III. Circuito e grandezza della Terra: divisione di essa
IV. Mondo antico e mondo nuovo
V. Divisione esteriore de' continenti
VII. Divisione ulteriore della Terra con alcune brevi notizie sulle parti singolari di essa
Paesi, il di cui circuito e l'interno sono conosciuti interamente: l'Europa
Paesi, il di cui circuito è conosciuto interamente, e l'interno per la maggior parte: l'Asia
La Terra di cui è conosciuto solo il circuito, e niente affatto l'interno: l'Africa
Paesi che sono stati veduti, ma che non si hanno potuto più ritrovare
Paesi che solamente si suppongono per ragioni fisiche (la Terra del Sud), e per ragioni storiche (una parte delle Terre di Juan de Fuca e dell'Ammiraglio de Fonte, e molte isole che si veggono sulle carte spagnuole)
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A questi appartiene l’Asia la di cui parte media e settentrionale ci è stata finora sconosciuta. L’Asia è divisa dalla natura stessa in tre striscie; cioè nell’Asia settentrionale, nella media e nell’Asia meridionale.
L’Asia settentrionale(1) sta ora totalmente sotto il dominio della Russia, poiché
(1) Ved. An Account of a Geografical ad Astronomical Expedition to the Northern Parts of Russia, performed
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si dice che anche i Tschuktschi dal 1778 in poi siano tributari di questa potenza; ma irritati da’ trattamenti duri ricevuti da’ Russi hanno interrotto qualunque commercio ed è estremamente pericoloso di viaggiare nel loro paese. Essi si dividono in due stirpi cioè in Tschuktschi marittimi o stabili, ed in quelli che vagano intorno coi rangiferi, ovvero sono Nomadi. I primi abitano lungo la costa incominciando dal seno di mare Anadir fino al Capo Est; qualche volta girano anche fino al promontorio Schelatzkoi. Essi trafficano cogli Americani, e facendo la guerra con essi, conducono via le di loro donne come schiave, ed il bottino che fanno in queste guerre vendono ai Tschuktschi nomadi. Siccome alitano in un paese assai freddo ed infruttifero, così compongono solamente tre mila famiglie. Essi abbruciano i loro morti e coprono gli avanzi con pietre e con corna del rengifero. I Tungusi de’ rengiferi girano dentro una terra assai vasta, occupandosi incessantemente
by Commod. J. Billings. nel 1785-1794, the whole narrated from the Original Papers, by Martin Sauer, London 1802. 4.
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della caccia, ed a questo fine si servono dell’arco, ed alcuni della carabina. Rare volte si fermano 6 giorni di continuo nel medesimo luogo, anche quando sono tenuti di trattenersi in una regione prescritta. Le provvigioni, consistenti in pesci ed in una specie di bacche, sono poste in casse appese sulle stanghe, per darne alle altre orde erranti di quelle regioni. Essi sono affatto insensibili al freddo ed al caldo. Le loro tende sono foderate di pelle di camoscia, e di scorza di betulle, che esponendola per qualche tempo al vapore dell’acqua bollente, sanno preparare tanto morbide quanto il corame. Sul dorso del rengifero mettono una sella senza staffe e montano questo animale senza briglia. Per montarvi sopra si servono del loro arco per mezzo del quale saltano nella sella colla massima facilità. Contenti di quel poco che raccolgono in quelle regioni ingrate e ruvide, resistono contro qualunque disgrazia, e sono felici; ed il loro spirito d’indipendenza, il coraggio, l’attività meritano la nostra ammirazione.
La lunghezza dell’Asia settentrionale si estende dal 58°, 30', presso il Caucaso, e dal 80° nel Nord, fino al 208°; la larghezza dal
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43°, nelle regioni occidentali dal 50° nelle medie, e dal 55 nelle orientali, per lo più si estende fino al 72, e 73°, ed in mezzo alle imboccature de’ fiumi Jenisei e Lena fino al 78°. Questa estensione è maggiore di quella dell’Europa; essa ha più di 244000 miglia quadrate, e per mezzo delle cure riunite di PALLAS, GMELLIN, STELLER, GEORGI, STRAHLENBERG, MUELLER ec. ci è stata resa bastantemente cognita riguardo alla sua natura, i suoi prodotti e gli abitanti; almeno ne sappiamo più che de’ Paesi Turchi, della Persia, della China, e delle altre regioni dell’Asia meridionale, le quali contiamo fra i paesi più conosciuti. Nell’occidente l’Asia settentrionale è confinata dall’Ural, che, formando una catena stretta composta di granito e quarzo, si estende da mezzo giorno a settentrione in diverse direzioni. La maggior sommità di questa catena è sopra le sorgenti de’ fiumi Ural, Jaik e Bielaja, ove è rinforzata da alcune montagne separate e di rocce di granito che s’innalzano in mezzo agli strati di Lavagna. Di qua corre diminuendo in altezza fino alla sorgente del fiume Iura, fin dove è spesso coperta e quasi interrotta da strati di lavagna, che l’accompagnano.
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Più verso il nord si allarga di nuovo, e riempie di alte montagne lo spazio fra le sorgenti della Kama e Petschera, e le acque della Tawda. Finalmente si estende declinando, è va molto spezzato e pieno di rocce, fino alla costa del mare Glaciale, ove forma il grande promontorio sulla parte occidentale del seno di mare Obi, volgendosi anche in parte verso il Nord est lungo le coste del mare Glaciale, ove forma la Nuova Zemlya per mezzo di un ramo che viene interrotto dallo stretto di Waygat; e finalmente per mezzo di coste sterili, di rocce e d’isole si unisce colla grande catena degli Alpi della Lapponia.
Questa parte settentrionale dell’Asia è divisa dalla media per mezzo della catena de monti, la più grande, più potente, e più unita del mondo antico chiamata ALTAY, che рег la sua lunga estensione pe’ stabilimenti di tanti popoli, cangia sovente il nome, l’andamento, e la qualità.
Sul confine del deserto di Soonga e di quello di Mongoli, giace la montagna BOGDOCOLA che per la forma rapida è la più alta o almeno la più sorprendente fra le montagne di que’ contorni. Da questa partono
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due braccia grandi e due mezzane come da un centro comune.
Il primo braccio, ed il più significante di tutte le altre catene di questa montagna dirigesi verso il Nord est, sotto il nome di Altayncola, cioè catena di montagne d’oro, passa sopra le sorgenti dell’Irtisch, gira fra l’Irtisch e l’Obi, ov’è circondata dalle montagne di lavagna le quali offrono le miniere più importanti alla Russia, indi si volta verso il lago Telezkoi ovvero Altayn Noor, da dove viene il fiume Obi e le acque che in esso si scaricano; poi sembra di ritirarsi per abbracciare il letto del Jenisei, da dove, sotto il nome di SAJAN, passa in considerabile altezza verso il Baikal e lo circonda, e dà sotto il nome di CHAN-OOlA l’origine a’ fiumi superiori di Salenga; in seguito entra ne’ confini della Siberia fra le sorgenti del Tschikoi ed Onon, e divide sotto il nome di JABLONI CHREBET (catena de’ pomi) le acque che sboccano nell’Amur, da quelle che corrono verso il Lena; poscia corre verso il mare di Ochotzk stendendo un ramo vicino alle sorgenti dell’Ud, Adan e Maja, il quale poi si divide fra la corrente orientale del mare Glaciale; il ramo principale
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però continua, sotto il nome di STANOWA CHREBET (catena principale) fra l’Amur e l’Ud, fino all’Oceano orientale, ove, come si dice, finisce come interrotto, in guisa che, le isole poste avanti l’imboccatura dell’Amur ne sono gli avanzi, che l’uniscono alla catena di rocce delle isole del Giappone e le Kurili. Secondo la direzione che prendono queste montagne si sono stabiliti i confini fra la China e la Siberia in questo deserto orientale.
Il secondo braccio col quale presso le sorgenti dell’Amur si unisce anche un altro proveniente da quella catena che abbiamo descritto qui sopra, si estende dal Bogdocola, sotto il nome di Changai, addirittura verso l’est in mezzo alla terra di Ostus o Barkal e la Mongolia, e riempie questo di rocce e di montagne, separa sotto il nome di Kinghan il fiume Amur dal Choangho (fiume giallo) e finisce in quella catena che forma la penisola di Corea.
Verso il Sud corre un terzo braccio assai considerabile, che si unisce colle montagne quasi più alte ancora del Tybet, per cui è chiamato KITZIG TAG (catena delle piccole montagne).
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Il quarto braccio comincia all’occidente dal lago Saissen, e del fiume Irtisch, sotto il nome Kalmucco ALAK-UELA, o come lo chiamano i KIRGHISI, ALA-TAU cioè montagna a più colori, poiché produce diversi cangiamenti a cagione delle valli numerose e profonde, e si dirige verso i deserti de’ Kirgisi e della Buccaria, confina coi rami più distanti delle montagne di Ural, che nella vicinanza di Turkestan formano solamente colline, e colla grande montagna ULLU-TAU che occupa il centro del deserto de’ Kirgisi, e si perde finalmente verso le montagne della Persia(1).
Nella parte del mezzogiorno di quest’alta catena di montagne la terra s’innalza sempre di più; verso il nord al contrario declina in tutte le direzioni; e quella pianura che comincia da’ piedi delle montagne di Altay, e che si estende fino al mare
(1) Ved. Pallas Betrachtungen uber die Beschaffenheit der Gebirge und Veraenderungen der Erdkugel. Frankf. e Lips. 1778 p. 29 ec., ed il medesimo. Ueber die Orographie von Siberien in vermischten Beytraegen zur phys. Erdbeschreib. 5 vol. p. 328 ec.
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Glaciale è la Siberia, la parte settentrionale dell’Asia sommessa allo scettro della Russia. Questa regione è assai ruvida, poiché a cagione della sua posizione è esposta ai primi colpi del vento del Nord e del Nord est, il quale in questa parte è rigido, freddo e tagliente, mentre passa sopra i campi di ghiaccio continuamente rinchiusi nello stretto di Amian fra la Novaja Zemlja ed il Tschuktschei Noss: i venti più moderati dell’ovest ed i venti caldi del sud non possono penetrarvi, poiché vengono arrestati dalle summentovate catene di montagne. La Russia asiatica per mezzo del Jenisei è divisa nella Siberia orientale ed occidentale, che molto si distinguono l’una dall’altra.
Tanto la Siberia orientale quanto l’occidentale, per segno del loro innalzamento più recente dall’acqua, hanno un suolo salato e freddo; la Siberia orientale però è assai più rigida, poiché è esposta maggiormente al vento del Nord est, ed innoltre confina su due lati col mare Glaciale e si presenta quasi rapidamente a questa stagione d’inverno. In quella regione ove colle montagne di Altay giace molto più elevata che nelle latitudini eguali occidentali;
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oltracché poi è confinata al Sud da montagne di un’altezza considerabile.
Le sue coste del mare Glaciale sono assai paludose e quasi sempre gelate. Nella parte di mezzogiorno sono molti boschi, e qualche volta si vedono regioni fruttifere e ben coltivate. Queste però non si estendono al di là del 60°; ed anche al di qua di questo grado la raccolta è spesso guastata dal gelo che all’improvviso vi subentra. Più volte nevica in principio di agosto, e prima di poter mietere il grano(1).
A Ochotsk, secondo le osservazioni di Billings sotto il 59°, 19', 45” di latitudine settentrionale e 145°, 16' di longitudine orientale da Greenwich, e due werst distanti dal mare, si sono fatti nel 1781 alcuni esperimenti a coltivare l’orzo, la biada, la segale, piselli, fave, e linseme, ma la scarsezza de’ raggi del sole durante la brevità dell’estate fece sì, che nulla poté maturarvi. Fra i prodotti de’ giardini riuscirono solamente il rafano e le rape, i cavoli neri e la lattuga cappuccina, mentre a Udskoi
(1) Ved. più Geografia Asiat, t. I. p. 392.
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Ostrog, che giace 5° più verso il mezzo giorno, uno di tre esperimenti che vi si fecero diede una raccolta abbondante di segale e di orzo. Anche la cura del bestiame non vuol riuscire sotto il 60° di latitudine.
Ochotsk è fabbricato sopra una penisola lunga di 5 werst, la quale si estende dall’est all’ovest; essa non è molto larga ed è composta di sabbia e di legno nuotante che in prima è coperto di sabbia. Sulla parte meridionale quest’isola confina col mare, sulla settentrionale col fiume Ochot. La città è lunga una werst, ed ha 132 miserabili case di legno. L’aria di questi contorni è estremamente malsana, ed incessantemente vi dominano i venti freddi e la nebbia. Il suolo fino alla distanza di 5 werst dal mare non produce la minima cosa; ma dopo questa distanza incominciano a germogliare alcuni piccoli alberi di larice, i quali poi in distanza di 10 werst diventano assai numerosi, e 5 werst più avanti pare, che una piccola catena di montagne tagli totalmente l’influenza cattiva dell’aria marina; quivi gli alberi cominciano a diventar belli e si scoprono de prati. Ochotsk stesso è abitato da’ marinari, e da’ Kosacchi che si danno all’ubriachezza,
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eccettuati due predicatori e due giudici, ed alcuni poveri Yakuti che guardano le vacche ed i cavalli de’ nazionali. Lo scorbuto fa quivi delle stragi, lo che devesi attribuire tanto alla situazione del luogo, quanto alla poca polizia degli abitanti. Il salamone è quivi il nutrimento principale; ma siccome non entra ne’ fiumi che alla fine di giugno, così non può aversi che tardi. Gli uomini e le donne si riuniscono per prendere questo pesce con una rete lunga 20 piedi ed alta 3. in 4, e dopo averla caricata di pietre la lasciano nell’acqua, di modo che sta in piedi. Un pescatore solo non volte getta tre di queste reti e prende in tempo di un solo flusso 1200 salamoni. Tosto finita la pesca, si sventra il pesce, che poi è disseccato per la provvigione d’inverno, tanto per gli uomini quanto per le poche vacche ed i cavalli, come anche pe’ cani, de quali ciascun padre di famiglia ne ha 20 per tirare le slitte ed i carri. In tempo di primavera evvi ordinariamente penuria di viveri, ed allora i cani si mangiano fra loro, ed attaccano e mangiano i cavalli de’ quali possono impadronirsi. Pel nutrimento
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che qui si dà agli animali, il fior di latte e la carne sanno continuamente di pesce.
Il porto che quivi si vede è formato dal fiume Ochot il quale, proveniente dal Nord est, corre verso la Baja spaziosa di Kuchtui, lunga 40 werst e larga 4; ma essendo basso il mare, conserva solamente la quarta parte della sua grandezza. Il fiume, dal quale ha preso il nome, sbocca in essa nella parte Nord est. La corrente del mare e quella del fiume cambiano continuamente l’aspetto della sponda e de’ banchi di sabbia, i quali incessantemente vengono distrutti è di nuovo rifabbricati. Il letto di ambedue è formato di ciottoli rotondi del fiume: il canale principale dell’Ochot, porta solamente piccoli navigli alla distanza di un miglio solo. La riunione col mare pare essere prodotta dall’arte; essa consiste in un canale largo di 250 tese e lungo di 150, colla profondità di 6 in 7 tese. Per la forza della corrente del mare e di quella del fiume si è formato, distante un miglio e mezzo, un banco di sabbia semilunare, il quale serve ad Ochotsk come una diga contro l’urto dell’acqua del mare: in tempo di riflusso vi si forma un canale di 5 piedi di profondità, il
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quale spesso si cambia; e siccome non vi è altro passaggio, rende assai difficile l’entrata nel porto. Il mare batte continuamente contro questo banco di sabbia, ed in tempo delle burrasche equinoziali giunge fino alle case. Allora spesso queste sono case bagnate, e pare che un giorno saranno portate, via dalle onde del mare.
Nella parte sud ovest del Kamtschatka non tutti i tentativi di coltivare il terreno sono mal riusciti; i pomi di terra vi riescono bene, e nel 1781 erano in Kamtschatka 138 cavalli e 272 pezzi di bestiame grosso. Fra gli abitanti di questa penisola, il di cui numero totale monta a 2740, si contano 1687 russi. Il maggior numero di questi abitanti sta nella così detta città di Kamtschatka inferiore. Le mercanzie russe e gli articoli di merci straniere sono quivi ad altissimo prezzo.
Ad Argunsk, 136° 20' di longitudine e 49° 50’ di latitudine, la di cui terra circonvicina è da contarsi come la più fruttifera e la più sana, si scioglie il gelo nella terra alla profondità di 3 piedi. Scavando quivi in tempo d’estate un pozzo si trovò la terra gelata alla profondità di 40 piedi. A Jakutzk
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129° 38’ di longitudine e 60° 45’ di latitudine, addì 29 di giugno il sig. Gmelin fece scavare la terra in diversi luoghi, e trovò nelle regioni alte che il suolo era libero di ghiaccio per 4 piedi, è nelle basse solamente per tre. L’argento vivo stesso gela non rare volte, di modo che non serve più per misurare il freddo. La soprabbondanza degli animali domestici e salvatici in qualche modo serve di compenso, poiché forniscono eccellenti pellicce. Il numero degli abitanti diminuisce giornalmente a cagione dell’oppressione de’ russi loro superiori; è se una volta un Jakute aveva armenti di 20000 cavalli, ed animali bovini, al presente il più ricco ne ha appena 2000. Frà gli animali che loro forniscono le pellicce, contasi il zibellino de’ quali i più neri ed i più belli si trovano intorno a Beressow, Turugansk, Jennifeisk, e Jakuzk. Il zibellino più bianco e più lucido al contrario si trova nel distretto di Kurgan, Ischinsk e Salutarow. Questo animale è una specie grande di donnola, il quale cangia il suo pelo ed il colore come questa, cioè l’estate è brunotto, e l’inverno bianco.
La parte della Russia asiatica situata al di qua del fiume Jenisei è considerabilmente
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più temperata: le regioni sud ovest, nominate in una parola Kaptschak, sono composte di quelle terre che una volta appartenevano a Kasan, Astrachan ed Orenburg, e possono essere contate fra i paesi più caldi. Quivi crescono le medesime specie di piante che sono proprie alla Persia ed alla Siria; vi riescono benissimo la bambagia, la coltura delle viti, i cocomeri, il melone ec. Ad Astrachan il calore monta fino a 100, anzi 103 e mezzo di Fahrenheit. Presso Orenburg ed Orskaja Krepost il calore è grande a segno che non si può mettere il piede sopra un corpo solido o sopra la sabbia, e neppure si può toccare il ferro che per qualche tempo è stato esposto al sole. Qualche volta il caldo continua durante la notte; subentrando però il vento del Nord, che passa sopra il lago di Ural, cangiasi il calore immediatamente in un freddo assai sensibile. In tempo di estate cade talvolta la brina in modo, che i frutti de’ giardini gelano. Allora quando Kirilow nel luogo ove presentemente è situato Orskaja Krepost, dovette erigere Orenburg, sopraggiunse verso la fine di agosto, dopo alcuni giorni assai caldi, un freddo sensibilissimo, e con esso cominciò la
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stagione d’inverno, di modo che Kirilow col suo comando appena poteva giungere ad Ufa(1). L’inverno è quivi tanto freddo quanto l’estate è calda. La stessa temperatura domina nell’Astrachan. Nell’inverno il termometro cade spesso fino a 23° sotto il punto di gelo, e nell’estate il termometro di Delisle monta spesso a 60°. Nel distretto piacevole di Zarizyn il caldo nel mese di luglio era eccessivo a segno, che fece scoppiare un termometro di spirito di vino; molti pesci morivano e cagionavano una puzza insoffribile; molti uomini si ammalavano, o almeno avevano delle pustule sulle mani, le quali ora erano d’un rosso cupo ed ora turchine. Il vento ardente di mezzo giorno era passato sopra uno de’ deserti incendiati di Kuma dell’estensione di alcune centinaia di werst, ove maggiormente aveva accresciuto il suo vigore. Il male fu aumentato dal cangiamento del vento che immediatamente dopo soffiava dal Nord e produceva un freddo tale, che gli abitanti erano costretti a mettersi
(1) Ved. Rytschkow Topografia di Orenburg, tradotto da Rode Riga 1772 I. tom. p. 161 ec.
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indosso gli abiti d’inverno. I venti del sud si levano quivi ordinariamente due ore dopo mezzo giorno e soffiano fino a mezza notte; quando dominano si veggono spesso i montoni buttar sangue, poi gonfiarsi, cader morti, ed andare sì presto in putrefazione che né meno si può servirsi della loro pelle.
Il regno di Kasan sul confine Europeo ha un suolo fruttifero, ed è inondato dalla Wolga come l’Egitto dal Nilo. Permia, anticamente Biarmia, che giace in questo Regno, è un’alta pianura ove ha luogo la divisione di molti fiumi, come del Kama, Iset, Tivra, Tawda ec. I russi chiamano un tal luogo Wolock.
Il regno di Astrachan è composto più che per metà di deserti; però straboccando la Wolga, ed essendo anche le altre regioni coperte di neve, è molto frequentato. Ne’ deserti che sono composti di un suolo leggiero e sabbioso, e posti ancora più alti che le altre terre, la neve si strugge più presto, e non mai diventa molto alta. Frequentemente sono questi deserti circondati da un Solontschak, ovvero da un grande circolo di sale, che si attacca al suolo come la neve. In essi sono molti laghi salati, i quali non solamente
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formano in fondo il sale cristallizzato, ma formano anche una crosta di sale alla superficie, sopra la quale si può passare senza pericolo.
Ciò accade particolarmente intorno ad Astrachan. Presso lo sbocco della Wolga cresce abbondantemente il fiore rosso marino NYMPHAEA NELUMBO. I suoi frutti, da’ russi chiamati noci marine, sono avidamente cercati e mangiati dagl’indiani, che li nominano Pabin ovvero Lilifar, poiché questa pianta è tenuta presso di loro in venerazione. Secondo la mitologia Tibetana, le Deità compite rinascono ne’ fiori odorosi di questa pianta. Sopra Zarizyn, nel paese de’ Kosacchi che abitano presso la Wolga, e precisamente presso l’ACHUBA, si sono fabbricati due villaggi per coltivare i bigatti; poiché quivi si veggono selve intere di mori, i quali probabilmente furono piantati da’ Tartari. Anche la parte orientale di Orenburg è piena di deserti(1).
(1) Pallas Bemerkungen auf einer Reise in die Suedlichen Stadthalterschaften des Russischen Reichs per gli anni 1793 e 1794. 2. vol. 1801.
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Abbiamo già accennato, che la regione meridionale della Siberia giace assai alta. Vi crescono in tutte le valli le piante alpine dell’Europa, e vicino alle montagne di Altay, e particolarmente sulla continuazione orientale di questa catena, veggonsi le belle piante ed arboscelli propri della Siberia, che sono cercati da conoscitori forastieri. Queste allure però sono valli in confronto delle montagne che le stanno dietro, per le quali si entra nella parte interna dell’Asia.
La regione interna dell’Asia è la terra alta del mondo antico; essa è formata di montagne, che a guisa di terrazze si uniscono verso il centro, fra le quali giacciono pianure dell’altezza delle alpi. La catena più alta chiamasi Gaudis, e si estende fino nell’Indostan, e quivi la parte meridionale dell’Asia discende verso i tropici, come la settentrionale verso il polo. L’Indo ed il Gange che sboccano nell’Oceano delle Indie, come l’Hoangho ovvero Chongo che si scarica nell’Oceano orientale, hanno la loro origine fra queste montagne, cioè tra la Siberia e l’Indie orientali.
Tutta la parte media, incominciando dalle sponde orientali del mar Caspio, 150
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miglia quadrate geografiche e più, ci è quasi totalmente sconosciuta. Ad essa appartiene CHOWARAESM ovvero Charasm o Kharissein, che abbonda molto di frutti di terra e di alberi, ma che del resto è arido e vi mancano i pascoli; e TURKESTAN ovvero la terra di Truchmenen.
La grande Bucaria, di 21000 miglia quadrate geografiche, è fruttifera ed è il miglior suolo coltivato nell’Asia superiore. La città di Buchara sul fiume Sogd è assai grande, ha diverse manifatture ed un considerabile commercio. Samarcand, egualınente città forte e popolata , è la sede di un’Università maomettana di riputazione. La carta di seta che quivi si fabbrica è creduta la migliore di tutta l’Asia.
Balk, città forte, è la residenza del Chano degli Usbechi, ed il deposito delle mercanzie che dalla Bucaria vanno nelle Indie.
La piccola Bucaria, grande di 10500 miglia quadrate geografiche, è piena di lunghe catene di montagne e di deserti di sabbia. La maggior parte sarebbe fruttifera, ma è arida. La terra bruciata dal sole è da venti portata in qua ed in là come una cenere leggiera, ed è cangiata in una pioggia
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di polvere assai incomoda. Non vi si vede alcuna traccia di pietre calcari di marmo, e neppure trovansi conchiglie petrificate od altri fossili. Le vene metalliche giacciono sulla superficie del suolo. Terkein e Chasgar (Haskar) sono due Città popolate e grandi. L’intera terra della piccola Bucaria è composta di più regni di popoli Tartari, e di Mogoli, i quali tutti stanno sotto il dominio Chinese.
La Soongoria e la Calmuchia sono grandi più di 45000 miglia quadrate. I popoli nomadi di questi contorni derivano propriamente da una stirpe de’ Mogoli. La stirpe principale da noi chiamata Kalmuchi si nomina Oeloets (Gleuti). Il nome Kalmuco(1) che significa ribello o restato indietro, fu loro dato da quelli che emigrarono con Dschingis Chan e Tamerlano.
La MONGOLIA, ovvero Tartaria Chinese, è stimata al di là di 40000 miglia quadrate. I
(1) Quello che dice Bergmann nell’Archivio del Nord pel 1803 nel 3 e 4 volume parlando de’ Kalmuchi è di gran lunga il migliore. Da lui aspettiamo ancora un’opera particolare che tratterà di questi nomadi.
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Mogoli orientali, ovvero Mantischehu (Manchew), Tartari Mantschuri, sono que’ popoli da’ quali discende la famiglia presente mente regnante nella China. Il paese è freddo; ciononostante sul confine della China sono selve considerabili di legno da costruzione, e vi si trovano miniere eccellenti di stagno. Ancora produce il paese il migliore rabarbaro e la pianta medicinale Ginseng tanto stimata da’ Chinesi; egualmente vi cresce la bambagia, e la quantità di grano, biada, e miglio, che vi nasce è per lo più impiegata nella cura del bestiame. Il fiume considerabile Saghasien-Ulla (fiume nero), ovvero Amur, percorre percorre la parte alta settentrionale di questa provincia che anche viene chiamata Dauria. Tsitsikar è la Capitale, ed Ouloussu-Mondan l’ultima fortezza sul confine della Russia.
Tutt’i viaggiatori, particolarmente quelli che più volte hanno accompagnato le caravane russe destinate per Peking, affermano, che la terra, incominciando dal confine di Selenginsk ove il suolo è molto alto, s’innalzi sempre di più fino alla montagna Chan-oola, e salendo continuamente fino a questa montagna scoscesa, si giunge finalmente
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senza discendere nell’immensa pianura priva di vegetazione, che giace nella parte Nord ovest della Mogolia. Essa, incominciando dal lago Tarei fino a Tibet, si estende per più di 400 miglia in lungo e 100 miglia in largo, ed è da’ Tartari chiamata GOBEE (Gobi), da’ Chinesi però SCHAMOO, che presso ambedue le nazioni significa deserto. Questo deserto, benché agli occhi nostri si presenti qual pianura, mentre trovandoci nel di lei centro non si scopre alcuna montagna (poiché la sua periferia è di 40000 miglia quadrate), tranne la maggior sommità della Svizzera è la parte più alta del continente antico. Esso è pieno di laghi salati, e l’erbe che vi vegetano sono erbe saline. Alberi non vi se ne vedono; ciò non ostante nella parte settentrionale vagano d’intorno i KALKAS stirpe numerosa di Mogoli, e nel 1770 i Torgoeti di origine Kalmuchi, e provenienti da’ deserti fra la Wolga ed il Jaik, in tutto 60000 Kibitchi (famiglie); si sono rifugiati nella parte occidentale. Il deserto è circondato da montagne originarie di granito, cioè nel Nord dalle montagne Altai, e nell’est dalle montagne Nartschinsk ricche di miniere. Il confine meridionale contro il
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muro della China formano le montagne Kingann situate fra i fiumi Neun, Schiegall ed Amur, le quali in tutta la Dauria orientale s’innalzano intorno ai fiumi. La parte più alta di questa pianura infruttifera, è fra la China ed il Tibet, come Tibet è la terra montagnosa più alta di tutta l’Asia. Probabilmente confinano le grandi montagne di Altaì con queste del Tibet per mezzo del Mussart Musstag ovvero Imaus, ed ancora con altre catene. Che le montagne di Altaì fra i deserti occidentali e questi luoghi orientali assai più alti del deserto Sehamo debbano avere una direzione non interrotta verso il mar Caspio, lo dimostrano gli animali che vivono nel deserto, particolarmente le antilope, ovvero capre del deserto, le quali temono le montagne, ed anche nell’Asia non si sono innoltrate più che fino al margine occidentale degli Altaì e ne’ boschi che si estendono sulla parte settentrionale del fiume Obì.
Senza dubbio questa alta pianura è un antico residuo del fondo del mare, e forse, dopo che l’Asia si era già disseccata ed abitata la parte inclinata meridionale di essa, il mare che quivi era rinchiuso, si aprì una
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strada per unirsi all’Oceano. L’Asia settentrionale ha sofferto indubitatamente per una enorme massa di acqua, che sopra di essa si è precipitata dalle alture nelle pianure(1), ed anche le valli profonde e le vie profondamente scavate, che si veggono verso le Indie, indicano un simile avvenimento. E supponendo, che la medesima causa, forse un tremuoto violento, e il cangiamento dell’asse della terra, la quale ruppe la diga di questo mare, abbia fatto scolare nell’istesso tempo il gran mare di sabbia dell’Affrica di 60000 miglia quadrate geografiche, quali cangiamenti avranno dovuto da ciò essere prodotti; il genere umano appena nascente fu distrutto, ed alcuni pochi che ancora erano restati, conservavano la memoria di questo terribile avvenimento per la posterità.
Fra le montagne Altaì, Chaugai ed altre ramificazioni di queste rocce accumulate, si trovano ancora molte pianure e valli piatte, elevate sopra il livello del mare e sopra le pianure ordinarie del continente, le quali
(1) Pallas Betrachtungen ueber die Beschaffenheit der Gebirge, Francf. e Lip. 1778 p. 53.
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sono formate di ghiaia, e di ciottoli, probabilmente avanzi delle antichissime e primitive rocce di granito, ed hanno molti e grandi laghi salati come il Balchasch nella Songaria ed il lago Lop nella piccola Buccaria. Il lago KOKONOR, cioè lago turchino(1), ed innumerabili altri piccoli, ove si perdono i fiumi e i ruscelli i quali non possono scaricarsi nelle valli, sono messi in comunicazione coll’Oceano per via dell’aria, mentre il lago perde tanto per evaporazione quanto i fiumi gli forniscono.
Il Tibet, paese altissimo e che possiamo chiamare una Svizzera sopra la Svizzera, ci è quasi affatto sconosciuto, come anche il tanto dilettevole Caschemire che inclinandosi un poco, giace alla parte ovest del Tibet.
La secchezza dell’aria, ed il freddo del Tibet sotto una zona temperata, ci basterebbero solo per provare la sua posizione alta, senza fidarci alle misure barometriche
(1) Nor nella favella de’ Tartari significa Lago Koko turchino.
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de’ Gesuiti. Incominciando di qua si estendono quelle montagne, che poi passano per la Persia nell’ovest, per le due penisole delle Indie nel Sud, per la China nell’Est e per la Siberia nel Nord. Le terre che formano il piede di questa catena di montagne più o meno inclinano verso l’oceano discendono nel Nord a poco a poco ed occupa una striscia considerabile; nel sud al contrario verso il seno di Bengala questa discesa è tre volte più breve; anche quella delle due penisole, benché assai dolce, non può essere paragonata colla inclinazione che si osserva nella Siberia.
Contemplando ciò, non possiamo far a meno di osservare, che se fosse nato un piccolo cangiamento nell’inclinazione dell’asse della terra verso l’orbita sua, la bella discesa verso il sud si sarebbe forse prolongata, e quella del freddo Nord di molto abbreviata, in guisa che di un deserto si sarebbe formato un Paradiso.
Intanto questo stato presente non è forse il primitivo, ma nacque più tardi, per mezzo di una rivoluzione ad un veemente tremuoto, durante il quale, il pendio meridionale, dopo aver servito a molte generazioni
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di teatro, di divertimenti e di piaceri della vita, si affondò nel mare, per innalzare nel freddo Nord un nuovo suolo ricco di prodotti acquatici.
La scoperta del Tibet, ovvero Tueb-eth, ci sarebbe assai importante, poiché avremmo per mezzo di ciò la chiave per la storia antica del genere umano. Esso è la terra più alta, ed in conseguenza forse il primo laboratorio della natura, il semenzaio della creazione, e la culla del genere umano.
Tutti gli animali addomesticati tanto nei paesi settentrionali, quanto ne’ meridionali vivono originariamente selvatici nell’alto Tibet, ed ai piedi delle sue alte montagne. Quivi è la patria originaria del toro selvatico, del bufalo, della pecora selvatica, del belzuar e dello stambecco, dal di cui congiungimento è nata la specie fruttifera della nostra capra domestica. Sulle montagne di Altaì, e particolarmente sulla parte Nord est, e sul lato opposto fra le montagne di Ural fino al 56°, dappertutto si trova il rengifero in istato di selvatichezza, donde si è esteso nelle terre polari. Il dromedario ne’ grandi deserti fra il Tibet e la China, ed il porco ne’ boschi e nelle paludi dell’Asia temperata
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vivono ancora selvatici. Egualmente così il gatto selvatico. Si potrebbe dire quasi con sicurezza, che la stirpe principale del nostro cane domestico derivi dallo Sciakal, il quale per natura poco teme gli uomini, e facilmente si accostuma a stargli appresso; esso può essere addestrato, e si famigliarizza volontieri col cane pecoraio. Il congiungimento dello Sciakal col lupo comune, colla volpe e forse anche colla iena, doveva produrre nuove specie, le quali accoppiandosi nuovamente fra loro hanno generato l’infinita varietà nella grandezza e figura de’ cani. La razza più grande de’ cani, che ne’ tempi di Alessandro venne dalle Indie(1), probabilmente discendeva dalla iena. Lo Sciakal, che riguardo alla sua grandezza, tiene il mezzo fra queste specie, era nello stato domestico tanto più atto per accoppiarsi cogli animali addomesticati, in quanto che egli apparteneva quasi alla medesima famiglia; e poco ci resta da dubitarne, poiché il nostro cane domestico certamente si accoppia col lupo nella
(1) Strab. lib. 15 edit. Casaub. ab. ad. 587. p. hits 481. Plin. hist. nat. VIII, 40 fin.
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Inghilterra(1) e in Terranova(2), ove ha prodotto nuove specie, come egualmente colla volpe nel Meklenburg(3), e sarebbe inutile il rapportare qui per maggior sicurezza i nomi che gli antichi davano ai cani, come
(1) Pennant, Synops. pag. 144.
(2) Allora quando gli Inglesi si stabilirono nel 1622 in Terranova, esisteva, secondo il Discourse and Discovery of Newfoundland di Whitbourne, il lupo precisamente nativo in questo paese, ma non il cane. Whitbourne stesso aveva un can da presa, che in que’ contorni non mai era stato veduto. Questo cane più volte si mischiava co’ lupi in modo che restava 9 fino a 10 giorni presso loro, e ritornava poi a casa senza essere stato offeso. Da esso è nata assai probabilmente la presente razza de’ cani addomesticati di Terranova, della quale Blumenbach ci ha dato una bellissima rappresentazione nel I quint. num. 6, e parlandone dice, che questa specie si distingue dagli altri cani per la grandezza, pel pelo lungo a foggia di seta, per la coda pelosa a fiocchi, voltata per lo più in alto, e particolarmente per la specie di membrana nuotatoria fra le dita de’ piedi, che lo rende assai abile a nuotare. Per lo più questa specie è macchiata di bianco e nero, ed è straordinariamente docile.
(3) Ved. Zimmermann geogr. Geschichte der Menschen und der allgemein verbreiteten Thiere.
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can volpe, can lupo, can tigre e can leone(1).
Diversi animali che malvolontieri vivono in pianura, e che perciò difficilmente si propagano, appartengono ancora esclusivamente al centro montuoso dell’Asia, come il bufalo colla bella coda (bos grunniens), la tigre, il zibellino, la faina rossa, la gazzella muscata, ed il coniglio abitatore delle rocce(2).
(1) I cani della Lacedemonia furono chiamati cani da volpe (ἀλεπγκιδες) e quelli dell’Arcadia cani da leone (λεοντομιγεἳς) poiché quelli dovevano derivare dalla volpe, questi dal leone. Plin. Lib. VIII. Cap. 40. E tigribus canes indi volunt concipi; et ab id in sylvis coitus tempore alligant foeminas. Primo et secundo foetu nimis feroces putant gigni: tertio demum educant. Hoc idem e lupis galli quorum greges suam quisque ductorem e canibus et suum habent.
(2) Ved. Pallas Betrachtungen ueber die Beschaffenheit der Gebirge p. 24 etc.
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Tutto questo sembra dimostrare, che le alte pianure del continente erano la patria di molti animali ed il domicilio dell’uomo.
L’antica tradizione che contiene i primi cenni del genere umano, pare indirizzarci dietro le sorgenti del Gihon, o l’odierno Abi Amu, (sulla parte meridionale della gran Buccaria) del Tigris o dell’Eufrate.
La China, la Persia e le Indie ricevettero da queste regioni i primi loro abitanti, e quivi o in nessun altro luogo si dovrebbe cercare la radice di tutti i linguaggi originari dell’Asia e dell’Europa. Di là venne la religione Indiana, e tutte le nostre, come anche le scienze, l’agricoltura, i numeri, il giuoco degli scacchi ec. Abramo probabilmente abitava sul confine delle Indie, ed il suo parentado con Brama, forse non consisterà solamente nel nome. I Pellegrinaggi sempre si fanno verso quei paesi, da’ quali la religione ha tratto origine.
Gli Europei pellegrinano verso Geruralemme, i Maomettani verso Mecca, gli antichi Egiziani per lo passato verso l’Abissinia, di dove avevano ricevuto la loro religione,
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le cognizioni e le scienze(1); e gl’Indiani verso Tibet, esercitando il rito della loro religione dentro un tempio situato in mezzo alla città di Lassa ovvero Blassa, ed ancora nominata Baracan-tho-la, della quale si dice che abbia una circonferenza di 6 miglia geografiche. Poco distante da essa, dentro il convento di Putala situato sulla cima di una montagna vi è la residenza del Dalai-Lama, il саро ecclesiastico di tutti i popoli Mogoli, il quale è venerato come Iddio, che però sta sotto la protezione dell’imperator Chinese che
(1) Questo dice espressamente Diod. di Sicilia nel 3 lib. 2-5 cap. Diodoro nomina veramente l’Etiopia, ma con una precisione tale da non potere intendere quella stessa Etiopia che giaceva immediatamente sopra l’Egitto, l’odierna Nubia e Habesch, ove la capitale è Meroe. Se il Professore Meiners nel suo saggio sopra la storia della religione dei popoli antichi cap. 3 cerca di provare che gli Egiziani non discendono dagli Etiopi, raccogliendo a tal fine tutto, per abbattere l’opinione di Diodoro, apparisce, che egli abbia preso l’Etiopia in un senso più esteso di Diodoro, mentre comprende sotto ciò la parte media interna dell’Affrica. Egli rapporta i passi degli antichi, ove gli Etiopi sono chiamati Nomadi, e trascura que’ luoghi ove si parla delle loro città, de’ re e di un sistema regolare di governo ec.
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gli dà questa carica. Il Dalai-Lama è servito da 300 ecclesiastici, e secondo altri da 4000. Nella parte meridionale del Tibet havvi ancora un Bogdo-Lama (Taisho-Lama), che gode una venerazione uguale al primo, ma è indipendente da Chinesi, e la sua residenza è Tarsci-Lumba. A Pecking abita un terzo che si chiama Changi-Lama, o Chid-zun Tambe. Gli ecclesiastici che immediatamente seguono dopo questi si chiamano Chutuktas, e sono anch’essi venerati come divinità. Tutti gli altri ecclesiastici nominati Lama, godono di un’alta venerazione.
Dalla metà del secolo XIII in appresso, diversi Missionari, Ambasciatori ed altri viaggiatori, partendo da Turkestan e da Bengala, passando sopra gruppi spaventevoli di rocce e di montagne di neve, hanno fatto più volte il viaggio incomodo in queste regioni, quasi al di là delle nubi; ma finora i loro racconti non si accordano ancora, ed i viaggiatori più recenti nominano regni de’ quali non trovasi alcuna traccia nelle notizie antiche(1).
(1) Ved. Schloezers Briefwechsel Quint. XVIII. pag.
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Il Tibet è la patria 1. del muschio, GAZZELLA MUSCATA (moschus moschiferus), che vive ne’ boschi oscuri. Il maschio ha un sacchetto della grandezza d’un’uovo da gallina nella regione dell’umbilico, nel quale trovasi l’importante rimedio medicinale, chiamato muschio. 2. del BUFALO DELLA BELLA CODA, (bos grunniens) ch’è più piccolo del nostro bestiame bovino, e si distingue per la sua voce simile a quella del porco, e pel suo pelo simile al pelo di de giù fino al ginocchio. Di questo pelo gli abitanti fabbricano del panno. La coda è lunga ed il pelo vi cade a foggia di fiocchi; ed essendo questo bianco, è assai stimato nelle Indie, e forma un ramo considerabile di commercio pe’ Tibetani. Gl’Indiani se ne servono di ventola da mosche, per ornamento degli stendardi, e per pendenti agli orecchi
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degli Elefanti. Questo animale è assai importante per gli abitanti del Tibet, particolarmente pe’ Nomadi di quelle regioni, poiché serve loro come animale da soma il più robusto: il latte grasso che dà, forma una parte del loro nutrimento, ed inoltre ne traggono del butirro estremamente saporito, che a motivo del clima freddo è conservato per degli anni negli otri(1). 3. Del Borace (Borax) o propriamente detto Tinkal, un sale neutro che si trova in grandissima quantità intorno ad un lago di 20 miglia geografiche di circonferenza. Presentemente
(1) Secondo la geografia di Pinkerton tom. 276 e secondo altre notizie, ma poco sicure, sparse dagli Inglesi nel 1993 circa, deve nel centro montuoso dell’Asia e precisamente nella parte settentrionale delle Indie, esistere una specie mostruosa di bovi dell’altezza di 14 piedi, di color nero, e quanto alla sua formazione partecipare del cervo e del cavallo. Un animale giovane trovato nel Gange, passato Calcutta, pesava 15 quintali circa. Il cranio di esso, che ora possiede Banks, è rappresentato sulla tavola 93 del settimo quinterno delle opere di Blumenbach. Ved. ancora gli annali del museo nazionale della storia naturale, quint. 9 pag. 169.
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riceviamo noi il borace solamente dall’Olanda, ove il Tinkal per mezzo di purificazioni e di qualche aumento di liscive minerali vien raffinato; fuso coll’arena fina produce un vetro bianco e bello, ed aggiungendovi calci metalliche si produce una specie di vetro di diversi colori ovvero paste; quindi è indispensabile a quelli che lavorano a smalto e sul vetro; anche gli orefici ed i calderai se ne servono per saldare. L’uso di esso nelle medicine è oggidì di poca importanza. Esso tinge in verde gli umori vegetabili, non fermenta unito agli acidi, precipita i sali metallici e terrosi dalla loro dissoluzione, scompone il salmiaco, ed è scomposto da ciascun acido fuorché dall’acido atmosferico. Esso è composto di cristalli grandi duri e trasparenti come il vetro, di colonne disuguali esagone ed ottagone, con punte piramidali di tre lati; il suo gusto in principio è dolce, poi è forte ed amaro. Questo borace è pel Tibet un gran ramo di commercio(1). Oltre di ciò v’è in
(1) V. Sprengels Beytrage zur Voelker und Laenderkunde IX. Volume, ove il sig. Forster ha fatto inserire
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questo paese la migliore lana del mondo, ed esporta ancora molta carne di pecora disseccata all’aria, la quale, secondo che si dice, è molto da preferirsi alla nostra fumicata. Il numero degli abitanti di Tibet monta a 33 milioni.
Gli spaventevoli gruppi di rocce, l’ammirazione di tutti i viaggiatori, e l’oggetto de’ loro racconti, sono nell’istesso tempo l’impedimento per cui non si può inoltrare maggiormente nell’interno del detto paese. Fra le profondità immense di queste rocce giacciono le sorgenti dell’Indo, del Gange e dell’Obi; ed in conseguenza resterà questa terra ancora molto tempo ignota agli Europei.
Conosciamo meglio l’ASIA MERIDIONALE, alla quale appartengono le terre riunite sotto lo scettro Turco, le quali una volta erano tanto floride e rinomate, e che al presente, benché favorite particolarmente dalla natura, giacciono abbandonate ed occupano 32000 miglia quadrate; cioè la penisola della
due lettere tradotte dall’inglese che parlano del borace, e vi ha aggiunto diverse annotazioni.
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Asia anteriore, ovvero l’Asia minore, ANADOLI(1), chiamato da' navigatori LEVANTE , che ambedue significano Terra orientale; essa è grande 12000 miglia quadrate.
Questa penisola è ornata da tre catene di montagne, fra le quali la principale è il Tauro. Essa legasi colle alte montagne del Caucaso, che passano fra il mar Nero, ed il mar Caspio, ed è continuamente coperto di neve. Le montagne più alte di queste catene sono coperte di neve perenne, e perciò l’inverno è rigido, ma breve. Nell’estate domina un gran caldo, che viene però moderato da’ venti. L’aria in generale è sana, ma la peste spesso distrugge molti abitanti. Il suolo è fruttifero, ma appena vi è coltivata la metà de’ campi. Gli alberi da frutta vi crescono in soprabbondanza, ma a molte regioni manca la legna da bruciare.
Al piede settentrionale delle montagne
(1) I Greci chiamavano questa regione ἂνατολγ, mattina, poiché contando dal loro paese giaceva verso mattino, e particolarmente Costantinopoli, da ciò dunque è nato il nome turco Anadoli.
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del Caucaso, verso il mar Nero, giace la grande e la piccola Kobardia, nella quale sono molte sorgenti calde, come il conosciuto bagno di s. Pietro. Questa regione è abitata da’ popoli Nomadi. Alla gran Kobardia арpartiene Abschania (Awchasan) una volta Tschenassia, paese piacevole e fruttifero.
La Mingrelia, l’antica Colchide, è circondata nel nord est dalle montagne del Caucaso, che in diverse ramificazioni si spandono in questo paese, e lo riempiono di sorgenti e fiumi, fra i quali il Fachs ossia Faso è il maggiore; ne’ tempi antichi questo fiume ebbe il nome di Phasis, donde i fagiani hanno preso il nome. Quivi i Greci li trovarono per la prima volta, e dando loro il nome del fiume, li condussero in Grecia. Ancora oggidì i fagiani vi sono numerosi. Il clima colà è piovoso e l’aria assai malsana. Il traffico degli schiavi spopola il paese. Per lo passato poteva questo paese mettere sotto le armi 40000 guerrieri ed al presente appena 4000. Il tributo annuale che rende all’imperatore Turco consiste in 18000 braccia di tela fabbricata nel paese.
Imiretta appartiene all’antica Iberia.
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Questo paese ha miniere di ferro, ma la cura del bestiame vi è di poca importanza. Il tributo annuale che dà alla Porta Ottomana, consiste in 80 fanciulli maschi e femmine; il paese è spopolato, e non ha città né villaggi. Le famiglie vivono isolate e disperse, e non fanno uso del terreno buono che posseggono. Le viti crescono selvatiche, e se ne trovano di 15 pollici di diametro. Le frutta più belle crescono selvatiche e s’imputridiscono. Gli abitanti, secondo una tradizione antica, credono di discendere dagli Spagnuoli che quivi si mandarono per lavorar i metalli; ma essi non sanno quando ciò è accaduto, e la cosa pare avere poca probabilità.
La Georgia(1), Giuerdschistan, tra il Kaucaso ed il mar Nero, ha un suolo fruttifero, e pianure vaste pianure vaste e belle situate fra montagne e selve.
(1) Il viaggiatore filosofo Chardin descrive li vezzi incantatrici delle donne Georgiane. Voyage en Perse. Tom. I pag. 171 ed. Amsterdam 1735. 4. Anche molti altri hanno affermato lo stesso. Blumenbach conta il cranio di una Georgiana, rappresentato sulla tavola 81, pel più bello della sua collezione.
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Armenia, nell’Asia Irminia, chiamato da’ Persiani Armenik, e dagli abitanti che si chiamano Haikani, Haikia; quivi passa una grande catena di montagne dell’antico Ararat; l’aria vi è piuttosto fredda. Nella provincia che ha il nome dalla città Arzerum (Arzan al Rum, cioè città de’ Romani, il Theodosiopolis o Canna degli antichi) sorge il Forat ovvero Phrat, una volta Eufrate, che dai Turchi spesse volte è chiamato Morad Sui, che vuol dire acqua del desiderio. Quest’acqua è sempre torbida, e deve perciò essere purificata coll’allume. Tournefort dà all’Eufrate due sorgenti, dicendo, che la più distante giaccia due giornate lontana da Erzerum. Nella provincia di Wan nella grande Armenia c’è il famoso lago WAN, che qualche volta è nominato anche Arschis, a motivo della città dell’istesso nome la quale gli sta vicino; esso ha 30 miglia geografiche di circonferenza, ed è uno de’ più grandi laghi nell’Asia meridionale; l’acqua sua è salata; in esso si scaricano diversi fiumi, fra gli altri il significante Beudmahi, senza avere uno sfogo visibile.
Kiürdistan, la terra de Kiürdi, lunga 25 giornate circa e larga 10, è la maggior
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parte l’antica Assiria. Il paese è montuoso, ha molti boschi, pascoli ed un suolo fruttifero, che per altro giace trascurato. I Kiürdi parlano un linguaggio loro proprio, che più assomiglia al linguaggio comune persiano: questa favella però è usata solamente nel conversare ordinario. In tutti gli scritti pubblici si servono del linguaggio persiano, e ciascun villaggio tiene a bella posta un interprete chiamato Mela. Gli abitanti sono Nomadi, e paiono essere emigrati Persiani. Presso i Turchi sono disprezzati come i Boemi, in modo che, parlando di due uomini che poco vagliano, dicono per proverbio, questi è un Boemo che suona, e quello è un Kjürdo che balla. Abitano quivi più di 100000 Cristiani, parte Nestoriani, che nell’esercizio delle funzioni religiose si servono della favella Caldaica, parte Jacobiti che si servono della Siriaca. Il resto è composto di Maomettani. Maurizio Garzoni missionario romano che quivi si è trattenuto 18 anni di seguito, ha scritto un’operetta in lingua Kiürdica la quale tratta di questo paese(1)
(1) Grammatica, e vocabolario della lingua Kurda
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e forse contiene le notizie più recenti intorno a queste regioni.
Il Dschesira, che vuol dire l’isola o la penisola, nominato così a cagione della sua situazione tra i fiumi Eufrate e Tigris, era conosciuto presso gli antichi sotto il nome di Mesopotamia. Nella lingua ebraica è chiamato Aram, come la Siria, qualche volta anche Aram Naharaim, cioè la Siria de’ fiumi. La parte settentrionale è montuosa ma fruttifera; la meridionale ha molti deserti pieni di erbe saline, e non vi sono altri alberi che la liquirizia, spesso usata onde correggere l’acqua cattiva che si trova nella pianura. Viaggiando in questi contorni è necessario tenersi accanto a’ fiumi o sopra i fiumi stessi per il pericolo degli Arabi vagabondi. Gli Arabi dividono questa terra in 4 Diari, nominandoli per la maggior parte secondo le loro stirpi, come Diar-Bekir ec. Nel nord di Diar-Bekir, presso un castello antico e rovinato, sorge con istrepito
composta dal P. Maurizio Garzoni de’ Predicatori, Ex missionario apostolico in Roma. 1787. 288 pag. in 8.
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da una caverna il Tigre, che significa freccia o lancia, per indicare il suo corso rapido. Gli Arabi lo chiamano il fiume della pace. Il Tigre e l’Eufrate in tempo d’inverno spesso traboccano, in guisa che le loro acque confluiscono sopra Bagdad. Ordinariamente nell’agosto inondano il terreno a loro più vicino, ma senza confluire. La vera e prima unione di questi fiumi accade presso Dscheasis, e la corrente riunita, chiamata corrente degli Arabi, si divide poco dopo in molte braccia, che formano diverse isole. Queste braccia rinforzate ancora da due altri fiumi si riuniscono nuovamente presso Korna, da dove l’intera corrente passa sopra Basra per iscaricarsi nel seno Persico.
A’ tempi di Alessandro l’Eufrate ed il Tigre avevano ciascuno la propria imboccatura, come narra il di lui Ammiraglio Nearco, il quale poteva saperlo con sicurezza, poiché aveva navigato in questi fiumi(1). Dopo la distruzione di Babilonia
(1) Arrian. de exped. Alex. VII. histor. indicae cap. 41. 42.
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si sono riuniti per mezzo di canali distrutti.
Passato Mosul, poco distante dal Tigre, incominciano le montagne di zolfo che si estendono per diverse miglia, e sono ancora sensibili ai viaggiatori che navigano sul detto fiume. Nel mezzo giorno di queste due terre ultimamente chiamate, giace Irak Arabico l’Irak dell’Arabia, l’antica Caldea e Babilonia, che si estende fino al seno Persico. Questa terra è una delle più belle, e dappertutto ove non manca l’acqua cresce il grano, tutti i frutti nobili, e particolarmente in soprabbondanza i datteri, come anche la bambagia. Da Bagdad fino a Bassora il terreno è irrigato da una quantità di canali; i prati ed i pascoli che quivi si vedono sono i più belli del mondo. Teludsche è quel grande villaggio sulla parte orientale dell’Eufrate, ove si fermano i bastimenti provenienti da Biraidschik. Sulla strada di qua a Bagdad vedonsi per più di una giornata, alla parte sinistra del fiume, le rovine di una immensa città, probabilmente quelle dell’antica Babilonia.
Presso Mosul sul Tigre era per lo passato situata la famosa città di Attur, ovvero
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Assur, dalla quale tutto il regno si chiamava Assiria; 7 fino a 8 miglia più in su alcuni vogliono trovare ancora monumenti di Ninive che deve essere stata in questa regione, ma piuttosto potrebbero essere monumenti dell’antica Mosul, che nel 1393 fu distrutta da Tamerlano.
I montoni in Basra sono eccellenti, e si ha molto riguardo sui loro prodotti come su quelli de’ cavalli. In tempo del caldo più grande soffia ordinariamente il vento del Nord che rinfresca le notti. Spirando il vento del sud per 48 ore di continuo allora tutto viene indebolito, ed oltre di ciò porta dal deserto la polvere che offusca l’aria, ed offende gli occhi. Assai pericoloso è il vento caldo e sulfureo del sud est chiamato Samnum, che uccide migliaia di uomini.
La Siria, ne’ tempi antichi Aram, è guarnita lungo la costa dal Libanon ed Antilibanon, che anche nell’estate sono coperti dalla neve, e che sono alti a segno da potersi scoprire sull’isola di Cipro. I cedri di queste montagne sono conosciuti. Dietro ad essi giacciono pianure vaste e fruttifere, che vengono irrigate da una quantità di ruscelli e di fiumi delle montagne. Una delle
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pianure più grandi chiamano gli Arabi ALBKAA; gli Europei bocca. Questo potrebbe essere l’antica Goelesyria, la Siria profonda degli Ebrei. Le ruine dell’antica Heliopolis, oggidì Baalbek, sono magnifiche. Dopo queste pianure, più verso l’est, seguono colline dirupate ed infruttifere, e dietro a queste nuovamente campi fruttiferi che si perdono verso la pianura dell’Arabia Deserta. Fra tutti i suoi fiumi il solo Oronte, una volta Asi, sbocca nel mare. L’inverno è breve e dura appena 40 giorni; la primavera è amena e bella. L’estate però a cagione del caldo incomoda. Vi piove solamente nella primavera e nell’autunno. Alla metà dell’estate tutto abbrucia, eccettuate le piante più forti, ed il vento caldo dell’est riscalda fino i metalli nelle case, come se fossero stati esposti al sole. La Siria è spesso molestata dalle cavallette, ma gli abitanti le mangiano come un cibo appetitoso, parte fresche e parte salate.
Quivi si trova LA CAPRA D’ANGORA (capra angorensis) che colle nostre capre comuni appartiene alla medesima specie, dalla quale si distingue solo per le corna ed i peli. Le corna del caprone di Angora si estendono
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orizzontalmente su d’ambidue i lati della testa, e si voltano poi in linea spirale; quelle della capra sono più corti e prima sono piegati indietro, indi avanti, di modo che le punte stanno poco distanti dagli occhi. Gli orecchi pendono in giù. Il pelo è riccio e lungo 8 fino a 9 pollici, bianco e tanto morbido e lucido quanto la seta. Di questi peli fini si fabbrica un refe eccellente e le stoffe finissime di camellotto.
Sorprende che non solamente le capre, ma pure i gatti, i conigli ed altri animali della Siria si distinguono per un pelo lungo e bianco. Pare che ciò debba attribuirsi esclusivamente all’effetto del clima. Tuttavia meriterebbe la pena il fare diverse prove, onde introdurre questo animale anche altri Europei.
La Palestina è un terreno sassoso ma fruttifero, al quale manca al giorno d’oggi la dovuta coltura, per verificare i miracoli del mondo antico. Molte di quelle regioni che una volta erano coltivate ottimamente, giacciono ora abbandonate e totalmente deserte. Ciò non ostante produce buon formento, molto tabacco, olio, bambagia e diverse specie di frutta buona; l’aria per
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la maggior parte vi è sana e moderata; ma molto calda nelle pianure del Giordano. Il maggior numero degli abitanti presenti della Palestina è composto di Arabi Nomadi, de’ quali una gran parte si è resa affatto indipendente da’ Turchi. Il resto è formato da’ Turchi, Ebrei, Samariti e Cristiani, tanto della Chiesa greca, quanto della latina.
Del mare morto di Palestina, che rigetta molto Asfalto, e che riceve il Giordano, senza avere uno scarico, sarà fatto menzione nel capitolo de’ laghi.
Tutte queste regioni bellissime, favorite particolarmente dalla natura, le quali una volta erano ricche, popolate è coperte di magnifiche città ove fiorivano le scienze e le arti; le manifatture ed il commercio, ora giacciono abbandonate, sono distrutte e per la maggior parte meno conosciute da noi di quel che una volta l’erano pe’ Greci; ed eccettuati alcuni siti visitati da uomini singolari, spinti dal desiderio di sapere e dallo spirito d’investigazione proprio agli Europei, nulla abbiamo di sicuro su questi paesi, e perciò dobbiamo contentarci di quello che hanno dello i geografi della prima e della media età.
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Lo stesso accade dell’Arabia; penisola che contenendo 55000 miglia quadrate geografiche, è quasi cinque volte. maggiore della Germania. Essa è sconosciuta non solamente al giorno d’oggi, ma lo sarà egualmente pell’avvenire, poiché è tanto difficile di viaggiarvi. L’aria è calda e qualche volta malsana sulle coste marittime. L’Arabia felice stessa è in parte ripiena di montagne infruttifere o pianure sabbiose, particolarmente sulle coste. Nell’interno del paese, fra striscie di terra nude ed infruttifere, si trovano vedute piacevolissime, e terreni che abbondano di tutte le frutta di mezzo giorno, di aranci, di limoni, di pomi granati, di albicocche, fichi, persici, datteri, mandorle, uva, canne di zucchero, riso e formento. Assai conosciuto è il caffè; la parola Araba Cahuah, pronunciata da’ Turchi Cahveh, significa presso gli Arabi bevanda in generale, particolarmente però quella che essi preparano dalle fave del caffè, da loro chiamate Buun, ovvero dal Cavat al Buuniata. Gli Olandesi hanno portato il caffè da Temen, ovvero l’Arabia Felice, a Batavia, e di qua fu trapiantato in Surinam nell’America. Ancora sono molto rinomate le spezierie
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Arabiche ed il suo Aloe. La maggior parte dell’Arabia è un deserto che si estende fino all’Eufrate, nella vicinanza di Dschesira ed Irak Arabe, il quale secondo i paesi confinanti è chiamato il deserto di Siria, di Dschesira e di Irak. In esso cresce frequente l’arbusto spinoso sul quale si raccoglie la manna, e vi si trovano molte Oase ossia isole nel mare di sabbia, che sono assai fruttifere: la più conosciuta fra esse è quella di Palmira. Le caravane (Kierwane) passano pel deserto della Siria; e benché la natura abbia nel camello costruito una nave vivente del deserto, ciò non ostante le montagne di sabbia, portate dal vento sulle strade, e le nuvole e le pioggie di sabbia tanto pericolose pe’ viaggiatori, renderanno quasi impossibile una maggior cognizione di queste terre. A ciò si uniscono ancora i rubamenti de’ vagabondi Saraceni o Arabi, i quali come ne’ tempi di Giobbe, saccheggiano tutti quelli che possono vincere.
In Nedsched (Nadsjas), o la striscia alta e montuosa dell’Arabia, che divide l’Arabia felice da Tahamah (l’Arabia bassa, e l’Irak Arabia dalla Siria, un’Oasa ricca di Datteri e di altri frutti di alberi) si trovano
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tribù intere di Ebrei liberi comandati da’ loro capi propri indipendenti. Essi si dividono nelle famiglie Beni Missau, Beni Schahan e Beni Anassa, e secondo il sig. Niebuhr deve l’ultima aver governato più di 11 secoli. Kaibar o Cheibar è una fortezza sulla montagna appartenente a loro, da dove sortono per rubare come fanno gli Arabi(1). Questo sarebbe l’unico stato libero occupato dagli Ebrei. Oltre di ciò si trovano ancora gli Ebrei in molte altre provincie dell’Arabia che stanno sotto il dominio de’ Maomettani, ove hanno le loro sinagoghe ne’ villaggi presso le grandi città, come nel villaggio Oser presso Sana, ove gli Ebrei del numero quasi di 2000 compongono la totale popolazione, d’onde il villaggio ha preso il nome di Kaa el Jhud. Essi avevano quivi 14 sinagoghe; ma l’Imano nel 1761 ne fece abbattere dodici(2).
Dsjidda (Dschida ed anche Zida) è
(1) Ved. Niebuhr descrizione dell’Arabia. Amst. 1774 p. 23. 355, 358.
(2) Ved. Niebuhr viaggio verso l’Arabia t. I. p. 404 e la sua descrizione dell’Arabia p. 47 e 220.
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il porto di Mecca, ove vanno annualmente molti bastimenti. Gl’Inglesi, Francesi, e gli altri Europei non possono inoltrarsi di più senza sottomettersi alla circoncisione, e pochi viaggiatori ci racconteranno con piacere di aver veduto le reliquie di Mecca, la grande pietra nera quadrata, e la piazza ed il tempio di Abramo.
Janbo o Jamla, presso Tolomeo Jambia, è il porto di Medina. La nobiltà de’ cavalli arabi è conosciuta.
La PERSIA, grande di 50000 miglia quadrate geografiche, fu visitata da Mandelslohe e Chardin, ma finora non la conosciamo ancora abbastanza. Un grande deserto di sale che incominciando da Comes, dirimpetto alla punta meridionale del mar Caspio, passa dietro a Kerman fino a Macran, e le di cui parti sono nominate secondo queste provincie, divide fisicamente e politicamente la Persia nella parte orientale ed occidentale. Questo deserto è circondato da montagne composte di lavagna e di calce, le quali per mezzo di eruzioni sotterranee, si sono innalzate ad altezze considerabili; fra esse si veggono ancora in piena attività i Vulcani Albours nel deserto di Comes ed Aderwan
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presso Jesd. Anche l’Ararat deve la sua origine al fuoco sotterraneo; esso si lega colla catena di montagne che circonda la parte meridionale del mar Caspio. I passaggio stretto presso Derbent, chiamato la PORTA CASPIA, forma il confine più rimoto verso il Nord est; esso fu aperto da uomini frammezzo alle rocce, ed è stretto a segno, che appena vi passano le persone ad ad una; la sua lunghezza importa 8 miglia romane. Quasi tutt’i fiumi della Persia si perdono in deserti o scorrono sulle coste. L’Aras solo che sbocca nel mar Caspio è navigabile. Il fiume Ilment che appartiene a’ più grandi, si dissecca due volte l’anno, in guisa che vi si passa a secco. Così ci dice Chardin dal quale abbiamo la miglior descrizione di questo regno.
La Persia è assai mancante di acqua, particolarmente nelle provincie interne, perciò nella coltura de’ giardini e de’ campi è necessario di calcolare assai sull’economia di questo articolo. La parte interna è sana, l’aria è assai pura ed il calore dell’estate è moderato da’ venti rinfrescanti di notte. Il vento dell’Est, che passa sopra deserti lunghi di sabbia, spesso soffoga. Nell’inverno
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gela, e casca la neve; nelle regioni settentrionali ove le montagne sono coperte di eterna neve, questa stagione è rigorosissima. Le pianure presso il mar Caspio sono mal sane, e nutriscono molti serpenti, scorpioni e zanzare.
Intanto vi sono molte regioni bellissime, e floride che pompeggiano di tutt’i frutti del mezzo giorno. Anche possono i Persiani nominarsi fra i popoli più civilizzati dell’Asia. Le loro manifatture sono significanti; dalla Persia si esportano stoffe di seta, tappeti preziosi e costosi, intessuti d’oro e d’argento, camellotti, feltri fini, opio ec. Vi sono buone miniere. Oltre quelle di rame, di ferro, e di piombo si trovano ancora miniere rimarcabili di gemme turchesi. Si vedono campi vasti coperti di sale ed allume; presso il mar Caspio sono molte sorgenti di Nafta. La famosa mummia di Schiras è una specie di pece di Torba. Nella Persia occidentale, due o tre principi i più potenti si disputano sul dritto supremo di governare. Nella Persia orientale giace la parte settentrionale di Korasan, l’antica Bactriana, una terra buonissima che ha il suo proprio principe. La parte meridionale, ch’è
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la maggiore, è occupata dagli Afgani, popolo nomado che esercita le ruberie. Il numero de’ Persiani è sconosciuto e il suolo assai bello è molto spopolato.
Le terre de’ Patani, Seiks, gli Stati de’ Maratti e Misore, per la maggior parte ci sono affatto sconosciuti. Parti considerabili delle Indie, particolarmente quelle del sud ovest, ovvero della penisola al di quà del Gange, sono sommesse a questi popoli. Del resto conosciamo le Indie forse più che qualunque altro stato dell’Asia; almeno fin dove gl’Inglesi l’hanno conquistato o fin dove l’hanno passato in guerra con Hyder Ali, Tippo Saib ed altri.
La provincia di Lahor, la prima visitata e conosciuta dagli Europei, ove ha marciato l’esercito di Alessandro, e tutta la striscia da Multan fino giù all’Indo, presentemente ci è meno cognita che per lo passato. Essa merita certamente di essere visitata con maggior esattezza, poiché è una delle terre più belle e riconosciuta per tale anche dagli antichi. L’Arabo prende l’opio, e, secondo il suo proverbio, sogna delle Indie. La natura vi è bella, il cielo dolce, l’aria sana, ed il suolo abbondante in produzioni.
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Quivi si trova tutto ciò che gli uomini amano ed apprezzano, pietre nobili e perle, e frutti de’ giardini e de’ campi nella più perfetta bellezza e nella maggior abbondanza, come il più eccellente formento, l’orzo, il riso; i frutti nobili di alberi, portogalli, pomi di granato, ananassi, bananassi, noci di cocco, droghe, spezierie e tutti gli altri doni della natura. I grandi alberi del FICUS BENIAMINA formano selve isolate, sotto le di cui ombie migliaia di persone si possono riposare. I fiori ed i frutti cambiano per tutto l’anno. La pianta della bambagia, per mezzo dell’industria e della diligenza degli abitanti, vi è un prodotto importantissimo. Le stoffe di bambagia formano l’articolo principale nel commercio grande degli Indiani, ma poche, come anche le pietre nobili e le perle, giungono in Europa, poiché i principi asiatici ed orientali le comprano a prezzo molto caro. Particolarmente sono rinomate le cave de’ diamanti nella Golconda.
Quelle nazioni che una volta avevano imparato a conoscere i prodotti delle Indie, non volevano più astenersi dall’acquistarle. Quindi il traffico Indiano era sempre quello che dominava sopra qualunque altro, era il
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legame che univa tutte le nazioni, ed il veicolo della coltura e delle cognizioni. Tutti quelli che esercitavano questo traffico avevano accumulate grandi ricchezze, e la via che si prese verso le Indie, o per terra per acqua fece epoca nella storia de’ popoli; da villaggi e da capanne di pescatori nacquero città ricche che dominavano il mondo, le quali poi, passando le mercanzie delle Indie per altro canale, ricaddero nuovamente dalla loro superba altezza al nulla.
La via più antica per la quale passavano le mercanzie delle Indie, era il seno Persico, e di qua, entravano nell’Eufrate e nel Tigre, e NINO e BABILONIA per essere l’emporio da cui venivano distribuite, pompeggiavano di tutte le cose preziose del mondo. L’Arabia meridionale si attirò una parte di queste mercanzie, e le condusse verso l’Africa orientale: l’oro dell’Arabia diventò per que’ tempi un proverbio, ed i luoghi principali del commercio nell’Africa diventarono anche la sede principale in questa parte del mondo, particolarmente nell’Etiopia e nell’Egitto, due paesi i quali per la loro posizione dovevano durante questo commercio, essere i primi ed i più importanti. La via di quest’antichissimo
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commercio di caravane scopresi, non solamente paragonando le notizie antiche colle moderne, ma è indicata ancora da una catena di rovine che si estende dallo stretto di Babel Mandeb sopra Axum e Meroe, lungo le sponde del Nilo verso Tebe nell’Egitto superiore; e di là sopra il tempio di Giove Ammone pel deserto della Libia, e finisce tanto a Cartagine quanto, nella Nigrizia. Là ove erano le stazioni principali di questo commercio, si formavano Stati che per la maggior parte erano colonie di Meroe(1).
Anche dall’altro canale principale del commercio delle Indie, scorsero le ricchezze e la coltura sopra tutte quelle terre ove passava; ed il traffico mediato od immediato colle Indie era la misura della loro prosperità. La parte Nord est della Persia, cioè
(1) Tutto ciò ch’è stato detto qui sopra ha eseguito egregiamente il sig. Heeren nella sua opera intitolata Ideen ueber die Politik den Verkehr und den Handel der vornehmsten Voelker der alten Welt: Africanische Voelker, Carthager, Aethioper, Aegypter. Gott. 1793.
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le provincie Hircania, Bactria ed altre, compresa ancora quella striscia di terra che divide il mar Caspio dal mar Nero, furono coperte di superbe e popolate città. La Colchide e la Mingrelia, ora selve abbandonate, i di cui abitanti, che sempre vanno diminuendosi, difendono la loro indipendenza dai Turchi, colla sola mira di vendersi isolatamente ad essi ed a’ Persiani, erano celebri per essere i luoghi ove confluivano tutte le nazioni, ed ove erano accumulate grandi ricchezze; e Dioscurias ISGAUR sulla parte Nord est del mar Nero, ove in una selva folta, 100 passi circa dalla sponda, giace una piazza lunga 250 passi e larga 50, ne’ di cui lati si veggono capanne intrecciate di frasche d’alberi, e che presentemente porta il nome del gran mercato di Mingrelia senza esserlo, vide, secondo Strabone(1), fra le sue mura radunarsi più di 300 popoli di diversi linguaggi, e Plinio aggiunge ancora che i Romani ne’ tempi moderni vi tenevano 130 interpreti(2).
(1) Tutto ciò ch’è stato detto qui sopra ha eseguito egregiamente il sig. Heeren nella sua opera intitolata Ideen ueber die Politik den Verkehr und den Handel der vornehmsten Voelker der alten Welt: Africanische Voelker, Carthager, Aethioper, Aegypter. Gott. 1793.
(2) Plin. VI. 5 Dioscurias juxta fluvium Anthemuta,
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Quanto florido e grande non fu Tadmor ovvero Palmira nel deserto Sirio arabico! In allora, come dice Plinio(1) le merci indiane passavano sul fiume da lui chiamato Icarus che sboccava nell’Oxus. Ora, per quanto noi conosciamo questa regione, non si unisce alcun fiume delle Indie coll’Oxus, e nelle contrade settentrionali le montagne rendono impossibile una confluenza de’ fiumi delle Indie coll’Oxo. L’Icaro dunque forse sarà stato un fiume che si scaricava nell’Indo, sul quale si andava in su trasportando poi le merci sopra cameli per un qualche passaggio stretto del Mustag fino al Gihon, che sbocca nel mar Caspio, andi si navigava verso l’imboccatura del Cyrus (ora Cur) che divideva l’Armenia dalla
nunc deserta, quondam adeo clara, ut Timosthenes in eam CCC nationes, quae dissimilibus linguis uterentur, prodiderit. Et postea a nostris CXXX interpretibus negotia ibi gesta.
(1) Plin. lib. VI. ing adjicit Varro Pompeii ductu exploratum, in Bactros septem diebus ex India perveniri ad Icarum flumen, quod in Oxum influat; et ex eo per Caspium in Cyrum subvectas, quinque non ampiius dierum terreno itinere ad Phasin in Pontum indicas posse devebi merces.
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Iberia. Per andar poi da questo fiume fino al Phasis (faso, fash) era necessario di fare un viaggio di cinque giorni per terra, per giungere in fine alle città commerciali del mar Nero(1).
Per mezzo delle nazioni che abitavano in queste contrade l’India comunicava colla Scizia, colla Macedonia, con tutta l’Europa e tutte le nazioni incivilite. Questa comunicazione cessò, alloraquando il commercio prese un’altra via, e con esso qualunque relazione fra queste regioni quando furono trascurate; il fiume Oxo fu guidato in altra parte e non sbocca più nel mar Caspio, ma si perde ne’ deserti aridi di sabbia.
I Fenici si erano aperta una strada più comoda onde giungere nelle Indie. Essi avevano tolto agli Edomiti, Eziongabar ed Etat, due porti alla fine del mar Rosso, come agli Egiziani Rhinocolura (presentemente el Arisch), porto mare sul mediterraneo che giace più vicino al seno arabico. I Fenici dunque conducevano tutte le merci indiane
(1) Strab. lib. II. p. 5, lib. XI. p. 35. 356. 357. Polyb. lib. X. c. 45.
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per acqua fino alla punta settentrionale del mar Rosso, quivi le scaricavano e dopo un breve trasporto per terra, al più di due giorni, le caricavano nuovamente a Rhinocolura, per trasportarle facilmente a Tiro e inviarle in tutt’ i paesi .
Per mezzo de’ vantaggi che questa via a loro procurava, potevano fornire i prodotti delle Indie a miglior mercato ed in maggiore quantità che gli altri popoli, PER CIÒ I LORO NEGOZIANTI DIVENTAVANO PRINCIPI, ED I MERCIAI SIGNORI DENTRO IL PAESE(1). Il Tiro de’ Fenici era la regina de’ mari e di tutto il mondo allora conosciuto.
Alloraquando Alessandro distrusse Tiro, e condusse il eonimercio in Alessandria, acquistò questa città uno splendore che oscurò quello di Tiro e di Cartagine, Alessandria conservò per de’ secoli la stessa riputazione, ancor quando nacquero i più grandi cangiamenti di stato fra Roma e l’Egitto, e tutto ciò a cagione del commercio colle Indie. I Romani erano diventati Padroni dell’Egitto, ed anch’essi non trovavano miglior via pe’
(1) Isaia 23. 8.
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loro bisogni tratti dalle Indie, che quella del mar Rosso e di Alessandria. Dal porto di Myos hormos sul mar Rosso facevano vela annualmente 120 bastimenti verso le coste occidentali delle Indie, e secondo il racconto di Giuseppe(1), Alessandria sola versava in un mese più contribuzioni nell’erario romano che tutto l’Egitto nel corso d’un anno.
Roma cadde ma non Alessandria. Costantinopoli fu la capitale del regno, ma pel suo lusso e pe’ suoi bisogni restò dipendente da Alessandria: e se quella era la capitale del regno Romano, era questa la città del mondo, finché gli Arabi, nel settimo secolo (640) invasero l’Egitto e cacciarono per le loro crudeltà e violente concussioni i negozianti Cristiani.
Alloraquando gli Arabi conquistatori, si occuparono nuovamente del commercio, fondarono Bassora alla confluenza dell’Eufrate e del Tigre, e vi tirarono tutto il traffico delle Indie, perloché questa città e Bagdad, ove andarono sul Tigre le mercanzie,
(1) Della guerra Judaica lib. 2 cap. 16.
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diventarono due importantissime città del mondo. Da Bagdad furono trasportate le merci per mezzo di Caravane verso il Mediterraneo, il mar Nero ed il mar Caspio. Finalmente ritrovossi la via antica, e dal villaggio Sumerkent sorse il ricco Astrachan, e Caffa diventò il deposito de’ Genovesi, la seconda Costantinopoli, come ancora presentemente la chiamano i Turchi, cioè es Tarim Stambul, che significa mezzo Costantinopoli.
I Veneziani s’impadronirono di Tana (Azof) all’imboccatura del Don, caricarono quivi una gran parte delle cose preziose delle Indie che venivano da Astrachan, e le divisero in tutte le parti meridionali dell’Europa. Per la distribuzione di queste merci, sulla parte settentrionale, s’incarico la città di Wisby sull’isola di Gothland, la quale le ricevette sopra la Wolga ed il lago Ladoga, onde ben presto questa città diventò ricca e florida. Tamerlano per mezzo della conquista di Astrachan interruppe questo traffico, perciò i Veneziani conchinsero un’alleanza col Sultano Turco in Egitto, e si attirarono le merci delle Indie che passavano il mar Rosso, in guisa che ben presto diventarono
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ricchi e possenti a segno, che conquistarono città e paesi, e diedero gelosia a tutta l’Europa. Da Venezia passò una gran parte delle mercanzie per la Germania. Le città per dove le merci furono spedite, le quali per assicurarsene maggiormente facevano un’alleanza fra loro, ben presto si videro in istato di tenere un’armata e vascelli da guerra, di dettare leggi ai re del Nord, ed imprestare bastimenti all’Inghilterra ed alla Francia.
Il Portogallo e la Spagna cercarono una nuova strada verso le Indie, e trovarono il passaggio marittimo intorno al Capo di Buona Speranza, e sull’altro lato, l’America; le ricchezze di questi regni si accumularono ed in essi fioriva il secolo d’oro: l’erario di Venezia fu esaurito, il suo dominio cadde; le città ricche ed alleate della Germania fecero banca rotta e ricaddero. Wisby tornò al nulla.
L’Olanda tolse il commercio delle Indie orientali a Portogallo, ed Amsterdam diventò la borsa dell’Europa; le casse pubbliche e private si riempirono di ricchezze come in questa parte del mondo non mai fu veduto. Gli Olandesi finalmente combatterono felicemente contro i Portoghesi, gli Spagnuoli, i Francesi ed Inglesi.
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L’Inghilterra però respinse l’Olanda da questo commercio, e l’Olanda andette in decadenza. Se la Francia avesse potuto aprire per mezzo di un canale la via per l’Egitto, l’Inghilterra sarebbe divenuta un’isola povera ed abbandonata.
In fine il legame ed il commercio immediato de’ regni e de’ paesi colle Indie procurarono loro sempre il secolo d’oro. L’Asia occidentale è nulla, da quando la corrente principale del commercio delle Indie ha presa un’altra direzione. L’unica vita che hanno ancora questi paesi, la ricevono dalle caravane le quali conducono le merci indiane verso il mar Nero e Costantinopoli.
La conseguenza immediata di ciò che qui sopra abbiamo esposto è, che le Indie sono il sepolcro di tutto l’oro e l’argento del mondo. Digià Plinio ci ha lasciato due calcoli sopra le somme che Roma perdeva per le mercanzie delle Indie(1). Secondo
(1) Plin. lib. VI. c. 23 m. digna res nullo anno imperii nostri minus H. S. quingenties ex hauriente India et merces remittente, quae apud nos centuplicato veneant. Et lib. 12. c. 18 f. minimaque computatione
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il primo potrebbe questa somma montare a due milioni di scudi e secondo l’altro a due e mezzo: più ancora vi pagò la sola compagnia delle Indie a Londra, dentro lo spazio di 40 anni. Da’ loro registri risulta, che dal 1732 fino al 1772 sono partiti in denaro effettivo verso le Indie 17,870719 di lire sterline, per anno 446768 lire sterline, ovvero 2,680608 scudi. A ciò possiamo ancora aggiungere nelle merci di manifatture britanniche per 60000 lire sterline circa, ovvero 360000 scudi, le quali furono impiegate per pagamento de’ prodotti indiani, in modo che nelle Indie furono pagati da questa compagnia 3,040000 scudi. La vendita però che fece questa compagnia, consistente in seta greggia, in tele bambagine, in salnitro, in spezierie, tè, caffè, bambagia, refe di bambagia e lana di carmelino, importò annualmente 2,200000 di lire sterline, ovvero 13,200000 scudi(1).
(1) First Report of the Commitee of Secrecy to inquire into the State of the East. Ind. comp. Lond. 1773. p. 23.
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La Compagnia Olandese delle Indie orientali, dal 1602 fino al 1722 ha ricevuto 1500 bastimenti circa da quelle parti, il di cui carico fu pagato nelle Indie con 351,683000 fiorini olandesi, ciocchè importa annualmente 2.930691 fiorini olandesi(1).
In breve, si calcola che l’Europa dal 1602 fino al 1726 abbia perduto in moneta effettiva, 150 milioni di lire sterline ovvero 900 milioni di scudi, che annualmente importano quasi 7 milioni e mezzo di scudi(2).
Per conoscere le merci che si prendono nelle Indie faremo attenzione sul carico di 10 bastimenti olandesi che nel 1732 fecero vela da Batavia per la Olanda, cioè 107000 pezzi di stoffa di seta, 81985 libbre di seta greggia da Bengala, 86515 pezzi di tela bambagina; 1,419427 libbre di pepe, 653552 libbre di tè, 389940 libbre di noce moscata, altrettanto di fiori di detta noce[,] 128000 libbre di cannella, 924341 libbre di polvere e zucchero candito, 80000
(1) Raynal storia filosofica e politica del commercio d’Europa nelle due Indie tom. I.
(2) Anderson storia del commercio. tom. 7.
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vasi pieni di noci moscate candite[,] 6850 libbre di cardamomo, 1,872375 libbre di caffè di Java, 5200 libbre di zibibbo, 592028 libbre di nitro, 11700 libre di belzuino, 1015 libbre di borace, 200 libbre di legno aquilicio, 285069 libbre di legno caliaturo, 125419 libbre di conchiglie bianche che vagliono per moneta sonante, 27843 libbre di refe di bambagia, 17100 libbre di gomma lacca, 1500 canne d’india, 11222 libbre d’indago, 64 libbre di perle a polvere, 21487 libbre di curcuma, 1810 libbre di madreperla, 1445 libbre di radici di china, 556215 libbre di legno di sapan, 23600 libbre di stagno di Malacca, 67141 libbre di stagno di Siam, 1 diamante rozzo, 2 anelli di diamante, 2 scatole d’oro(1).
Da nessun paese abbiamo tante relazioni antiche, quanto dalle Indie; e se ne avessimo, forse non troverebbero tanta credenza quanto quelle delle Indie. Viaggiando ancora in oggidì coll’antico geografo Megastene, l’ambasciatore di Seleuco Nicatore, che visse 300 anni avanti Cristo, del di cui giornale
(1) Anderson storia del commercio. tom. 7.
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si sono serviti Strabone, Arriano e Diodoro, viaggiando dico per le provincie conquistate da Alessandro, come Cabul, Lahor, una parte di Multan e Penjah, come anche per le terre di Delhi, Agra (chiamata Agara da Tolomeo, come la nominiamo ancora in oggidì) e Bengala, (da Megastene stesso scoperte alloraquando viaggiò ivi in qualità di ambasciatore) ci sembrerà di trattenerci con un viaggiatore moderno, che non è stato esattamente istruito di tutto, e che si contenta di molte cose, sulle quali non gli venne riferita la pura verità. All’epoca di questo viaggiatore, o forse ad un tempo ancora più remoto, appartengono le medesime organizzazioni, le leggi, i costumi, le usanze e le costumanze, che ancora presentemente vi si osservano. Ancora vi domina la stessa maniera di vivere, gli stessi divertimenti, gli stessi lavori, le medesime arti e lo stesso commercio, i propri articoli d’importazione ed esportazione. Se gl’Indiani hanno un vantaggio sopra i prodotti di manifatture degli Europei, come nelle stoffe di bambagia, nelle tele di bambagina e nelle mussoline, possiamo essere persuasi, che l’avevano da’ tempi rimoti. Siccome dunque è raro il fenomeno di scoprire una somiglianza ammirabile
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fra lo stato antico e moderno di un paese, forse non sarà dispiacevole di accennare quello che gli antichi sapevano intorno alle Indie, e che si è confermato da recenti osservazioni.
L’autore che parla della navigazione sul mar Rosso, generalmente creduto Arriano, conosce, 150 anni dopo Cristo, l’odierna divisione principale delle Indie, cioè dell’Indostan propriamente detto, ovvero della terra degli Indos, che comprende le provincie settentrionali della penisola; e di Decan che compone la parte meridionale. Dietro a Barygaza, dice egli(1), si estende la terra dal Nord al Sud, donde è chiamata Dachinabades, poiché Dachanos significa nella loro favella il mezzo giorno, e sotto questo Dachanos de’ Greci, ciascheduno riconosce l’odierno Decan, che nella favella del paese vuol dire ancora il mezzo giorno, come è chiamato in oggidì quella medesima parte di terra dalla città Barygaza (ora Broach), sul fiume Nerbuddah in poi.
(1) In Arriani opp. ex rec. Nic. Blancardi tom. 2 Amsterd. 1683. p. 170 f. 171.
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La descrizione della punta meridionale di questa penisola indiana, da lui chiamata Comar (assai assomigliante con Comorin)(1) si accorda colla sua situazione attuale; ed ai tempi suoi, come presentemente, fioriva la pesca delle perle sulla parte orientale di questo promontorio verso Ceilan, eccetto che allora furono a ciò impiegati solamente i condannati a morte. Questo promontorio fu il limite ove giunsero i Greci e i Romani coi loro propri bastimenti. Quello che dice il ben informato Arriano della costa orientale di questa penisola, è tratto da notizie poco sicure dei negozianti intermedi; tuttavia si potrebbe sospettare sotto il Poduca e Sopatua di Arriano, da lui nominati come paesi commercianti all’est, l’odierno Pondichery e Masulipatnam, e sotto Limyrica, Lameri, da dove i propri nazionali portavano ne’ loro bastimenti(2) l’avorio
(1) Quasi verso la fine della navigazione sul rosso edit. cit. pag. 175. Ptolomaeus Cory. Geogr. l. 13 ed in altri luoghi.
(2) Τοπικα πλυια. Gli Inglesi nelle Indie, nominano ancora tali bastimenti Country
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ed altre merci indiane a Poduca e Sopatua. Gli Arabi si servirono del nome di Lameri per indicare l’isola di Sumatra, come si usava ancora a’ tempi di Polo e di Mandeville(1). Quella costa che oggi chiamiamo Malabar, aveva il nome di Male ai tempi dell’Imperatore Giustiniano, circa la metà del VI secolo; almeno è chiamata con questo nome da Kasma navigatore egiziano verso le Indie, dicendo ancora, che quivi appunto si compri (come ancora al presente) particolarmente il pepe(2). Anche Modura, la capitale del re Paudion a’ tempi di Tolomeo, ed il fiume Chaberis hanno ancora i loro nomi antichi portati anche dallo stesso Tolomeo; e se presentemente li chiamiamo Modura e Cauveri o Caveri, dobbiamo attribuire questa differenza solamente nel nome greco usato da Tolomeo. Arcot nell’interno del paese è ARCATI
Ships poiché navigano solamente in una certa regione prescritta.
(1) Marsden history of Sumatra p. 6.
(2) Nella sua topografia cristiana lib. XI in Moutfaucon Collect. Patrum Graec. Tom. II. pag. 337.
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REGIO, ed Jor Maudusam, il regno Sorae su queste coste(1).
Le fonti dell’Indo corrono ancora nelle stesse direzioni, come quando vi passò Alessandro col suo esercito: il limite delle sue conquiste, il fiume Hyphalis(2), si chiama Beypascha o, secondo l’abbreviazione degli Indiani, Bejah. Il gran Palibothra(3) alla confluenza dell’Erannoboas (Soane) col Gange, il quale era lungo 80 stadi e largo 15, ed aveva 64 porte e 570 torri dentro le mura, è stato ritrovato da Rennel sotto il nome di Patelpoot-her, ma non della grandezza di una volta. Gli abitanti di questa città distrutta, fondarono probabilmente
(1) Ptoleni Lib. VII. c. 1.
(2) Strabone pag. 480.
(3) Arrian ind. hist. lib. c. 10 ex edit. Jac. Gron. Lugd. Bat. 1704. pag. 323 l. 324 e Strabone XV pag. 483.
Questo celebre Geografo che fu lungo tempo agrimensore nel Bengala, e Maggio al servizio della compagnia inglese delle Indie orientali, ha pubblicato nel 1788 una bella carta delle Indie in quattro fogli e memoirs of a Map of Hindostan or the Mogul Empire in 4 di 295 pag. Queste memorie danno i migliori schiarimenti sopra la geografia antica e moderna delle Indie.
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l’odierna Patna, vicino all’antica residenza ove soggiornò alcuni anni di seguito il geografo Megastene. Osservatori attenti, come Rennel e Forster, hanno ritrovato in questa striscia di terra molte antiche regioni e città, e basterebbero forse ancora due altri di tali uomini per ritrovare tutte le altre.
La canna da zucchero e l’arac erano conosciute da’ Greci sino da’ tempi di Alessandro, 320 sino a 330 anni circa avanti Cristo, e da questi impararono a conoscerli i Romani. Essi sotto il nome di Σακκαι intendevano una specie di miele, non fabbricato dalle api, ma che sortiva da una canna(1); il nome però ci fa
(1) In molti passi degli antichi vien accennato il miele di canna degli Indiani, onde non posso comprendere come Blumenbach nella sua Tecnologia ediz. 3 pag. 423 e 424 abbia potuto dire, che non si sia fatto menzione della canna da zucchero prima del settimo secolo; meno intendo ancora, quando racconta, che il medico greco Giov. Actuarius siasi dapprima servito del zucchero nel XII o XIII secolo in qualità di medicina. Il zucchero, anche se Plinio non avesse fatto menzione dell’uso di esso nella medicina, fu sempre
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rinvenire lo schaggri degli Indiani. Linneo ne conta quattro specie. Il Saccharum degli antichi era probabilmente il succo sortito
esportato dalle Indie benché l’esportazione non fosse abbondante. Strabone lib. 15 ediz. Casaub. pag. 472. med. lo dice espressamente: anche Nearco racconta, che quivi la canna produce del miele senza l’aiuto delle api. ειρηκε δε και περί καλάμων ότι πoιoύβι uéłe uchwowy uń oudov. Tertullian. in lib. de ind. Dei: mella viridanti confragrant pinguia canna. Diosc. cap. 292 ed Arriano nella navigazione, conta espressamente fra gli articoli d’importazione provenienti dalle Indie il miele di canna chiamato zucchero, Και μέλι το καλάμωον, το λεγομενού gaxxa pov. Theophrast hist. plant. lib. 4.c. 5. Dionys. Perieged, vs. 1027. Eustath. Thess. cominent. ad. h. l. (edit. Bertrandi Bas. per oper, 1556. in ottavo pag. 281) radices quidem cannarum magnarum et natura, et si coquantur dulces sunt; hae mel reddunt, quamvis non insint apes etc. Lucan, lib. 3. 235.
Quique bibunt tenera ab arundine succos Seneca, epist. 84 aiunt inveniri apud indos mel in arundinum foliis, quod aut ros illius coeli, aut ipsius arundinis humor dulcis pinquior gignat.
Più chiaro di tutti ne parlò Plinio lib. 13 cap. 8. Saccaron et Arabia fert, sed laudatius
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dalla tenera pianta, il quale si era indurito intorno al taglio che vi si era fatto, ed è da supporsi, che questa pianta fosse una specie diversa dalla canna da zucchero propriamente detta oggidì, cioè da quella che nell’Asia anteriore è chiamata Schaggri Mambu.
Strabone non nomina l’Arac, ma lo descrive chiaramente come un vino fabbricato dal riso(1), e sembra, che non si possa spiegare altrimenti l’aggiunta che al riso si facea a tale oggetto, che per una specie di rum fabbricato già ne’ tempi di Alessandro, poiché Strabone dice, malgrado che questa aggiunta non venga da un albero che porta i frutti, ciò non ostante se ne produce una bevanda che inebria(2).
Gli antichi conoscevano egualmente la
India. Est autem mel in arundinibus collectuin gummium modo candidum, dentibus fragile, amplissimum uncis avellanae magnitudine ad medicinae tantum usum.
(1) Lib. XV. ed. Casaub. pag. 487 fin. 488. οίνον πίνεώ απ' όρύζης.
(2) Ibidem pag. 472 med. 8. ovy à p devδρον ειναι καρποφόρον, αντί κριτίνων δυντίθεντας εκδέ του καρπου μεθύεα.
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Gomma-lacca dugento anni avanti Alessandro, ai tempi di Ctesia e Ciro, e la descrizione che ne da Ctesia, l’accompagnatore e lo storico(1) di Ciro, riguardo alla produzione di esso, è confermata dalle osservazioni più recenti de’ naturalisti. «Nelle Indie, dice egli, nascono piccoli animaletti nella gomma di alcuni alberi, i quali sono della grandezza della mosca, hanno i piedi lunghi, sono morbidi come i vermi, e rossi come il cinabro. Essi mangiano e guastano il frutto degli alberi. Gl’Indiani gli acciaccano e ne guadagnano un color rosso, da preferirsi assai al colore persiano, e ne tingono gli abiti o altre stoffe». Ctesia(2) ha mancato di indicare che la gomma sia il prodotto de’ vermi. Ciò abbiamo imparato recentemente da Kern e Saunders, lo che è
(1) La sua storia delle Indie è perduta ; però si sono conservati alcuni frammenti, particolarmente negli estratti di Fozio , i quali ordinariamente sono aggiunti alle opere di Erodoto. Questo passo si trova in hi. storiis ex excerpt. ex ladiciis Ctesiae l. 31 nell' Erodoto edizioni di Goll, pag. 663.
(2) In philos. transact. vol. 71 par. 2 pag. 374.
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stato maggiormente confermato dal dottor Stoxburg(1).
L’insetto è una specie di Chermes (chermes lacca) che si pone sulle foglie succose degli alberi e degli arbusti, particolarmente sulle mimose(2); ed appena scelto il sito, lascia un sugo gommoso, per mezzo del quale si attacca alla foglia, ed a poco a poco questo sugo si aumenta in modo, che forma quasi una cellula intorno all’animaletto, e diventa il suo sepolcro ed il nido de’ piccoli nascenti. Questa sostanza gommosa, consistente in quadrati irregolari o pentagoni oppure esagoni, di un ottavo d’un pollice di diametro circa, e profondo d’un quarto, colla quale ben presto si coprono le foglie di un albero intero, è la gomma lacca. Gl’Indiani raccogliono questa gomma, chiamata LACCA A VERGHE, nella quale sono ancora rinchiusi i piccoli corpi rossi oscuri che
(1) In philos. transact. vol. 87 pag. 336 tradotto e fornito di rami che rappresentano l’insetto nel Voigts Magaz. VIII. vol. 4 quint. pag. 64.
(2) Mimosa cinerea Lin. mimosa glauca di Koenig, ed una nuova specie di mimosa, da Gentoos chiamata Conda Corrinda.
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tingono la lacca di rosso, levati i quali, resta la lacca chiara e trasparente; il gusto gommoso è debolmente astringente, e senza metterlo sul fuoco non ha verun odore particolare. Gl’Indiani dopo avere scelto i pezzi netti, qualche volta la pestano e ne formano LA LACCA A GRANI, di cui si fa uso nelle spezierie. Ordinariamente dopo aver raccolto le cellule degl’insetti, le fondono cogli abitatori, e ne formano tavolette, chiamate LACCA A TAVOLETTE, che servono per tingere.
Nel modo istesso gli antichi conoscevano le altre belle materie indiane atte per la tintura(1), ed erano informati meglio della loro preparazione che noi, prima che avessimo i racconti di Tiefenthaler(2) e di altri viaggiatori recenti.
Tra queste materie contasi l’Indaco, chiamato
(1) Strabone la loda in molti passi. Lib. XV. pag. 478 481.
(2) Gesuita tedesco e missionario, che per molto tempo si è trattenuto nell’Indostan propriamente detto. Esso ha scritto una geografia completa delle Indie, la quale è stata pubblicata dal sig. Bernoulli in tedesco, con molti schiarimenti sotto il titolo: Historisch geographische Beschreibung vonIndicum per esemp. Arriani in peripl. Eryter, in Arriani opp. ed. Blanc. II. pag. 159. Hindostan. 1785 4.
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dagli antichi INDICUM(1) il quale ild il bel colore turchino. Plinio sapeva almeno ch’era preparato dal vegetabile, benché non fosse stato bastantemente istruito sulla pianta medesima, e del modo di prepararne il colore(2). Nella Germania, una volta, fu tenuto per minerale, e si credette di poterlo trovare nelle miniere. Federico I. re di Prussia, ne’ privilegi dati nel 1704 ai corpi interessati nelle miniere, che esistono nella contea di Rheinstein e nel principato di Halberstadt permise di cercare oltre gli altri minerali e metalli, anche l’indaco.
Questo colore si estrae dalla pianta Anernil ovvero Anil che ha un ceppo grosso di un dito, ch’è legnoso ed alto 3 piedi circa; da questo si estendono de’ rami nodosi
(1) Indicum per esemp. Arriani in peripl. Eryter. in Arriani opp. ed. Blanc II, pag. 159.
(2) Plin. hist. natur. 35. 6. post med. apportatur et Indicum ex India, Inexplorata adhuc inventio mihi Fit etiam apud infectores ex flore nigro qui adhaerescit acreis cortinis. Fit et e taedis, liguo combusto, tritisque in mortario carbonibus. Mira in hoc sepiarum natura. Sed ex his non fit. Omne autem atramentum sole perficitur etc.
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ai quali sono attaccate le foglie alate. Le foglie si tagliano prima che fiorisca la pianta, e si pongono nell’acqua finché imputridiscano; indi le pestano, e l’acqua dopo esserne ben tinta, è versata in un altro vaso, ove resta finché le particelle turchine sciolte in essa cadono a fondo. Dopo si decanta l’acqua, e si mette il fondo in sacchi di lana рег farla scolar bene; in ultimo questa massa già condensata è battuta dentro le forme e disseccata pienamente in un sito ombroso. Dalla figura che hanno queste tavolette, gli antichi le chiamarono INCHIOSTRO INDIANO, OVVERO NEGRO DELLE INDIE. Con questo ultimo nome viene accennato alcune volte nella navigazione sul mar rosso, come articolo d’importazione proveniente dalle Indie(1).
Le ricerche delle stoffe bambagine non erano tanto frequenti presso gli antichi quanto lo sono al giorno d’oggi, e ciò per molte cagioni: non ostante conoscevano la varietà e la bellezza di esse(2). Egualmente lodavano
(1) In Arrian. opp. edit. Blanc, Tom. II. pag. 164 ίνδικον μελαν.
(2) Arabo lib. 15 pag. 477. 494. Arrian hist. ind. [284] c. 16. ed. Gron. pag. 330 perip. mar. crythr in opp. Arr. opera Blanc. tom. 2 pag. 155, 159, 169, 170 ed in altri luoghi come articoli di esportazione delle Indie. Plin. lib. 19 c. 1.
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la facoltà inventiva degli Indiani ne’ loro diversi lavori di mano, particolarmente in metallo, avorio e tartaruga(1).
I grandi alberi del ficus Benjamina, alla cui ombra possono riposarsi migliaia di persone, e che formano selve intiere, mentre piegano i rami per terra, ove prendono radice e formano altri rami ed altre frasche, vengono descritti dagli antichi, i quali gli nominano il soggiorno dilettevole di Jogies(2), come lo sono ancora al presente.
Nell’istesso modo conoscevano essi le Caste degli Indiani, delle quali ne contano SETTE, e ne indicano di ciascuna diverse suddivisioni.
(1) Strabone libro 15 pag. 494 et alibi Periplus maris Erythr, per Blanc. pag. 159 Dionys. Periegetes. vs. 1016 seq. ed il Thess. comment. Eustath. edit. Bas, 1556 pag. 279. 286.
(2) Strab. lib. 15 pag. 477. Diod. Sic. lib. 17. Arrian hist. ind. c. 11 ed. Gron. pag. 325. Plinio XII. 5 ed in altri luoghi.
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Strabone, Diodoro il Siculo ed Arriano nominano tutti d’accordo(1) le seguenti: 1. i sapienti ed i Bramini, 2. gli agricoltori i quali tanto in tempo di pace, quanto in tempo di guerra restavano personalmente esclusi dal pagare contribuzioni o imposte, e neppure pagavano sul possesso delle derrate, ma erano obbligati di dare allo stato il quarto de’ loro prodotti, 3. i pastori che per lo più vivevano sulle montagne, separati dagli altri abitanti, 4. gli artigiani, gli artisti, ed i mercanti, 5. i guerrieri (i Rasbutti), 6. i soprintendenti, specie di fiscali, forse anche persone, di pulizia e di giustizia, 7. gli uomini di stato. Di queste sette Caste, dicono gli antichi, che nessuno poteva sposare una donna dell’altra Casta e viceversa, né passare dall’una, all’altra, né rischiare molto meno di occuparsi d’affari delle Caste superiori.
I libri più antichi e più sacri degli Indiani
(1) Strabone XV pag. 484, 489. Arrian. hist. ind. c. 10-12. Gronov. ed. p. 324 seq. Diod. Sicil. lib. 2. c. 25 confronti anche Plin. nat. hist. VI, 19, Theoprast. hist. IV. 5.
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parlano solamente di quattro caste: cioè 1. i Bramini nati dalla bocca (sapienza) di Brama, per orare, per leggere e per scrivere, 2. i Chetrid, ovvero Tschetri, nati dalle di lui braccia (forza) per distendere l’arco, per combattere e per regnare, 3. i Bise, Wisga, Baniani, nati dal ventre (stato di nutrimento) per procurare i bisogni della vita col mezzo dell’agricoltura e del commercio, 4. i Suder (schuter), nati dal piede (sommissione) per servire e per lavorare.
Queste Caste saranno forse le principali, le originarie, ma non tutte. Poiché contando fra le caste solamente quelle che non si mischiano, e delle quali l’una non può occuparsi degli affari dell’altra, debbono oltre a queste quattro sussistere ancora due altre, e formare 6 caste in tutto, cioè 5. i Burun Sunker, la di cui origine si deduce da un congiugnimento illegittimo fra le persone di differenti Caste, i quali per lo più si occupano nel fare piccoli negozi in dettaglio, 6. i Pariars ovvero Tshandalas, quelli i quali sono stati espulsi dalla loro propria casta, e che sono creduti impuri a segno, che la loro ombra contamini tutti gli oggetti sopra i quali passa,
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come il latte, l’acqua ec. ed avvicinandosi essi ad un Nair o ad un superiore della casta dei guerrieri, può questi ucciderli, e nessun membro di un’altra casta deve trattarli. Ma siccome ciascuna casta, per esempio quella di Bramini, de’ guerrieri ec. ha diverse suddivisioni, che fra loro sussistono per diritto di successione; e siccome tutti i mestieri succedono di padre in figlio, e non vi sussiste esempio di cangiamento; così i Portoghesi nel secolo decimo sesto credevano dovere contare 196 caste. Il Bramino, che nel 1773 fu interrogato in Inghilterra su questo proposito, nominó 90 caste e più.
Anche i Fachiri ed i Bajadari si trovano nelle Indie dacché si è di questo paese. Merita che si faccia menzione particolare del Fachiro Purrum Soatuntre Purkasamund, il quale incominciò nel suo decimo anno a far penitenze, come di riposare sulle spine e sulle selci. Nel suo ventesimo anno viaggiò per una gran parte dell’Asia orientale. Nel villaggio Dadum Khans Pend, al di quà di Peischore, si rinchiuse in una Cella, nella quale volle far penitenza dodici anni di seguito; i vermi mangiavano di già la sua carne, alloraquando
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il Raja del paese fece aprire la porta. Purrum disse al Raja di liberarlo dalla maledizione, o di fargli fare un Ser-Seja, letto di chiodi. Ciò si fece, e trentacinque anni di continuo fece penitenze su questo letto che continuamente portò seco. Duranti i quattro mesi d’inverno fa de’ Sel-Seja su questo letto, vuol dire, si lascia giorno e notte gocciare l’acqua şulla testa. Egli ha molti scolari e seguaci. Nel 1792 era intenzionato di non abbandonare più Benares(1).
Ravviseremo i Fachiri in tutte le loro successioni numerose, osservando ciò che presso Strabone racconta Megastene de’ Germani, e Clitarco da’ Pramni. Tutto quello che i viaggiatori moderni raccontano del rigore, delle penitenze, de’ tormenti penosi e dell’occupazione de’ Fachiri, come dell’altą opinione che ne ha il popolo, è stato nell’istesso modo accennato da Megastene. Secondo lui(2) sussistevano diverse classi di Germani, i più santi si chiamavano Ilobii, poiché vivevano ne’ boschi, si nutrivano di radici,
(1) Ved. Asiatic. Recherches. Lond. 1799. p. 49.
(2) Strab. lib. 15 p. 490 fin.
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vestivano di scorza d’albero, o restavano nudi. Dopo loro erano stimati quelli portavano in giro le medicine, e che esercitavano esorcismi, profezie, magie ec. In presenza di Alessandro(1) uno di essi si mise col dorso in terra, ed avendo incominciata la pioggia d’inverno, si lasciò, giornata intera piovere in faccia senza moversi. Un altro si pose sopra una gamba sola portando nelle due mani un pezzo di legno grosso, e restò immobile in questa posizione durante tutta la giornata. Onesicrito, l’accompagnatore di Alessandro, trovò in un altro sito 15 di essi nudi messi in differenti posizioni e tutti immobili; questi Fachiri giacevano, o stavano in piedi, o sedevano, durante la giornata esposti al massimo calore del sole sopra pietre, o sulla terra riscaldata dal sole, in modo, che nessun altro poteva porvi il piede nudo; essi non facevano neppure attenzione alle punture delle zanzare o di altri insetti, che quasi li mangiavano.
(1) Strab. lib. 15 p. 491.
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In somma essi si conducevano in allora, come fanno anche oggidì(1).
Anche Clitarco nomina diverse classi di Pramni(2), alcuni de’ quali disprezzavano tutte le scienze de’ Bramini, e vivevano parte sulle montagne, vestendosi con abiti di pelli di animali, nelle di cui cinture portavano medicine, radici, ed amuleti per venderli(3); parte camminavano nudi, e facevano diverse devozioni all’aria aperta, e conducevano seco delle donne(4), senza però toccarle mai, e questi si vestivano di tela ed andavano vagando ne’ villaggi e nelle città. Egli non dimentica di accennare, che lasciavano crescere lunghi e folti i capelli(5),
(1) Strab. p. 491 sino alla 492.
(2) Strab. p. 494.
(3) Strab. XV, p. 486 ibid. 494.
(4) Ancora al presente si veggono donne infeconde che vanno a visitare i devoti di Lingam baciando loro le parti genitali. Le devozioni sono descritte da diversi antichi, come Cicer. Tusc. quest. V. 27. Plin. VII. 2. m.
(5) Strab. XV. p. 494 Κομαν δε και πωγωνετρα φειν, ἄναπλεκομἑυουσ δε μι τρουθαι τἂς κόμος.
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e Dionisio Perigete(1) nella sua breve descrizione dell’India fa menzione particolare di questi capelli. Anche questa bagattella osservasi ne’ Fachiri presenti. Essi portano sulla testa una quantità di capelli falsi, che mischiano co’ loro in maniera singolarissima, onde la loro testa pare più grossa del doppio. Fra questi capelli nascondono perle, coralli e spezierie, che danno in cambio per la polvere d’oro, pel muschio e cose simili.
Strabone crede favoloso(2) che questi Fachiri o qualche altro Indiano possa piegare indietro le dita della mano, o il piede verso il calcagno e camminarvi sopra; ciò non ostante sono questi esercizi fra quelli de’ Fachiri, i quali non mai hanno lasciata andare fuori di moda(3).
(1) Dionys. Per. vs. 1012. Πιοτἀτας φορέουςιν ἐδείρας. ed Eustachio vescovo di Tessalonica di lui Commentatore: concinnos pinguissimos gerunt. La cosa dunque gli deve aver sorpresa molto.
(2) Strab. lib. 2 p. 48 lib. 15 p. 489.
(3) In tutte le descrizioni di viaggi vedremo accennati gli sciami di questi così detti frati penitenti, e le numerose classi di tali devoti, la loro scienza botanica,
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La descrizione che, secondo Aristobulo, fa Strabone de’ Taxili, difficilmente può essere schiarita meglio, che pel racconto che fanno i nostri viaggiatori moderni delle Begonie, chiamate anche Bayadare dalla parola portoghese Baya (ballerina). Strabone dice(1) «è assai libertino e scostumato quello che Aristobulo narra de’ Taxili, cioè che quelli, i quali, per povertà non possono maritare le loro figlie, le conducono sulla piazza pubblica, radunandovi il popolo per mezzo di un tamburo o altro strumento ove fanno vedere la ragazza nuda, prima dietro e poi dinanzi, a chi le s’avvicina, il quale può conseguirla sotto condizioni convenute, quando le piacesse».
Ciascun tratto de’ Taxili ritroviamo nelle Bayadare che sotto la sorveglianza di un superiore, formano nel tempio una società di donne pubbliche. A queste è aggiunto ordinariamente
lo smercio degli amuleti, l’incantesimo de’ serpenti, l’arte de’ loro giuochi di mano ec.; qui sopra però abbiamo parlato di questi devoti solamente per indicare la loro antica esistenza.
(1) Lib. XV. p. 491. Τών δε εν Ταξιλων νομίμων καινἂ και ἅηδη λεγει, το ec.
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un vecchio Malabaro, che cantando e suonando certi piatti di rame le anima al ballo. Questo ballo è estremamente lussurioso, e con tutto ciò semplice. Esse imitano tutte le posizioni possibili, e cambiandole rapidamente, rappresentano azioni assai espressive. Esse non possono ricusare la loro persona ad alcuno Bramino o Rajpuz, e devono accomodarsi secondo i capricci di quello che desidera di passare qualche momento con loro. Se ne incontrano in tutte le città, particolarmente ne’ contorni de’ tempî. Nelle cerimonie religiose ed in tutte le feste sembrano essere necessarie, come anche il loro ballo.
Egualmente così antico e conosciuto da tutti gli antichi, sino da’ tempi di Alessandro, è il costume delle donne di alcune caste, particolarmente de’ Bramini e Rasbuti, cioè, morendo il marito di bruciarsi vive e, come sembra, con piacere(1). Il morto avendo
(1) Strab. XV. p. 481 e 491. Cic. Tusc. quaest. V. 27 mulieres vero in India, cum est cujusvis carum vir mortuus in certamen iudiciumque veniunt, quam plurimum ille dilexerit, plures enim singulis sedent esse
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avuto più donne, allora quella che era amata sopra le altre salta da se stessa sul rogo.
La gelosia colla quale si vegliava sulle donne, anche ne’ tempi di Alessandro, non cede punto al rigore col quale sono rinchiuse anche oggidì. Anche Megastene, presso Strabone, osserva che andando i principi indiani a caccia, ed essendo accompagnati da un numero delle loro donne, si stendevano le corde su quella via che prendevano, e nessun uomo poteva avvicinarsi senza essere punito immediatamente di morte(1).
La somiglianza sorprendente dello stato antico delle Indie col presente si vedrebbe ancora maggiormente nelle cose minute, delle quali non conviene che qui si faccia menzione. Nearco ed Arriano si maravigliarono de’ pendenti di avorio, de’ parasoli dei più ricchi e delle scarpe di pelle bianca coi talloni lunghi a guisa delle nostre pianelle(2): cose tutte
nuptae. Quae est victrix, ea prosequentibus suis, una cum viro in rogum imponitur, illa victa moesta discedit.
(1) Strab. XV. p. 488.
(2) Arrian. ind. c. 16 edit gron. 8. 390.
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che ancora si veggono presentemente, e sono in uso presso le medesime caste, ed in nessun’altra. In somma, come fu una volta nelle Indie, così è ancora a’ giorni nostri e resterà ancora per lungo tempo. Forse non si può fare maggior critica contro la cattiva organizzazione delle caste, che citando la continuazione uniforme ed invariabile degli oggetti che tanto ci sorprendono negli Indiani. Le caste in fine, rendono impossibile i progressi ed i slanci dello spirito, e si oppongono allo sviluppo dell’uomo.
Lo spirito del secolo moderno, pare di aver maggior influenza sopra gli Indiani, particolarmente sopra quelli che abitano a Calcutta, di quanto potrebbe aspettarsi dopo una vita monotona di più di due mila anni, e dopo che gl’Indiani hanno inventato l’arte di fortificarsi per così dire contro la varietà della natura stessa. Alcuni Indiani cominciano a servirsi delle carrozze inglesi, mettersi sulle sedie, ad appendere gli specchi nelle loro stanze e cose simili(1).
(1) Le ricerche storiche sulle Indie, da Robertson ec.
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non colla medesima sicurezza possiamo credere che il turbante, la jumma ed i calzoni lunghi che portano, siano un’imitazione de’ loro conquistatori maomettani.
Arriano(1) nomina come parte distintiva del vestiario degli Indiani, una pezza di mussolina che pendeva sciolta intorno alle spalle, una camicia della stessa roba, la quale andava fino alla metà delle gambe e la barba tinta; ma questo vestiario non era forse comune a tutti, ed apparteneva a certe classi; in oltre sappiamo benissimo, che alcune portavano il turbante come ancora presentemente(2), ed alcune caste degl’Indiani quasi sono vestite ancora come quelle descritte da Arriano.
Tutti gli antichi che fanno menzione delle Indie parlano anche de’ suoi incomodi, i quali sono mai sempre i medesimi. La quantità di ranocchie e di rospi, i quali si aumentano particolarmente in tempo di pioggia e diventano straordinariamente grandi,
(1) Arrian. ind. c. 16.
(2) Strab. XV. p. 494 ἄναπλεκομένους δε μιτρουθοι τας κόμας ed in altri luoghi.
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obbligano gli abitanti d’innalzare molto la lettiera, e di abbandonare anche le loro capanne(1). I serpenti di tutte le specie, scorpioni, centipedi hanno molestato sempre le Indie. La pena maggiore recano però le zanzare, e le cimici, che hanno le belle Indie per patria e per loro domicilio originario. Vi si contano 125 specie di cimici, la maggior parte è alata, ma quella de’ letti è senza ale. Questa è venuta in Europa dopo la nascita di Cristo(2). In Inghilterra fu introdotta ed osservata nel 1670.
L’intera penisola, essendo situata quasi dentro il tropico, è esposta alla pioggia tropica che quivi però ha questo di particolare, che quando piove sopra una metà di questa penisola, l’altra ha un cielo sereno; così la parte orientale, o la costa di Coromandel, ha i giorni più belli, quando sull’occidentale o sulla costa di Malabar incomincia la pioggia, e viceversa. La cagione di questa stagione continuamente opposta di due striscie
(1) Strab. XV. p. 486 lin. 2 seq.
(2) Quindi Plinio verso la fine del lib. 32 c. 10 le nomina cimices invectos.
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di terra tanto vicine l’una all’altra, nasce dalle alte montagne di Gates che traversano per la lunghezza la penisola. Esse trattengono le nuvole, che alla fine del mese di giugno vengono dalla parte del mare e si gettano sulla terra riscaldata, ove si scaricano quattro mesi di continuo con una veemenza straordinaria; la costa consistente intieramente in montagne e in palli viene quasi inondata, ciascun ruscello rigonfia e diventa un fiume grande, ed i temporali frequenti che si uniscono a questa pioggia, mischiano lo spavento con questo spettacolo dispiacevole della natura. Intanto che succede questo sulla costa di Malabar vedesi il cielo ridente su quella di Coromandel, poiché l’aria che vi passa deve essere tanto più asciutta mentre sulla parte occidentale si scarica di una quantità di vapori umidi. Allora quando cessano le pioggie alla fine dell’ottobre sulla costa di Malabar incominciano sulla costa di Coromandel, e continuano egualmente quattro mesi verso la fine di febbraio. Queste alte montagne, principiando l’inverno, presto si raffreddano, e l’aria calda che allora spira verso di esse dal Nord est, essendovi arrestata in questa
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regione fredda, debbono precipitarsi incessantemente forti vapori, le nebbie e le pioggie. Sull’isola di Ceylan accade lo stesso fenomeno. Anche nell’Arabia, ed in altri paesi ove giacciono catene di montagne alte e lunghe, si osservano sopra una parte violenti temporali e sopra l’altra un cielo sereno.
La quarta parte degli abitanti costa indubitatamente di forastieri europei, di negri, e di due specie di Ebrei, cioè neri e bianchi: gli ultimi da tempi immemorabili sono quivi domiciliati essi si erano acquistati molti privilegi e in certo modo formarono per qualche tempo un regno proprio. Il tempo del principio del loro stabilimento non si sa. Alcuni lo mettono nell’epoca della prima prigionia Babilonica, cosa che non sarebbe tanto impossibile; ma se ciò fosse, fuori di dubbio dovrebbero avere un’altra versione orientale della bibbia, e dovrebbero mancare loro i libri scritti dopo che furono condotti via. Altri mettono il loro arrivo nelle Indie al tempo della distruzione di Gerusalemme per Tito. Un’antica iscrizione sopra due tavole di rame, nella quale vien dato il permesso a Isup Rabbaan (Giuseppe Rabby) in
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Mogdiricolla, cioè Cranganor, ed ove gli vien concesso il comando sopra il suo popolo, tanto a lui stesso come a’ suoi discendenti, come anche tutt’i privilegi reali, dovrebbe, secondo la cronologia che contiene, essere del 426 dopo Cristo. Ma questa iscrizione nota ancora, che sarebbe permesso a Isup Rabby di sparare de’ colpi in onore suo proprio, e questo fatto li farebbe discendere mille anni più verso i tempi nostri, ed in gran parte svanirebbero que’ mille anni, duranti i quali gli Ebrei vogliono aver avuto un regno florido governato da 70 reggenti. Dicesi che per lo passato vi abitavano 80000 famiglie; presentemente montano a 4000 circa. Questi Ebrei bianchi vivono separati dalla famiglia maggiore degli Ebrei neri, co’ quali trattengono quasi una specie d’inimicizia. Gli ebrei neri non vi saranno nati in altro modo, che per mezzo di congiungimento degli Ebrei bianchi coi nazionali del paese, e per mezzo di Proseliti che vi fecero, probabilmente per istabilirsi meglio in que’ paesi. I negri ben presto divennero superiori di numero; e siccome i bianchi vollero sostenere una certa superiorità sopra quelli, nacque fra ambedue una gnerra, che
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quasi distrusse i bianchi; quelli che ne restarono furono costretti a dividersi interamente da’ neri. Gli Ebrei negri abitano in 7 luoghi diversi; a Chodschin posseggono due sinagoghe e 150 case. Ad Angikaymat hanno due sinagoghe e 100 case, a Paru, verso il Nord di Chodschin, una sinagoga e 100 case ec. Siccome per 100 o 150 case sussistono sempre due sinagoghe, possiamo concludere che gli Ebrei in quelle regioni calde abitano, come da noi, a tre o quattro famiglie per casa.
Merita ancora essere qui accennato un tratto che caratterizza questi Ebrei. Tito, fra i vasi Sacri portati a Roma per ornarvi il suo trionfo, aveva portato anche due trombette d’argento, lavorate di rilievo, ed ornate del nome inesprimibile, ovvero delle lettere di Schem Hamphorasch (come sogliono comunemente nominarle). Queste trombette per lo passato furono suonate da’ Leviti il sabato. Genserico, principe de’ Vandali, saccheggiando Roma nel 450 le portò seco in Africa, e Belisario dopo la distruzione del regno de’ Vandali nel 520 le portò in trionfo a Costantinopoli. Di là, per cagione degli Ebrei, furono spedite per un decreto imperiale ai Cristiani in Gerusalemme, poi
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non si sa in che modo vennero tolte a questi, condotte a Cranganor, e deposte nella şinagoga degli Ebrei bianchi; ma questi credendo di trovare in esse dell’oro, ben presto le fusero, e gli Ebrei originari, per guadagnare un poco d’oro, distrussero un monumento d’antichità della loro nazione, rispettato e conservato da’ Pagani e da’ Criatiani, dagli Europei e dagli Africani(1).
Tra gli oggetti di storia naturale di questa penisola possiamo accennare, come annotazione, la PERCA MONTANTE o RAMPICANTE trovata a Tranquebar nel novembre del 1791, ch’è una nuova specie della seconda divisione, con un’aletta dorsale, e la coda non divisa. È conoscibile per 17 raggi pungenti, ed 8 molli, situati nell’aletta dorsale, e pel margine dentato e bianco delle squamme; per mezzo di questi pungoli e di quelli
(1) Queste ed altre ricerche esattissime sopra gli Ebrei neri e la storia de’ bianchi di questo paese trovansi nel Magazzeno di Buesching tom. XIV. p. 123 sino 152 ed in Brun, supplemento alle notizie degli Ebrei in Codschin. 9 tom. Benjamino di Tudela sarà forse il primo che nel 1160 scrisse un’opera riguardo agli Ebrei neri.
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situati alle branche, monta il pesce in terra e sopra gli alberi. Esso è lungo un palma ed ha una vita assai tenace. I nazionali tengono i pungoli delle branche per velenosi(1).
Lo smercio principale dell’isola di Ceylan(2), situata dirimpetto alla penisola dell’Indostan, è la cannella, la quale pare appartenere esclusivamente a quest'isola, poiché a Malabar, in Batavia, sull’isola di Francia e generalmente quasi in tutte le regioni ove è stata traspiantata ha degenerato. Sull’isola di Ceylan stesso cresce quest’albero nella sua perfezione solamente sulla costa sud ovest, mentre sulla settentrionale, e nella
(1) Ved. Daldorst in Transact. of the Linneau Society III. p. 62 ec.
(2) La miglior opera sopra Ceylan era sin’ora il viaggio di Wolf a Ceylan, Berlino 1782. Meglio è il viaggio di ambasciata verso Ceylan di Hugh Boyd, con notizie storiche e statistiche tradotto dall’inglese. Amb. 1802. Ma più di tutte, an Account of the Island of Ceylan containing its history, Geography, Natural History, with de maucers and customs of its various in habitants; to which is added the journal of an embassy, to the Court of Candy. Illustraded by a map and charts by Robert Percival. Lond. 1803 trad. in ted. da Bergk 1803.
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vicinanza di Trinquemale non riesce. Vi sono diverse varietà di cannella. Il ROSSE CURUNDU, ovvero cannella di miele, che si distingue per le foglie più grandi, più larghe e grosse, tenuta per la più saporita. Il NAI CURUNDU, o cannella de’ serpenti, ha egualmente foglie grandi ed è la seconda qualità. Prima che gli Olandesi prendessero possesso dell’isola, quest’albero era in istato selvaggio. Allora si credette di non doverlo coltivare per paura che potesse degenerare; ma ben presto gli Olandesi furono convinti del contrario, anzi essi trovarono necessario di coltivarlo, poiché tutti gli alberi scorzati morirono. Gli alberi si scorzano quasi in tutte le stagioni; ma la raccolta principale è dall’aprile fino all’agosto, e la più prossima a questa, dal novembre fino al gennaio: non si leva la scorza che agli alberi di tre anni; i più giovani danno la cannella poco abbondante e troppo sottile, ed i più vecchi non possono essere impiegati che per distillare l’olio di cannella. La scorza sottile esteriore si raschia con un coltello a foggia di falciuola, indi colla punta di questo coltello si apre pel lungo la seconda scorza saporita, e si distacca intorno
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al legno. Le canne che se ne formano, messe una dentro l’altra, vengono esposte al sole, il quale le ristringe moltissimo. Dopo questo se ne fa l’assortimento; ed avendole legate colla canna del bambo a trenta libbre per fascio, si depongono ne’ magazzini della società delle Indie. L’esame penoso delle diverse qualità della cannella appartiene ai chirurghi; da ciascun fascio egli devono tirare alcuni pezzi e masticarli accuratamente, poiché il gusto è l’unico mezzo per conoscerne la bontà. Per mezzo di quest’operazione la lingua ed il palato si corrodono in modo, che il dolore non permette loro di continuare più di due, o tre giorni. Nissuno de’ chirurghi può ricusare quest’incumbenza, poiché sono risponsabili della qualità della cannella. Per addolcire il dolore sogliono mangiare di tempo in tempo del pane col butirro. Essendo finalmente, l’esame finito, s’imballa nuovamente la cannella in balle lunghe 4 piedi circa, ciascuna delle quali pesa 85 libbre, benché vi se ne marchino solamente 80, poiché si contano 5 libbre di perdita prima, che si sia totalmente diseccata. Gli spazi fra i rotoli di cannella si riempiono di pepe nero, per lo che si conserva
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meglio e la cannella ed il pepe, mentre il pepe attrae l’umidità di quella, e la corregge moltissimo. Ma siccome Ceylan non produce sufficientemente del pepe a quest’uso, così ne viene introdotto molto dalla costa di Malabar.
Si trova ancora quasi esclusivamente su Ceylan l’albero TULIPUT, una delle più belle specie delle palme; almeno è rara nelle altre parti delle Indie. Esso cresce alto e dritto, ha un fiore giallo, che essendo maturo per ispiegarsi, si apre con istrepito, spargendo un odore disgustoso, e malsano. Le foglie pendenti dalla cima in giù superano in grandezza e forza tutte le altre, e sono di una bella forma circolare, ornata di belle striscie che si possono piegare come un ventaglio: la loro larghezza è di 3, fino a 4 piedi, la lunghezza un poco di più, di modo che diverse persone possono riposarsi sotto una sola foglia. La grossezza sta in proporzione della grandezza. Se ne fabbrica de’ parasoli e degli ombrelli.
Le Coste di Ceylan sono abitate dagli Olandesi nativi di Ceylan, da’ Portoghesi e Malay. Gli ultimi si distinguono da quelli,
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che abitano sulla costa di Malabar, e di Coromandel, e generalmente da tutti i nazionali Indiani per le loro usanze e la maniera di vivere, ma particolarmente per la ferocia del carattere: né pericolo né pena possono ritenerli dal loro intento. Il Malay soffrendo un ingiustizia immaginaria o reale, o qualche affronto, s’inebria di una specie di oppio preparato d’una pianta di Ceylan chiamata BANG, e fa il voto di uccidere l’oggetto della sua vendetta, e qualunque altra persona che possa incontrare. Indi afferra il suo pugnale avvelenato, si precipita, come furibondo per le strade, uccidendo ciascheduno che incontra, gridando a tutt’uomo: amok; amok; che vuol dire uccidere; la smania del furibondo è tale, che non si può descrivere, e spesso ne sono nate grandissime disgrazie prima che un colpo felice di fucile lo stenda a terra. I nazionali fuggono nella massima costernazione, e fuori dell’Europeo nessuno ardisce di attaccarlo; allora il Malay si difende da disperato fino all’ultima goccia di sangue, e non mira ad altro che di ferire il suo avversario. Il governo Olandese ha stabilito 100 scudi di premio per un Malay morto, e 200 quando è vivo; e tutti
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quelli che vivi caddero nelle sue mani furono tormentati a morte co’ martiri più spaventevoli; ma tutto ciò ebbe tutto ciò ebbe poco effetto. L’interno di Ceylan, è ancora sempre sconosciuto. Quasi tutti gli stabilimenti degli Europei appartengono al regno di Candi. Dacché gli abitanti di Candi si sono ritirati fra le alte montagne circondate di boschi folti, fanno il possibile, onde rendere impraticabile le strade agli Europei: Nessuna ambasciata lasciano passare pel loro territorio, se non in tempo di notte. La residenza giace quasi nel centro dell’isola, sopra la maggior elevazione; questa regione è chiamata Conde-Udda, cioè Conde o Candè, montagna, e Udda il sommo; le vie che colà conducono assomigliano agli ingressi delle caverne degli animali feroci, e sono occupate da guardie. Havvi ancora un altro popolo quasi affatto sconosciuto nell’interno di Ceylan, chiamato Waddah o Bedah, che distinguesi considerabilmente dagli altri abitanti di quest’isola. Il colore della loro pelle è più chiaro, e si avvicina quasi al color di rame. Questo popolo è ben fatto, cammina quasi interamente nudo, porta la barba lunga, ed i capelli sono legati in un sol nodo
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sulla sommità del capo. La loro maggior ricchezza consiste in cani. L’interno di Ceylan è generalmente assai infruttifero e povero. Gli abitanti non hanno alcuna industria.
La penisola pure al di là del Gange, nel senso più esteso è contata fra le Indie orientali, e ci è molto meno nota che le Indie propriamente dette; essa ha una figura irregolare, e forma in certo modo due penisole; cioè la minore (ma più larga e troncata nell’est) di Cambasha, e la maggiore più lunga ma più stretta, di Malacca (Malaya). La sua grandezza potrà montare a 46000 miglia quadrate geografiche. Incominciando dal 26° di latitudine settentrionale fino al primo grado, passa una lunga catena di montagne, ed è bagnata da diversi fiumi, in parte considerabili, come l’Ava (chiamato anche Nukian, ovvero Trabatti) il Pegu, il Menam, il Cambodia (Camboja) ovvero Menam Kom, ch’è il maggiore di tutti, da’ quali è periodicamente inondata ed ingrassata come l’Egitto. Questa penisola ha tutti i frutti e tutti gli animali delle Indie, ma è senza manifatture e senza commercio, poiché un inaudito dispotismo opprime tutto. Gli abitanti sono quasi senza coltura. Le regioni
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deserte, e molti boschi estesi sotto il più bel clima, ove la parte settentrionale è assai moderata, e la meridionale rinfrescata dalle pioggie frequenti e da’ venti regolari, dimostrano i grandi errori del governo di questi popoli.
Assam sul Burramputer, che oltre i prodotti delle Indie ha ancora delle miniere d’oro, d’argento, di ferro e di piombo, è per la maggior parte sotto il dominio inglese. Ava, Aracan e Pegu una volta chiamato Cheen o Chien(1), come anche Mien, non sono quasi mai visitati dagli Europei, ed appena conosciuti per nome. Essi paiono avere un reggente
(1) Volendo fondarsi sopra la somiglianza de’ nomi, questo Chien, in confronto del quale la China propriamente detta è chiamata Mahacheen (gran China) potrebbe valere il Sina di Tolomeo (geograf. VII. 3). La sua Bramna civitas sarebbe allora Brama, Barma con Promm, e la sua Rhabana civitas, Martaban. Quest’opinione ha trovato un gran difensore in Sprengel nella sua bellissima storia delle scoperte geografiche 2 ediz. p. 125. Il nome suo potrebbe decidere la cosa. Ma dopo un esame esatto del testo di Tolomeo particolarmente lib. VII, 2. 3. mi sono deciso per la carta di Robertson e la spiegazione generale.
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solo, il quale è il più potente della penisola.
I Birmani, così chiamati gli abitanti di Ava, sono la nazione più dominante. Essi nel 1754 vinsero i Peguani ai quali erano soggetti, conquistarono Aracan, e si resero formidabili ai Siamesi, ed anche ai Chinesi stessi. La loro capitale Ummerapoura giace sull’Irramady, 500 miglia inglesi distante dalla costa marittima. Nel 1795 vi fu spedito un agente Inglese, che ha descritto il suo viaggio(1). In questi paesi si trovano de'métalli nobili ed i più belli rubini, che però non si possono esportare che segretamente. Siam grande come la Francia, rinchiusa su tre lati da catene di montagne, ed aperta solamente sul meridionale, ha un clima felicissimo ed un suolo fruttifero, ma non è coltivato, e giace deserto. Il re è l’unico negoziante, ed esercita il più terribile dispotismo. Il riso ed i pesci sono il nutrimento principale di questa terra infelice, a cagione de’ tesori di diamanti, di zaffiri, di agate, di
(1) Questa descrizione di viaggio è stata tradotta in tedesco, e pubblicata in Amburgo nel 1800.
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stagno e di piombo. La lingua di terra Malacca (Malaya) (ove giace la città Malacca 2°, 12’ di latitudine settentrionale, e 112°, 5’, di longitudine da Greenwich) è montuosa e deserta nell’interno; sulla costa marittima, essendovi molti luoghi fangosi, regna un’aria malsana. Il suolo è assai fruttifero, ed essendo coltivato a dovere, produrrebbe frutti buonissimi. Il miglior prodotto consiste in una buona qualità di stagno, ed oltre a questo si esporta anche il pepe e l’avorio. Gli abitanti si chiamano Malay. Il loro linguaggio e la loro religione, che è una specie della maomettana, domina quasi su tutte le isole meridionali delle Indie orientali, comprese anche le Filippine. Di qua pare aver preso origine una gran parte degli abitanti di tutte le isole delle Indie orientali, cioè la razza degli uomini di un colore più chiaro, di una corporatura più robusta, di una statura più alta, e di capelli lunghi e ricciuti. Queste isole spesse volte sono anche abitate nell’istesso tempo da due popoli diversi, come accade a Sumatra, e Borneo, alle Molucche ed alle Filippine; i bianchi di origine de’ Malay, vivono sulle coste e nelle pianure, ed i negri di capelli corti e ricciuti,
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che hanno un linguaggio proprio diverso da quello de’ bianchi, si trattengono per nell’interno sulle montagne: questi negri sulle Molucche, Amboina ec. sono chiamati Haraforas o Alfuresi, su Borneo Byajos, sulle Filippine Bissayos, Pampangos, Iageles, e sulla nuova Guinea Papuas(1). Gli abitanti delle montagne sull’isola di Sumatra, cioè i Battai, Reanghi e Lampooni, che molto si distinguono da’ Malay abitatori della costa e per corporatura e per religione, a cagione del loro linguaggio sono dichiarati da Marsden di origine de’ Malay, dicendo, che quivi siano pervenuti in un’epoca più rimota, e prima che i Malay si coltivassero ed adottassero il Corano(2).
(1) Ved. Fr. Vatentyn Beschryving van Amboida II Tom. pag. 71-84. Beeckmans Voyage to Borneo pag. 43. Carlo Mueller nella sua descrizione di Leganho, philos. Transact. 68 par. I pag. 163 165 ed in tedesco nelle Beitraegen zur Voelkerkunde, da Forster e Sprengel. Tom. I.
(2) Marsden the history of Sumatra Containing an account of the Governement, Laws, Customs and Marmers of the Native Inhabitants, London 1783 4to ed un estratto nelle Beitraegen di Forster e Sprengel. Tom. I pag. 276. 277.
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La somiglianza della lingua, in quanto alle parole isolate, potrebbe esser nata dall’essere circondati da Malay, per cui sono stati obbligati di trafficare con essi.
Camboya (Camboscha) è poco coltivata, ed ha molti deserti nelle regioni situate all’est. Essa è sottomessa al reggente di Conchinchina, il quale nuovamente dipende dalla China.
Conchinchina (Cotschin Tsina), cioè Sina occidentale, unita a Siampa è una terra costeggiante il pendio orientale delle montagne di questa penisola; perciò in tempo di pioggia è inondata, a cagione della quantità de’ ruscelli che scorrono verso il mare. I nazionali della Conchinchina chiamano il loro paese Annam: essa si estende dal 20° di latitudine settentrionale verso il 8°, 40', fino a Pulo Condore, ed è divisa dal regno di Tonquin per mezzo del fiume Sungen. Il regno è formato di dodici provincie, che dal nord al sud si estendono come segue; Ding oie, Ding cat, Hue (ovvero le coste) in possesso de’ Tonquinesi; Cham, Cong-nai, Quinion, Phu yen, Bing Khang, Nah tong, Bing thoam (Champa), Donai. La larghezza del paese non
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è in proporzione colla lunghezza. Poche provincie si estendono più dall’est all’ovest che un grado, alcune meno di 20 miglia inglesi. L’intero paese è intersecato da’ fiumi i quali, benché non siano grandi abbastanza da portare bastimenti ben carichi, possono almeno favorire il commercio interno. Il clima è sano. Il calore è sensibile, e ne’ mesi d’estate è temperato da’ venti regolari della marina. La pioggia vi regna ne’ mesi di settembre, ottobre e novembre; le regioni basse vi sono inondate improvvisamente da una quantità di acqua, lo che si rinnova ogni 14 giorni, e dura tre o quattro di continuo, in modo che queste inondazioni paiono regolarsi secondo il cambiamento della luna. Il paese perciò diventa assai fruttifero, ed in alcuni luoghi si raccoglie tre volte l’anno. Quasi tutti i frutti delle Indie e della China si trovano quivi nella massima perfezione. Nessuna terra ha maggior soprabbondanza in articoli preziosi di commercio della Conchinchina, come la cannella, il pepe, la cardamone, la seta, la bambagia, lo zucchero, il legno di aquila, l’avorio ec. L’oro vi si trova quasi schietto. Abbondantemente si veggono elefanti, bufali, capre, porci ec. Poca
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cura vi si prende del bestiame bovino, poiché non è molto apprezzata la carne di questi animali, e per arare il terreno serve il bufalo. L’arte di mungere il bestiame è affatto sconosciuta ai Conchinchinesi. A cagione della mancanza di maggiore attività, e per frequenti inquietudini di guerre, e per le viste di un governo meschino, il quale, per esempio, invece d’incoraggiare gli abitanti a fabbricarsi delle abitazioni a due piani, per motivo delle inondazioni annuali, lo proibisce, essendo ciò un diritto esclusivo del reggente; nascono annualmente delle carestie, che non rare volte distruggono la metà della nazione. L’inglese Chapman che vi si trovava nel 1778, e dopo di lui Staunton assicurano, che in queste circostanze su mercati della Conchinchina, ed anche a HUE capitale del paese, la quale è meglio provvista di viveri che le altre otto, si vende pubblicamente la carne umana.
I Conchinchinesi portano senza fallo l’impronta della discendenza da Chinesi. Essi assomigliano loro tanto ne’ lineamenti del volto, quanto nella religione, nel linguaggio e in molte usanze; sono gentili e parlano, volentieri, ma amano poco la fatica. Gli abitanti
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primitivi si chiamano Moys, ed abitano sulle montagne che dividono la Conchinchina da Camboya. Il colore di essi è nero, ed i lineamenti del volto assomigliano a quelli de’ Caffri; alloraquando i presenti regnanti invasero il paese, quelli si ritirarono sulle montagne, dietro le quali giacciono grandi deserti fra Camboya, e Conchinchina.
La baia di Turon 16°, 4', di latitudine settentrionale, e 106°, 22’, di longitudine orientale da Greenwich è il porto più spazioso e sicuro del globo. Esso ha preso il nome dal villaggio di Turon situato sulla fine meridionale del porto all’imboccatura del fiume.
Tongkin ovvero Tunquin è uno de’ regni più importanti di questa penisola. Vi domina una perpetua primavera, ed è traversato da fiumi e canali. Nel centro è assai montagnoso; il suo commercio particolarmente colla China è considerabile, con cui traffica i suoi nidi di uccelli, che conosciamo anche noi sotto il nome di nidi di Tunquin o nidi Indiani; essi trovansi ne’ buchi delle coste e nelle spaccature degli scogli, ove vengono posti dalla Salangana, specie di rondine della grandezza del re di siepe; il corpo superiore
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di questo uccello è nericcio, il petto bianchiccio, e vive a Tunquin nella Conchinchina e sulle isole della Sonda. La materia del nido assomiglia alla colla di pesce, pare composta di molluschi, i quali mangiati e rivomitati quando sono digeriti a metà forse si preservano dalla putrefazione. Il sapore di tali nidi sente molto del condimento, perciò sono messi nelle minestre ed in altri cibi. Nella China, ove annualmente si portano circa 4 milioni di nidi, sono contati tra le prime delicatezze. Il quintale (150 libbre) costa sul luogo mille scudi. I più fini e più trasparenti, secondo Staunton, sono presso i Chinesi comprati per un ugual peso d’argento. Questi nidi si raccogliono tre volte l’anno col pericolo della vita; perciò gli abitanti prima d’incominciare l’opera si fanno benedire ec. La piccola rondine lavora più di un mese per formare il nido.
Fra Tunquin, Siam e Camboya giace Laos, ovvero Lao, rinchiuso fra due calene di montagne, paese a noi quasi sconosciuto, del quale si dice che abbia delle miniere, pietre nobili, molta coltura di riso ed il migliore BELZUINO. Questo è una gomma mucilaginosa,
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che si ottiene da una specie di albero di lauro, il quale ha le foglie indivise, ovali, e a foggia di lance, otto filamenti, e delle noci in luogo di bacche. Il belzuino ci perviene in pezzi considerabilmente grandi, sulla di cui superficie osservasi ancora l’impronta delle parti legnose della pianta, delle quali in certo modo forma il midollo: esso è una gomma secca e dura, che fregandola facilmente si sminuzzola, di colore rosso bruno, più o meno chiaro, od oscuro, intrecciata di macchie e di corpi di diversa grandezza, trasparente, di gusto alquanto dolce, piccante e resinoso, e di odore penetrante ma piacevole. La miglior qualità del vero belzuino chiamasi Cabesta, del quale gli Olandesi pagano sul luogo 18 fino a 20 scudi il quintale. L’albero di lauro che lo produce nasce egualmente sull’isola di Sumatra, e sulle altre circonvicine alla penisola di Malacca.
Alla stessa regione e particolarmente a Sumatra, Borneo e Gilolo appartiene ancora L’ALBERO DELLA CANFORA, egualmente una specie di lauro, le di cui foglie sono ovali, acute e rigate di colore verde pallido,
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ed i fiori grandi e bianchi a foggia di tulipani.
I nazionali tagliano l’albero, e dividono il tronco ed i rami in bacchette di 3 fino a 4 piedi di lunghezza, le quali poi spaccano di nuovo per cavar fuori la canfora naturale situata in forma bianca e compatta frammezzo i filamenti del legno. I pezzi più grandi di canfora si traggono accuratamente cogli stromenti acuti di ferro, e li nominano canfora principale (canfora del Capo); indi raschiano anche i piccoli pezzi misti di alcuni filamenti di legno, chiamandoli CANFORA DEL VENTRE; finalmente raschiano insieme tutti i filamenti che sentono di canfora, e li chiamano CANFORA DEL PIEDE. Tutte queste specie vengono spedite nella China, ove la specie inferiore è venduta agli Europei. La libbra di canfora principale costa sopra Sumatra 16 scudi; essa è bianca come il gesso opaco, e si lascia sminuzzare fra le dita, e non svanisce sì facilmente, come quella che ad arte si prepara nel Giappone. La maniera di prepararla non è ancora esattamente conosciuta: comunemente si dice, che dopo aver tagliato in pezzi i rami e le radici dell’albero, ed immerse nell’acqua anche le foglie
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unite, si lasciano cocere in vasi metallici fatti per distillare, ove la canfora visi arresta nel cappello del vaso, e non essendo ancora affatto purificata, deve essere raffinata, perché acquisti la dovuta bontà. Il quintale di questa canfora artefatta appena costa 50 scudi, quando la naturale di Sumatra vale 2000, e quella di Borneo 3000. La canfora artefatta è trasparente, luccicante, e toccandola è piuttosto grassa, che aspra; si piega sotto i denti, e benché sia sminuzzevole, non ostante non si può ridurla in polvere; l’odore è penetrante ed aromatico, il gusto bruciante. Essa nuota sull’acqua, brucia su essa come sopra la neve e sopra il ghiaccio: facilmente s’infoca, svapora ancora più facilmente nel caldo e nell’aria, ed essendo posta ad un calore moderato, scorre come l’olio. Si scioglie interamente nello spirito di vino, nell’etere e nell’olio di vitriolo; è un rimedio assai efficace nelle malattie.
Ordinariamente si crede, che gli antichi abbiano conosciuta questa penisola, ed accennata sotto il nome della penisola d’oro ma quest’opinione ha poca probabilità. Gli antichi sicuramente hanno udito parlare di paesi situati al di là del Gange, ai quali
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hanno dato il nome di regione argentea, oppure aurea, della penisola aurea, Sina, Agi simba ec.
Ma nulla sapevano sulla di lei situazione, sulla continuazione della costa, sull’estensione ed i confini di essa, e realmente non potevano saperne nulla.
Nessun Romano o Greco non mai aveva visitato questi contorni, e meno ancora aveva navigato su questi mari. Al più erano giunti coloro bastimenti fino al capo Comorin, e tutto ciò che sapevano riguardo alle coste orientali, fondavasi sopra racconti incerti di negozianti poco istruiti su questa materia, poiché essi stessi non ne avevano cognizioni esatte; noi stessi interrogando oggidì i selvaggi sulla situazione della loro isola propria, o su quella di altre distanti, non saremmo capaci di comporre una carta di tali isole.
Tolomeo che raccolse tutto quello, che sino a’ suoi tempi i Greci od i Romani avevano sentito, scoperto e supposto riguardo alla geografia, fa una descrizione totalmente falsa di questi paesi, ed i nomi de’ paesi da lui accennati, avendo oltre di ciò cambiato
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molto i numeri de gradi(1), non si lasciano spiegare, o almeno non possono essere apa plicati con certezza a questa o quell’altra regione.
Oltreché egli aveva totalmente fallato la
(1) Il suo libro, una geografia matematica, ove erano notate le longitudini e latitudini di tutti i paesi in allora conosciuti, servi di base e di guida in tutti i viaggi, ed accuratamente si correggevano in esso tutti gli errori che si scoprivano. Perciò nacquero diverse varianti ove sono notate cose che Tolomeo non poteva sapere. Tolomeo calcolando le latitudini e più ancora calcolando le longitudini ha fatto errori straordinari. Egli a ciascun grado della linea equatoriale da solamente 500 stadi (Lib. 1. c. 3 e 4), e non sempre è felice quando riduce i piccoli circoli paralelli. In fatti. Tolomeo non aveva quasi alcun mezzo per trovare le longitudini. Le osservazioni degli ecclissi solari e lunati fatte in un medesimo tempo in differenti luoghi, erano rare (Lib. I cap. 4), non vi restò dunque altro mezzo, che di misurare la rotta de’ viaggiatori tanto per terra (lib. 1, 8, 11, 12), quanto per acqua (Lib. I c. 9 ; 13), e di stimare, e di calcolare i deviamenti supposti della rotta della gran linea, come egualmente; gli altri impedimenti che prolungavano il viaggio. Considerato tutto questo non dobbiamo maravigliarci se gli antichi avevano congetture sì false di questi paesi rimoti; al contrario dobbiamo essere sorpresi, come sono riusciti ad approssimarsi nto alla verita.
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descrizione della penisola al di qua del Gange, la quale però era stata misurata con sufficiente esattezza da Megastene, e rappresentata secondo la sua vera posizione da Eratostene, Strabone, Diodoro il Siciliano, Plinio ed Arriano, i quali vissero tutti prima di lui; ed oltrecché incominciando dal seno di Cambaya, aveva indicato quasi sotto la stessa latitudine la sua direzione verso l’est, di modo che il suo Byzantium Cory-Patua, da dove si navigava verso la regione d’oro, cade sotto lo stesso paralello. Oltre questi errori, dico, non fa prolungare a sufficienza il seno di mare del Gange, e mette la sua estensione settentrionale fino al 18 grado, e mezzo invece di 22°, e lo sbocco occidentale (Cambysum Ostium) al 144°, 30’, lo sbocco maggiore 145°, 40', e lo sbocco orientale (Antibolum) 148°, 30', dunque 45° più verso l’est.
Da questo punto secondo lui estendesi la costa nella direzione sud est fino al 12 di latitudine meridionale, e pone lungo di essa, vicino al Gange, CIRRA DEORUM, (forse Tipra), poi EMPONIUM BARACURA, che ci fa rammentare il Burremputer, su le di cui sponde giace la città capitale Kargaum (Ghergony),
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l’imboccatura del TOCSANA sulla Samba (che ci potrebbe far rinvenire l’odierno Asham), l’imboccatura del Temala, il di cui corso corrisponde coll’odierno Kempoa (ove giace Arakan). Tolomeo nomina questa striscia della costa la regione argentea(1), dicendo che vi si trovino molti metalli senza nominarli particolarmente, e ciò corrisponde con Ava, e Pegu. Sopra questi paesi pone la regione d’oro, che va d’accordo con Asham ricco d’oro, dietro ad essi però la regione ferrea, ove si trovano molti metalli ma non nobili, come Siam ricco di piombo e di stagno, e verso il gran seno di mare i Sindi; incominciando dal promontorio Temala, 157°, 20' di longitudine ed 8°, di latitudine, fa
(1) Lib. VII, c. 11. (edit. Bas. 1552) pag. 134. 6 super argenteam autem regionem, in qua multa dicuntur esse metalla non signata, superiacet aurea regio i Besyngitis appropinquans, quae et ipsa metalla, auri quamplurima habet. Qui eram incolunt, similiter sunt albi colore et crassi et breves atque simi. Inter montes Damasos et limitem, qui versus est Sinas, maxime septentrionales sunt. Cacobae. Et sub iis Basanare. Postea Chalcitis regio, in qua plurima metalla acris sunt. Sub qua usque magnum Sinun Cadatae et Barrae, post quos Sindi.
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avanzare dentro terra il seno Sabarao fino al 162°, 30', dandogli un’apertura di 4°, mentre pone il promontorio secondo al sud ovest che rinchiude questo seno a 4°, 20' di latitudine. Questo non c’indica il seno di Martaban, ma ciò non ostante corrisponde più che il nome antico (Sabaracus Sinus) al moderno (Martaban): Sabara in appresso fu chiamata Sirian, ora Ranghun la capitale nel Regno de’ Romani. Il fiume Bersinga, e l’Irabatti ovvero Lirian. Quivi doveva seguire la Sina di Tolomeo, se dobbiamo intendere l’odierno Pegu. Ma egli la pone più verso il Nord est sulla parte orientale del gran seno di mare, e dietro la penisola d’oro, ove dopo il seno di Sabara fa estendersi la penisola d’oro incominciando dal 4°, 20', di latitudine settentrionale fino al 3°, di latitudine meridionale, e pone Sabara l’odierno Shor sulla di lui estremità.
La posizione che Tolomeo dà alla penisola, ci fa credere che sia la parte sotto Mergui e Tenasserim ovvero l’odierno Malacca, se altrimente non vogliamo credere, che tutti i racconti su questo oggetto siano moderni, e cangiati, e supposti, e che il testo sia stato interamente falsificato. Essendo però
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Malacca la penisola d’oro di Tolomeo e non Aracan e Ava, possiamo provare evidentemente che Tolomeo si figurava i Sini nella regione sud est di Siam e Cambasha, e forse nell’odierna Cotschin Tsina.
Fra le altre cose dice che sulla penisola d’oro giaccia Tacola, forse l’odierno Queda, e Perimula il nostro Perac. Il seno di Perimula non è altro che lo stretto di Sumatra. Samarade sotto il 163° di longitudine, e 4°, 50', di latitudine settentrionale, è la stessa Sumatra, e l’isola Tabadii ricca d’oro e fertile, la quale sulla punta settentrionale aveva una capitale grande sotto il 167°, di longitudine e 8°, 30' di latitudine, è il nostro Java: colla città di Bantam(1).
Pare che Tolomeo ignorasse il passaggio fra Sumatra e la terra ferma: egli crede piuttosto che quest’isola appartenga al continente, e che, secondo il racconto di alcuni
(1) Devo allontanarmi in questo passo da Robertson che ordinariamente è una guida sicura. Senza accennare le mie ragioni mi rapporto alla storia eccellente delle scoperte geografiche di Sprengel 2 ediz. p. 124, il quale pare avere inteso Tolomeo nell’istesso modo quando dice: Sumatra e Java erano parti di una terra ferma sconosciuta.
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viaggiatori, confini coll’Asia presso Shor. Dietro a Sumatra verso il nord stendevasi il gran seno di mare sotto il 169° di longitudine, incominciando da un gran promontorio sotto il 4° di latitudine settentrionale fino 17°, 20' della stessa latitudine. Volendo ora confrontare questo seno di mare con un altro, come Gosselin con quello di Martaban, dobbiamo riflettere alla sua posizione (dietro la penisola d’oro), all’estensione (dal sud al nord), ed alla grandezza (una linea retta di 200 miglia)(1) altrimenti operiamo con troppo arbitrio.
Nella punta più settentrionale di questo seno di mare fa sboccare il fiume Sero, le di cui sorgenti pone egli sotto il 32° di latitudine(2). Un fiume che percorre un’estensione di 15°, non può essere paragonato con un fiume piccolo. La corrente maggiore della penisola Menanken ovvero Camboya percorre in fatti uno spazio di 15°, e qualche cosa di più, discende sopra Laos, scaricandosi poi nella punta più settentrionale
(1) O almeno 666 stadi (50 per grado come soleva far Tolomeo).
(2) Tolom. VII, c. 2. med.
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del seno che Tolomeo doveva immaginarsi quale la più profonda del detto seno, poiché suppose la terra ferma situata sul lato dritto del seno, cioè verso il sud e l’est.
Sulla costa orientale del seno Tolomeo fa abitare i Sini che, secondo lui, verso il nord confinano colla terra di Seri e verso l’occidente colle Indie al di là, del Gange, e sono divisi in conseguenza dall’Oceano occidentale. Questa indicazione di confini(1) ci persuade che i Sini di Tolomeo non possono aver abitato nell’odierno Pegu.
Egli misura espressamente la distanza da Cory fino alla penisola d’oro 43°, 47', da Cory fino a Cattigara 52°(2). E questa
(1) Stol. VII, 2. Extra Gangem India terminatur……ab oriente Sinarum regione, juxta meridionalem lineam emissam a Sine Sericae usque ad Sinum magnum appellatum, et sino ipso etc. etc. c. 3. Sinae terminantur a septentrionibus parte Serum exposita, ab ortu, solis atque meridie terra incognita. Ab occasu India extra Gangem juxta lineam annotatam. usque ad magnum Sinum ac ipso magno Sino, et partibus, quae deinde adjacent, ferinis appellatis, ac parte Synarum, quam habitant Tehthyophagi Aethiopes etc.
(2) Lib. 1. cap. 13, per tot. Caput distantia igitur, quae a Cory, promontorio, ad auream usque est Chersonesum,
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distanza da Cory fino a Cattigara 17°, 31’(1) era quasi totalmente orientale. Il meri. diano della penisola d’oro era 161 e 162°; quello di Cattigara 177°, dunque Cattigara era situato 15° più all’oriente; e volendo anche supporre che fosse nato qualche errore intorno ai numeri, dobbiamo ciò non ostante persuaderci che Cattigara, calcolando dalla penisola d’oro, n’era distante più verso l’est che verso il sud. Ancora più verso l’est, cioè sotto il 180°, abitavano ora i Sini(2) i quali a cagione del commercio venivano da regioni sconosciute fino a Cattigara, poiché quelli che caricavano le loro mercanzie per condurle verso il Chersoneso d’oro, o verso Cory, non andavano più innanzi che sino a Cattigara, luogo per loro assai distante.
partium esse colligatur triginta quatuor cum quintis quatuor.
(1) C. 14 per tot. cap. atqui ostensum est distantiam a Cory promontorio usque ad auream Chersonesum partium esse triginta quatuor, et quatuor quintorum: tota igitur distantia, quae est a Cory Cattigaram usque partium ferme quinquaginta duarum esse colligitur.
(2) L. c. Supponatur totam longitadinem usque ad Sinarum metropolim, partium esse integrarum centum octaginta, horarum vero duodecim; quoniam omnes consentit, cam cattigaris orientaliorem esse.
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Tolomeo pone Sarata città di Sina a 4° di latitudine meridionale, e Metropolis Sinarum, ovvero Thinae, situata sulla costa sotto il 180° di longitudine e 3° di latitudine settentrionale(1). Secondo questa posizione dovremmo cercarla presso Sucadana sull’isola di Borneo. Il mercato de’ Sini(2), la STATIO SINARUM, come chiama Gattigara, pone egli sotto il 177°, di longitudine de l’8° 30' di latitudine meridionale; e secondo questo calcolo dovremmo situarla avanti Java, oppure sulla costa Nord-ovest della Nuova Olanda.
Per mezzo di questo possiamo spiegare l’origine della gran terra del sud supposta da Tolomeo, la quale secondo lui va da Cattigara nella direzione sud-ovest verso l’Africa al promontorio Praso sotto l’80° di longitudine, ed il 15° di latitudine meridionale, ove si unisce coll’Africa. Questa terra
(1) Lib. 7, c. 3.
(2) Ptol. l. 17 via autem quae a Sinarum Metropoli ad portum est Cattigarae occasum versus ad meridiem tendit, qua propter nequaquam cadit in eum meridianum, qui Sinas est et Cattigaram, ut Marinus refert, sed in aliquem qui orientalior existet etc.
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rinchiude il grand’Oceano delle Indie, lo fa diventare un mare interno, e rende impossibile una navigazione intorno, al globo.
La costa meridionale che univa l’Africa nomina egli Agisymba, ed in tutt’i passi della sua opera, facendone menzione(1), la pone sempre al di là dell’equatore, ove dobbiamo porre necessariamente la punta della terra di Sina.
(1) Ptol. 1, c. 8, 9 et cap. 10. Constatque Agisymbam regionem et Prassum Promontorium cum iis, quae eidem subjacent parallelo describendum esse, sub 10 ferme, qui ipse opponitur per Meroem, hoc est qui ab aequinoctiali meridiem versus distat partibus aequalibus 16 ac tertia una cum duodecima etc. (16°, 25'), IV, c. 9. Rhapsii Eethiopes, orientaliores autem sunt Athacae Aethiopes. Adhuc autem versus ortum juxta totam Libyam, regio multa aethiopum est, juxta autem terram incognitam regio aethiopum, quae latissime extenditur, vocaturque Agisymba etc. lib. VII, 3 fin. Circumdatur autem a Cattigaris versus occasum terra incognita mare Prafode amplectens, usque Promont. Prasum, a quo incipit, maris asperi Sinus, terram conjunges Rhapto promont et partibus australibus Azaniae ibid. c. 5. pars terrae nostrae habitabilis terminatur a meridie terra incognita, quae pelagus ambit lodicum, et quae Aethiopiam quae a meridie est Libyae, vocaturque Agisimba, complectitur.
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Tolomeo, credendo in oltre che Sumastra appartenga al continente, prese Cambosha, Borneo, e la Nuova Olanda per parti appartenenti alla costa orientale di questo gran seno di mare.
Quello, che finalmente ci convince che la cognizione di Tolomeo intorno al gran seno di mare nasceva da’ racconti fatti da’ negozianti, e ch’egli si figurava Sumatra, Malacca, Cambosha, la Conchinchina, Borneo, le Celebes, la nuova Olanda come le coste congiunte di questo mare, è la descrizione che fa di queste terre ed isole.
I Sini stessi sono popoli bianchi, che per la maggior parte vivono da selvaggi e si nutriscono di pesci. Fra loro vivono ancora negri selvaggi, che egualmente vivono di pesci(1) i quali abitano sopra una baia profonda, sulla parte sud-est di questo seno di mare di Sina, posta da Tolomeo sotto il 178° di longitudine ed il 2°, 20' di
(1) Secondo Staunton i Chinesi comuni si nutriscono quasi totalmente di pesci, ed oltre di questo, ma di rado, di cani e di porci. Essi non sanno mungere lo vacche, percio non conoscono né il latte, né il butirro, né il formaggio. Lo stesso possiamo dire de’ Conchinchinesi.
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latitudine(1). Sulle isole la maggior parte degli abitanti va nuda(2). Sulle isole del sud e sull’isola della Buona Fortuna sotto l’equatore (havvi ancora un’isola dell’istesso nome sotto il 1° di latitudine meridionale, e forse per rapporto alle ISOLAE BONAE FORTUNAE di Tolomeo), e sulle cinque isole Barusse, delle quali la media giace sotto il 152°, 40' di longitudine ed il 5°, 20' di latitudine meridionale, come ancora sulle isole Sabadiche il di cui centro giace sotto il 160° di longitudine e ’l 8° 30' di latitudine meridionale, abitano antropofagi. Sulle isole de’ satiri, sotto il 2°, 50' di latitudine meridionale, abitano veri Satiri con code(3).
(1) VII. 3, Tenent autem regionem apud magnum sinum Ambastae, et circa alios sinus (ferinum ec.) Ichthyophagi Sinae. - Sinarum sinum habitant ichthyophagi aethiopes.
(2) VII, 2 nudi continuo degi feruntur – Sunt et isolae tres Sindae Anthropophagorum, in insula bonae fortunae at quinque insulis Barussae anthropophagi incolae esse perhibentur – Aliae anthropophagorum insulae tres, quae Sabadibae appellantur.
(3) Ibi qui has in habitant, caudas habere dicuntur, quales Satyrorum pingunt. Dunque Scimie. Forse la scimia col naso lungo chiamata Buntagun, Kahau, alta di 4 piedi circa, di un color bruno di castagna
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Tolomeo aveva ancora sentito parlare delle isole Manille, i di cui navigatori, costruendo i bastimenti, non si servivano punto di chiodi per unire le parti(1). Gli abitanti di queste isole erano egualmente antropofagi. Tutti questi racconti in parte si possono ancora fare oggidì riguardo agli abitanti delle isole di que’ contorni. Essi sono neri, vanno nudi, la maggior parte si nudrisce di pesci, ed alcuni sono ancora antropofagi(2). Non
sulla schiena, e d’un bigio giallastro sul ventre e sulle braccia. Ved. la 13 tavola degli oggetti di storia naturale rappresentati da Blumenbach.
(1) L. c. Feruntur et hic aliae, insulae continuae esse numero decem. Maniolae appellatae, in quibus dicunt navigia, quae clavos ferreos habent detineri, ac ideo illa ligneis compaginant, ne quando lapis Herculeus, qui circa ipsas gignitur, illa attrahat. Obque hoc super trabibus ea in Sicco Firmari asserunt. Dobbiamo distinguere il fatto, cioè bastimenti uniti per mezzo di chiodi di legno, dall’idea che se ne formava il mercante greco, il quale non rifletteva che questi isolani, o non conoscevano il ferro, o non ne avevano in quantità tale da poterlo impiegare alla costruzione de’ loro bastimenti; oppure che questo prodotto era troppo costoso onde servirsens per la suddetta costruzione. Tenere autem ipsas dicuntur anthropophagi Manioli dicti.
(2) Per esempio i Battas sull'isola di Sumatra. Altri
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dobbiamo dimenticare, che secondo il racconto dello stesso Tolomeo i Sini non si avanzavano più co’ loro bastimenti, che fino a Cattigara; di qua altri naviganti condussero le merci fino alla penisola d’oro, altri poi fino al Gange, ed altri dal Gange fino al promontorio Cory, ove trovavano i Greci che caricavano queste merci su’ loro bastimenti; richiamando ciò in memoria, dico, possiamo spiegarci facilmente il racconto di Tolomeo in quanto eccede la verità.
I Sini di Tolomeo, o essi erano veri discendenti degli odierni Chinesi, i quali a росо poco si erano ritirati verso la Conchinchina, e sulle isole ove si stabilirono e fondarono forse una città sull’isola di Borneo; o essi erano Cotschin Tschinesi. In somma essi componevano una nazione bianca nell’Oriente, la quale aveva fatto alcuni progressi nella coltura e nel commercio; ma la
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loro capitale non aveva né mura né altre cose rimarchevoli.
Il commercio che quivi si esercitava riducevasi a droghe, spezierie e seta. Plinio nella sua storia naturale descrive nel libro 12 e 13 gli articoli di questa natura introdotti in Roma. La maggior parte proveniva dalla penisola al di là del Gange.
L’alto prezzo nel quale stavano le merci delle Indie presso i Romani, malgrado che essi stessi navigavano verso quelle regioni per procurarsene, pare indicare una grande ricerca ed un sommo desiderio di possedere i prodotti delle Indie(1); e se in fatti la cosa fosse tale, non dobbiamo maravigliarci, se gli abitanti delle isole erano spinti a portare
(1) Meursius de luxuria Romanor. Ancora sotto il governo di Aureliano la seta equivaleva all’oro benché non fossero le donne sole che se ne vestissero. La prodigalità riguardo alle droghe a spezierie costose era spinta al segno, che, per esempio, nel funerale di Silla furono gettati sul 210 carichi di droghe. Gli scrittori romani dicono che Nerone nel funerale di Poppea abbia bruciato più cannella e cassia di quanto producono in un anno le terre ove nascono. Gli scrittori romani non potevano calcolare questa rendita annuale, ma bensì la quantità che annualmente ne ricevevano. Anche Plinio se ne lagna. V. N. h. XII., 18.
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le loro mercanzie fino a Cattigara, e se gli abitanti del Peloponneso d’Oro (i Malay) le cercavano presso di loro.
A tutto ciò possiamo ancora aggiungere due osservazioni. 1. Che molti geografi ponevano nel sud della China, ovvero Cathai, una terra ricca nominata Sym la quale confinava colle Indie(1): 2. che i Chinesi amano la navigazione a segno, che non solo mantengono una quantità di bastimenti (per l’uso dell’imperatore solamente 10000) in guisa che i canali ed i fiumi sono coperti di bastimenti di qualunque specie, ma pure abita un numero considerabile di nazionali unicamente su’ bastimenti, di diverse grandezze(2). Mi sembra molto verosimile
(1) Haithon histor. orient, edit. Mueller p. 3. Sprengel geschichte der Geograph. Entdeck p. 190.
(2) Du Halde descrizione del regno Chinese. I Chinesi esercitano la navigazione tanto sul mare quanto su’ fiumi. Ordinariamente hanno buoni bastimenti. Si pretende che alcuni anni avanti Cristo abbiano visitato il mare delle Indie co’ loro bastimenti.
Staunton calcola cento mila abitanti che vivono ne’ bastimenti sul fiume Pei-ho nella distanza fra Tongtschu-fu, e Tien-fing.
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che i Chinesi, a cagione del commercio, abbiano visitato le Filippine, le Molucche e le isole della Sunda; che vi abþiano avuto alcuni stabilimenti, e che in fine abbiano comunicato diverse notizie oscure su questi contorni, le quali sotto il loro nome si propagavano. Per ciò era facile che i Greci ed i Romani trovando i Chinesi in regioni tanto diverse, prendevano i Sini ed i Seri per due popoli differenti, come i Greci che in principio credevano che Venere formasse due pianeti, cioè la stella mattutina e l’espero.
L’idea che il cauto Arriano si fa di questa parte delle Indie non è punto migliore; e siccome il passo ove ne parla è chiaro, mi sarà permesso di accennarlo con poche parole.
Arriano, sulla costa orientale della penisola occidentale delle Indie, e prima di arrivare al Gange, fa abitare gli uomini co’ pasi schiacciati, colle teste da cavallo ec., i quali si nudriscono di carne umana; dopo. il Gange fa seguire la Terra d’Oro, come l’ultima situata verso l’est(1). Poco distante
(1) Peripl. maris Erythr., ed. Blanc pag.
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dalle foci del Gange pone un’isola; come l’ultima parte orientale del mondo abitato, situata precisamente sotto il levare del sole, della quale si diceva che aveva la migliore tartaruga. Dopo questa regione, avendo cessato la continuazione del mare in qualche parte della Sina, segue nel Nord la città di THINA da dove venivano spedite varie stoffe di seta: egli dice essere difficile di giungere fino ad essa, e rare volte vengono alcuni da questa regione. La città giaceva precisamente sotto il piccolo orso, e doveva secondo lui confinare all’oriente ed al settentrione del mar Nero e del Caspio ec. Sarebbe possibile, che Arriano abbia avuto alcune notizie oscure sul Tybet e che lo abbia confuso con Thina?
Gli antichi avendo passato il capo Comorin si trovavano in un mondo loro affatto sconosciuto, del quale avevano varie notizie, parte giuste, parte false e spesso contradditorie, le quali, poiché essi stessi non mai vi giunsero, difficilmente potevano spiegarsi.
177 ηπερι αυτόν έχάτη της ανατολάς ήπές τρος ηχοση εο.
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Il primo che ardì di disegnare la costa situata all’est di Comorino, e di nominare i paesi principali ivi situati, fu Tolomeo.
Egli, secondo il racconto de’ commercianti, conosce anche la patria della seta. Il paese de’ Seri, la nostra China, ha per confine occidentale gli Sciti (Mogoli); pel settentrionale, la paralella di Thule, e pell’orientale il meridiano di 180°, 63' (errore che non importa più di 10°, ma egli non sa che il mare forma il confine nell’est, e perciò quivi come nel Nord pone la terra sconosciuta; e verso il sud i Sini)(1).
Tolomeo nomina una quantità di montagne,
(1) Lib. VI, 10, Serica terminatur ab occasu Scythia, quae extra Imaum montem est juxta lineam expositam, a Septentrionibus terra incognita, juxta parallelum insulae Thyles. Similiter et ab oriente terra incognita, juxta meridionalem lineam, cujus fines habent gradus 180° etc., a meridie reliqua parte Indiae seqq. lib. 1. 12. Si igitur partibus sexaginta, quae ex 24000 stadiis, quot a turri lapidea usque ad Seras sunt, partes adjiciuntur 45. et quarta (15’) interstitium ab Euphrate ad Seras, usque per Rhodi parrallelum erit 105° 45’. – Et initio huj. cap. propter haec itaque et quin iter non sub uno sit parallelo, sed terris lapidea posita sit circa eum, qui per Byzantium, Gerae autem magis australes sub eo qui per Hellespontum scribitur etc.
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di fiumi, di città e nazioni di quella terra, i quali ai tempi nostri non si riconoscono più; ma la capitale de’ Seri (Sera Metropolis) sotto il 177°, 15' di longitudine e 38°, 36' di latitudine è l’odierno Kantcheu (Kant-Tschu) che secondo l’esame de’ Gesuiti missionari giace precisamente sotto il 39° di latitudine. Questa città è situata sul confine Nord ovest della China, molto vicino al deserto di Shamo. In essa era il mercato ove i Chinesi portavano le loro stoffe di seta; di qua queste stoffe si trasportavano in Caravane verso l’Eufrate, il mar Nero ed il Mediterraneo. Tolomeo indica due vie ove passavano queste merci; l’una conduceva per la Torre di pietre (136° di longitudine e 43° di latitudine) verso Bactra, l’altra per Palimbothra verso la Giudea(1). Inoltre indica ancora le vele di
(1) Lib. I, 17. In hoc concordant – quod ultra Ginus serum iaceat regio et metropolis, ac quod his orientalior terra sit incognita, stagna habens paludosa, in quibus calami nascuntur magni et ita compacti, ut homines illi cum iis transfertare soleant: et quod non solum inde ad Bactra iter sit per Turrim lapideam, sed et in Judaeam quoque per Palimbothra. Per intendere meglio quello che Tolomeo accenna qui intorno al
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bambo de’ Chinesi e la quantità do bambo che vi nasce (secondo staunton ed altro viaggiatori moderni n’esistono 60 specie): del resto non sa che i Chinesi confinano col mare.
Il nome de’ Seri, come ha dimostrato anche Th. Hyde, per mezzo della maniera sfigurata di scrivere degli Arabi è nato dalla parola Chin ovvero Tchin(1), ed è in conseguenza equivalente cogli ultimi, benché gli antichi non li conoscessero, o almeno s’immaginavano sotto di essi un’altra terra, simili ai Chinesi, che nella loro geografia moderna notano la Russia e la Moscovia come
bambo che impiegavano per la costruzione de’ bastimenti, è utile di leggere la descrizione della China fatta da Du Halde, tom. II. Le vele de’ Chinesi sono composte da un intrecciamento di canna di bambo assai comune della China, e divise in diversi quadrati oblunghi, i quali poi sono separati per mezzo di un forte bastone dello stesso bambo.
(1) Syntagma diss. quas olim Th. Hyde separatim edidit re Cognito Sharpe Oxonii 4 vol. I. 1767 n. 2 itinera mondi autore Pentfol. p. 33. 35. Presso i Persiani, Turchi e Tartari, questo nome è scritto e letto Tchin, fa vedere come per mezzo della Scrittura degli Arabi poteva nascere il nome Sin e Ser e analmente il greco Sera.
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due terre differenti dalle quali siano venuti ambasciadori nella China per visitarli.
Nel sesto secolo Gosmo, negoziante egiziano e navigatore verso le Indie, parla di SINA come della patria della seta: egli sa essere la Sina la terra più rimota all’est e situata presso il mare(1).
Dal principio dell’ottavo secolo viaggiavano alcuni Arabi da Samarcand verso Canfu nella China. Nel nono secolo trovarono la via per mare verso Canton, e vi si stabilirono in sì gran numero, ch’essi nell’850 circa avevano a Canton un Cadì eletto da loro, il quale giudicava sulle differenze che fra essi nascevano, ed in ciascun porto di mare di que’ contorni s’intendeva e si
(1) Le sue opere e particolarmente la sua geografia cristiana, avendola scritta come monaco negli ultimi anni della sua vita, sono inserite in Montfauc. Coll. nov. patr. graecor. tom. II. p. 138 qui igitur pedestri via a Perside ad Sinam concedit, longissimo spatio viam minuit, unde est, quod in Perside magna semper Serici copia reperiatur, ultra sinam vero neque navigatur neque habitatur. – A Sina usque ad initium Persidis intermedia Juvia (Unnia) India et Bactrorum regione, sunt circiter mansiones saltem 150 p. 337. Demum Sina unde, Sericum advehitur, ulteriores vero nulla regio est, nam Oceanus illam ad orientem ambit.
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parlava il loro linguaggio. Ancora si è conservato il giornale di Wahab negoziante arabo, il quale nell’851, dopo aver fatto vela dal seno Persico, giunse in que’ contorni, come anche il commentario di Abuzeid che aveva fatto ancor egli lo stesso viaggio per mare(1). In questo giornale di viaggio si parla del Te sotto il nome di Chah ovvero Sah, come è chiamato ancora nella Russia, nel Giappone e negli altri paesi dell’Oriente, della sua qualità, applicazione e del consumo frequente di esso: similmente vi si fa menzione della porcellana, parlando della terra eccellente della quale si formano vasi fini e trasparenti come il vetro. Parimente vi è descritto il vino fatto nella China dal riso, e si accenna il consumo generale di seta fra questa nazione. I giornali contengono ancora due varie notizie riguardo ai Cristiani che vi si trovavano. Essi distinguono le provincie settentrionali chiamandole Cathai, anche
(1) Il manoscritto trovasi nella biblioteca nazionale di Parigi. Questo fu pubblicato da Renaudot nel 1718 sotto il titolo: Anciennes relations des Indes et de la Chine de deux voyageurs Mahometans, qui y allerent dans le 9 siecle, traduites de l’Arabe avec des remarques, etc.
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Tscha Kathai, cioè Kathai del Te, e le provincie meridionali da essi nominate Tschin ovvero Sin. La capitale è Chambalek ovvero Cambalu, vuol dire, città del signore o residenza del Chan ec. In somma possiamo dire, che la China dal nono secolo in poi appartiene fra le terre conosciute.
La China è un paese grande, che secondo il calcolo minore rinchiude 69000 miglia quadrate e secondo il massimo 110000; giace fra il 21° ed il 40° e 41° di latitudine ed il 115° e 140° di longitudine; nel Nord è confinata da alte montagne che rendono molto fredda questa parte del regno. Nella parte meridionale l’estate è molto calda, e dell’inverno vi regnano le burrasche e le pioggie. La China è assai fruttifera, coltivata sopra tutte le altre terre dell’Asia ed abbonda di canali navigabili. Il riso, il grano e l’orzo vi si raccolgono in alcuni luoghi due volte all’anno. Le frutta d’alberi e da ortaglia vi sono in quantità e di qualità squisita. Ha tutti gli alberi da frutto dell’Europa e dell’Asia, ed oltre di ciò molti che ad essa appartengono particolarmente, come L’ALBERO DA VERNICE (augia sinensis), L’ALBERO DA SEVO (croton
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sebiferum), L’ALBERO DA CERA (myrica cerifera), L’ALBERO DA SAPONE (sapindus saponaria) e L’ALBERO DA COLLA (ulmus sinensis)(1).
L’albero da vernice (augia sinensis, in chinese Tsi-chu) non è alto né largo e porta poche foglie. La scorza è bianchiccia e le foglie assomigliano in qualche modo a quelle del nostro ciriegio selvatico. La gomma che gocciola da esso pare avvicinarsi alle goccie dell’albero di trementina. Facendovi un taglio, produce maggior quantità di materia, ma muore anche più presto. Essendo piantato a dovere, si può raccogliere la vernice tre volte per anno; la prima raccolta è la migliore. L’evaporazione della vernice, dicesi esser velenosa, per ciò deve essere raccolta e cotta con precauzione. Sortendo la vernice dall’albero, assomiglia alla pece fluida; ed essendo poi esposta all’aria, acquista in principio, un colore rosso, ma a poco a poco diventa nera; nonostante si mischia con tutt’i colori senza guastarli; ed avendola preparata bene, non perde in seguito né lo
(1) Ved. Du Halde descrizione del Regno Chinese tom. I, e storia generale de’ viaggi tom. VI.
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splendore né l’aspetto: né il cangiamento dell’aria, né l’antichità del legno sul quale è stata posta, possono deteriorare la sua qualità. Questa vernice, chiamata Nientsi, è la più stimata, ma assai rara. L’altra vernice che partecipa del giallastro non è estratta da questo albero, ed in oltre vi è misto una specie di olio tratto dall’ALBERO DA VERNICE D’OLIO (Jong-Chu). Quest’albero quanto alla forma ed al colore della scorza, alla larghezza ed al disegno delle foglie, e quanto alla forma e qualità interna delle noci, assomiglia assai a’ nostri alberi da’ noce. Le noci però sono riempiute di un olio denso, misto di carne oleosa, che viene spremuta, altrimenti si perde una gran parte di quest’olio. Spremuto che sia, vien bollito col litargirio, ed indi se ne serve per inverniciare il legno o le pietre; spesse volte è anche impiegato per falsificare la vera vernice(1).
L’ALBERO DA SEVO (croton sebiferum) è alto come un albero grande di ciriegia. Il frutto suo è rinchiuso dentro un guscio,
(1) Du Halde tom. II.
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ch’essendo maturo si apre come fa la casstagna. La carne del frutto è bianca ed ha le qualità del sevo, il quale sciolto coll’olio comune, serve per farne candele che non danno cattivo odore e non iscolano. Coprendo di questo sevo vegetabile le candele di sevo animale, si crede di poterle migliorare.
L’ALBERO DA CERA (myrica cerifera) non è tanto alto quanto l’albero da sevo differisce anche nel colore della scorza ch’è bianchiccia, e nella forma delle foglie che piuttosto sono lunghette. Su queste foglie si mettono piccoli insetti i quali essendovi stati per qualche tempo ed in quantità, lasciano in dietro alcuni fili di mele più delicati di quelli delle api. Questa cera è dura, rilucente, e più costosa che la cera delle api. Se ne estrae ancora immediatamente dagli insetti stessi, che cocendoli nell’acqua, lasciano un certo grasso il quale essendosi raffreddato forma la cera bianca chinese.
L’ALBERO DA COLLA(1) (ulmus sinensis
(1) Du Halde tom. II.
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chinese Kurschu) ha la scorza, i rami e lo foglie come l’albero da fico: i Chinesi ne ricavano il sugo, ed a tal fine fanno diversi tagli orizzontali nella scorza del tronco, e vi pongono un guscio di conchiglia nel quale gocciola il sugo. Questo sugo, della specie di latte, forma uno stucco assai fino e bello, il quale posto sul legno od altri oggetti, attrae l’oro che vi si pone sopra in modo che non si distacca più.
L’ALBERO DA SAPONE (sapindus saponaria chines, ou Kicou mou) assomiglia in grandezza e forma al ciriegio; le foglie sono simili a quelle della tremula; all’estremità de’ rami porta un frutto assai singolare, attaccato per mezzo di piccoli gambi. Il frutto giace dentro un guscio duro e legnoso; è ruvida al tatto e di forma triangolare, i di cui angoli sono alquanto inarcati. Il guscio rinchiude tre piccole noci delle quali ciascuna è grande quanto un pisello, rotonda al di fuori, ma un poco piatta su’ lati ove si toccano. Ciascuna di queste noci è involta leggermente di una specie di sapone duro e bianco, che raccogliendolo si squaglia nelle mani e dà un odore come il sapone comune. Prima che il frutto sia maturo comparisce
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rotondo; e quando, come accade nell’inverno, i gusci cadono, gli alberi paiono essere guarniti di piccoli mazzi di fiori, mentre si veggono le noci a tre a tre raccolte insieme. Ciascuna noce la nuovamente un guscio sufficientemente duro, nel quale trovasi un nocciuolo oleoso della grandezza della semenza di canapa; da questo i Chinesi ne preparano un olio da bruciare, e dal sapone che circonda il nocciolo fabbricano candele. In luogo dello stoppino si servono di giunco. Le candele che se ne fabbricano sono pesanti, e facilmente si squagliano nella mano. La fiamma è chiara, ma un poco giallastra. Il sapone di questo frutto si acquista pestando la noce col guscio e cocendola poi nell’acqua; il grasso, ovvero l’olio si ottiene levandolo col cucchiaio al di sopra della bollitura, e questa materia essendosi poi raffreddata, diventa compatta come il sapone.
Diversi di questi alberi, o almeno ad essi assomiglianti, si sono scoperti anche nell’America, come due specie di alberi da cera nella Luigiana e nella Carolina. Questo ci dovrebbe indurre a piantarli anche nell’Europa. Alcune altre specie di alberi chinesi, secondo
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i racconti che ne sono fatti, potrebbero chiamarsi ALBERI DA FIORI, poiché i fiori, a cagione dell’odore e della bellezza, paiono formare l’oggetto principale di queste piante.
Assai più vantaggioso per la China è l’arbusto del Te che unicamente trovasi in questo paese e nel Giappone. Esso giunge all’altezza di 5 in 6 piedi; le foglie sono lunghe, puntute e dentate, attaccate a gambi corti, e hanno i fiori d’un rosso chiaro che in qualche modo assomigliano alle rose. Havvi solamente due specie di Te, cioè il bruno, ed il verde; le altre differiscono fra loro secondo il tempo quando sono raccolte, e secondo il modo con cui vengono preparate. I primi fiori ed i più teneri del Te verde compongono il così detto Te imperiale. L’acqua cattiva della China ha fatto diventare il Te la bevanda favorita di quella nazione, e la moda e la mania d’imitazione degli Europei ne ha fatto nascere un bisogno. È difficile di sostenere che l’uso di esso non rechi alcun pregiudizio, e ciò non ostante l’Inghilterra ne esporta annualmente 19 milioni di libbre, delle quali 12 milioni si consumano nella gran Brettagna e nelle terre ad
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essa appartenenti. Questa quantità costa indubitatamente nella China 6 milioni di scudi, ed oltre a ciò possiamo contare, che ciascuna tazza di Te bevuta nell’Europa ha costato agl’Inglesi una qualche umiliazione(1). Non vi è presentemente altro articolo di commercio di tanta importanza quanto questo.
Alle particolarità della China appartengono ancora le molte erbe medicinali, fra le quali meritano d’essere accennate le radici del rabarbaro e del GINSENG (panax quinquefolia). Linneo raccomanda l’ultima come rimedio nutritivo fortificante e stomatico, prescrivendone uno scrupolo alle persone avanzate in età, e che hanno lo stomaco debole. Questa radice, che nella China è assai costosa, si è scoperta ancora nell’America settentrionale, nel Canadà, nella Pensilvania e Nuova Olanda, anzi nelle selve ombrose sulle alpi. Oltre di ciò la China produce molta seta, bambagia, tabacco, indaco, zucchero e sale. Le provincie settentrionali ed occidentali che sono montagnose,
(1) Ved. Il viaggio di La Perouse, Forster’s Kleine Schriften tom. 2. p. 178. ec.
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non hanno tutte queste particolarità, ma le rimpiazzano col legno da costruzione, e con ricche miniere che forniscono molto oro, argento, rame, mercurio, ferro, lapislazuli, porfido, marmo, cristallo di monte, vitriolo, allume ec.
Anche il regno animale ha nella China molte proprietà, come i belli fagiani, il pomposo Argo (phasianus argus), che dal becco fino alla punta della coda è lungo 9 piedi; il fagiano dorato (phasianus pictus), il fagiano argentato (phasianus nycthemerus), egualmente il gallo di penna matta (phasianus gallas lanatus), le di cui penne sono liscie, formate quasi come capelli; ed i pescetti dorati (cyprinus auratus) in chinese chiamati kinju, i quali riguardo ai colori, al numero e alla formazione delle alette e alla grandezza degli occhi; hanno prodotto alcune varietà ammirabili. Oltre le farfalle più belle e più grandi fra quelle che conosciamo, e che quivi si trovano, accennerò ancora i BIGATTI. Da’ gusci di ostriche considerabilmente grandi, che si trovano sulle sponde del mare, si fabbricano le impannate per le finestre. I Chinesi in generale non hanno gusto ne’ lavori che producono; ma sono
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altrettanto artificiosi e laboriosi. Le manifatture e le fabbriche sono frequenti e sussistono da tempi immemorabili, ma senza fare alcuni progressi. La porcellana de Chinesi, che in Inghilterra è chiamata per eccellenza mercanzia della China, perdesi nella storia favolosa dell’infanzia di quella nazione. Questa porcellana, quanto alla grandezza de’ pezzi e alla finezza della massa, supera qualunque altra specie. Essi sanno meglio che tutti gli Europei trattarla nel fuoco, affinché i pezzi più grandi non vi si torcano. Questa porcellana però diventa sempre più inferiore. Il conosciuto Pe-tun-tse, ingrediente principale della porcellana chinese, è precisamente una specie di granito, il di cui feldspato è disfatto dall’aria umida e salmastra. Anche in tutte le altre manifatture non si osservano né progressi né miglioramenti; ma ciò non ostante meritano essere nominate, le tessiture di seta, le telerie di bambagina, le mussoline, i lavori inverniciati, gl’inchiostri ec. La China non è straordinariamente popolata: si contano con probabilità 150 milioni d’abitanti; ciò darebbe, sotto un cielo sì bello ed in un paese tanto fruttifero, solamente 2173 e sette ottavi di anime, per miglio
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quadrato geografico, ed in conseguenza la popolazione vi sarebbe un poco più numerosa che nella Turchia. Quello che ordinariamente inganna i viaggiatori nella China è la folla degli uomini accanto ai fiumi e nelle grandi città; ma essi non riflettono che precisamente quivi si raduna il maggior numero degli abitanti, e che l’interno della China, ove gli Europei non giunsero mai, è spopolato e deserto, e che questa parte festa pe’ ladri vagabondi che la saccheggiano. Il popolo basso vive nella massima miseria. Tutt’i giorni si trovano de’ figli esposti che vengono mangiati da’ porci; ed una raccolta svantaggiosa produce infallibilmente la penuria de’ viveri.
Malgrado di tutto questo l’imperatore Chinese è forse il più potente ed il più ricco del globo, al quale è sottomesso il maggior numero degli uomini. Staunton comprendendo il Tibet, la Mongolia, la penisola Korea, e l’isola di Formosa, calcola la роpolazione di tutti gli stati Chinesi a 331 milioni.
Peking (vuol dire la corte del Nord, la residenza nel Nord) è la capitale e la residenza dell’imperatore; ed ha 5 miglia geografiche
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di circuito, senza comprendere i sobborghi: essa consiste in quattro città circondate di mura, ha molte strade lunghe, larghe e dritte, lastricate solamente pe’ passaggieri accanto alle case. Tanto le strade principali, i di cui nomi sono scritti con lettere d’oro, quanto le altre hanno un corpo di guardia che ha per arma la sciabola e la frusta. Su ciascun angolo di queste contrade trovansi de’ cancelli di legno che si chiudono di notte. Il numero de’ Chinesi che quivi si affollano è calcolato a due milioni. Gli Europei chiamati da’ Chinesi Fan-qui, non possono senza permesso visitare questa città o qualunque altra del regno, e se mai lo facessero in segreto, essendo scoperti, sono bastonati e condotti via. I bastimenti non possono gettar l’ancora che nel Wampo, da dove le mercanzie caricate sopra battelli chinesi vengono condotte a Canton, passando sopra un canale lungo 14 miglia inglesi, e durante questo trasporto succedono le più vili ruberie per parte de’ Chinesi. L’Europeo non ha accesso presso nessun altro nazionale che presso l’Huang; undici mercanti circa hanno il titolo di Huang, essi soli ricevono
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in consegna la mercanzia degli Europei, vi appongono un prezzo a piacere, indi le dividono fra i mercanti Chinesi. Essi si curano poco del malcontento del negoziante Europeo, poiché le merci che vi sono state condotte non possono più essere date in dietro.
Macao, penisola poco distante da Canton, è un villaggio portoghese con territorio lungo 4 miglia inglesi e largo di uno e mezzo. La popolazione monta a 12000 anime, la di cui metà è composta di Chinesi. I Portoghesi vi mantengono 150 soldati; ma sono tenuti a pagare annualmente 500,000 lire, e ciò non ostante vengono esposti a soffrire il trattamento più umiliante per parte del governatore.
La Perouse opina, che gli Europei possano facilmente farsi rispettare da’ Chinesi tentando la conquista di Formosa, che in verun modo non sarebbe difficile. Essa è l’isola più grande fra quelle che appartengono ai Chinesi, lunga 16 miglia geografiche e larga 6: la parte settentrionale ed occidentale, come giacente verso la China, è sommessa a’ Chinesi, il resto è abitato da un
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popolo selvaggio. Nel 1782 di maggio quest’isola fu quasi totalmente distrutta da un tremuoto e da un oragano: 40000 uomini le tre città principali, e molte altre perirono in quest’occasione.
La gelosia degli Europei però impedisce l’esecuzione del progetto di La Peroyse. Gl’Inglesi, la cui sussistenza e dominio dipende dal commercio, non permetteranno ad alcun’altra nazione di farne il tentativo, e nemmeno essi stessi l’intraprenderanno; ma piuttosto soffrono le più vili umiliazioni e mortificazioni da Chinesi. L’ambasceria famosa di Lord Macartney (nel settembre del 1792) pare non aver ottenuto lo scopo suo. Frattanto ha arricchito la conoscenza di quel paese nell’Europa, ed ha contribuito moltissimo a fare svanire la concezione singolare e la mal fondata ammirazione sul conto di quel popolo(1).
(1) Il viaggio dell’ambasceria inglese nella China è stato pubblicato a Londra 1797, in 4, due volumi, da Staunton segretario di quella Ambasceria; e l’opera è stampata con molto lusso tipografico. Oltre la quantità de’ rami ad essa aggiuntivi è ancora un volume di carte geografiche e di rami. Vedi egualmente van
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Nel 1744 per ordine dell’imperatore Kien Luw fu composta da una società di letterati Chinesi una geografia del regno, consistente in 24 volumi o portafogli, de’ quali ciascuno ha le sue parti particolari, il di cui numero monta a 107. Le carte geografiche unite a questa descrizione compongono un atlante completo della China di 496 fogli.
Secondo questa geografia del regno, tradotta nella favella russa, e da questa nella lingua tedesca, inserita nel 3 volume del magazzino di Busching, e nel 6 volume della Biblioteca di Bacmeister, è divisa la China in 18 governi: ha 1572 città grandi e piccole, 25,212514 paesani agricoltori, da’ quali la corona trae annualmente per le derrate 6,425388 Dani (misura di 1000 pugni di grano) e 28,400873 lana (8 quintini la lana) d’argento; 2338 scuole, 14,607 montagne
Braam Houckgeest, viaggio dell’ambasceria olandese all’imperatore Chinese, tom. I e II. 1798; e usanze e vestiario de Chinesi pubblicato come supplimento al viaggio di Macartney e di Braam Houckgeest, col testo francese e tedesco, da Grohmann; dal primo fino al 12 quinterno. Anche Anderson e Hutrner hanno fatto stampare le loro osservazioni su questo paese.
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delle quali ciascuna ha il suo nome, 765 laghi, 10809 diverse fabbriche antiche; 1193 piazze forti (guan), 119 corpi di guardia, ciascuno presso un passaggio per la gran muraglia, 3158 ponti di pietra, 2796 tempi, 2606 monasteri, 38 isole, in generale 26,300000 anime, 48,281484 Rubli di rendite. Gli abitanti stessi si chiamano Dsungo-sin, ed il loro regno Dai-zin ovvero Daizin-que, cioè il regno della gran luce, oppure il regno Serenissimo.
Intanto non è possibile farsi un’idea del regno della China per mezzo di questa descrizione. Le carte di cui barvi una prova nel magazzino di Busching) eccedono totalmente le nostre. In nessun luogo è indicato se, per esempio, sotto i paesani s’intendano solamente i padri di famiglia, o tutti gli uomini, o tutte le anime insieme, come apparisce dalla somma generale; anche nelle leggi chinesi non trovasi alcuno schiarimento su questo proposito. Nella descrizione del 12 governo mancano i paesani. Il secondo tomo di quest’opera comprende una breve descrizione di que’ regni e principati sommessi allo scettro della China, come anche quegli stati di dove i Chinesi, ricevono le
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ambascerie, e che loro sono conosciute; ma sono posti in disordine tale che non v’apparisce alcun ordine. Vari regni vi sono portati due volte, come l’Olanda e la Russia. Della Germania, della Polonia e della Danimarca parlasi solamente in alcune righe. I Mogoli sono divisi in 24 stirpi di 49 bandiere. Questo basta per convincerci della cognizione meschina de’ Chinesi riguardo alla geografia del loro proprio paese. Se potremmo fidarci di questa geografia del regno, risulterebbe che la China fosse assai spopolata, poiché dopo un calcolo generale viverebbero solamente 379 anime sopra un miglio quadrato geografico.
Sono assai da raccomandarsi le ricerche filosofiche di De Pauw sopra i Chinesi e gli Egiziani.
La grande e ricca penisola Korea, lunga 120 miglia geografiche e larga 70, ci è quasi totalmente sconosciuta. La sua parte settentrionale è assai montagnosa e piena di boschi, e fuori del Ginseng, pochi prodotti vantaggiosi vi si trovano. Nella parte meridionale giacciono regioni fruttifere e ben coltivate. I metalli non vi mancano. La maggior parte de’ nazionali è composta di
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Tungusi o Mondschuri, e tutti sono pagani. Essi sono governati illimitatamente da un re proprio, tributario all’imperatore della China. La terra è divisa in 8 provincie; ne’ fiumi vi sono de’ coccodrilli. La città capitale e la residenza del re è Kingki Kitao.