coperte dall’acqua, e parte innalzate sopra di essa.
La più conosciuta fra esse è forse NANTUKEL, distante 80 miglia marittime (20 ne formano un grado) da Boston, sotto il 41° 10' di latitudine settentrionale; essa è la cima troncata di una montagna di sabbia disuguale, ed un poco irregolare, ha molto prominenze e penisole, che per diverse ramificazioni si estendono nel mare; sopra di essa non si trovano né pietre né legno né prati né terra lavorata; in alcuni siti crescono naturalmente l’acetosa, qualche erba,
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pochi arboscelli, piccoli e cattivi ceppi di quercie, e l’alga ne’ luoghi che declinano; e senza l’aiuto di una grande quantità di letame che quivi si conduce dalla terra ferma, pochissimi siti possono essere coltivati. Il miglior tesoro degli abitanti sta nelle paludi, che loro forniscono la torba per bruciare, ed in 14 laghi riccamente forniti di pesci e di salvatico notatile. Malgrado di tutto ciò vivono su quest’isola, di 23000 iugeri di estensione, due diverse nazioni, cioè gli abitanti propri, i quali però si vanno sempre più diminuendo, ed i Quaqueri, in tutto 5000 anime, e vi ha una città chiamata Scherbon di 530 case; e siccome la maggior parte degli abitanti si occupa della pesca, 2000 di essi sono impiegati in qualità di marinari, altri si occupano egualmente dell’agricoltura e della coltura de’ giardini, e gli abitanti tengono presentemente 15000 pecore, 500 vacche e 200 cavalli. I primi 27 Quaqueri che nel 1671 ricevettero questo banco di sabbia dalla Provincia della nuova York, sulla quale però abitavano pescatori selvaggi, incominciarono il loro traffico con una sola barca da pescatore, colla quale andarono a pescare il baccalà; nel 1769 questi Quaqueri
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armarono 125 bastimenti per la pesca della balena, de’ quali i primi 50 portarono a casa 11000 barili di olio di pesce, e nel 1770 avevano in mare 197 bastimenti, l’equipaggio de’ quali montava a 2158 uomini. Presentemente è dessa per l’America settentrionale il deposito principale di olio di pesce, di ossa di balena e di spermacete. Vi si trovano pescatori che hanno il valsente di 20000 lire sterline. L’isola ha l’aspetto d’ingrandirsi, poiché fra le penisole, le lingue di terra, ed i giri tortuosi di essa si arresta sempre più la sabbia e la melma. Così avvi una lingua di terra nel Nord, ove nella primavera cresce un poco di erba che ai cavalli serve di pascolo; nell’ovest confina con una piccola isola di sabbia, TACKANOCK, sulla quale sono alcuni arboscelli di querce, e due laghi di acqua fresca; quivi gli abitanti di Nantucket conducono tutto il loro bestiame in tempo di primavera al pascolo. Verso il mezzo giorno è circondato di una quantità di Dune e banchi di sabbia, i quali sono pieni di conchiglie assai nutritive. Molti siti di quest’isola in tempo del flusso sono coperti di acqua, che ritirandosi arrestasi dietro dighe, e procura agli abitanti de’ laghi salati pieni
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di pesci; ed in certe stagioni gli abitanti rompono una parte di queste dighe, e lasciando scolare l’acqua prendono una quantità di pesci. L’estate vi è piacevole, poiché un continuo vento di mare modera il calore. L’inverno è ruvido, ed il vento Nord ovest, il quale in que’ contorni è assai incomodo, soffia con doppia forza su quest’isola aperta. Per mezzo delle Dune nel sud comunica colle sei isole di Elisabetta, cognite tutte per la cura eccellente del bestiame. Queste isole con MARTHAS WEINBERG (vigna di Marta), altr’isola di sabbia situata 9 miglia distante da esse verso il sud ovest, e 9 miglia dalla terra ferma, formano una contea particolare chiamata DUKES COUNTY (contea del Duca) della baia di MASSACHUSET. MARTHAS WEINBERG è lunga 20 miglia marittime e 7 in 8 larga, ha 4000 abitanti, fra i quali 300 americani, discendenti dagli antichi selvaggi. Essa ha 3 Città Edgar, Chilmark e Tisbury. Gli abitanti di Edgar della città principale, poiché il loro terreno è infruttifero, si occupano unicamente della pesca.
Il distretto di Chilmark ha buon pascolo, e pietre per cingere i campi lavorati.
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Quello di Tisbury ha legno da costruzione. L’isola ha 20000 pecore, 2000 pezzi di bestiame a corno, ed oltre a ciò cavalli e capre. Pare che la popolazione e la coltura di tutte queste isole non possa montare più alto; annualmente vi accadono molte emigrazioni, e quasi tutta la costa lungo l’America settentrionale prende i suoi marinari e piloti fra gli abitanti di esse(1).
Una grande penisola formata indubitatamente dal giuoco delle onde del mare è JUCATAN. Essa contando dalla terra ferma si avanza 100 miglia marittime dentro mare nella maggior larghezza importa più di 25 di dette miglia, e rappresenta una pianura, sulla quale da per tutto si trova dell’acqua, bastando cavare dentro terra; ma non vi si trova fiume né acqua corrente, sebbene precisamente nell’America s’incontrino le correnti più grandi. È dunque sicuro, ch’essa è una penisola nettunica innalzata dal mare stesso, che continuamente corrode le coste
(1) Una descrizione interessante di queste isole trovasi nelle Beytraege zur Völker und Laenderkunde di Sprengel tom. 3 p. 89-132.
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delle isole circonvicine, e vi depone e sabbia e melma. Forse è nata alloraquando si affondò una terra grande, che una volta univa tutte le antille in un continente.
Una simile origine pare anche aver avuto la penisola di GOA; il suolo di essa è composto di sabbia, di gusci di ostriche e di conchiglie e di altri rifiuti del mare, ed è coperta di uno strato sottile di terra vegetabile. JUUN DE BARROS portoghese, nella sua storia delle Indie orientali deduce la sua origine da quella terra, che le pioggie de’ temporali sulle montagne di Gates sulla costa occidentale di Decan conducono verso il mare. Nello stesso modo spiega egli la nascita della maggior parte delle Molucche. È vero che su tutte le ISOLE BASSE DELLE MOLUCCHE la terra vegetabile forma uno strato poco considerabile, sotto il quale trovasi immediatamente un vero fondo del mare, cioè banchi di sabbia pieni di litofiti e conchiglie; quindi gli alberi vi radicano benissimo, ma poco riescono e poco conservano l’aspetto di freschezza.
Lo stesso potremmo applicare alle isole più basse delle FILIPPINE. Molte di esse, appena levata la terra vegetabile, null’altro rappresentano
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che una deposizione dell’acqua, gli strati di conchiglie sotto la prima terra vi sono quasi infiniti, e si potrebbe trarre di qua tutta la calce pell’uso delle intere Indie orientali. Quello che l’acqua porta via da una parte deve necessariamente deporre in un’altra, ed un tal deponimento può accadere più facilmente intorno alle isole alle, che in qualunque altro luogo ove il mare è tranquillo.
L’isola di Natale nel mare del sud, poco distante dall’isola Pasqua e da quella di Epifania, appartiene ancora a questa specie di isole. Il tutto di esso è composto banco di sabbia pieno di litofiti rotti, di conchiglie e di altri prodotti del mare, posti in solchi lunghi e stretti in direzione paralella colla corrente dominante del mare. Gli escrementi degli uccelli e le erbe infracidite hanno ammigliorato il suolo in molti luoghi, e particolarmente sulle coste ove la terra è nera e sottile.
Le isole galleggianti che in alcuni laghi si veggono, debbono essere accennate quali prodotti Nettunici. Esse oltre di ciò spiegano il processo della natura riguardo alla costruzione di tali isole; poiché sovente queste isole
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le galleggianti diventano la base di isole solide. Esse sono composte di radici di canne e di erbe intralciate fra loro, in mezzo alle quali si è posta la terra, ove poi nasce la torba, per lo che in appresso servono di pascolo al bestiame: più di rado sono coperte di alberi. Non esiste alcuna di queste isole ne’ tempi moderni, sulla quale siano erette fabbriche; ordinariamente non s’innalzano più di un piede sopra l’acqua, lo che possiamo riguardare come la decima parte della totale grossezza. Siccome sono un giuoco del vento, così la loro durata è assai passaggiera: non solamente vengono da esso spezzate, ma per mezzo dello strofinamento nell’acqua, sono distrutte nella base, mentre l’acqua leva via la terra; indi si dividono e si attaccano in diversi pezzetti alla sponda, d’onde in occasione d’inondazioni più volte hanno avuto l’origine. Almeno si vede più facilmente questo fenomeno ne’ luoghi bassi e paludosi, e forse per la ragione, che l’acqua corrode le radici delle canne già fracide, e le distacca colla terra che vi sta d’intorno. Sopra tutto si è trovato sempre una buona prateria. I tedeschi chiamano queste isole PONTI NUOTANTI, e questo nome converrebbe
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a tutte, eccettuata la più antica, cioè l’isola Chemnis in Egitto, della quale Erodoto fa menzione. «A Butus città nel basso Egitto, fra le cose che non tanto facilmente cadono sott’occhio(1) fummi più maravigliosa l’isola Chemnis sopra un lago largo e profondo, poiché gli Egiziani sostengono che essa galleggi. Io per dire il vero non l’ho veduta né galleggiare né muoversi, ma in caso che essa galleggi, la tengo per una cosa assai straordinaria, mentre sopra di essa si è eretto un tempio grande di Apollo, e tre diversi altari, e vi crescono sopra alberi di palma, altri che portano frutti, ed altri che non ne portano». Che Erodoto visitando quest’isola non l’abbia veduta galleggiare, ciò non può contraddire l’asserzione uniforme degli abitanti, poiché non ne segue, che un’isola sia affatto immobile se qualche volta non si muove. Forse il costruirvi sopra un tempio è stata la causa per cui si è arrestata; quello però che pare
(1) Herodot. II. 156 τὢν δἑ δευτερὢν, in opposizione di τὢν μεν Εανερὢν, al che conta un tempio a bella posta costruito.
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eccettuarla dal numero delle altre isole di questo genere è, che gli Egiziani volevano averla conosciuta in principio come immobile, e che riguardavano il galleggiare di essa come un accidente arrivato più tardi; in oltre è da osservarsi che il maggior numero delle altre isole simili finiscono rompendosi, quasi come un vascello arenato. Supponendo poi che in principio sia stata immobile, e che in appresso si sia distaccata dal suolo a cagione dell’acqua che corrodeva il di lei fondo sotto, ciò serve precisamente di esempio per sostenere, che essa stessa è stata formata dalla posatura, e dal precipitato dell’acqua.
Teofrasto assicura(1), che sopra i laghi dell’Egitto si trovino diverse isole galleggianti di grandezza considerabile, le quali servano di pascolo ai porci, che gli abitanti vi prendono in quantità, e che anche nel lago orcomeno nella Beozia galleggiano isole di diversa grandezza, una delle quali abbia quasi 3 stadi di circonferenza. Dionisio di
(1) Histor. plantar. IV, 13.
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Alicarnasso racconta(1), che sul lago Sacro presso la città Eutilia, poco distante da Reate (sul lago Contigliano sul territorio di Rieti dello stato Ecclesiastico), una piccola isola di 50 piedi circa di diametro, alzata un piede sopra l’acqua, e coperta di canne, di giunchi e di spine, abbia galleggiato ne’ tempi antichi, e che il vento l’abbia spinta in qualunque direzione. Questa cosa, aggiunge egli, che non è miracolosa, deve essere però incomprensibile a quelli che non osservano gli effetti della natura. Ci sarebbe stato più caro, se Dionisio avesse detto di averla veduto egli medesimo, e che sussisteva ancora ai tempi suoi. Al contrario egli non accenna quello che sarebbe stato per noi l’oggetto più interessante, come Macrobio che egualmente parla di quest’isola(2). Seneca intanto
(1) Dionys. Halic. I, c. 15. 19 ed. Reiski pag. 41. 50. 51 δαυμάτον ουδενος δεύτερον.
(2) Saturnal. 1. 7. nella seconda metà. Pelasgi in lacu Catytiensi enatam insulam deprehenderant: amplis simus enim cespes sive ille continens limus seu paludes fuit coacta. Compage, virgultis et arboribus in silvae licentiam comptus jactantibus per omnem fluctibus vagabatur etc.
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assicura di averla veduta egli stessa; e così servirebbe di esempio, che un’isola galleggiante siasi conservata per molti secoli, da’ tempi assai rimoti (cioè da’ tempi degli Aborigeni) fino a quello di Seneca. Essa aveva alberi ed arboscelli e diversi vegetabili; e non solamente il vento, ma pure un respiro di aria la muoveva ora in qua ed ora in là. Egli nomina ancora due altre di tali isole, dicendo esser molto conosciuto che galleggino, cioè una nel lago di Vadimone (ora lago di Bressanello), l’altra nel lago Statonico (lago mezzano nel Ducato di Castro). Egli dice espressamente che siano composte da rami fracidi, di messiticci di belletta e di melma, e quelle della Lidia al contrario della pietra pomice(1).
(1) Nat. quaest. III. 25. Sunt multi punicosi et leves lapides , ex quibus , quae constant insulae, in Lydia naa tant. Ipse ad Cutilias natantem insulam vidi. Alia in Vudimonis lacu vehitur, alia in lacu Statoniensi. Cutiliarum insula et arbores habet, et herbas nutrit, tamen aqua sustinetur, et in hanc atque illam partem non tantum vento impellitur, sed et aura. Nec unquam illi per diem et noctem in uno loco statio est, adeo movetur levi flatu. L.
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Tutte queste isole, ed ancora molte altre nomina Plinio il maggiore(1), anzi egli chiama saltanti le isole Lidiche nel lago di Calamina, e le rende tanto movibili da poterle spingere colle stanghe, per via di che nella guerra di Mitridate elle siano divenute un rifugio sicuro per molti cittadini.
Fra molte altre nel circondario di Gaeta e Modena (in agro Caecubo), ne osserva egli ancora particolarmente due nel lago presso Bolsena (in lacu Tarquinensi), ch’erano coperte di alberi come se vi fosse una selva, che dal vento furono mosse, e che ora prendevano una figura rotonda, ed ora un’altra triangolare.
Pare che Plinio difficilmente siasi sbagliato nel fare una descrizione di tali isole, poiché poteva giornalmente visitarle da Roma:
(1) Plin. histor. nat. II. 95. In Lydia insulae, quae vocantur Calaminae, non ventis solum, sed etiam contis quo libeat impulsae, multorum civium Mitridatico bello salvo. Sunt et in Nympheo parvae, salt uares dictae, quoniam in symphoniue cantu ad istus modulantium pedum moventur. In Tarquinien si locu magno duge nemora cir. cumferuntur ec. lib. 16 cap. 36 med.
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egli dunque non avrà dato retta al semplice racconto, ma le avrà esaminate. Oggidì le due isole di questo lago, Bisentina e Martana, sono stabili; su ciascuna di esse è fabbricata una chiesa, e forse questo edificio è stato la causa della loro stabilità, poiché abbassandosi toccavano e si arrestavano. Il lago ha 35 miglia italiane di circonferenza(1).
Plinio il giovine conosceva diverse isole nel lago di Vadimone (lago di Bressanello), le quali ha veduto attaccarsi, ed ordinarsi in gruppi. Se quella isola di Seneca siasi divisa in più, come è probabile, oppure se accanto alla grande nacquero in appresso alcune piccole, non viene da lui accennato. La cosa gli parve assai maravigliosa, come apparisce dalla sua descrizione viva e piacevole. Tutte e isole erano coperte di canne, alte al pascolo, e frequentate sovente dal bestiame(2).
(1) Giov. G. Keyssler Neueste Reisen, nuova edi. zione Annover 1951 tom. I. pag. 415 la 46 lettera.
(2) Plin. Lib. VIII p. 20 ad quae noscenda iter ingredi, transmettere mare solemnus, ea sub oculis posita negligimus – Ipso carte nuper, quod nec audieram ante
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In oggi non se ne trovano più su detti laghi.
Gli antichi parlano ancora delle isole galleggianti nel mare, e la loro nascita sul mare spiegasi con tanta facilità, quanto quella delle isole su laghi. Un bastimento naufragato sopra un banco di sabbia o sopra un basso fondo qualunque, nel quale facilmente si arrestano alberi, giunco ed erba che nuotano intorno, può essere cagione che la sabbia e la melma vi si arrestino, e formino in appresso una isoletta posta sopra
nec videram, audivi pariter et vidi. Innatant in lacu insulae herbidae omnes, arundine et junco textae (alit tectae) quaeque alia foecundior palus, ipsaque illa extremitas lacus effert. Sua cuique figura ut modus: cunctis marge derasus, quia frequenter vel littori, vel sibi illisae terunt, terunturque. Par omnibus altitudo, par levitas: quippe in speciem carinae humili radice descendunt. Haec ab omnir latere perspicitur: eademque pariter, suspensa et mersa. Interdum discordantibus ventis digo runtur: nonnunquam destitutae tranquillitate singulae fluitant. Saepe minores majoribus, velut cymbulae onerariae adhaerescunt; saepe inter se majores minoresque quasi cursum certamenque desumunt. herbas sequuta , sic in illas insulas , ut in extremam ria pam procedere solere.
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un fondo debole, la quale ricevendo de gli urti dalle onde del mare si muoverà sembrerà galleggiare.
Sarebbe forse impossibile, che sul mare di Alga (tom. 2) nascendo sopra di essa la terra per mezzo di putrefazione, si formasse un isola galleggiante? Ed in fatti non è da considerarsi in certo modo questo mare di Alga come una tal isola?
Se gli antichi Aristotele, Strabone, Plinio, Pindaro, Callimaco, Virgilio, Ovidio ec. dicono che l’isola DELOS galleggiava colle sue montagne di rocce, pare che si siano sbagliati, e sarebbe stato meglio di riconoscerla per isola innalzata dal fondo del mare. Il galleggiare di quest’isola potrebbe piuttosto consistere in un certo vacillare uguale, cagionato dal tremuoto. Ed in ultimo non sarebbe tanto difficile, che quest’isola avesse un movimento indipendente dal tremuoto, basta che la maggior base di essa consistesse in pietre pomici. Non dobbiamo però, come i poeti, intendere un movimento assai sensibile.
Anche ne’ tempi medesimi non ci mancano esempi di isole notanti. Una delle più conosciute era il SCHWIMMBRUCH sopra un
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lago molto piacevole presso la città di Gerdauen nel circolo di Rastenburg nella Prussia orientale. Essa era composta di canne, di giunchi, di frasche assai sottili e di diverse radici intralciate fra loro, coperte di una terra molto fruttifera e grande, a segno che 100 capi di bestiame potevano pascolarvi. Di questa isola non si è fatto menzione prima del 1510; nel 1707 essa fu divisa in tre isole più piccole. Sulla maggiore durante l’estate pascolavano circa 30 capi di bestiame.
Ogni volta che l’isola era spinta verso la città, legavasi da’ possessori di que’ terreni ove si avvicinava, onde ingrandire le loro possessioni; e benché la burrasca la trasportasse via, ciò non ostante qualche pezzo restava attaccato al detto territorio, di modo che essa diventava sempre più piccola; nel 1755 aveva ancora 20 piedi quadrati di circonferenza. Ma siccome ciascheduno cercava di tirare ancora profitto da questo avanzo, fu quasi totalmente spezzata.
Nel così detto KOLK dell’estensione di 500 piedi quadrati, lago nato nel 1411 circa per mezzo di una caduta di terra poco
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distante da Jeker nel vescovato di Osnabruck, trovasi un’isola nuotante coperta di ontani, fra i quali se ne sono veduti dell’altezza di 15 piedi, e di 5 pollici di diametro. Quest’isola continuamente è spinta dal vento da una sponda all’altra.
Nelle parti basse del territorio di Padova e di Rovigo, nelle valli di Verona, nelle regioni basse di Ferrara, di Comacchio e di Ravenna, si veggono molte di tali isole notanti, come raccontano quali testimoni oculari il conte Girolamo Silvestri(1) e Geminiano Montanari(2) celebre naturalista de’ suoi tempi; questi parla ancora di altre isole, vedute egualmente da lui stesso nelle valli di Ribago e di Castellazzo.
Nel lago de’ bagni, ovvero solfatara, notano 16 piccole isole che dal vento sono cacciate ora su l’una ora sull’altra parte
(1) Nel suo trattato sopra le isole galleggianti ne’ tempi antichi e moderni e delle cagioni della loro nascita.
(2) Nella prima delle sue lettere del mare Adriatico 1684 inserite nella Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acqua.
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della sponda, e sono pienamente della stessa natura di quelle di Plinio sul lago di Vadimone, se altrimente vogliamo prestar fede al racconto sincero di Kegssler(1).
Sopra un piccolo lago presso s. Omer nella contea Artois(2), come sul lago Loch-Lomond nella Scozia(3) si sono dell’isole nuotanti. Queste però, secondo il viaggio di Garnett per l’alta Scozia, ed una parte degli Ebridi, (tom. I. 1802) si sono presentemente arrestate. Il lago è lungo 24 miglia, dunque quasi grande come l’intera provincia che può essere considerata come un recinto. In alcuni luoghi è profondo 100 tese e più. Verso il nord è stretto, ma verso il sud è largo 8 miglia circa, ed interrotto da molte isole, delle quali se ne contano 30 in tutto. Sulla montagna Ben Lomond alta
(1) Ved. Gior. Georg. Keyssler neueste Reisen. Nuova edizione aumentata, Annover 1751 tom. I. pag. 705. Lettera 54.
(2) Storia dell’accademia delle Scienze a Parigi p. 1700.
(3) Martiniere nel suo Dict. geog. Varenius in geog. generali lib. I. c. 18 prop. 14 rapportandosi sul Boxthium Seoticar. rerum scriptorem.
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di 3204 piedi, e situata sulla parte orientale, si scorge interamente questo lago con tutte le isole. Nel lago Loch Dochart in Pertshire avvi, secondo Garnett, ancora un’isola nuotante lunga di 51 piedi, larga 30, e grossa di 3 in 4. LOCH nella favella Scozzese significa LAGO; qualche volta però vuol dire anche seno di mare, come il seno LOCH-FYNE lungo 60 miglia e conosciuto per le aringhe, e LOCH SPINIE presso Elgin, sul quale si trattengono tanti cigni da poter oscurare l’aria quando incominciano a volare.
Le due isole nuotanti nella Svezia hanno ancora questo di particolare, che ora vanno sotto l’acqua, ed ora compariscono sulla superficie di essa.
Così l’isola nel lago Ralangen (nello Smaeland, nel dominio di Norra Vedbo, e particolarmente nella parrocchia di Marbeck) lunga 280 piedi e larga 220, giace ordinariamente 8 fino a 10 piedi sott’acqua. Nel 1696 in principio di ottobre s’innalzò e si abbassò dopo 14 giorni; nel 1712 nell’agosto s’innalzò e si riabbassò dopo 6 settimane. Nel 1719 nella notte dal 15 al 16 di ottobre fu di nuovo osservata sulla superficie, e ricadde tutt’ a un tratto addì 25 dello
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stesso mese. Nel 1923 montò addì 12 settembre, e restò fino addì 30. Nel 1726 stette sopra l’acqua dal 7 fino al 29 di settembre: nel 1733 dal 13 di agosto fino al 12 di settembre. Nel 1745 dal 5 di settembre fino al 9 di ottobre si contavano su di essa 19 tronchi o bastoni. Nel 1747 incominciando dalla fine di agosto resto 9 settimane sulla superficie. Essa era piena di tronchi freschi di quercie, di pini e di betulle, fra le quali stavano radici e pietre, tutte innalzate sopra l’acqua. La parte superiore della terra era composta di melma mista di sabbia, e più in fondo si trovava la terra tanto compatta, che appena si poteva bucarla coi pali. In alcuni siti la profondità arrivava a 12 fino a 18 piedi. L’isola pareva nuotare liberamente sulla superficie. Esaminandola con maggior attenzione si trovò, che da essa si prolungava una lingua di terra larga circa 40 piedi verso la terra ferma, la quale per così dire legava l’isola con essa(1).
(1) Ved. Ljungguist ne’ trattati Svedesi tom. 11 pag. 71.
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Quasi le medesime circostanze accadono con un’altra isola nel lago di Nimmern nella Ostgothia, dominio Kimla, parrocchia Oppleby. Questa di tempo in tempo è comparsa sulla superficie del lago, e fra le altre nel 1749 per 12 settimane di continuo nuotava liberameute in mezzo al lago. La lunghezza importava 150 piedi, la larghezza 50: da una parte era distante da una isola ferma per 70 piedi, e dall’altra ove era la terra ferma di 150. Essa era egualmente coperta di tronchi di pini e di radici di diverse grandezze; otto pietre giacenti sopra di essa pesavano in modo, che la maggiore appena poteva essere innalzata da un uomo. La terra nera di che era composta l’isola, la quale s’innalzava 8 piedi circa sulla superficie, s’induriva in guisa, che si poteva camminarvi sopra senza affondare, anzi nemmeno si redeva l’impronta de’ piedi, e solamente la quantità de’ gusci delle conchiglie rendevano incomodo il camminare. L’isola poi si affondò a poco a poco in maniera, che l’acqua la sorpassava di 10 fino a 12 piedi.
Le isole Nettuniche fabbricate dalle creature del mare, sono innalzate o da conchiglie, mentre il fondo è composto da un gran
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BANCO DI CONCHIGLIE, o da POLIPI CORALLI, madrepore.
Fra le prime possiamo contare molte delle Filippine, ed è probabile, che tutte le isole di sabbia abbiano per fondo un banco di conchiglie. Ne accennerò intanto una sola, che sotto molti riguardi è rimarchevole: cioè il banco di conchiglie presso il Senegal, di alcune miglia inglesi di diametro. Esso giace sulla parte meridionale del fiume accanto un braccio secondario, circa 12 miglia inglesi dall’imboccatura. Il banco è interamente composto di gusci d’ostriche, che formano uno strato di 8 fino a 10 piedi di altezza, che di sopra è coperto di una terra sabbiosa, ove crescono alberi grossi ed arboscelli. Del resto nel fiume stesso, e lungo l’intera costa del Senegal non si trova né anche una sola ostrica viva. All’imboccatura del Gambia però trovasi un gran banco di ostriche vive perloché l’opinione di Condamine, che fra i tropici non si trovino banchi di conchiglie, soffre grandi limitazioni(1).
(1) Ved. Sprengel. Beytrage zur Voelker und Laenderkunde tom. 3. pag. 141 ec.
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Abbiamo già fatto menzione della seconda specie delle isole Nettuniche, ovvero di quelle costruite dalle creature del mare, cioè dalle madrepore(1). Però, sarà necessario di aggiungere ancora alcune brevi annotazioni.
Il numero delle isole conosciute di questa specie è assai considerabile, perciò ne accenneremo solamente le maggiori. Probabilmente ne sussistono molte che non si conoscono, poiché essendo levate sopra l’acqua solamente qualche piede, non possono essere osservate da lontano; da questa regola poche fanno eccezione, sebbene ne sussistono alcune, sulle quali si sono osservati scogli di corallo dell’altezza di 200 fino a 300 piedi sopra il livello del mare; fenomeno assai ammirabile, poiché le madrepore non possono vivere sopra o fuori dell’acqua, ed appena si avvicinano allo stato più basso dell’acqua in tempo di riflusso si estendono lateralmente.
La vegetazione su queste isole è a diversi gradi. Sopra alcune è nel primo nascere, sopra altre è avanzata di molto, in guisa che gli uomini vi si moltiplicano,
(1) Geografia Fisica tom. I. pag. 124 e tom. II.
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e ne tirano da esse una parte della loro susistenza. Sulla parte orientale di Otaiti i viaggiatori antichi e moderni hanno trovato queste isole che si estendevano fino a 250 miglia marittime. Sulla parte occidentale sono più rare e per lo più disperse. Molte sono sempre abitate, altre visitate qualche volta a cagione della pesca, e della caccia degli uccelli e delle testuggini. Tutte sono coperte di uccelli chiamati fregate, di gabbiani e di rondini di mare.
Un banco solo coi suoi rami forma spesso un gruppo intero di piccole isole, mentre i punti più alti di esso passano sopra il livello dell’acqua in diversi luoghi, e spesso all’estremità del fabbricato; fra questi punti si trovano canali profondi, sopra i quali i palischermi e le barche facilmente passano. In fondo però tutta la fabbrica è unita, e così coll’andar del tempo le punte riempiendosi di terra possono unirsi e formare un’isola grande.
Sotto questo aspetto le isolette di Palmerston in numero di fino a 10 (sotto il 18°, 4, di latitudine meridionale e 165°, 10°, di longitudine) sono in certo modo da considerarsi come una sola isola.
Il tronco di corallo che unisce queste isolette si estende in diverse direzioni, come
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l’albero stende i suoi rami, e le punte più alte innalzate sopra l’acqua formano le isolette separate. Non solamente il fondo è formato da rocce di corallo, ma pure il suolo è composto di una sabbia grossa e bianca di corallo e di conchiglie, che in alcuni luoghi ammigliorato dalle piante putrefatte è diventato poi un terreno fertile. In distanza lungi dalla spiaggia, ed assicurata contro il mare burrascoso si trovano sull’isola alti scogli di corallo bucati, dell’istessa natura di quelli che formano l’ultimo margine del banco nell’acqua; ciò prova, che per lo passato il mare giunse fino a loro, benché presentemente si trovino in mezzo all’isola, e siano più alti del flusso maggiore che ivi accade. Tutte queste isole portano gli stessi alberi e le stesse piante, che si trovano nelle pianure delle isole montagnose di questo Oceano.
Le isole di Giorgio e di Palliser (delle quali la più orientale nominata Teaukea, giace sotto il 14°, 28, di latitudine meridionale 144°, 56', di longitudine occidentale), sono banchi di corallo pochissimo innalzati sopra il livello del mare, e malgrado che siano coperte di sabbia, di corallo, e di una terra sottile
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vegetabile, ciò non ostante sono fruttifere ed ornate di palme di cocco e di arboscelli. Egualmente vi si trovano alcune sorgenti di acqua che però non sono molto abbondanti. La maggior parte degli abitanti vive di pesca.
Il gruppo delle Isole Happai, ovvero le quattro isole maggiori Hoamo, Joa, Lefuga e Hulaewa, comprese diverse piccole, per mezzo di un banco di corallo formano un gruppo solo. Lefuga, l’isola maggiore fra esse, lunga 7 miglia inglesi circa, e 2 in 3 larga, per mezzo di un banco di corallo è congiunta all’isola Joa situata nell’est, distante mezzo miglio inglese. Questo in tempo di riflusso è secco, perciò gli abitanti se ne servono come di una diga o di un ponte naturale. Le sponde che per la maggior parte sono arenose, e sulle quali di quando in quando si scorge uno scoglio di corallo alto 6 in 7 piedi, s’innalzano più sulla parte orientale ove sono esposte ai Monsoni, che sull’occidentale ove questi venti non soffiano.
Le isole O Hivannui ovvero delle Catene, Jedhuora, Jupay, quella di Lord Howes, che appartengono alle isole della Società, sono egualmente di questa natura, come
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anche le nuove Ebridi, e la maggior parte di quelle degli amici, cioè le più basse.
Anche fra le isole alte di questo mare molte debbono la loro prima formazione a questi polipi, poiché sono composte di banchi di corallo, e forse sono state innalzate per mezzo del fuoco. La Uhwe ovvero Middelburg, una delle isole più alte fra quelle degli Amici, la di cui parte media è innalzata 200 fino a 300 piedi sopra il livello del mare, e coperta di alberi belli, è composta di corallo anche nella cima delle sue colline, e vi si veggono gli stessi buchi e le stesse disuguaglianze che si scorgono sulla sponda del mare; sulla sabbia di un giallo bianco che copre questa collina di corallo, trovasi una collina di terra rotonda e spianata sostenuta da un muro di rocce di corallo. In direzione paralella colla costa corre intorno all’isola un banco di corallo, che di quando in quando lascia un intervallo onde passino le barche ed altri bastimenti.
La massa fondamentale di Tongatabba (Amsterdam), altra isola degli Amici, è egualmente di corallo. L’isola ha 20 miglia marittime di circuito. La sponda è formata di rocce di corallo inclinate, alle 8 in 10
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piedi ed interrotte in alcuni luoghi da qualche piccola spiaggia di sabbia, ove in tempo di riflusso osservasi una fila di scogli neri. Sulla sabbia composta di coralli sfrantumati, qualunque specie di arbusto vi riesce benissimo. Più distante dalla sponda, la terra vegetabile forma uno strato considerabile, ciò non ostante comparisce in alcuni siti lo scoglio di corallo. Eccettuate alcune piccole ghiaie turchiniccie, e poche pietre di basalto, che da altri luoghi sono state portate su questa isola, non si trova indizio di altro minerale che di rocce di corallo. Anch’essa è circondata da un banco di corallo, che ora più ora meno si estende nel mare, e poi tutt’a un tratto ed a foggia di muro discende al fondo del mare.
Namoka (Rotterdam), le di cui sponde alte 9 in 10 piedi sono rocce perpendicolari di corallo, eccettuati alcuni siti ove la spiaggia è arenosa, ha ancora nel mezzo, come segno irrefragabile della sua nascita, il lago circolare salato. In un luogo solo di questa isola si è trovato una massa di pietre calcari compatte e giallastre, dell’altezza di 20 in 30 piedi circa. Ma sull’istesso luogo come in tutti gli altri dell’isola, veggonsi
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masse considerabili di rocce di corallo, simile a quelle che formano la sponda ed il banco che cinge l’isola.
L’isola selvaggia (Sauvageeiland), egualmente nell’Arcipelago degli Amici, è una roccia di corallo che s’innalza 40 piedi sopra il livello del mare, e che produce alcuni alberi da frutto. A quest’isola, come a quelle di Tosua ed O Ghas, manca la cintura del banco di corallo, ed egualmente ne sono prive le isole Marquesas e le nuove Ebride.
Al contrario le altre isole alte degli Amici, tutte le isole della Società, Otaiti, Maeatea ec., Turtle Eiland (isola delle tartarughe), finalmente anche la Nuova Caledonia, e la Nuova Olanda, particolarmente nella sua parte settentrionale, sono circondate da questi banchi, che spesso alla distanza di tre miglia marittime e più corrono affatto paralelli colla costa. Questi banchi coll’andar del tempo considerabilmente s’ingrandiranno poiché i flussi e le burrasche violente innalzano la sabbia intorno a queste muraglie fino all’altezza del mare, ove il giuoco delle onde forma piccoli banchi a secco, su’ quali l’erba o cespugli prendono radice in guisa, che la roccia appena disseccata diventa la base di una nuova vegetazione.
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Isole non originario, e piuttosto note più tardi, sono quelle le quali o pel fuoco o per l’acqua sono state divise dalla terra ferma, o che, come le punte più alte dei continenti affondati, sono rimaste visibili sulla superficie del mare.
Niuna delle summentovate isole Nettuniche appartiene a questa specie, poiché nessuna ci fornisce indizi o avanzi di terra originaria. Le isole vulcaniche al contrario, rimaste forse quali avanzi di grandi continenti distrutti dal tremuoto o dal fuoco, possono essere originarie.
Ciò potremmo sostenere delle Antille, delle isole della Sunda, di Sumatra, Java, Borneo ec. delle Filippine, delle Kurili e di molti altri gruppi d’isole.
Probabilmente la Irlanda si è staccata dalla grande Brettagna, e questa dalla Francia e dalla Olanda, poiché ancora continuano, gli strati di ambedue le terre uguali in massa, direzione e proporzione.
Helgoland, Nordstrand, Pellworn, Arnroem, Nordmarsch, Jochr, Sylt, Horge Oland e Langenes presso Schleswig, una volta erano uniti fra loro, e facevano parte del continente; l’acqua ed il vento di Nordovest,
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secondo le notizie più antiche delle croniche tedesche, vi hanno prodotto nell’800 i primi cangiamenti considerabili; molta terra fu portata via dall’acqua, i torrenti si allargarono, e le burrasche violente e le inondazioni di acqua accadute negli anni 1100, 1128, 1218, 1300, 1500, 1649 compirono l’opera, ed in fondo altro non hanno lasciato indietro, che le rocce e lo scheletro di una terra che quivi una volta si trovava.
Pellworn fu staccato dal Nordstrand per mezzo di una inondazione terribile accaduta nel 1089, dove, come si dice, perirono 20000 uomini circa. Nordstrand nel 1218 fu staccato nello stesso modo da Westerhever, e vi perirono 10000 uomini. Helgoland ricevette i suoi limiti attuali nel 1649.
In un documento del 1496 il Duca Federico di Schleswig si rapporta alla testimonianza uniforme di tutti i geografi e storici, che Heiligeland sia stato situato, JUXTA DUCATUM SLESVICENSEM IN FRESIA MINORI, e che avanti, mille anni e meno, abbia formato una terra ferma con Eiderstedt, Overschop, ed Utholm, come con Nordstrand, Foehr, Sylt, ed Arnroem ec. Nordmarsch, ancora ne’ tempi moderni, era sì strettamente unito con
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Foehr, che solamente un piccolo taglio li divise, sopra il quale per via di una pietra posta in essa si passava senza bagnare i piedi. Presentemente Nordmarsch è distante da Foehr un mezzo miglio geografico, e si trova fra queste isole una profondità tale, che anche nella marea più bassa, i bastimenti caricati vi possono passare.
Gli antichi decisivamente credevano, che per mezzo di venti, di torrenti di acqua o di tremuoti, la Sicilia sia stata staccata dall’Italia, Cipro dalla Siria, ed Eubea dalla Beozia(1). In somma molte isole dell’arcipelago greco facilmente sono avanzi di quella terra primitiva che si è sprofondata avanti la nostra storia(2).
Madagascar e Ceylon, Sumatra e Java(3) quasi con certezza possono esser contate
(1) Plin. hist. nat. II. c. 88. Avellit rerum natural. Siciliam Italia, Cyprum Syria, Euboeam Boeotia, Euboea Atalantem et Macrin, Besbycum Bithynia, Leucosiam, Syrenum, promontorio. Seneca Nat. quaest. VI. 29.
(2) Geografia fisica tom. II. p.
(3) Fra gli abitatori dell’isola Java, fin anche sconosciuti a’ naturalisti, appartiene I il Buceros Rhinoceros Lin. che si trova sull’isola Java. Il corpo suo è
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fra quelle isole, le quali furono staccate dal continente per la violenza delle correnti di acqua(1).
forte come quello del pollo d’India; dalla testa fino alla coda è grande 3 piedi 4 pollici; le penne sono nere. Il becco sproporzionato tinto di rosso, e di giallo è lungo un piede e più, ed ha nel mezzo una parte tubercolosa curvata alla parte superiore ed alta di 6 pollici. Ved. F. Levaillant Histoire d’une partie d’oiseaus nouveaux et rares de l’Amerique et des Indes. Paris 1801. 2 Il Sukolyro: Niewhoff che visitò le indie orientali alla metà del secolo decimo sesto, ha descritto ne’ suoi viaggi questo animale, come di figura singolare, e ha egualmente disegnato. Riguardo alla figura ed alla grandezza, l’animale assomiglia ad un giovane Elefante senza proposcide; il muso è come quello del porco, e la coda è lunga, grossa, e molto pelosa. Gli occhi sono drizzati in alto per lo che si distingue questo animale da tutti gli altri quadrupedi. Sul lato della testa presso gli occhi si veggono corni ovvero denti, i quali però non sono tanto grossi quanto quelli dell’elefante. L’animale vive di vegetabili, e rare volte è preso. Ved. G. Shaw’s general Zoology or Systematic natural History. Vol. l. p. 1, 1200 pag. 226. Fr. Zimmermann geogr. Geschichte des Menschen und der vierfuissigen Thiere. Tom. 2. pag. 165 come egualmente nella descrizione e nella storia di Batavia, la capitale delle Indie orientali appartenenti agli Olandesi. Tom. 4. pag. 153 tradotto da Ebert.
(1) Geografia fisica tom. I. pag. 237.