III. Circuito e grandezza della Terra: divisione di essa
IV. Mondo antico e mondo nuovo
V. Divisione esteriore de' continenti
VII. Divisione ulteriore della Terra con alcune brevi notizie sulle parti singolari di essa
Paesi, il di cui circuito e l'interno sono conosciuti interamente: l'Europa
Paesi, il di cui circuito è conosciuto interamente, e l'interno per la maggior parte: l'Asia
La Terra di cui è conosciuto solo il circuito, e niente affatto l'interno: l'Africa
Paesi che sono stati veduti, ma che non si hanno potuto più ritrovare
Paesi che solamente si suppongono per ragioni fisiche (la Terra del Sud), e per ragioni storiche (una parte delle Terre di Juan de Fuca e dell'Ammiraglio de Fonte, e molte isole che si veggono sulle carte spagnuole)
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L’Africa si stende dal 37° di latitudine settentrionale presso Algeri, e dal 31° presso Alessandria fino al 34 di latitudine meridionale, cioè più di mille due cento miglia geografiche dal Nord al sud; ella è presso il Capo Verde che giace sotto il primo meridiano, è larga mille miglia e più; ma incominciando di qua, la costa cede in modo che il Capo de Palmas, sotto il 4° di latitudine settentrionale, cade sotto il 12° 15' di longitudine; ora continua in direzione orientale sotto il medesimo grado di latitudine fino al 29° di longitudine, di modo che incominciando di qua la larghezza dell’Africa, è stimata solamente di 600 miglia;
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indi continua fino al Capo di Buona Speranza a ristringersi sempre più, e finisce in una punta sotto il 35° di latitudine meridionale ed il 37 di longitudine.
Prendendo il 10° della latitudine settentrionale per limite, possiamo dividere l’Africa in due parti eguali, cioè nella settentrionale e meridionale. Quivi si veggono le sorgenti del Nilo e le montagne della luna, ove probabilmente havvi la regione più alta dell’Africa; e quivi è la sua maggior larghezza.
L’Africa meridionale, non comprese le coste che da noi non sono state per anche visitate a sufficienza, è quasi tanto sconosciuta da noi quanto agli antichi. Gli Olandesi sono poco penetrati nell’interno; e Le Vaillant che voleva visitare tutta l’Africa, non è ancora giunto fino al tropico meridionale(1).
L’Africa settentrionale, malgrado le occupazioni lodevoli della Società Africana di
(1) Voyage de Mr. le Vaillant dans l’interieur de l’Afrique par le Cap de bonne Esperance 1780 1785 à Paris 1790. Vol. 2 in 8 maj. Seconde voyage dans l’interieur de l’Afrique etc. par Fr. le Vaillant à Paris 1796 Vol. 2 in 4to.
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Londra(1), era tanto conosciuta dagli antichi quanto da noi al principio del secolo decimo nono.
La carta dell’interno dell’Africa disegnata da Danville, circa cinquanta anni sono, è composta per la maggior parte secondo gl’indizi di Tolomeo, e questa carta nota maggior numero di paesi e di città che quella di Rennel, secondo le più recenti cognizioni intorno a questa parte del mondo(2).
Erodoto avendo visitato personalmente
(1) Questa società fu eretta a Londra nel 1788 addì di giugno, per riconoscere l’interno dell’Africa, e nello stesso anno vi spedì i sigg. Ledyerd e Lucas due uomini intraprendenti. Quello che essi vedevano durante il viaggio o quello che udivano da’ nazionali, è stato comunicato al pubblico dal sig. Rennel, pel Procedings of the Association for promoting the discovery, of the interior parts of Africa. London 1791 8. Havvi ancora unita una carta che rappresenta tutto quello che conosciamo dell’Africa fino al 10 grado. Ved. la traduzione di Forster nelle neue Beytraege zur Voelker und Laenderkunde. Vol. 5 ed in Cuhn Sammlung merkwuerdiger Reisen in das Innere von Africa. 3 Volumi.
(2) A map schewing the progress of discovery and improvement in the Geography of Nort Africa compiled by i Rennel 1798 corrected in 1802.
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l’Egitto(1), lo conobbe benissimo, e ne scrisse un libro intero. Egli simile ad un Bruce, ha cercato le sorgenti del Nilo e si è avvicinato ad esse per quanto ha potuto Egli sa che il Nilo sorte da un lago grande
(1) Alle opere più stimabili che trattano dell’Egitto appartiene le Tableau de l’Egypte pendant le séjour de l’armée française avec la position et la distance réciproque des principaux lieux de l’Egypte, un coup d’oeil sur l’oeconomie politique de ce pays, quelques détails sur les antiquités etc. par A, G. D. Girard. Paris an. XI (1803) Tom. I et 2. 8. Anche i viaggi di Denon per l’alto e basso Egitto contribuiscono moltissimo alla cognizione di questo paese. Ancora più importante pel Geografo e Geologo sono le notizie inserite nelle mémoires sur l’Egypte, publiés dans les années VII, VIII et X. Paris Didot. Queste sono in oggi senza dubbio l’opere principali sopra l’Egitto.
Nella seconda parte di Lattil, campagnes de Bonaparte à Malte en Egypte et en Syrie. Marseille, 1801, havvi una descrizione dell’alto e basso Egitto. In Puguet, Mémoires sur les fievres pestilentielles et insidieuses du Levant avec un apperçu physique et medical du Layd. Lion. 1802. le prime 80 pagine contengono una descrizione dell’alto Egitto, le quali contengono molte osservazioni interessanti. Fra le altre cose l’autore partecipa la copia di un quadro trovato ne’ sepolcri de’ Re, e che secondo lui rappresenta allegoricamente la discendenza degli Egiziani dagli Etiopi, e di questi dalla terra.
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e profondo(1). Quest’è il lago Tzana nella Provincia Dembea nell’Abissinia. Secondo i racconti che gli si fecero, dice ancora dal medesimo lago sortiva un’altra corrente dirigendosi verso l’occidente, e ch’egli è probabile ch’essa si perda dentro un lago (Burnud) di dove il fiume correva verso l’ovest. Altro non asserisce Erodoto; ma avendo voluto credere ne’ tempi moderni, che fosse il Niger e il Senegal, sembrami che ciò sia distante egualmente dalla verità e dalla probabilità, e questa opinione è stata forse cagionata dall’accidente di aver trovato nel Senegal come nel Nilo, l’ippopotamo ed il coccodrillo. Erodoto fa anche menzione delle nazioni de’ Negri (Etiopi e Nubi) sulla costa orientale dell’Africa(2), nominando in oltre i loro prodotti, come il legno di ebano e l’oro, attribuiti a queste regioni in soprabbondanza
Tutte queste opere e molte altre risvegliano intanto solamente il desiderio di vedere la grand’opera nazionale sopra l’Egitto, la quale a cagione di diversi accidenti non preveduti ritarderà forse più di quello che si è creduto a principio.
(1) Lib. II cap. 28-34.
(2) Cap. 29 incominciando da Elefantine, abitano quivi gli Etiopi ec.
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da tutti gli scrittori che hanno fatto menzione dell’Africa orientale, come anche degli schiavi e dell’avorio: almeno il tributo che gli Etiopi orientali pagavano ai Persiani consisteva in 2 conichi di oro non cotto, 200 pezzi di legno d’ebano, a fanciulli Etiopi e 20 gran denti di elefante(1); e quello che accenna Erodoto è confermato da scrittori più recenti. Nella navigazione sul mar Rosso, e nella storia naturale di Plinio fassi menzione del negozio degli schiavi che dall’Etiopia e dalla Nubia erano trasportati nell’Egitto. Ed alloraquando gli Arabi respinsero i Romani, gli schiavi di ambidue i sessi formarono un ramo principale di commercio. Ancora al presente l’Abissinia e le terre circonvicine vendono annualmente 5000 schiavi all’Egitto(2).
(1) Cap. 29 incominciando da Elefantine, abitano quivi gli Etiopi ec.
(2) Sul traffico de’ Negri a Kairo ha scritto un’operetta Louis Frank. Mémoire sur le Commerce des Negres au Kaire, et sur les maladies aux quelles ils sont sujets en y arrivant, Paris 8. presso Koenig, stampata anche nel 4 volume delle mémoires sur l’Egypte. Ad Abuttisch, piccola città nell’alto Egitto, le caravane che negoziano cogli schiavi negri sogliono castrare 200 fanciulli, fra 8 e 10 anni Ordinariamente levasi
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Erodoto descrive ancora l’Africa settentrionale dall’Egitto fino alla Nigrizia, e l’odierno regno di Tombucto(1), e nomina, da stazione in istazione(2) due strade delle caravane, tanto partendo dall’Egitto per questa parte dell’Africa, quanto da Cartagine: a questo racconto sono miste varie favole, ma ciò non ostante lasciano travedere la verità. Egli conosce bene il deserto, pieno di colline di sabbia, ove si trovano sorgenti e laghi, come anche i pericoli ai quali si va ivi incontro, cioè che gli uomini e gli animali vengono sepolti nella sabbia(3). Egli ha cognizione degli animali della Libia, come de’ leoni, delle pantere, de’ sorci di montagna con due gambe lunghe (mus jaculus), animali notturni che hanno la facilità del salto (facendolo 7
lo scroto o la verga e ciò non ostante guariscono presto e pochi periscono. Dopo una operazione tale si mette quello che ha subito l’operazione dentro un fosso riempiuta di sabbia. Se l’uretra si chiude, nasce immediatamente la morte. L’arrivo dell’armata francese vi ha interrotto per qualche tempo questa mutilazione.
(1) Lib. 4, 145 e 198-199.
(2) Lib. 4. cap. 181-186.
(3) Lib. 4 cap. 173.
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fino a 8 piedi lontano); scimie senza coda (uomini con facce di cani, uomini e femmine selvaggi), scimie che si mangiano; camaleonti (coccodrilli terrestri), serpenti grandissimi (la Boa, che secondo Adanson, è lunga di 50 piedi), il serpente cornuto (coluber cerastes)(1). Era pur noto ad Erodoto il traffico muto, quando senza parlare, si ponevano le merci avanti i nazionali, i quali per acquistarle ponevano dalla parte loro altre merci, ma particolarmente l’oro; e continuavano in tal guisa finché i mercanti forastieri erano contenti, e prendevano le offerte per indi consegnare ai nazionali le mercanzie(2). Di questo modo di trafficare parlano ancora i sigg. Schaw ed Hoest.
I Romani per mezzo della guerra con Cartagine e cogli stati vicini della Numidia, con Giugurta, e per mezzo di altre scorrerie fino all’Atlante ed al Niger, impararono a conoscere l’Africa settentrionale; e benché si siano perdute diverse opere interessantissime riguardo all’Africa, come i commentari di Gallo delle sue campagne fatte in Egitto
(1) Lib. 4. cap. 191-192.
(2) Lib. 4 cap. 196.
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e nell’Etiopia, i racconti di Svetonio Paolini de’ suoi progressi fino all’Atlante; di Cornelio Balbo che soggiogò molte nazioni de’ Negri; il giornale di Settimio Flacco e di Materno, i quali per diverse vie avevano marciato coll’esercito nella parte orientale dell’Africa fino all’Equatore(1); oppure le osservazioni del viaggio fatto da Polibio che parti con una flotta onde fare diverse scoperte nell’Africa(2); inoltre, ciò che maggiormente è da compiangersi, sonosi perdute tutte le opere degli Scrittori Africani, gli archivi de’ Cartaginesi, le loro opere geografiche e storiche, la descrizione della Libia del re Juba ec.(3): ciò non ostante, quello che Plinio, Lib. 5 cap. 1 fino all’8, e Tolomeo ed altri attinsero da queste sorgenti, ha servito di fondamento alle cognizioni che noi oggi
(1) Tolom. I, 8, 10.
(2) Plinio hist. nat V, 1. Scipione AEmiliano, res in Africa gerente, Polybius annalium conditor ab eo accepta classe, scrutandi illius orbis gratia, circumveetus prodidit ec.
(3) Plin. VI. 27, 29, 31, 32 N. 44 ec. Plutarco, Tertulliano, Ateneo spesso lo citano. Egli era il figlia di quello che aveva fatto molte guerre coi Romani, ed era amato da Augusto.
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abbiamo della parte dell’Africa settentrionale, e fino ai tempi di Hoest, Bruce e Rennel: queste cognizioni furono arricchite pe’ racconti degli Arabi, i quali dobbiamo ancor sempre consultare, trattandosi di questa parte del mondo. Ne’ contorni di Bornu, di Caschna e Zahara nascerebbe un gran vacuo, volendo non curare i nomi romani, o rigettare i racconti degli Arabi(1). Le cognizioni moderne confermano sovente le antiche; e diversi animali, da noi creduti appartenere al regno delle favole, paiono aver il diritto di occupare un luogo nel sistema della storia naturale. Il liocorno terrestre, animale grande e feroce che porta un corno forte e compatto in fronte, che si è levato dalla Bibbia(2) onde attribuirlo a Plinio come
(1) Un’opera eccellente, che schiarisce molto le cognizioni che gli antichi avevano dell’Africa, è quella di Heeren intitolata Ideen ueber die Politik, den Voerkehr und den Handel der vornehmsten Voelker der alten Welt, primo tomo, Africanische Voelker, Carthager, AEthiopier, AEgypter. Goettinga 1793, con una carta.
(2) Questo animale chiamasi in ebraico Reem. Mos, 4. 23. 22. Giob. 39. 9. Salm. 21, 22. Salm. 29, 6. Salm, 92. ll. ec.
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favoloso(1), pare trovarsi nell’interno dell’Africa, benché sia piuttosto raro. Tomaso Bartholin, per provare l’esistenza di questo animale, porta la testimonianza d’un inviato d’un re della Guinea al duca della Curlandia, il quale sosteneva d’averne veduto uno morto(2); e secondo il racconto del sig. Cloete, gli abitanti sul Capo di Buona Speranza non dubitano più della sua esistenza(3). Questo animale è disegnato da’
(1) Plin. VIII, 21, Asperrima autem fera monoceros, reliquo corpore equo similis: capite cervo: pedibus elephanto: cauda capro: mugito gravi: uni corou nigro: media fronte cubitorum duum eminente. Hanc feram vivam negant capi. Becmann de hist. nat. Velt. Lib. 1. cap. 3. §. 4 cap. 5 §. 4.
(2) Thom. Bartholin. Anatomic. hist. cent. 2. histor. 61.
(3) Ved. notizie più recenti intorno al liocorno, comunicate da K. K. Reitz nel magazzino di Voigt contenente gli oggetti più nuovi della fisica e storia naturale, Vol. X. quint. 3 pag. 64.
Anche il capitano Olandese Cornelio de Jongi, il quale partì dal Capo nel mese di maggio 1795, sostiene ne’ suoi viaggi verso il Capo di Buona Speranza, lettera 23, che il liocorno esista, e rapportando il racconto di certi Ottentotti i quali contro una buona ricompensa s’impegnavano di procurare un tal animale o vivo o morto.
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Buschmann su centinaia di rocce: e fra la montagna della tavola ed il fiume della vacca marina, circa 16 giorni di viaggio a cavallo da Camdabo, ch’è distante dalla città del Capo 30 giorni, viaggiando con un carro tirato da’ buoi; facendovi la caccia sui Buschmanni, fu ucciso un liocorno nell’anno ottanta del secolo passato, il quale era stato veduto da Slinger e da’ suoi compagni appartenere ad una truppa di questi animali. Secondo il suo racconto, assomigliava ad un cavallo tinto di grigio; ma dietro le mascelle erano alcune strisce bianche. In mezzo alla fronte aveva un corpo lungo un braccio, ed alla base anche grosso un braccio. Alla metà della lunghezza il corno era un poco piatto, ma appuntato sul margine anteriore. Il corno era attaccato solamente alla pelle e non all’osso coronale; circa due dita sotto questo corno trovavasi una piccola e corta ciocca di capelli. L’animale era alto come un cavallo nel Capo di Buona Speranza; la testa assomigliava a quella del cavallo; gli orecchi erano di color bigio assomiglianti a quelli del bue, ma più grandi: la coda era sufficientemente lunga, ed in distanza parve assomigliare alla coda del cavallo, ma osservandola
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da vicino, era carnosa ed ornata di una corta ciocca di capelli bianchi della grossezza di un pomo. Le unghie erano come quelle del cavallo, ma in fine erano spaccate come si veggono nel bestiame bovino. I testicoli assomigliavano a quelli del toro domestico. Il sig. Cloete essendo sicuro, che una società di amatori voglia esporre un premio per rimborsare le spese necessarie per un viaggio lungo, come dal Capo fino alla regione ove si trova l’animale, si offre, malgrado gli ostacoli della caccia, a procurarne una pelle.
Non è impossibile che questo animale sussista. Forse è limitato il circolo della sua dimora, forse è stato molto perseguitato ed è vicino all’esterminazione. Vaillant non ne ha veduto alcuno, ma egli è penetrato molto nell’Africa. Anche Sparmann non l’ha trovato, ma bensì ne indica la sua esistenza, della quale siamo convinti(1).
L’Africa meriterebbe che fosse maggiormente esaminata. La natura è quivi in piena attività, ed in nessun’altra parte del globo
(1) Il viaggio di Sparmann nel Capo di Buona Speranza pubblicato da Forster. Berlino 1784, pag. 453.
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osservasi la forza della vegetazione con maggior varietà e perfezione, ed in verun luogo si sono accumulati tanti miracoli della natura quanto quivi. Gli animali più belli, più grandi, più svelti e più forti, come egualmente gli uccelli, gli anfibi e le piante, hanno l’Africa per patria. Osservando il numero degli animali da noi conosciuti, ed essendovi notato il luogo della loro patria, stupiremo della ricchezza dell’Africa a questo riguardo. Ivi troviamo ciascun animale particolarmente conosciuto: di molti altri si osservano varie specie: altri poi contano l’Africa per loro domicilio particolare, come la scimia SCIMPANSÈ ovvero Pongo, la più somigliante all’uomo; essa non è coduta, ed arriva alla grandezza di un fanciullo di otto anni, egualmente il MACACCO, il MANDRILO, il MONGO ed altre. IL RATTO DI FARAONE (viverra Ichneumon, viverra aurita), ovvero Jennec (l’animale anonimo di Buffon) vive nella Barbaria e nella Nubia(1). IL TASSO DEL MELE (meles mellivorus), che vive del mele e della cera delle api selvatiche, le quali lo depongono
(1) Ved. Bruce viaggi verso i sorgenti del Nilo. Vol. V. tav. 22.
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ne’ buchi degl’Istrici; per iscoprire ove il mele sia deposto, osserva la direzione delle api, oppure seguita l’indicazione del cuculo indicatore(1). IL CANE DELLA GUINEA che assomiglia al levriere, ha i peli solamente nella faccia, il resto del corpo per lo più è nero e liscio come la pelle de’ Negri. Avvi lo sciakal, la iena, il leone, la tigre, il leopardo, la pantera e l’uncia. Fra gli animali ruminanti contasi il MUFLONE (oris ammon) che proveniente dalla Barbaria, si è propagato anche in Grecia, Corsica e Sardegna, e che vive frequentemente nell’Asia settentrionale. Questa pecora ha le corna grandi, e pesanti 10 libbre è più; da alcuni naturalisti è tenuto per l’animale primitivo delle nostre pecore.
La GAZZELLA (antilope pygarga) che in mandre di migliaia dall’interno dell’Africa meridionale si parte verso il Capo di Buona Speranza, e da dove ritorna dopo alcuni mesi. La GIRAFFA (camelopardalis) della quale si dice, che camminando alzi nell’istesso tempo
(1) Sparmann ne’ trattati Svedesi 1777.
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le due gambe del medesimo lato. Il PICCOLO CAPRIUOLO DELLA GUINEA (cervus capreolus), le di cui gambe sono lunghe un dito, e grosse come la canna di una pipa di terra, è senza corna, il dorso è d’un colore rosso scuro, ed il ventre bianco. Questo animale è assai raro, almeno fin dove conosciamo l’Africa. Fra gli animali mostruosi possiamo contare l’EMGALO (sus emgalo) ovvero il porco del Capo Verde: esso è feroce e terribile, e gli Ottentotti lo temono più che un Leone: vive per lo più nell’interno dell’Africa meridionale. Il PORCO CERVO (sus babirussa), il rinoceronte con due corni, l’ippopotamo ec. Fra gli anfibi le pipe, i coccodrilli(1), i camaleonti (lacerta chamaelon) ec. Fra gli uccelli l’ibis (tantalus ibis) GLI STRUZZI, LE GALLINE DI NUMIDIA (Numida meleagris), PAPPAGALLI, fra i quali
(1) Geoffroy, per mezzo dell’anatomia da lui fatta, ha dimostrato, che Erodoto ha ragione dicendo: «Il coccodrillo è l’unico tra gli animali conosciuti che muove la mascella superiore, nella quale trovasi anche il cranio, mentre l’inferiore si muove quasi insensibilmente. Aristotele, Plinio, Vesallo hanno detto lo stesso; ma in appresso, alcuni, e particolarmente Perrault e Duvernoy, hanno voluto provare l’impossibilità di un [379] tale fenomeno, e furono creduti. Nulla può aver più sembianza di paradosso, che la testa del coccodrillo: tutte le parti che negli altri animali si trovano sui lati, cioè le guancie e gli organi che fanno muovere la mascella, trovansi nel coccodrillo alla parte di dietro[»]. Ved. Annali del museo di storia naturale. 7 quint. pag. 36 48, tav. 36, 37.
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GL’INSEPARABILI (psittacus pullarius), il BUCEROS ABYSSINICUS, L’ARDEA DUBIA, che ancora si trova nel paese di Bengala. Secondo la forma della testa e de’ piedi appartiene questo uccello alla specie delle grue, e stando dritto in piedi è alto 4 piedi e mezzo; misurandolo esteso dalla punta del becco fino agli artigli, è lungo 7 piedi e mezzo, e da una punta dell’ala all’altra, 14 piedi e 10 pollici. Il becco è lungo e grosso, ed ha alla radice 16 pollici di diametro, e l’apertura arriva qualche volta alla fine della testa. La testa è calva, il collo giallastro, lungo e forte, quasi nudo; ha alcune penne nere sulla linea più alta, e dove queste mancano, è coperto parcamente di peli ricci. Il più rimarcabile è una vescica lunga di 4 pollici e mezzo formata dalla pelle del collo e pendente quasi alla metà di esso. Questa vescica, movendo l’uccello il becco, monta e discende.
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Non è deciso ancora se questa vescica sia formata dal gozzo o dalla trachea, poiché è sempre gonfia(1). Havvi ancora l’ORIKU, avvoltoio i di cui orecchi sono forniti di una specie di membrana alla di linee, la quale assomiglia ad un orecchio esteriore(2).
Una ricognizione più esatta dell’Africa non solamente fornirebbe materie interessanti onde appagare il nostro desiderio di sapere; ma pure sarebbe utile al commercio. I viaggi di mare però, che producono vantaggi più pronti, sono cagione perché ne’ tempi moderni questa parte del mondo è meno visitata dalla parte di terra, come ne’ tempi antichi.
Il commercio interno dell’Africa ordinariamente è esercitato da’ Mauri, Nigrizi, ed Arabi. Questi negozianti hanno assicurato l’inglesi, che nell’interno si trovino degli Stati grandi e popolati, e nazioni numerosissime.
(1) Ved. Lotham prospetto generale degli uccelli, ed anche Voigt Magazin fur den neuesten Zustand der Naturkunde. 3 vol. 3 quint. pag. 261, con un rame.
(2) Ved. Le Vaillant histoire des oiseaux d’Afrique pag. 9. Dandin traité d’ornithologie, tom. II. pag. 10.
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Senza questo numero considerabile di abitanti l’Africa, a cagione del traffico degli schiavi in tutte le parti del mondo, da lungo tempo sarebbe stata spopolata. Riguardo a questi stati e queste nazioni dobbiamo considerare più le relazioni che ne fanno gli antichi e gli scrittori del tempo più recenti, ove si usavano intraprendere maggiori viaggi per terra che per mare.
Perciò nominerò qui RABBI, BENIAMINO DI TUDELA, città in Navarra, il quale circa il 1160 compose una descrizione odeporica di tutto ciò che aveva veduto nell’Europa meridionale, nella Grecia, Palestina, Mesopotamia, nelle Indie, nell’Etiopia e nell’Egitto, o quanto da altri aveva udito raccontare de predetti; l’opera è composta in ebraico, e tradotta più volte in latino, francese, ed altre lingue. Baratier l’ha illustrata di annotazioni ed ha notato gli errori. Esaminando attentamente quest’opera, apparisce che Beniamino non ha veduto egli stesso tutti que’ luoghi che descrive. Un altro scrittore di viaggi di que’ tempi è MARCO POLO Veneziano, il quale nel 1270 visitò in diverse direzioni tutta l’Asia e l’Africa orientale, e tornò alla patria dopo 26 anni. Poco
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tempo dopo d’essere giunto in patria fu fatto prigioniere da’ Genovesi, che allora facevano guerra ai Veneziani. Secondo l’apparenza, egli compose la descrizione del suo viaggio, durante la prigionia, a memoria, e probabilmente nel dialetto antico Veneziano. Indi fu tradotta in Italiano ed in tutte le altre lingue viventi. Polo più volte sbaglia nella situazione e nelle distanze de’ paesi da lui descritti: molti nomi e numeri sono errati; ma le sue notizie sono sicure, poiché si accordano co’ racconti degli antichi, e vengono confermate da’ viaggiatori de’ tempi nostri.
Molto più stimabili ed utili sono gli scrittori arabi, come il geografo della Nubia, e Leo Africano, dalle cui fonti abbiamo attinto le nostre cognizioni geografiche.
Gli estratti fatti ultimamente da Deguignes ed altri letterati francesi(1), da’ manoscritti arabi deposti nella Biblioteca di Parigi, e la traduzione dell’Abulfedas, ci hanno convinto, che anche le opere e le carte di
(1) Ved. Notices et Extraits de Manuscrits arabes de la Bibliotheque du roi. Paris 1787. 1790 4to. 300 pag.
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altri Arabi sono state consultate e copiate da’ geografi cristiani e dagli autori di carte geografiche. Da esse scorsero le isole favolose, con tutti i miracoli che vi si trovano.
Il geografo della Nubia, era precisamente SHERIF AL EDRISI: egli nel 1553 alla corte di Ruggiero I. di Sicilia raccolse i suoi trattenimenti geografici per ispiegare un globo d’argento del peso di 800 marche fabbricato per ordine di Ruggiero. Edrisi lui stesso aveva veduto una piccola parte di quelle terre che ha descritto. Le migliori notizie sono sull’Africa sua patria.
LEO AFRICANO arabo, nato a Granada, partì per l’Africa allorquando nel 1491 questa città fu presa da Ferdinando; egli visitò in tutte le direzioni la parte settentrionale dell’Africa, indi passò in Asia, di là volle passare in Europa, ma fu preso da’ pirati, venduto, ed in appresso regalato al Papa Leone, che ben presto, a cagione de’ suoi talenti e cognizioni, l’accarezzò: il papa lo fece battezzare dandogli il nome di Giovanni, e vi era presente lui stesso in qualità di padrino. Leo Africano prima di essere alla corte romana, e come pare, durante il suo viaggio, aveva compilato in lingua araba una
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descrizione dell’Africa, e poi la tradusse egli medesimo in lingua italiana, indi fu da altri tradotta in latino, e servì a’ geografi che vissero dopo di lui.
Fra i Geografi Arabi si contano Massudi ed Eba al Uardi, che maggiormente furono consultati e copiati da’ Geografi Cristiani. Massudi, col soprannome LOCHBEDDIN, scrisse nel 947 una storia e descrizione de’ regni più conosciuti in tutte le tre parti del globo, col titolo PRATI DORATI e FOSSE DI PIETRE NOBILI. Quest’opera è estesa ed assai esatta riguardo alla descrizione dell’Africa, delle Indie e dell’Asia media. EBN AL UARDI nel 1232 descrisse in Aleppo, nella sua geografia fisica chiamata PERLA AMMIRABILE, le cose rimarcabili di tutti i paesi allora conosciuti, dei mari, e delle isole, secondo i tre regni della natura. Anche egli è assai circostanziato dove parla dell’Africa, dell’Arabia e della Siria, e ha aggiunto una carta alla sua opera, dietro la quale è stata composta indubitatamente la carta di SANADOS presso Bongars (in fine del secondo tomo delle gesta Dei per Francos).
ABULFEDA (Abilfeda), principe a Hamah nella Siria, compose nel 1320 circa, i
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Takwim ol Boldain, ovvero le tavole delle longitudini e latitudini de’ paesi, con una introduzione, e varie annotazioni; queste tavole sono state rischiarite e lavorate, parte interamente, parte secondo alcuni regni particolari dall’inglese Craves, da Koehler, Michaelis, e Reiske. La traduzione latina di Reiske è stata inserita nel quarto e quinto volume del magazzino di Buesching, che tratta della storia, e della geografia più moderna.
L’Egitto giace fra il 45°, ed il 54° di longitudine orientale dal Ferro, e fra il 20° ed il 31° di latitudine settentrionale; è lungo 150 miglia geografiche, e largo più di 80; la sua grandezza importa 8800 miglia quadrate, ma solamente la pianura in mezzo alla quale scorre il Nilo fra montagne e deserti di sabbia, è veramente abitata, e coltivata; questa pianura dove è larga solamente per poche miglia, e dove non si allarga che per un miglio solo.
Bruce deduce il nome dell’Egitto, dall’Etiopico I GIPT, cioè la terra de’ fossi de’ canali. L’Egitto, è diviso in superiore medio ed inferiore.
L’Egitto inferiore o basso è composto particolarmente da quelle isole formate dallo
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sbocco del Nilo, ed è la parte più bella e fruttifera di questo paese. Alessandria, ovvero Scanderie (31°, 11', 32" di latitudine) è ancor sempre una florida città di commercio con un porto. La colonna di Pompeo, alcuni obelischi, e delle cisterne sotto terra sono le sole antichità di questa città. Del sepolcro di Alessandro stesso non esiste più alcuna traccia. Strabone lo descrivo accuratamente nel libro 17, come anche la città.
A Cirra nel 1781, e 82 furono trovati più di 300 rotoli scritti per ordine del Scheik. Si bruciarono a Cairo, eccettuato ch’era il nuovo testamento scritto in lingua Coptica. Forse tutti questi rotoli erano libri coptici.
Nell’EGITTO MEDIO, e precisamente undici miglia distante da GEEZA, torreggiano ancora le Piramidi, che sembrano essere state masse di roccie poste dalla natura in que’ luoghi, ove ancora presentemente le ravvisiamo; gli antichi Egiziani hanno dato loro la forma per quanto n’erano capaci, ed indi coperte di pietre quadrate(1). Questa
(1) Ved. Il giornale di Hornemann pubblicato da Koenig p. 37.
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opinione è difesa dal suo locale. Dirimpetto a Geeza sulla sponda opposta al Nilo giace Cairah, (Cairo) la capitale dell’intero Egitto, la residenza de’ Bassà, e de’ primi Bey del paese, sotto il 30°, 2', 30" di latitudine settentrionale, e 31°, 16' di longitudine di Greenwich; essa ha molto commercio, più di un mezzo milione di abitanti, 300 moschee, 36 sinagoghe, 2 chiese greche, 3 conventi di francescani, una grande accademia maomettana, e quattro porte pompose. È composta precisamente di tre città cioè di Balac, di Cairo antico e moderno. Il commercio più dominante di questa città consiste nel comprare e vendere gli schiavi, e forse è quivi il più grande mercato di schiavi che vi abbia sul globo. Volendo cercare le rovine dell’antica e famosissima città di Memfi, la sede de’ Faraoni, è necessario di portarsi a Metrahenny, e Mohannan (in ebraico Noph).
Nell’EGITTO SUPERIORE, ovvero Thebais, giace la città di Tebe, la più antica del paese, e la prima sede de’ Re che vi comandavano. Secondo Diodoro aveva 140 stadi egiziani di circuito (due miglia geografiche), e Strabone dice lo stesso calcolando la
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estensione delle sue rovine. Tebe una volta era la città più pomposa del globo, le abitazioni erano alte di quattro, fino a cinque piani, vi erano i tempi più splendidi, ed ora è un villaggio miserabile, chiamato Elgourni, ove si trovano ancora le rovine di quattro tempi grandi, e fuori di questi non v’è alouna traccia di altre fabbriche. Le montagne di Tebe sono piene di caverne, che probabilmente erano le antiche abitazioni, e di là possono nascere anche le 100 porte. Secondo i racconti de’ Francesi, il villaggio Luxor contiene una parte delle rovine di Tebe. Assuan è l’antico Syene, e Girge la capitale. È da desiderarsi che in grazia delle scienze, e particolarmente delle ricerche intorno all’antichità, ed ancora riguardo alla conoscenza dell’Africa, l’Egitto diventi un giorno possesso de’ Francesi.
In moltissime regioni dell’Egitto havvi un suolo sabbioso, ed il terreno sarebbe poco fruttifero, se annualmente fosse inondato dal Nilo, che per mezzo della melma che vi depone lo rende fertile, e produce un’abbondante raccolta. I siti non innondati da questo fiume sono innaffiati ad arte. Il Nilo non riceve altro
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fiume, e nell’Egitto non vi piove mai. Non vi sono parimenti né prati né boschi. Il riso ed il grano sono molto coltivati. Una volta era il granaio di Roma, come presentemente lo è di Costantinopoli. Oltre il riso ed il grano produce ancora zucchero, miele, cera, seta, lino, foglie di sena, gomma arabica, sale ammoniaco e salnitro. Fra gli animali si contano bufali, cammeli, coccodrilli ec. Fra gli uccelli merita d’essere nominato il famoso Ibis, che presentemente vi è chiamato Abou Hannesch (signore de’ serpenti): quest’uccello per lo passato fu venerato come divino dagli Egiziani, ed eternato su monumenti, anzi morendo fu imbalsamato come i cadaveri degli uomini, e conservato nelle catacombe quali mummie. Quest’uccello è però raro nel basso Egitto.
«Gli scrittori, dice Bruce, che hanno parlato di questo uccello, hanno oscurato la sua storia. Alcuni lo tengono per una cicogna, altri per un airone colle colle gambe rosse, altri poi dicevano cello di colore nero e lucido, col becco e colle gambe tinte d’un rosso cupo. Alcuni credevano, che da quest’uccello gli uomiui avessero imparato a darsi i lavativi, altri ancora
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che si accoppiasse per mezzo della bocca, e che facesse le uove per lo stesso canale, e che la sua carne dolce e rossa come quella del pesce salmone; ma tutti questi racconti sono favole. Plutarco dice essere le sue penne nere, e bianche. Le mummie trovate nelle catacombe confermano quest’opinione. L’Abou Hannesch ha un becco curvo, cioè due terzi sono dritti, ed un terzo è curvo. La parte superiore è verde e dura come il corno, e la parte inferiore è nera. Dalla parte posteriore della testa fino a quel luogo ove incomincia il becco v’è una lunghezza di quattro pollici e mezzo. Le gambe dell’ultima articolazione fino alla coscia sono lunghe 6 pollici; la gamba è rotonda e forte. Dall’articolazione inferiore della coscia fino al corpo è lungo cinque pollici e mezzo. Tutta l’altezza dell’uccello, dalla pianta de’ piedi fino alla schiena importa 19 pollici; l’apertura dell’occhio è d’un pollice, il piede e le gambe sono nere; esso ha tre dita anteriori armate di artigli neri, ed uno posteriore. La testa è bruna, come anche la schiena; il collo, il petto e le coscie sono bianche; le penne maggiori delle ale hanno un colore nero
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scuro. Il lettore, aggiunge Bruce, può essere convinto, che non v’è altro Ibis nell’Egitto, almeno non vi sussiste quella specie descritta da Buffon, e creduta dagli altri, cioè colla testa rossa cremisina, col becco d’un giallo d’oro, colle gambe lunghe e deboli, tinte di porpora, e con un collo grosso. D’altronde l’Ibis imbalsamato è bianco e nero, corrisponde alle proporzioni dell’odierno Abou Hannesch».
Il vantaggio che questi uccelli procurano all’Egitto, purgando dopo l’inondazione del Nilo i campi di serpenti restati indietro, di ranocchie ed altri animali simili, de’ quali si nutriscono, forse ha procurato loro quella venerazione divina che godevano ne’ tempi antichi, e quella stima che godono ancora al presente. L’ibis arriva nell’Egitto, quando le pioggie tropiche ingrossano il Nilo; fuori di questo tempo vive nella parte calda e bassa dell’Etiopia, la quale è piena di laghi.
Havvi ancora il cuculo egiziano, il Huhu di Sonnini (cuculus aegyptius) che vola pochissimo, di modo che non si può slanciare in maggior distanza, che da un arbusto
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all’altro, e se questi sono distanti fra loro è necessitato gettarsi in terra prima di poter giungere dall’uno all’altro. Anche esso purifica il campo dalle cavallette, e da altri insetti, fabbrica il suo proprio nido ed alleva i suoi pulcini.
Nell’Egitto si contano solamente due in tre milioni d’abitanti, fra i quali i discendenti degli antichi Copti, nazionali di quivi appena montano a 30000 anime. Fin da’ primi tempi del cristianesimo essi esercitano questa religione. Il loro linguaggio, da lungo tempo in uso nelle funzioni religiose, e compreso da pochi ecclesiastici, è presentemente da contarsi fra le lingue morte. Tutti parlano adesso l’arabo o il turco. I mammalucchi, precisamente schiavi, che formavano la guardia del corpo, e che in seguito s’impadronirono del trono ec. monteranno ora appena a 4000. Gli altri abitanti sono Arabi, Ebrei, Negri, ed anche Europei. Ai tempi di Vespasiano, come nota Giuseppe, vi erano sette milioni e mezzo di anime. Erodoto vi conta 20000 città, e villaggi. Al giorno presente non se ne trovano né anche 2000. L’aria vi è ardente e secca, quindi nascono facilmente malattie di occhi, e molte persone diventano
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cieche. Nel mese di luglio è di agosto la temperatura delle stanze più fresche è di 24 fino a 25° di Reaumur. Lo stato più basso del termometro nel mese di gennaio e febbraio è di 9° o 8° sopra zero di Reaumur. Ciò non ostante vi sono solamente due stagioni, la primavera è l’estate, ovvero l’aria rinfrescante e l’ardente; l’ultima durà dal mese di marzo fino al novembre, ed anche nel febbraio: a 9 ore di mattina brucia il sole in modo, che agli Europei diventa insoffribile. Durante tutta la stagione dell’estate arde l’aria, ed il cielo rimanda uno splendore. La causa principale sarà forse il suolo eguale e basso. A cagione del calore che dura tre mesi, e del suolo paludoso, si dovrebbe credere, che l’Egitto fosse un paese assai malsano; ma l’aria è sana e asciutta, poiché i deserti circonvicini attraggono l’umidità, asciugano l’aria, e la purificano continuamente. La siccità è grande a segno, che la carne esposta all’aria si disecca senza putrefarsi. Ne’ deserti si trovano i cammelli morti diseccati in modo, che un uomo con una mano sola li può alzare, e portar via. Sulla costa però questa siccità è limitata, poiché l’aria è pregna di
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sale. Le pietre sono intonacate di nitro, e ne’ luoghi umidi si veggono lunghi cristalli di sale che si potrebbero prendere per salnitro. Le mura del giardino de’ gesuiti al Cairo, composte di argilla, e di mattoni, sono generalmente coperte di questo nitro, per la grossezza di uno scudo, e mettendo questo giardino sott’acqua si vede, dopo, lo scolo, risplendere la terra d’un sale bianco cristallizzato, che non nasce dall’acqua, poiché distillandola non si vede il minimo indizio di sale.
La qualità dell’aria e della terra unita al calore, dà quivi alle piante quella vita e quell’accrescimento, del quale nelle regioni più fredde non si può formare alcun’idea. Dappertutto ove le piante sono irrigate dall’acqua, si sviluppano con una velocità ammirabile; una certa specie di zucca chiamata Kora produce entro 24 ore un frutto quasi della lunghezza di quattro pollici. E singolare che questo suolo ami solamente le piante sue proprie; tutte le piante forastiere presto degenerano, e perciò i mercanti Europei devono rinnovare tutti gli anni le semenze estere, come la semenza de’ cavoli fiori, delle carote rosse e gialle, e delle pastinache
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che ricevono da Malta; il primo anno riescono bene, ma la semenza produce piante degenerate che si alzano molto. La medesima cosa è pure avvenuta cogli alberi di albicocco, di pero e di persico che furono piantati al Cairo. Pare che la forza della vegetazione vi sia troppo violenta per dare alle piante di una natura carnosa il dovuto nutrimento.
Mentre che nell’Europa il numero de’ maschi sormonta quello delle femmine, nell’Egitto al contrario quello delle femmine è maggiore di quello de’ maschi; e vi si possono contare quattro femmine per un maschio. Forse sussiste il medesimo caso in tutti que’ paesi ove regna la poligamia, e pare che la natura s’accomodi secondo il bisogno degli uomini.
Alla parte meridionale dell’Egitto confina la Nubia, che giace fra il 45° ed il 60° di longitudine orientale dal Ferro, e si stende fino al 13° di latitudine; è lunga 150 miglia, e quasi della stessa larghezza, e fuor della coltura su d’ambedue i lati del Nilo è piena per la maggior parte di deserti di sabbia. I prodotti del paese sono grano, tof (specie di grano, del quale si fa il pane)
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riso, zucchero, foglie di sena, lino, vino e meloni ec. La cura del bestiame è buona, particolarmente quella de’ cavalli. Dongola, la sua provincia arida, che ha solamente poca acqua ed erba corta, ed una specie di radice simile a quelle de’ selleri è, secondo Bruce, il centro di quella regione, ove il cavallo si trova nella sua più alta perfezione. Il termometro di Fahrenheit, ponendolo in tempo di mezzo giorno all’ombra, monta a 120°.
I più rimarchevoli fra gli abitanti sono 1. i Nubi nazionali di un colore nero oscuro; essi parlano un linguaggio nato dall’antico Coptico, misto però di molte parole arabe; 2. i Schillook nazione negra, che domina a Sennaar dal 1504; 3. i Negrizi; 4. i Turchi; 5. gli Arabi che parlano ancora il linguaggio del Corano, il quale nell’Arabia stessa è lingua morta, e che sin’ora è stata tenuta per lingua scientifica, 6. gli Ebrei. Fra i deserti è da notarsi, come uno de’ più rimarchevoli e più pericolosi, il deserto del viaggio di 20 giorni, da Gooz (17° 57' 22" di latitudine, e 34° 20' 30" di longitudine orientale da Greemvich) fino a Syene (Assuan). Bruce ha descritto assai vivamente i
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pericoli e gl’incomodi del passaggio per questo deserto, anzi la descrizione ch’egli ne fa, può essere considerata come uno de’ più bei passi dell[a] sua opera(1). Sarà difficile che un Europeo giunga presto in questa regione. L’impronta della verità che porta la descrizione del viaggio, di Bruce, è particolarmente giustificata da questo quadro visibile, che non si rappresenta, per mezzo della fantasia. La Nubia è indubitatamente il paese più caldo, poiché è situata fuori delle pioggie tropiche, le quali si stendono dal 16° di latitudine settentrionale fino al 16° meridionale. Il termometro di Fahrenheit posto all’ombra vi monta nel mese di maggio e di settembre ancora fino a 120°, e ne’ mesi più caldi non rare volte cadono le genti morte in terra. Quando il termometro di Fahrenheit sta a 780 è tempo fresco; a 92 moderato, e quando è montato a 116° lavorano le genti ancora con grande attività. Dongola è una Repubblica colla capitale dell’istesso nome. Sennaar sulla parte
(1) Ved. i Viaggi di Bruce con abbreviazioni necessarie di Cuhn vol. 2 sezione 42 e 43.
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occidentale del Nilo, 13° 34' 36" di latitudine settentrionale, è la capitale d’un regno diviso in tre provincie; il paese è malsano ma il suolo è fruttifero. LAPANOUSE impiegato da’ Francesi nella provincia di Tebe in qualità di Amministratore, ha descritto questa regione nelle MÉMOIRES SUR L’ÉGYPTE tom. IV. p. 89. Gli Stati del Re di Sennaar formano una striscia considerabile di terra fruttifera, poiché è inondata dal Nilo. Il Regno di DARFUR è più steso ma meno fruttifero, mentre è arido e privo di verdura. La capitale di questo regno, HELFACHET, giace 20 giornate di viaggio distante da Sennaar(1). Le possessioni del re di Sennaar sono divise in due Stati esattamente distinti fra loro, cioè in Sennaar e Barbar; l’ultimo giace più verso l’Egitto, ed è composto di molte pianure assai fruttifere e coltivate. La Capitale Sennaar è situata fra quattro braccia del Nilo, è ben fabbricata e bastantemente grande. Derguin è la capitale di un altro regno dell’istesso i nome. Massura è
(1) Ved. Brown, notizie di Darfur, nella sua descrizione di viaggio nel primo volume della Biblioteca di Sprengel.
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una città appartenente ai Turchi. Beybour ha un gran commercio di sale. Halfaia, 15° 45' 54” di latitudine settentrionale, e 32° 49' 15” di longitudine orientale, è il confine delle pioggie tropiche, ed in conseguenza, contando da noi, l’ultima città coi tetti piatti, poiché in quelle regioni ove regnano queste pioggie i tetti devono avere la forma dello scolo. Siccome il Nilo non inonda questo paese; è necessario irrigare i campi per mezzo di ruote che vi conducono l’acqua. Gl’ippopotami, i coccodrilli ed i gatti formano il nutrimento comune degli abitanti.
L’ABISSINIA giace fra il 48° e 62° di longitudine orientale dal Ferro, si stende dal 13° fino al 6° di latitudine, ed è grande più di 24000 miglia quadrate geografiche. Ha molti fiumi e laghi, come Dembea Izana ec. molte montagne alte boscherecce, che indubitatamente appartengono alle più alte del globo. Esse formano la corona ed il centro delle montagne dell’Africa, poiché veggiamo scorrere dalle loro cime il Nilo il Tacazze, il Senegal, il Gambia, il Niger, il Rio grande, il Kachao ovvero s. Domingo, il Zaire, il Cuarna ed i fiumi del Capo di Buona Speranza. Le cadute considerabili e
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replicate del Nilo sarebbero per se stesse sufficienti prove della declinazione di queste montagne verso l’Egitto, come anche l’immenso Tamala, visibile particolarmente ai viaggiatori provenienti dalla parte del mar Rosso, il quale nasconde la sua cima nelle nubi, ed è da considerarsi come limite delle pioggie tropiche fra la parte occidentale ed orientale di questa regione, in modo che queste pioggie incominciano sulla parte orientale quando cessano sull’occidentale; in somma il Tamala fa nascere quivi lo stesso fenomeno come le Gates sulle coste di Coromandel. Queste montagne rinfrescano l’aria e moderano il calore, che secondo il termometro di Fahrenheit, posto nelle valli all’ombra in tempo di mezzo giorno, sta fra 100° e 120°. Se quivi accadessero le pioggie di 6 mesi nel tempo più caldo, il paese non potrebbe essere abitato. Queste pioggie gonfiano il Nilo, che ha nell’Abissinia le sue sorgenti . La sorgente principale è a 36° 55' 30" di longitudine orientale da Greenwich, e 10° 59' 25" di latitudine settentrionale, circa 600 passi dal villaggio Geesh in Ancascha(1).
(1) Viaggi di Bruce nell’estratto di Cuhn sez. 22.
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Bruce non è il primo Europeo che ha cercato, e trovato le sorgenti del Nilo; ma egli è il primo, che ha fissato astronomicamente la loro situazione. Avanti lui le ha visitate indubitatamente il Missionario italiano Pay, come raccontano Kircher, e Ludolf(1). Corrispondono ancora perfettamente il racconto di Kircher, e la carta di Ludolf colle notizie di Bruce riguardo al corso del Nilo, incominciando dalla sua sorgente fino all’entrata in Egitto. Pay parla solamente di due sorgenti, ma Bruce vide anche la terza; la seconda giace dalla prima 10 piedi circa nella direzione del sud ovest, essa ha i pollici di diametro, ed è profonda 8 piedi, e 3 pollici; la terza giace 20 piedi distante dalla prima verso il sud sud ovest, è larga due piedi, e profonda 5 piedi 8 pollici. Se altri, secondo le ricerche asiatiche di W. Jones, danno cinque sorgenti al Nilo, comprendono due piccoli fiumi senza nome, i quali si uniscono col Nilo appena nato. Le
(1) Ludolf nel suo eccellente Commentar. ad hist. Aethiop. p. 21, ed Athanas. Kircher in Oedip. Syntagm. I. c. 7 p. 57 ed ancora p. 122. 123 e medesimam, nell’hist. Aethiopic.
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colline delle sorgenti sono altari consacrati dagli abitanti alla Deità del Nilo.
Il Nilo, dopo aver abbandonato le sorgenti, corre in mezzo ad una palude, di là passa nella pianura di Goutta, e durante il suo corso di 10 miglia geografiche riceve una quantità di sorgenti, ruscelli, e fiumi; indi corre in una estensione di 7 miglia pel lago di Tzana senza cangiare il colore della sua corrente, dopo si getta nella provincia di Dara, indi va a Begender, ed Amhara, e finalmente, ritornando quasi verso le sue sorgenti, dalle quali resta distante 62 miglia, rinchiude, come in un circolo, la provincia Gojam. Quivi incomincia a diventare profondo, e rapido, e non si può passarlo a piedi che in certe stagioni dell’anno, trovansi anche quivi una quantità di coccodrilli, che non si veggono più sopra, come nel lago di Tzana forse per la chiarezza dell’acqua si dirige verso i confini di Gongas, ove aprendosi esso il passaggio in mezzo ad un’alta catena di montagne, forma una cateratta dell’altezza di 280 piedi(1).
(1) Tra gli abitatori del Nilo sinora sconosciuti appartiene
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La parte meridionale di questa catena di montagne (chiamata dagli Arabi Tibbel el Kamar, probabilmente una semplice traduzione del Σιληνης οσος, montagne della luna) è abitato da’ GOONGAS, e la settentrionale orientale da’ GUBBA nazione totalmente nera. Sulla parte occidentale si estende questa catena nell’interno dell’Africa ove è chiamata Tyre, e Tegala, e sull’orientale si unisce colla provincia montagnosa di Kuara, e riceve il nome di Fazucelo.
Queste montagne sono abitate da molte
una specie particolare di pesce addominale chiamato Bichir, descritto dapprima da Geoffroi. Il pesce assomiglia ad un serpente, ed ha da ciò il suo nome egiziano. Il suo corpo è coperto di grandi squame, che io certo modo rappresentano un’animetta. La cosa piú sorprendente è il suo ventre, che forma due terzi da tutta la lunghezza del pesce. La coda al contrario è corta a segno che appena forma la dodicesima parte del corpo. Pare dunque, che gli manchino gli organi necessari per nuotare, ma questa mancanza è solamente apparente. Le sue alette sono costruite in modo da potersene servire per nuotare, e per strascinarsi come fanno le foche. Queste, e varie altre singolarità, che rendono questo pesce degno di attenzione ved. negli Annali del Museo nazionale della storia naturale di Bernardi quint. I. p. 33. fino a 39 la rappresentazione e sulla quinta tavola.
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nazioni pagane, a noi totalmente ignote, come anche i paesi coi quali confinano verso il mezzo giorno. Da questi paesi vengono molti schiavi, e molt’oro, che in tempo delle pioggie tropiche è condotto dalle correnti delle montagne; questo è quell’oro fino di Sennaar chiamato Tibbar. Poscia il Nilo corre pel regno di Sennaar, e per gran numero di città abitate da Arabi bianchi; si unisce col Tacazze (forse l’Astaboras), giunge a Corti la prima città in Dongola (chiamata anche Barabra), di là a Moscho, ove il viaggiatore proveniente dall’Egitto, e dall’Etiopia dopo aver fatto un viaggio di 500 miglia pel deserto di Selima, trova rinfreschi, ed indi il Nilo incontra una catena di montagne, e vi forma la settima cascata nominata Zan Adel: poi passa due piccole città di guarnigione in Egitto, Ibrim, e Deir; giunge nella provincia di Kennous, forma l’ottava cascata, e continua finalmente il suo corso per l’Egitto(1).
Il nome del Nilo nasce dal colore turchino,
(1) I Viaggi di Bruce nell’estratto di Cuhn ec. t. 1. sez. 22 p. 319 ec. Delle cadute del Nilo sez. 21 p. 272, e Poekock descrizione de’ paesi orientali tom. I. p. 121. 122.
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poiché Nilo in Egitto significa turchino. Ne’ nostri dizionari arabi troviamo in fatti questa parola coll’indicato significato, particolarmente secondo l’uso della lingua moderna Persiana. I Copti hanno nel loro linguaggio un antico nome del medesimo significato, cioè Amairi (αμηιρι)(1).
Le pianure innondate dal Nilo sono fruttifere, e particolarmente vi riesce bene il grano, il riso, ed il tof; l’ultimo è una specie di grano, di cui in Egitto si servono come noi della segale, e le di cui semenze sono ancora più piccole de’ grani di senape; esso ha un gusto buonissimo, e non viene intaccato da vermi, ed è il grano più comune dell’Egitto, poiché se ne fa il pane quasi esclusivamente, come anche qualunque altro nutrimento farinoso. Ancora riescono benissimo il lino, la bambagia, la seta, e molti frutti, come datteri, limoni, portogalli ec., ma se ne prende poca cura. Vi si trovano molti elefanti, leoni, tigri, pantere, e gazzelle, come anche ipopotami, che in grandezza eguagliano
(1) Appendice ai Viaggi di Bruce p. 141.
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l’elefante . Il sal minerale, il ferro, e l’oro sono doni del regno minerale.
Oltre gli Abissini propriamente detti, che sono di colore nero, e che hanno una specie di religione cristiana mista di molte usanze ebraiche, e pagane, abitano quivi oltre de’ Turchi, Arabi, ed Ebrei, moltissimi popoli pagani, di modo, che si è voluto dedurre il nome d’Abissinia dalla parola Habbesch, che significa popolo misto. Altre volte si soleva paragonare questo nome anche colla parola egiziana Awasis (Oase), che significa un paese abitato in mezzo a grandi deserti, come ha osservato anche Strabone.
Tra gli abitanti più antichi dell’Abissinia si contano gli AGAZZI ovvero Agasi, dal di cui nome la lingua antica etiopica è chiamata GEEZ(1). Essi abitano l’alto paese detto Tigre, e sono ordinariamente accennati da Bruce come pastori. I Gallas nazione forte, e numerosa di molte stirpi, delle quali alcune hanno adottato il Corano, ed altre sono restate pagani, e continuamente stanno
(1) Dell’origine del nome trovasi la maggior probabilità presso G. Ludolf nell’hist. aethi, opae lib. L. c. 1 ed in ej. Comment. in hist. aeth. p. 56.
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in guerra cogli Abissini, sono oriondi del di là della linea, e stabiliti in questo paese. Essi abitano presentemente in Gojan, e Maitscha; sono bruni di colore, forti, e lesti, ma piccoli, feroci, e crudeli. I loro vicini sono gli Agow (Agau) che abitano intorno alle sorgenti del Nilo, e loro tributano onori divini. Questa nazione, come la precedente, ed i Gaffa, e Gonga hanno il loro linguaggio particolare, de’ quali Bruce imparò a conoscerne più di sette. La lingua di corte è quella di Amhara. Tutte queste nazioni non hanno di comune cogli Abissini propriamente detti, che le parti genitali delle femmine, le quali hanno una difformità tale da impedire la loro destinazione, e per ciò sono obbligate a sommettersi alla circoncisione, che in fatti si usa non solamente presso gli Ebrei, ma pure presso i Pagani, e Cristiani. Forse n’è cagione l’eccessivo calore, che ammolisce, ed estende tutte le parti. Le poppe delle femmine pendono fino oltre il basso ventre. Gli orecchi, portando frequentemente grossi pendenti, toccano fino le spalle. Le donne nel ventesimo anno sono inabili alla propagazione.
L’Abissinia è governata da diversi Re,
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che tutti sono sommessi al gran Nagasch, cioè al gran Re, che gli conferma, ne riceve il tributo ec. GOUDAR, quasi grande come il Cairo è la capitale dell’Abissinia, e la residenza dell’Imperatore (gl’Inglesi la scrivono Gwender); essa giace fra due fiumi larghi, i quali, in distanza di 15 giorni di viaggio, sboccano nel Nilo. Le case sono fabbricate di pietre rosse, ed i tetti di forma conica, e coperti di paglia. Nell’altura, poiché la città è situata sulla montagna, abitano più di 10000 famiglie di Abissini, e nella pianura, divisi da questi per mezzo d’un fiume, gli arabi in 3000 case(1), Adowa (14° 7' 57" di latitudine settentrionale) è la capitale di TIGRE, la parte più montagnosa dell’Abissinia, ma anche la più fruttifera. Quivi si raccoglie tre volte per anno, e ciò non ostante, per motivo de’ ratti, e sorci campestri vi nasce la carestia, poiché non sono accostumati a conservare le raccolte, quando ne hanno in soprabbondanza. Le montagne di questa provincia si distinguono per le loro figure
(1) Ved. gli annali Toolog. per l’anno 1790 pag. 362, ed il Viaggio di Bruce in estratto da Cuho vol. I, sez. 18.
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più singolari; Bruce dice: «alcune sono più larghe in cima che in fondo, e paiono non avere di base che quanto vi vuole per resistere alla forza del vento; alcune altre hanno la forma delle Piramidi e degli Obelischi; altre poi assomigliano a Piramidi colla punta voltata in terra». La descrizione non è chiara al segno da poterne conchiudere qualche cosa con precisione. Sarebbe possibile che queste montagne abbiano acquistato la loro forma attuale da correnti violenti di acqua, precipitate da montagne più alte sotto l’equatore, le quali corrosero la terra che serviva loro di base? Axum (14° 16’ 36’’ di latitudine settentrionale) giace al piede di una collina, ha 600 case circa, ed è famoso non tanto per le manifatture di stoffe grosse di bambagia, e per le pergamene che vi fabbricano certi monaci dalla pelle di capra, quanto per le sue grandi e pompose rovine. Queste sono molto estese; e sopra una piazza che pare essere stata il centro di quest’antica capitale dell’Abissinia, esistono ancora 40 obelischi, de’ quali alcuni si sono rovesciati. Essi sono formati da un solo pezzo di granito, hanno molti ornamenti, ma non giroglifici; oltre di questi si veggono
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alcuni piedestalli, sui quali erano state poste le sfingi, e due grandi scale pompose lunghe alcune centinaie di piedi, dimostrano la magnificenza degli antichi tempi. Non potrebbe darsi che quivi fosse la patria degli obelischi, delle sfingi e delle piramidi? Peccato, che Bruce, il quale ha riconosciuto tante longitudini e latitudini, non abbia mai pensato a misurare le altezze col mezzo del barometro, cosa che sarebbe stata molto più facile e ci avrebbe dato molti schiarimenti.
Nella catena di montagne Samem giace lo stato degli Ebrei KALASCHA. Gli Ebrei formano quivi una famiglia di 10000 anime circa, hanno un linguaggio proprio, sconosciuto nell’intera Abissinia ed Etiopia, la loro propria costituzione, ed un reggente della loro propria nazione, ma stanno sotto la sovranità dell’Abissinia. Essi vivono pacifici, e pagano puntualmente le contribuzioni al Nagasch. Dicono essere giunti in questo paese con Menilehek figlio di Salomone, e colla regina di Saba, ed in fatti si trovano da tempi immemorabili nell’Abissinia; si sono affatto dimenticati della lingua ebraica , e conoscono il testamento vecchio solamente per la traduzione etiopica. Il Talmud, il Targum,
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la Kabala sono loro affatto sconosciuti; del nuovo testamento de’ Cristiani hanno un’idea oscurissima, poiché non lo conoscono che per averne inteso parlare, e lo credono una ciarla sciocca, poiché vi si parla di un Messia che sia già comparso ec. Essi si occupano di agricoltura, fabbricano vasi, e fanno i muratori, mestieri che fuori di loro nessuno esercita. I loro villaggi sono ordinariamente fortificati, e sono situati in modo che nessuna armata può attaccarli.
Alla parte Nord Nord ovest, e Nord Nord est dell’Abissinia, fra i fiumi Marab, e Tacazze, abitano i Shangalla, popolo totalmente nero, che una volta era assai numeroso, e diviso in molte stirpi, e che presentemente è cacciato dagli Abissini come le bestie selvatiche. Nella stagione asciutta vivono sotto gli alberi, e quando piove abitano nelle caverne; la stirpe più considerabile fra essi formano i Dobena.
La parte settentrionale dell’Africa, che incominciando dall’Egitto si estende occidentalmente fino al mare Atlantico (dal 44° di longitudine orientale di ferro fino al 8°) più di 800 miglia geografiche lunga, e 50 fino a 200 miglia large (dal 38° di latitudine
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settentrionale fino al 28°) porta generalmente il nome di BARBARIA. Questo nome proviene dagli antichi Fenici, che chiamavano la costa, o anche la terra ferma BAR, e raddoppiandolo BARBAR, significava un uomo che abitava sulla costa, oppure sulla costa del continente (continentis littoralis incolam). Gli Arabi chiamano ancora questa striscia di terra Al Barbaria, e gli abitanti Al Barbar. I Barbari ovvero Berberi sono quasi tutti di origine Araba, come dimostrano i loro costumi, le usanze, il linguaggio, ed i loro libri; e sono distinti dagli altri Arabi pel nome di Barbari, unicamente a motivo della loro posizione geografica.
La parte orientale di questa terra chiamasi BARCAN, e forma per la maggior parte un deserto dall’est all’ovest lungo di 70 miglia geografiche, e dal Nord al sud largo di 10 fino a 50 miglia. È molto mal abitata, ed appartiene parte al Sultano turco, il di cui Bassà risiede a Barcan, e parte a Tripoli. Tolomita e Bon Andrea sono porti. Ne’ tempi degli antichi questa terra era una provincia florida e popolata, della quale Erodoto spesse volte fa menzione. Erodoto e Virgilio ne chiamano gli abitanti Barcai;
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Tolomeo; Barciti; Strabone, Marmaridi, poiché la provincia portava ancora il nome di Marmarica. Il nome di Barca è di origine fenicio, e significa splendore, ovvero provincia splendida, a cagione de’ raggi del sole riflettenti ed accecanti, in queste regioni a cagione della sabbia.
Tripoli è per la maggior parte sabbioso ed infruttifero; ma ricco di datteri, e di canne da zucchero, e fu in questi contorni ove gli Europei impararono a conoscere questo prodotto(1). Ad esso appartiene Derne provincia di Barca. Il regno di Fezzan, la Phazania di Plinio(2), è dipendente da Tripoli, almeno vi deve pagare il tributo. La capitale è Mursuk. Alla parte sud est giace un deserto sabbioso, col quale confinano le montagne Tibeschi abitate da popoli selvaggi. Hornemann ha fatto un viaggio da Cairo a Mursuk(3); egli partì addi 5 di
(1) Ved. Sprengel Geschichte der wichtigsten geographischen Entdeckungen edizione 2.
(2) V. 5 Phazania, ubi gentem. Phazoniorum urbesque Alelen et Cillabam subegimus.
(3) Ved. Il giornale di Hornemanu intorno al suo viaggio da Cairo a Mursuk, pubblicato dal manoscritto
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settembre 1798 da Cairo, unendosi alla caravana, che da Mecca, per Cairo e Fezzan, torna annualmente ne’ paesi occidentali dell’Africa. Incominciando dalla valle di Natron entrarono in un deserto confinante al Nord con una catena di montagne, nella di cui direzione prosegue la via della caravana; questo deserto nella parte meridionale parve essere largo alcune giornate di viaggio. Dopo un tragitto di 11 giorni giunse la caravana al villaggio di Ummesogeir.
Il suolo del deserto è coperto di ghiaia; ch’essendo scossa da venti violenti del Nord, agisce più sensibilmente sul corpo che una pioggia di grandine. Frequentemente si trova in quest’immensa pianura il legno petrificato. Vi si veggono tronchi d’alberi di 12 piedi e più di circuito, e lunghi di 30 in
tedesco da C. Koenig 1801. 8. Questo giornale, oltre l’originale della descrizione del viaggio, contiene ancora tutti que’ trattati importanti di Rennell, Marsden e Young, co’ quali è ornata l’edizione inglese. Ved. Goeking gelehrte Anzeigen del 1802 num. 146 e 169. L’edizione inglese trovasi nell’African Rescarches or Procedings of the association for promoting the discovery of the interior parts of Africa. Lond. vol. 2. 4 in 215 pag. e 2 carte.
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40, rotti in vari pezzi, e radunati insieme. Molti tronchi hanno ancora i rami; qualche volta si trovano pezzi di scorza simili alla quercia, ed altri rami sottili, in parte dispersi; ma per lo più in grandi massi irregolari. Il colore è ordinariamente nero, e qualche volta tanto simile alla legna vera, che gli schiavi l’alzano per volerlo portare seco loro, ed usarlo per bruciare. Alla parte occidentale del lago di Natron havvi ancora un antico canale conoscibile, forse il braccio occidentale del Nilo, del quale parlavano gli antichi, chiamato BAHR-BELLA-MA (fiume senz’acqua), nel quale trovansi ancora alberi da bastimento, e legno da costruzione navale. Hornemann p. 13 dice «il suolo del deserto assomiglia ad una pianura, sopra la quale sono corse le onde in tempo di burrasca, e vi hanno deposto legno, ed altre cose, e perciò potrebbe chiamarsi MARE SENZ’ACQUA. Al piede delle montagne settentrionali corre una valle fruttifera, ed innaffiata, larga da uno fino a 7 miglia; la caravana vi andò ogni tre o quattro giorni per prendervi l’acqua fresca, che in allora era scarsa, e radunata negli stagni grandi di alcune miglia. Quest’acqua era sempre amara,
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ma cavando in alcuna distanza un buco in terra, si trovava la buona alla profondità di 4 fino a 6 piedi.
Ummesogeir è un villaggio meschino di 30 uomini combattenti, i di cui abitanti si nutriscono di datteri, e della vendita di essi, Distante 20 ore da questo villaggio giace; secondo la carta di Rennel, Siwah a 29°, 18' di latitudine settentrionale, e 26°, 25', di longitudine di Greenwich. Questa città assai popolata è situata sopra un’altura piuttosto erta, ed anche in una valle verde e fruttifera, è divisa da Ummesogeir per una via lunga e faticosa, che passa sopra colline. Alla parte nord ovest havvi uno strato di sale per l’estensione d’un miglio inglese, ed accanto di esso è accumulato il sale in masse. Nascono quivi sorgenti numerose, e sovente trovasene una di buonissima acqua dolce, mentre in poca distanza ve n’è un’altra salata; in somma queste sorgenti sono ancora le medesime descritte da Erodoto. Gli abitanti di Swah non sono di origine araba, ed anche il loro linguaggio non è arabo, ma un vero dialetto principale dell’Africa. Il popolo è rozzo, guasto, ed assai inclinato al ladrocinio. Quivi si trovano nuoltissimi oggetti di antichità,
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di modo che Browne nel 1793 rese verosimile essere state quivi le antiche Osse, ovvero l’isole di Giove Ammone. L’architettura è egiziana e coperta di geroglifici egiziani, ma nell’istesso tempo scopresi in essa la sua infanzia. Il fabbricato è costruito di pietre calcari, ed intaccato e rovinato più dagli uomini che vi cercavano l’oro, che dal tempo stesso. Oltre la fabbrica principale, ancora sussistente, vedesi un muro di alcune centinaia di JARD, e nella sua vicinanza una sorgente abbondante di acqua fresca, probabilmente la sorgente del sale di Diodoro. In qualche distanza, e precisamente in quattro luoghi nelle caverne delle montagne si trovano delle catacombe costruite secondo il modo egiziano, dove i viaggiatori viddero alcuni marmi distrutti; ma avendo voluto penetrarvi maggiormente, ne avrebbero forse trovate delle intiere. Addì 30 di settembre abbandonarono Sivah, e dirigendosi continuamente verso l’ovest, giunsero il nono giorno ad Augila. Erodoto pone questo luogo 10 giorni di viaggio distante dal tempio di Ammone. Hornemann osserva, che in questi nove giorni di viaggio debbono contarsi alcune marcie forzate. La via in mezzo al deserto era assai
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penosa, in modo che gli uomini e gli animali, appena alleggeriti i cammelli, si abbandonarono ad un profondo sonno. Sempre continuò la catena di montagne nel Nord; essa s’innalza rapidamente, e consiste in rocce nude sulle quali non avvi né terra né sabbia. Volgendo l’occhio verso il deserto si osservavano spesso alcune montagne isolate, composte interamente di conchiglie calcinate, e di una perfetta forma piramidale, in guisa che contemplandole da lontano, sembravano opere d’arte. Augilah è il luogo principale di una Oase, come anche Sivah, cui appartengono ancora due altri piccoli villaggi, Mojabra e Meledila. Gli abitanti coltivano un poco i campi ed i giardini; ma sono particolarmente occupati col commercio di Fezzan e di Cairo. Il loro linguaggio è un dialetto di quello di Sivah. Un poco dopo si trova la mezza via da Cairo a Murzuk. Addì 27 di ottobre la caravana si mise in marcia, e dopo un cammino che per lo più proseguì in mezzo a regioni montagnose ma deserte, giunse il quinto giorno in un luogo coperto di alberi. Indi prese la direzione, 9 giorni di continuo, per la regione montagnosa Harutsch, una delle più deserte
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e desolate dell’Africa. Queste montagne si dividono in nere (probabilmente il MONS NIGER di Plinio) e in bianche, delle quali l’ultima si perde ne’ deserti di sabbia. Ambedue le catene di queste montagne non sono alte, ed il loro aspetto spaventoso e di distruzione nasce dall’eruzioni vulcaniche. Sotto la sabbia trovasi la cenere, ed ora incontrasi il basalto ed ora la calce. Le pianure, particolarmente vicino all’Harutsch bianco, sono coperte di pietre che al di fuori sembrano essere vetrificate, e fra esse si scoprono molti avanzi di petrificazioni, singolarmente di grandi animali marini, come anche delle conchiglie chiuse. Le pietre più grosse, battendo l’una contro l’altra, suonano chiaramente, e rompendole sembrano vitrose. Il 16 giorno dalla partenza d’Augila giunsero a Temissa, luogo limitrofo di Fezzan, ove la caravana fu accolta con molta allegria.
La lunghezza minore della parte coltivata di Fezzan, importa 300 miglia inglesi, e la lunghezza maggiore 200 dall’est all’ovest. Vi sono 101 città e villaggi, fra le quali Mursuk è la più considerabile, ed ha circa 18 fino a 20000 abitanti; il clima è dispiacevole, l’estate è insoffribilmente calda, e l’inverno
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sensibile duranti i venti taglienti del Nord. In tutta l’estensione del regno non corre alcun fiume, e tutta l’acqua tirasi da’ pozzi, le di cui fonti di acqua mediocre non giacciono profonde. I datteri vi formano il prodotto principale. La cura del bestiame è cattiva, e solamente i ricchi mangiano carne. L’attività di questo paese è unicamente prodotta dal passaggio delle caravane. Nella parte meridionale di Fezzan abitano i Fibbo che si stendono fino all’Egitto, dal quale sono divisi per mezzo di un deserto; nella occidentale i Tuarik, popolo potente che si stende in diverse stirpi fino a Bornu, Sivan e Tombucta. Essi sono ancora i discendenti de’ Libi, che Erodoto distingue con molta precisione dagli Etiopi; Augila e Sivah sono colonie che hanno avuto origine da loro. Finora si è creduto di trovare i discendenti de’ Libi fra i così detti Berber ne’ contorni di Marocco, e nelle regioni confinanti(1).
Tunisi nelle regioni settentrionali è fruttifero, piacevole e sano, particolarmente coltivato,
(1) Ved. ancora Herodoto IV, 181-183.
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ma cede presentemente moltissimo allo splendore che aveva una volta. La parte meridionale ha molti deserti di sabbia, ed è calda. Sorgenti calde e fossi di zolfo sono frequenti, ed il paese, come tutti gli altri della Barbaria, esposto a frequenti tremuoti. Vi sono quattro fiumi costali, fra i quali è da notarsi il fiume Maierda. Gli antichi lo chiamavano Bagrado, e Regolo in tempo della prima guerra punica vi uccise un serpente di 120 piedi. Era egualmente conosciuta la città di Tunisi dagli antichi sotto il medesimo nome, e Livio la pone 12000 passi distante da Cartagine. Essa aveva per l’addietro 18 strade grandi, 16 mercati splendidi, 150 chiese, 24 cappelle di monaci, 150 bagni, 86 scuole, 9 case pubbliche di adunanza, 64 alberghi, e più di 3000 botteghe di panno. Tutto questo, a motivo delle conquiste degli Arabi e de’ Turchi, è totalmente svanito. La maggior parte de’ Morescos cacciati della Spagna si sono stabiliti qui, ed hanno reso il paese assai attivo. Presentemente non vi si veggono più case di bella costruzione architettonica, ma sono piuttosto piccole e cattive; e gli abitanti che montano a 200000 sono assai laboriosi,
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ed hanno delle fabbriche di velluto, di taffettà e di altre stoffe. Vi si trovano ancora bellissime rovine, che fanno conoscere la sua antica grandezza. Della potente Cartagine, alla quale era tributaria quasi tutta l’Africa settentrionale, sopravanzano pochissime rovine e quasi nulla d’importanza. Il lato nord est dell’antica città è presentemente coperto dal mare, ed una parte delle rovine giace nell’acqua(1). Tugga ha ancora molti temp[l]i e colonne dell’antichità, come anche Spaitta ove si veggono ancora tre temp[l]i quasi totalmente conservati.
Algeri ha un clima moderato a segno, che le piante vi verdeggiano e fioriscono sempre; particolarmente è bellissima la parte orientale, ovvero la provincia Constantine, ed è in preferenza chiamata il Giardino di Algeri.
Constantine giace accanto a un precipizio rapido e spaventoso. Aurelio Vittore dice espressamente, che la città e la provincia abbiano ricevuto il nome dall’Imperatore Costantino; prima si chiamava Cirta (meglio
(1) Leo African. descript. Afric. V 57 Shaw viaggi trad. tedesca. Lipsia 1765. 4. pag. 73.
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Kirta da Caretha, che in punico significa città), e probabilmente nominavano i Fenici, il loro stabilimento CITTÀ NUOVA ovvero Cardhanaca, ond’è nato Cartagine(1), in confronto della città antica situata in una regione florida. La provincia di Constantine per lo passato faceva parte di Tunisi. Begazi è l’antica Berenice, e Tolometa è Ptolomais. Mascar ovvero Vittoria è la residenza del Bey della città provinciale occidentale Tremesen(2). I francesi posseggono il porto la Calle, ond’è una considerabile pesca di coralli. Gli spagnuoli hanno la città di Masalguivir. Oran nel 1791 fu reso al Dey.
Sulla parte meridionale di Tunisi e di Algeri giace la provincia Bilidulgerid ovvero Beledelgered, cioè terra di datteri: essa è grande, ma per lo più sabbiosa, e dai datteri infuori, infruttifera. Gli abitanti, poco numerosi, sono Arabi, i di cui Capi dipendono parte da Tunisi, parte da Algeri, ed altri sono
(1) Presso Polibio è Cartagine, chiamata espressamente Nεκπολις e Καιναπολις.
(2) Notizie ed osservazioni sullo stato di Algeri. Notizie di Gotting. 1799. 20.
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indipendenti. Una parte della provincia appartiene presentemente a Marocco.
Algeri, Tunisi e Tripoli sono gli Stati de’ Pirati, e vivono sotto la protezione dell’Imperatore turco; hanno i loro Dey che si eleggono da’ soldati turchi, e che governano alla testa di un Divano. In Algeri il Dey è anche Pascià. In Tripoli siede ancora al suo fianco un Pascià turco. In Tunisi regna presentemente un principe Mauro con un Divano. Io non comprendo come questi Stati, tanto vilmente tiranneggiati, abbiano potuto acquistarsi i nomi di Repubbliche.
Fez e Marocco, più grande di 2000 miglia quadrate, sono paesi assai favoriti dalla natura, ai quali nulla altro manca, che la libertà e l’industria degli abitanti.
Le regioni di queste terre per mezzo di vari fiumi sono ben irrigate, ed il calore, a cagione delle montagne e valli, come anche per la vicinanza del mare, è assai moderato. A Marocco gela qualche volta in tempo d’inverno: la città giace sotto il 30°, 37', 30" di latitudine settentrionale, ha piccole e cattive case, e le strade non sono selciate; le abitazioni sono piene di serpenti, scorpioni, cimici e pulci. Le strade piene di cani vivi e
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morti, di topi ed altre sudicerie. La città è spaziosa (l’abitazione Imperiale forma per sé stessa una piccola città), ed ha al più 20000 abitanti. Marokos è diviso in 9 provincie 1 Sus, 2 Haha, 3 Gezula, 4 Erhamma, 5 Dukala, 6 Abda, 7 Tedla, 8 Zarara, 9 Siedina.
Fez è la migliore città della Barbaria, ha il migliore commercio manifatture di seta, di lana e di marocchino, e 30000 abitanti circa. Le provincie appartenenti al regno di Fez sono 1 Temsna, 2 Benthasan, 3 Habal, 4 Chus, 5 Erif, 6 Gart. Oltre di ciò le terre giacenti al sud est delle montagne atlantiche, come Dra ovvero Darah, Tafilet e Sesghelmesa (Segelmessa), i di cui abitanti vivono ordinariamente del governo de’ cammelli e de’ datteri, stanno sotto il dominio di Marocco. Questa parte della Barbaria si conosce a preferenza delle altre per mezzo del sig. G. Host(1).
(1) Notizie di Marokos e Fez raccolte nel paese stesso negli anni 176[?] fino a 1768 da Ge Hoest consigliere di giustizia Danese (tradotte in tedesco 1781) Copenhaghen presso Proft di 312 pag. in 4 con 34 stampe. Opera eccellente, ed un modello pe’ lavori
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Gli abitanti di tutti questi stati sono: 1) i MAURI, MORICOS, o MORI (di colore bianco), di origine Araba, che si sono stabiliti nelle città, ed indi congiunti co’ nazionali antichi, i Gotuli e Manri ec. ai quali nel secolo XVI si sono uniti ancora i Mauri della Spagna. Il nome di Mauri l’hanno ricevuto dall’antica Mauritania. I Cartaginesi che abitavano più dentro terra, nominavano comunemente MAʼVRI(1) cioè Traiectanei Transfretatores, tutte quelle nazioni che, incominciando da loro, abitavano verso lo stretto di Gibilterra (Traiectum). Sesto Rufo nomina questa regione nel medesimo senso HISPANIA TRANSPRETANA. I presenti Mauri sono dunque oriundi Arabi, o almeno divenuti interamente Arabi. 2) gli ARABEI, che sono gli Arabi propriamente detti in confronto de’ Mauri; essi
di questa natura. L’autore ha consultato nell’istesso tempo diligentemente le opere de’ suoi predecessori, come Boniet histoire des Cherifs, e i viaggi di Stuard verso Meknes (l’antica residenza di Fez), 3 histoire des etats barbaridues, 4 Mission historial de Marucuos, 5 Cardonnes, histoire de l’Afrique, 6 Relation du Royaume de Maroc, ed altri.
(1) Come i Pomerani, che forse nell’istesso modo hanno preso il loro nome da Po e Mor (il Mare).
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abitano nelle valli, attendati, eccettuata la qual cosa, hanno lo stesso linguaggio e la stessa religione. 3) I BERBERI sono i più antichi abitanti di questa terra, i quali da’ popoli giuntivi più tardi sono stati cacciati sulle montagne, e particolarmente i Gaetuli bianchi uniti a que’ popoli, che ad essi si sono congiunti, come i Fittisti, i Sabaei e gli Egizi Bruce incontrò un orda presso Medrashem nel regno d’Algeri, la quale si nominava Neardie, ed era d’un colore tanto chiaro quanto gli abitanti della parte meridionale dell’Inghilterra. Quelli che formavano quest’orda avevano gli occhi turchini, i capelli rossi, vivevano indipendenti, facevano continuamente la guerra co’ Mauri, fra un occhio e l’altro portavano una croce greca fatta d’antimonio, e confessavano che i loro antenati erano stati cristiani. Le capanne che avevano nelle montagne erano di terra e di paglia; e si distinsero moltissimo dagli altri Arabi e Berberi. Probabilmente discendono da Vandali, che qui soffrirono una grande disfatta(1).
(1) Bruce Viaggi da Cuhn. Tom. 1, introduzione p. 9. Shaw viaggi p. 114. La disfatta che i Vandali hanno quivi sofferto descrive Procopio de bello vand. II. 13.
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I Berberi si chiamano essi stessi Amazig. Alcuni riconoscono per capo il re di Marocco; gli altri che abitano vicino all’Atlante hanno i loro propri Amgari o Re, e sono Maomettani. Il loro linguaggio scritto con caratteri Arabi differisce molto dall’Arabo. 4 i KABILI sono discendenti degli antichi Libi e dispersi dappertutto. 5) I TURCHI in qualità di soldati nelle città di Algeri, di Tunisi e Tripoli ec. 6) gli EBREI i quali vivono in molte città, parte come liberi, parte come schiavi; particolarmente se ne trovano molti di quelli, che nel secolo XIV e XV furono cacciati dall’Europa. Nel fosso de’ leoni, presso la residenza di Marocco, non rare volte vengono gettati gli Ebrei. Costoro sulle montagne si chiamano tutti PHILISTIN, e probabilmente sono oriundi dell’Asia. Questa regione fu sempre il rifugio in tutte le rivoluzioni politiche della Palestina, e gli antichi abitanti della Palestina stessa si rifugiavano in questi paesi per sottrarsi alla politica crudele di Josua(1) 7) i NEGRI, particolarmente in
(1) Procop. de bello Vandalico II, 10 narra che ai tempi suoi nel paese Tingetana, abbiano ancora esistito due colonne di pietra bianca, sulle quali erano
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qualità di schiavi. I mercanti di Fez ve ne introducono ogni anno un maggior numero. 8) i RINNEGATI de’ quali la maggior parte è posta di schiavi o spagnuoli. 9) i CRISTIANI EUROPEI, parte consoli, mercanti e artisti, parte prigionieri e schiavi. Le scienze vi giacciono totalmente abbandonate, e non sono punto stimate. Le manifatture e le fabbriche sono considerabili in alcune città. Quasi tutti gli abitanti delle coste esercitano il mestiere de’ pirati. Oltre il commercio marittimo sussiste qui un traffico considerabile coll’interno dell’Africa. Annualmente parte da Fez una caravana di 16 fino a 20000 cammelli per la Guinea superiore. Altre caravane egualmente considerabili partono per l’Egitto, che per diversi deserti è diviso dalle regioni occidentali dell’Africa.
Zarah o Sarah è una grande striscia di terra di 60000 miglia quadrate geografiche e più(1). Questa striscia ci è sconosciuta, e
incise le seguenti parole Fenici: Noi siamo que’ popoli che furono necessitati di fuggire a cagione del ladro Josua figlio di Nave.
(1) [testo mancante]
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рег la maggior parte disabitata, ed è priva di vegetazione, fuori di quelle isole fruttifere che in lei s’incontrano. Dopo le pioggie che cadono nel mese di agosto, di settembre e ottobre vi nasce l’erba, ed allora s’intraprendono i viaggi per mezzo a questo immenso deserto. I mercanti che vogliono esporsi a questo cimento, sono necessitati a provvedersi di tutto il necessario, poiché in distanza di 50 miglia geografiche non trovano né abitazioni né acqua, e sovente queste mancanze producono le rovine delle caravane. Nell’estrema mancanza di acqua si uccide qualche volta un cammello per servirsi dell’acqua che serba ancora dentro lo stomaco. Il cammello beve moltissima acqua in una volta, che poi si conserva senza alterazione per molto tempo dentro lo stomaco, può benissimo resistere varie settimane senza bere. Esso mangia erbe saline ed arbusti spinosi, che germogliano ne’ deserti, e che non servono di nutrimento ad alcun altro animale mammifero; in somma il cammello pare essere creato apposta per abitare nel deserto, poiché per il solo suo mezzo è possibile di poter visitare queste regioni abbandonate. Ordinariamente porta 6 quintali, e
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scorre con ciò quattro miglia geografiche per giorno. La carne sua si può mangiare come bere il suo latte. L’aria del deserto è pura e sana in modo, che le nazioni confinanti vi portano gli ammalati per farli risanare, ed in fatti sovente si ristabiliscono. Quest’è una prova che il deserto è situato alto; oltre di ciò è noto, che per giungervi è necessario salire le montagne da tutte le parti, senza dover molto discendere. In quest’altezza il deserto si stende senza inclinarsi fino al mare. La costa del mare è formata di scogli alti, sabbiosi, di colore bigio e bianco, d’onde il Capo Bianco ha preso il suo nome. È fuori di dubbio, che il suolo di questo deserto era una volta un fondo di mare. Da per tutto si trovano avanzi di animali marini accumulati in alcune regioni come montagne. Anche per la parte orientale di Sarah, che fin’ora era creduta affatto piana, corre una catena di montagne. Il calore, particolarmente a mezzo giorno, è ardente sopra qualunque immaginazione, ed è letteralmente vero ciò che dice Seneca dell’Etiopia: ARDENS, PULVIS, NEC HUMANI VESTIGII PATIENS. Gli schiavi negri stessi non possono
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sono senza sandali passare da una tenda all’altra. Il suolo è formato di una sabbia profonda bianca, assai fina e movibile, sul quale di quando in quando si trovano alcune Osse o isole, dove la vegetazione ha preso radice. Quest’isole però non formano la centesima parte dell’intero deserto. Se ne conoscono 32 che hanno sorgenti di acqua dolce; le altre 17, le maggiori, sono abitate da Mauri che continuamente vi vanno vagando intorno. Si conoscono 9 direzioni diverse che prendono le caravane passando per questo deserto; ma i Mauri lo passano in tutt’i punti possibili. Il vento lotta continuamente con questo mare di sabbia; ora vi forma delle montagne, ed ora le distrugge e le disperge, innalza la sabbia fino alle nuvole, ed oscura il sole. Le caravane sono spesso in pericolo di essere sorprese da trombe di sabbia, che ora procedono innanzi con molta rapidità, ed ora camminano lentamente; qualche volta ancora s’innalzano fino alle nuvole. Spesso ancora si sciolgono nelle alte regioni, e la massa di sabbia si sparge nell’aria; altre volte si dividono nel mezzo, e ne cagionano con ciò un fracasso
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come l’esplosione di una miniera di polvere(1).
I prodotti più importanti di questo deserto sono: 1) il sale minerale ed il sale de’ laghi; genere costoso, ma indispensabile per l’interno dell’Africa. Un pezzo di sale lungo circa due piedi e mezzo, 14 pollici largo, e 2 pollici grosso, pagasi a Bambuk e Galarno fino a 3 luigi; 2) la polvere d’oros; 3) la gomma, che si raccoglie dagli alberi d’acacia, dei quali vi si trovano selve intere; con questa gomma e con le penne dello struzzo si fa qui il commercio più considerabile. Allora quando gli Europei cominciavano a visitare il Senegal, i Mauri offrivano loro la gomma, ma allora si riputava solamente quella dell’Arabia. In principio del secolo XVII gli Olandesi introdussero la prima volta in Europa la gomma del Senegal. Quando i Francesi divennero padroni del Senegal, ben tosto appresero, che nelle parti sud ovest di Sarah eranvi tre selve grandi, li
(1) Ved. il viaggio di Goldberry per la parte occidentale dell’Africa tom. I. cap. 7 ed il viaggio di Jallin nella Sahara tradotto dal francese con annotazioni da J. G. Forster 1795.
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di cui alberi producevano la gomma. Se ne fecero gli esperimenti, e si riconobbe dagli effetti che questa era da preferirsi a tutte le altre specie dell’Oriente. L’albero che produce la gomma appartiene fra le acacie (mimosa Senegal Lin.); nel deserto rare volte è più alto di 20 piedi, ha 3 piedi di circuito, è storto ed ha un aspetto poco favorevole. I rampolli ne’ primi anni assomigliano piuttosto ad arbusti che a piccoli alberi. Ciò è cagionato in parte dal suolo cattivo, parte dal rigore e qualità perniciosa de’ venti dell’est, che vi dominano durante l’inverno, ed impediscono il loro crescimento. Questi alberi potrebbero ammigliorare il deserto, se i Mauri avessero tanta coltura da intraprendere una cosa la quale non rende loro un utile momentaneo. Essi facilmente si propagano, e mettono radici nella sabbia ardente e movibile che non comporta altre piante. Le foglie sono attaccate disparimente, sono doppiamente alate, piccole, ed hanno un colore verde diseccato e disaggradevole. Le fronde in principio delle foglie hanno delle spine. I fiori sono bianchi e corti. Il legno è compatto, duro e secco. La scorza è liscia e d’un bigio scuro. Quegli alberi che portano la gomma
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bianca sono dagli Arabi chiamati UEREK, e quelli che la portano rossa NEBUEB. Adanson conta 40 specie di acacie che producono la gomma. Fra le acacie vere conta egli il Nebueb, il Gonache che produce la gomma rossa, ed il Suing che produce la bianca. Egli considera l’Uerek ed altri alberi come specie diverse. La gomma del Senegal, oltre il consumo che se ne fa nelle fabbriche, è ancora un cibo sano e nutritivo, ed un rimedio benefico per ismorzare la sete. I Mauri quando abbandonano le loro Oase per erigere le abitazioni intorno alle selve di gomma, la classe media ed i poveri, durante il viaggio, la raccolta e la vendita, vivono unicamente di questo prodotto, e 6 oncie bastano per nutrirsi in 24 ore. I più sobri e i più poveri fanno solamente sciogliere la gomma in bocca, altri nel latte. Ne cuoceno una specie di focaccia, ed ammigliorano con essa i brodi. È anche buona come medicina per il petto. Nelle perdite di sangue le donne Negre e le Maure l’impiegano con vantaggio.
Dopo essere scolata l’acqua delle pioggie tropiche, cioè verso la metà di novembre, vedesi dal tronco e da rami principali di
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questi alberi sortire un sugo, a principio fluido, che però dopo 14 giorni acquista densità. Esso scola lentamente accanto agli alberi senza andare in terra; qualche volta scola serpeggiando; ordinariamente forma delle goccie rotonde o lunghe, che sono bianche, o di colore arancio rossiccio, secondo la qui sopra menzionata qualità degli alberi. Le goccie sono sempre trasparenti e luccicanti quando si rompono. Tenendole per qualche momento in bocca acquistano la chiarezza del cristallo di rocca. Le goccie ordinariamente diventano grandi come le uova di pernice; ma qualche volta sono lunghe 5 in 6 pollici, e grosse 4. Questo sfogo gommoso nasce spontaneamente; i Mauri non lo producono per mezzo del taglio, ed è abbondante a segno, che annualmente si vendono 1,200000 libbre di gomma, e si potrebbero vendere 2,000000, senza contare una quantità eguale ch’è consumata nel paese. La raccolta dura 6 settimane, incomincia verso la metà di dicembre, ed occupa e nutrisce tre stirpi intere di Mauri. Non potrebbe l’origine di questa gomma darci un’idea su quella dell’elettro? Sarebbe questo forse di altra natura, poiché selve immense e disabitate
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ornavano per lo passato la Prussia, e forse anche il mare Baltico?
Gli abitanti di questo deserto, per la maggior parte Barberi ed Arabi vagabondi, campano in parte badando al bestiame, maggiormente però della caccia, poiché vi sono molte fiere. Essi sono poveri, traditori, ladri, e vivono per la maggior parte senza qualunque unione civile. Alcune orde però hanno i loro principi; altre stanno sotto il governo di Marocco, Fez ec. Gli Azanaghi, sopra il Capo Bianco, coprono la bocca con un panno, e non la fanno vedere mai fuori che quando mangiano, poiché la credono impura. Il loro colore è bruno. Ambedue i sessi si coprono con una stoffa semplice e bianca. Verso la metà del deserto abitano i Lempti ec. Si divide l’intero deserto in diverse piccole parti, e ciò secondo i luoghi, i fiumi ed i fonti che vi giacciono, e che sono stati visitati. Secondo i confini fisici stabiliti dalle colline e dal cangiamento del suolo potrebbe Saharah essere diviso in cinque parti principali.
La parte più occidentale è Zenega, ovvero Zanhaga, fra il Capo Nun ed il fiume
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Zenega, il quale la divide dal paese de’ Negri. Il promontorio di Bojador, il Capo Blanco, i seni francesi Portendic ed Arguin sono i punti più estremi di questo mare di sabbia. I due fiumi costali, che danno un poco di vita a questa regione, sono l’Ouro ed il Cyprian. La striscia fra la fonte Azoal ed Azoan, lunga più di 50 miglia geografiche, è la più infruttifera e la più arida, che devono passare quelli che si vogliono recare a Tombut. Il suolo è composto di sabbia leggerissima; non vi si vede alcun arbusto né alcun indizio di via. L’unico mezzo che vi ha per proseguire il cammino è di osservare il sole, ed il volo degli avvoltoi e de’ corvi, che accompagnano le caravane e le orde. Presso il fiume Zenega si coltiva un poco di orzo. Tegaza è un paese abitato, a cagione de’ suoi fossi di sale ch’è bianco come l’alabastro. Questo sale è trasportato a Dara e Tombut, e contraccambiato con cose necessarie al vitto.
La seconda parte è Zuenziga, essa discende fino sotto Segelmesse. I fiumi Guir e Ziz la bagnano e la rendono egualmente praticabile. Intorno a Tesset abita un’orda di Africani selvaggi. Intorno a Gogden, ch’è
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quasi la parte più cattiva del deserto, non si trova acqua che dopo nove giorni di viaggio.
Terya è la parte migliore; essa ha fonti, pascoli, datteri e manna. Il deserto Lamtea, ovvero Iguidi (Agades), chiamato così secondo i paesi fabbricati in esso, è quasi la parte più pericolosa; le nazioni che in esso vagano d’intorno vivono per la maggior parte di rapina e di caccia degli schiavi, mentre vendono quegli uomini de’ quali possono diventare padroni. Lamtea, Agades, Houssi sono regioni abitate.
Il deserto Berdoa è la parte orientale ove si trovano populi civilizzati, regni, repubbliche e più di 6 città circondate di mura.
Il regno di Coucon accanto a me che si perde in un lago presso Tagna, e le Repubbliche Berdoa, Zavila, Zala e Santrie formano la regione, ove, particolarmente nella vicinanza delle ultime, si suppone essere stato eretto il tempio di Giove Ammone.
Senegambia è la terra costale fra Sarah e Guinea, e confina verso l’oriente colla Nigrizia, il Senegal (Sanaga, Senega); e nella parte settentrionale, il Gambra, (Gambia
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ovvero Rio grande), nella meridionale col Capo verde(1). Situati in mezzo a questi due fiumi sono i punti più conosciuti di questa bella contrada dell’Africa. Veggonsi anche di quando in quando deserti, ma anche molte regioni eccellenti, assai fruttifere e coltivate, adorne di frutta, d’alberi, col terreno di qualità varia e squisita. Dalla Senegambia si esportava in quantità riso, grano turco, miglio, canapa, bambagia, indaco, pepe, ananassi, limoni, noci di cocco, mele, la gomma più squisita, mastice, cassia, ambra, e zibetto. Egualmente vi si coltiva e si consuma molto tabacco e manioco (Jatropha manibot), vegetabili ivi introdotti da’ Portoghesi. La palma di cipresso fornisce un vino assai piacevole. Dal mele preparano
(1) Le isole del Capo Verde, a cagione de’ Portoghesi, sono in uno stato assai tristo. Tutti gli anni vi regna una malattia pestifera (la così detta febbre putrida) e nella stagione calda (nel mese di gennaio) la penuria. Cornelio de Jong osserva nel suo viaggio, che ogni volta, dopo essere stato quivi (nel 1792 e 1796) ed otto o nove giorni dopo la partenza da Sisago, il suo equipaggio ha avuto la febbre nervosa; egli l’attribuisce all’aria umida e sabbiosa che vi regna.
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i Negri un idromele che forse inebria moltissimo; ma quello che merita che se ne faccia menzione particolare è l’ADANSONIA, PANE DI SCIMIA (Adansonia), la quale è per gli abitanti della costa quasi il prodotto più importante(1).
L’ADANSONIA è fra i vegetabili quella che la balena è fra gli animali. La sua cima s’innalza a 60 e fino a 70 piedi, la circonferenza del tronco sotto i rami giunge a 70 e fino a 80 piedi, ed il diametro a 25. I frutti sono lunghi più di un piede e mezzo, e larghi più di un mezzo piede. Le radici vanno alla profondità di 100 piedi, ed alcuni rami delle radici laterali si stendono a 160 piedi e più. Ray dice, che fra il Niger ed il Gambia se ne trovino alcune i di cui tronchi non possono essere abbracciati da 17 uomini. Ciò darebbe la periferia di 85 piedi ed il diametro di 29. Giulio Scaligero dice, che
(1) Quest’albero appartiene alla XVI classe 4. ordine di Linneo Monodelphia polyandria, ed è chiamato Adansonia, poiché il celebre botanico Adanson l’ha descritto assai bene; presso Linneo è chiamato Adansonia Bahobab. Finora si è scoperta una sola specie chiamata dentata.
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alcuni di questi tronchi abbiano 37 piedi di diametro.
Il colore della scorza è d’un bruno chiaro, misto di piccoli punti bigi; la scorza stessa è grossa e maneggevole, e dove sortono i rami giovani è di quando in quando coperta di una specie di lana. Il legno è bianco, tenero, leggiero, e di una tessitura morbida e spugnosa, e tramanda assai d’odore vicino alla radice. Le foglie diventano lunghe 6 in 8 pollici e larghe 3. Tre fino a sette foglie sono attaccate a ciascun gambo. Né i rami principali, né i secondari nati da quelli portano molte foglie quando l’albero è divenuto vecchio; ma nascono da’ rami molti rampolli di 2 fino a 3 pollici di diametro ciascuno. Questi rampolli sono coperti da una quantità incalcolabile di foglie, ed offrono il più bel colpo d’occhio. La radice sembra la continuazione dell’albero per considerare maggiormente la sua massa enorme. I fiori sono bianchi e molto grandi, ed essendo stesi la loro lunghezza arriva a 4 pollici, ed il diametro a 6. Essi servono d’esempio rimarcabile pel riposo delle piante, poiché si ristringono al tramontare del sole e si riaprono al suo levare. Il frutto ha una figura
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lunghetta; arriva nel mezzo la periferia a più di 18 pollici. La scorza di esso è dura, legnosa, di colore bruno oscuro, e segnata di fossi, che secondo la lunghezza dividono la superficie in 13 segmenti. L’albero essendo stato offeso nella radice o scorza esteriore facilmente diventa vuoto al di dentro, ed allora i Negri vi fabbricano camere in esso, ove sovente ripongono i morti, i di cui corpi si seccano e diventano mummie senza alcun’altra preparazione. Oltre di ciò quest’albero è soggetto ad una malattia, la quale però accade di rado, ma produce inevitabilmente la sua distruzione: in tal caso il legno diventa morbido e floscio come il midollo ordinario degli alberi, ed il minimo urto del vento rovescia questa pianta colossale.
Il tronco propriamente detto s’innalza colla grossezza descritta a 12 piedi, e forma la corona dell’albero composta di molti e forti rami, lunghi 60 piedi. Alcuni di questi rami s’innalzano dritti in mezzo al tronco, altri si stendono quasi orizzontalmente, ed a motivo del loro peso s’abbassano le punte in terra. Contemplando dunque quest’albero da lontano sembra una cupola regolare, il di cui arco importa 80 piedi, e
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che copre una circonferenza di terreno quasi di 200 tese quadrate.
Delle foglie di quest’albero preparano i nazionali una bevanda chiamata Kouskou e che da loro è tenuta per molto sana. Il frutto lunghetto e sottile su d’ambedue i lati è coperto di una specie di lana verde, rinchiude un midollo bianco di un sapore agretto e piacevole, che si mangia naturalmente o si spreme per mischiarlo coll’acqua e lo zucchero, onde servire di bevanda assai salubre nelle malattie infiammatorie e putride. Il frutto, essendo ancora fresco, sembra la polpa comporre un pezzo solo; diseccandosi però, si divide secondo il numero delle semenze in piccoli corpi di molti angoli, ove in ciascuno si trova una sola semenza simile al fagiuolo turco. I Negri abbrustoliscono queste semenze, e le mangiano con molto piacere, oppure gettandovi sopra l’acqua, ne preparono una bevanda rinfrescante e piccante. Le foglie le fanno seccare all’ombra, e dopo averle polverizzate le mischiano fra il pane ed i cibi. La maggior utilità reca loro il guscio del frutto il quale, benché sia grosso solamente una linea, è assai duro e prende la politura. Perciò i Negri ne fabbricano
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molti de’ loro utensili, come secchie piccole e grandi, brocche, boccali, vaglie tazze; qualche volta lo spaccano, oppure l’aprono dalla parte più acuta. Essendo stato ben nettato il guscio, vi si conservano tutte le qualità di bevande senza cambiare il loro gusto.
L’albero ama molto calore, un suolo umido, sabbioso e privo di pietre. È stato traspiantato anche in Europa. In Inghilterra è cresciuto fino a 18 piedi d’altezza, e non può essere ancora più alto, poiché, secondo le osservazioni di Adanson, quest’albero cresce lestamente in principio, ma in appresso procede la vegetazione lentamentene vi vogliono molti anni prima che giunga ad una grandezza notabile. Secondo il calcolo di Adanson, quell’albero il di cui tronco ha 30 piedi di diametro deve avere almeno 5150 anni. Quale età ha dunque l’albero riportato da Scaligero? Non v’è cosa più fallace che questa specie di calcoli.
L’Adansonia cresce anche nell’Abissinia, ma fin’ora non è stata ancora osservata fuori dell’Africa. Essa è ancora rimarcabile nella sua vera patria a motivo de’ grandi nidi d’uccelli appesi a’ suoi rami, i quali sono
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lunghi 18 piedi, di figura ovale, e costruiti di rami d’alberi considerabilmente forti. Adanson non ha veduto l’uccello, ma sostiene, che concludendo dal nido dell’uccello, questo debba superare lo struzzo in grandezza(1).
Godberry alloraquando nel 1786 giunse sull’isola di Maddalena, esaminò quelle Adansonie, sulle di cui scorze erano intagliati i nomi di alcuni Europei col numero dell’anno 1449, e sopra alcune altre trovò una data ancora più antica. Adanson che aveva già osservato questi nomi li trovò alti di 6 piedi e lunghi di 2, che occupavano la tredicesima parte della circonferenza totale dell’albero che in allora importava 26 piedi; ma nel 1786 questa circonferenza si era estesa fino a 27 piedi e qualche pollice. Supponendo dunque, che queste lettere vi fossero incise alloraquando l’albero era giovane, ne nasce la conseguenza, che questo
(1) Labat nouvelle relation de l’Afrique occident. T. II. (Paris 1728. 8) p. 317-322. Adanson in Memoire de l’acad. de Paris del 1761, ed il suo viaggio sul Senegal, tradotto dal francese ed accompagnato da note da Martini. Brandenbr. 1773. 8 p. 96 ec.
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albero in 300 anni abbia potuto svilupparsi a segno di aver 6 piedi di diametro nel tronco, e si richiederebbero dunque più di 800 anni prima che questo diametro possa estendersi a 25 piedi, supposto che lo sviluppo procedesse sempre a passi eguali; ma egli è difficile di poter calcolare un tal procedere. Adanson, come abbiamo detto, ha trovato che la vegetazione di quest’albero allorché è giovane, sia rapida, ma che in avvenire diminuisca: e benché non conosciamo esattamente la legge di questo decremento, possiamo ciò non ostante supporre dopo alcune osservazioni fatte, che lo sviluppo si faccia assai lentamente, e che un’Adansonia del diametro di 25 piedi, debba avere certamente l’età di 3760 anni, e che possa crescere ancora fino all’infinito.
Nella valle de’ due Gagnak, al sud, in qualche distanza dal Senegal, e 200 passi lontano dal villaggio Dok Gagnak, vide Godberry uno di questi alberi la di cui circonferenza importava 104 piedi ed il diametro 34. L’altezza del tronco non passava al di là di 30 piedi.
I 17 rami principali, ove sono attaccati al tronco avevano 30 fino a 40 pollici di
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diametro; essi si stendevano orizzontalmente in distanza di 60 piedi, incominciando dal tronco, è quasi in perfetta distanza l’uno dall’altro. Le punte de’ rami in una declinazione di 3 o 4 piedi dalla linea orizzontale pendevano verso terra. Tutto l’aspetto dell’albero assomigliava ad una volta compressa, come la volta piatta ellittica, ed i rami vi formavano i grandi assi. In quest’albero v’era una caverna formata, coll’andare del tempo, di 20 piedi d’altezza e di 22 di diametro, alla di cui entrata i Negri avevano dato una forma regolare. Gli ornamenti applicati sulle porte dell’entrata parevano corrispondere a que’ tempi antichi quando gli Europei scoprirono l’Africa. Anche l’interno lasciava travedere alcune tracce di arte che vi era stata applicata; il suolo, ovvero il pavimento, era coperto di arena di colore di arancio ivi trasportata espressamente. Dicesi che ne’ primi tempi vi sia stato un idolo in questo albero immenso, il quale fu levato dopo l’introduzione della religione Maomettana. In ogni caso, questo albero rispettabilissimo conduce l’immaginazione fino alle prime epoche del mondo, ed è senza dubbio l’unico monumento nel suo genere.
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L’aria della Nigrizia è calda ed umida, e non conferisce agli Europei. Le pioggie tropiche incomodano molto. Dell’Harmattan, vento arido dell’est che vi soffia ordinariamente nel mese di aprile, parleremo nell’articolo che tratta de’ venti.
Gli abitanti del paese parte sono Mauri, parte Negri. Fra i Mauri sono i più potenti le stirpi di Ludamar, i Trasart ed i Brechi. Gli ultimi sono in continua inimicizia fra loro(1). Golberry nel suo viaggio per l’Africa occidentale(2) li chiama Trarshaze Brachknaz. Essi sono pastori e mercanti, hanno i vizi di ambedue i questi mestieri senz’averne le virtù dell’uno e dell’altro; al contrario sono superbi, rozzi ed assai guasti di costumi; ingannatori, vili; crudeli, brutali, e vivono sempre negli eccessi di qualunque genere. La loro pelle è di colore di rame, tinta di rosso e di nero carico: la capigliatura è pittoresca, e contribuisce moltissimo al carattere della testa; è di colore di castagna e quasi nera, e cade in molti ricci naturali, che non possono imitarsi per
(1) Ved. il Viaggio di Mungo Park. Sezione XII.
(2) Ved. Viaggio di Golbery. Tom. I. Cap. 6.
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mezzo dell’arte, fino al principio del collo. Sono molto stimate fra loro le barbe lunghe, come prova di discendere direttamente dagli Arabi. Il caldo del clima dà al sangue, ai lineamenti del volto ed agli occhi, quella vivacità, quell’aspetto spiritoso e quel fuoco che fra noi ordinariamente è un dono particolare degli uomini di talento. Le donne hanno un colore più chiaro, che partecipa del giallo pallido; la pelle è lucida. La capigliatura è lunga, e, forse poiché la portano in treccie, poco ricciuta. All’età di 20 anni le loro grazie e bellezze sono sfiorite. Esse, quasi come gli animali, sono educate unicamente per appagare la sensualità de’ loro futuri consorti; questi non conoscono altra cosa che possa interessarli pel sesso femminino che la sua immaturità e la sua smisurata grassezza. Una donna anche di poche pretensioni deve essere tanto grassa da non poter camminare senza essere appoggiata a due schiavi. Una perfetta bellezza deve compire un carico per un cammello (cioè pesare 4 quintali). Perciò, il sesso femminile è per tal fine ingrassato incominciando dall’infanzia. Le figlie sono forzate dalle loro madri e mangiare tutte le mattine una
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certa porzione di Didelfo (didelphus orientalis) ed uno scodello grande di latte di cammello; e ricusando questo nutrimento vengono bastonate. Malgrado le lagrime che versano le figlie, ed il cattivo trattamento corporale che ricevono, acquistano ben presto quel grado di grassezza che decide sulla loro bellezza(1). La maggior influenza in ciò avranno il latte assai nutritivo de’ cammelli ed il clima che rilascia tutte le fibre. Generalmente potrebbe valere l’osservazione fatta da Lorry medico di molto criterio, cioè che l’uomo non possa essere ingrassato come gli altri animali per averlo più grasso nel momento di ucciderlo, poiché la paura e lo spavento gl’impedirebbero l’effetto.
Fra i Negri sono i più rimarcabili i Fuli presso il Senegal, i Bambarani presso il Niger (Joliba) alla parte orientale di Galam, i Mandingo ed i Jalofi. I Jalofi sono tenuti pe’ Negri più belli: essi sono i più neri di tutti, benché abitino nella parte settentrionale della Nigrizia e non sotto la linea
(1) Ved. Il viaggio di Mungo Park.
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stessa; ma non hanno né il naso schiacciato e largo, né le labbra ravvolte. Il loro carattere è dolce, e la loro costituzione è la migliore. Una volta tutti i Jalofi formavano uno stato solo ed avevano un comune regnante che si chiamava Burb-i-Joloff, imperatore di Jolofi. Presentemente ne sono nati molti regni diversi. Alcuni Jolofi sono sommessi a nazioni estere.
Il colore principale de’ Fuli partecipa del bruno; oltre di ciò hanno i capelli morbidi come la seta, e una piacevole forma del volto. Il color nero di Mandingo è misto di giallo.
Tra il Gambia (Gambra) ed il Capo Palmas vivono ancora 20 altre nazioni negre, che molto si distinguono fra loro per mezzo del linguaggio, delle usanze e dei costumi(1).
Queste nazioni vivono della caccia, della cura del bestiame, dell’agricoltura, della pesca, del commercio, particolarmente del commercio degli schiavi. In parte conoscono anche le manifatture e fabbricano molte stoffe
(1) Ved. il viaggio di Golberry I Tomo pag. 52-51.
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di bambagia. Alcune sanno lavorare da orefici. Ancora si trovano fra esse scuole per l’istruzione, particolarmente presso i Fuli. E benché ciascuna nazione abbia il suo proprio linguaggio; ciò non ostante s’intende generalmente nella parte settentrionale la lingua Araba, e nella meridionale la Mandingona. Sulle coste si usa parlare un portoghese corrotto.
Il regno di Fuli (regno Fulia) giace su ambidue i lati del Senegal (Sanaga). Ad esso è soggetta la provincia Galumba colla città di Bunda. Il confine orientale forma il lago di Guarde. La capitale de’ Fuli è Timbo (in inglese Teembo) con 7000 abitanti. Gli inglesi giungono fino a questa città co’ loro vascelli. Il re de’ Fuli, che nell’istesso tempo è pontefice massimo de’ sudditi, è chiamato Samba. La terra de’ Jalofi ovvero Hoval giace sulla parte sud ovest dell’antecedente; il loro principe chiamasi re de’ re. La terra del Damel di Cayor (Damel è il titolo ereditario del principe di Cayor) giace sulla parte del sud di Hoval; il regno di Baol è sul mezzogiorno di Cayor, La terra de’ MANDIGOT ovvero Soso è situata su ambidue i lati del Gambia ed è tributaria
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al re di Bandi, principe potente nell’interno dell’Africa. Il regno di Bambuk abbonda di oro, di argento e di altri metalli, ed è molto popolato. Questo regno è stato descritto benissimo da Campagnon il quale ha vissuto quivi un anno e mezzo nel 1716 circa. Egli si acquistò quivi tanto amore e confidenza fra i nazionali, che ancora oggidì è nominato presso loro con rispetto. Compagnon vi riconobbe geometricamente il paese, e ne fece una carta(1). Il racconto del viaggio di Peley, artista e mineralogista ch’era quivi nel 1730 e che giunse fino a Natakon (Netteko), non è stato stampato(2). L’opera intitolata VOYAGE AU PAYS DE BAMBAUK, che si dice essere composta da Bouffier, è la più sicura di tutte(3). La terra si estende a più di 1000 miglia quadrate geografiche;
(1) La carta e la descrizione del viaggio è inserita in Labbat Nouvelle Relat, de l’Afrique occidental. Paris 1728. Tom. IV, ch. 1, 3, pag. 1-64.
(2) Di questo racconto si è servito Golberry. Vedi Viaggi ec. I Tomo. II. Cap. pag. 284 ec.
(3) Essa comparse a Parigi nel 1789: è inserita ancora nella collezione di Cuhn, e nel magazzino delle descrizioni de’ viaggi di I. R. Forster. Volume VI. pag. 373.
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è fruttifera e popolata, ed è divisa in tre regni indipendenti chiamati Bambuk, Satadu, e Konkuda. I nazionali sono oriondi di Mandingo, ma a motivo del suolo ricco e fruttifero sono divenuti molli e timidi. I Cassoni spesse volte li sorprendono o li saccheggiano. Oltre di ciò sono assai ospitali; non vendono nessuno della loro nazione in ischiavitù, e non soffrono che presso di loro se ne faccia il commercio. Senza alcuna coltura del terreno cresce quivi l’erba di Guinea fino all’altezza di 5 a 6 piedi. Il riso di qualità squisita cresce in tutte le acque stagnanti fino a 8 piedi. Assai importanti sono le loro miniere d’oro, ma le coltivano pochissimo, mentre, invece di lavorarle a dovere, vi svolgono solamente il terreno, poiché non ne hanno le cognizioni necessarie a tal uopo. Il calore vi è straordinario. La pioggia, che dura 4 mesi, appena rinfresca l’aria. Vi si fabbricano belli vasi, diversi utensili, e particolarmente bellissime pippe per fumare, i quali , essendo la terra vicino alle miniere d’oro pregne di questo metallo, risplendono moltissimo ed attraggono l’occhio. Un sacco di 10 libbre di terra preso da un Inglese sul monte Natakon, dopo che aveva
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passato tutte le lavature, risplendeva, e dava ancora un buon guadagno all’Europeo. Più che si approfondiscono le cave, più oro vi si trova. Sotto la superficie della terra si trovano immediatamente pezzi di smeriglio e pezzi di rocce di colore turchino celeste coperti intieramente d’oro; alla profondità di 20 picdi si trova l’oro in granelli rotondi o in piccoli pezzi di diverse figure da 2 fino a 10 grani di peso. Quest’oro fino alla profondità di 40 piedi diventa sempre più abbondante; ma a questa profondità cessano le ricerche de’ nazionali. È certo che Bambuk è più ricco in oro che il Messico ed il Perù, e che in poco tempo se ne caverebbero centinaia di milioni.
Lo stesso può dirsi di Galam, Bursali, e Bissao. Galam, conosciuto benissimo da’ francesi poiché vi hanno diversi stabilimenti, è smarrito dalle nuove carte inglesi che rappresentano l’Africa, e forse a torto; ed il Kadschaga o Gayaga posto sul suo luogo è solamente una provincia di Galami. Il forte Cachao appartiene a’ Portoghesi, ai Francesi appartengono la provincia di Gorea, i forti Luigi, Sodor, Galam. Gli Inglesi vi posseggono S. James allo sbocco del Gambia,
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e l’isola Bulam vicino a Bissao, 10°, 30’ di latitudine settentrionale, 15° di longitudine occidentale di Londra, ch’è lunga 18 miglia marittime, 4 in 5 larga, ed in conseguenza quasi 400 miglia quadrate inglesi grande. Quest’isola fu da essi comprata per 80 lire sterline. Sarebbe da desiderarsi che gl’Inglesi, i quali hanno fatto molto per la geografia, oppure i francesi facessero da questi stabilimenti alcune spedizioni verso l’interno dell’Africa per farci conoscere la Nigrizia o l’Etiopia inferiore a noi finora sconosciuta, poiché cosi chiamasi tutta la terra posta all’est di Senegambia ed all’ovest dell’Abissinia e della Nubia, fra la Guinea ed il deserto di Saharah dove passa il Niger(1). Queste scoperte
(1) Ancora non ci è totalmente conosciuto il corso del Niger, ovvero Joliba, tanto però sappiamo da Mungo Park, Browne, Hornemann ed altri, che sorge sulla montagna Kong, al settentrione della costa d’Avorio sotto il 11° di latitudine dove nasce egualmente il Senegal; ma prende una direzione affatto opposta a questo e corre verso l’est e passa per le terre di Bambarra, Hussa e Vangara. Abbiamo potuto istruirci pochissimo sul corso ulteriore di questo gran fiume che nella stagione secca è largo di uno o due miglia inglesi, e nella umida fino a otto miglia; alcuni sostengono
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recherebbero grandi vantaggi pel commercio, particolarmente quando gli Europei cercassero d’introdurre gli oggetti delle loro
che esso si unisca col Nilo; altri poi, che sbocchi nel lago di Semegonda. Fosse vero l’ultimo, allora questo lago dovrebbe occupare un’estensione maggiore di quella che finora gli si concede i particolarmente come il lago Semegonda riceve ancora tutte le acque di Burnon, Kauga Begaune ec., e principalmente il Misselad che non si dissecca mai, e tutti questi fiumi riceve dal lago Titre, che accoglie queste acque. Il lago di Semegonda dovrebbe dunque essere più grande del mar Caspio. Reichard nel suo nuovo atlante, composto secondo la proiezione centrale, suppone, che il Niger corra in direzione sud est sul lato oocidentale di Vangara, che riceva il Misselad il quale passa il lago di Filtre, indi si divida in due braccia principali che rinchiudono Wangara i che poi si volti in dietro correndo in direzione sud ovest verso Benin e sbocchi nell’angolo del golfo di Guinea formandovi due braccia a guisa d’un Delta. Il braccio occidentale, come il più grande, è il Rio Formosa (fiume di Benin), e l’orientale il fiume del Rey ovvero fiume Kalabar. Anche Nyendal sostiene, che questi due fiumi siano braccia, di un grande. Vedi storia generale de’ viaggi. Vol. IV pag. 144. Che questo gran fiume sia nessun altro che il Niger è un’ipotesi la quale riunisce in modo facile tutte le opinioni e tradizioni sul suo corso, come anche l’antico racconto, che il Niger sbocchi nel mare Atlantico. Perciò i primi visitatori di queste regioni furono da ciò indotti a confonderlo col Senegal e col Gambia.
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fabbriche e manifatture presso i popoli di Baudi, Tombut, Kaschna, Ghana, Burnon e Gunsbalo, de’ quali si dice che siano assai numerosi, potenti e ricchi. Vi si trova molt’oro, argento e rame, e se vi fossero gli Europei per lavorare le miniere, dovrebbero trovarsi tesori incalcolabili. Lo smercio delle opere di vetro e di ferro contro questi ed altri prodotti potrebbe per gli Europei essere più vantaggioso che il traffico più vivo delle Indie. Questa terra ha molti deserti, ma la maggior parte consiste in regioni fruttifere, che forniscono grano, riso, bambagia, indaco, aromi, eccellenti frutti, e belli legnami. In particolare pe’ Francesi potrebbe questa parte dell’Africa diventare una vicina India, è far fiorire moltissimo il loro commercio(1).
(1) Una storia breve degli stabilimenti francesi più moderni in Benin, come anche la distruzione vergognosa di essi per mezzo degli Inglesi, vedesi in Duran voyage au Senegal Tom. 1, pag. 297.
Nel 1780 il capitano francese Landolphe era necessitato di passare l’inverno nel fiume Formoso che sbocca del seno di Benini non aveva ancora quivi alcuna nazione europea uno stabilimento, benché vi facessero il traffico. Il re di Benin governava le terre
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Gli abitanti sono Negri coi capelli ricci e corti, e colle labbra grosse; hannovi però ancora molti Mauri ed Arabi. Essi vivono della caccia, della cura del bestiame e dell’agricoltura. Il traffico più forte che finora, i nazionali hanno fatto cogli Europei consisteva in uomini; cosa che non ci darà una grande idea della loro civilizzazione, ma bensì della popolazione de’ loro stati. Il tempo delle pioggie dura in questi contorni dal
situate presso il fiume Benin che sbocca nel Formoso; quivi e precisamente ad Agathon (Gato), gli Inglesi e i Portoghesi tengono un mercato per comprare gli schiavi. Su ambidue i lati del Formoso e molto nell’interno si estende il dominio del re Owerre o Varri. Questo re era assai compiacente verso i Francesi suddetti, ed ebbe una confidenza tale nel capitano Landolphe, che gli confidò il suo figlio per condurlo in Europa onde acquistarsi un’esatta cognizione della nazione francese, de’ loro costumi, negozi e della loro lingua. Nel 1786 ritornò Landolphe di nuovo a Benin con tutte le cose necessarie per stabilirvi una colonia, e comprò a tal fine dal re, al quale rimise il suo figlio, l’isola Borodo situata sulla sponda sinistra del Formoso, della circonferenza di 30 miglia francesi, come anche le terre situate sulle sponde dirimpetto a quest’isola. Vi fu eretto un forte dall’Europa giunsero nuovi trasporti e fra le due nazioni nacque un tal legame di amicizia, che fra 6 anni lo stabilimento francese acquistò un alto
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mese di giugno fino alla fine di settembre; ed è, come in Senegambia, accompagnato da temporali e da tempeste violenti.
GUINEA(1) chiamasi tutta la costa sud ovest dal 10° di latitudine settentrionale fino al 15° della meridionale, e rinchiude tutto ciò ch’è situato fra Senegambia e la costa de’ Caffri. La sua estensione importa più di 600 miglia geografiche, e la larghezza 80. La Guinea è una terra assai calda, che però
grado d’importanza. I magazzini erano pieni, i francesi speravano un considerabile guadagno, e gli Owherresi parevano civilizzarsi, ma questa fortuna eccitò l’invidia de’ capitani inglesi Gordon. Roter e Cokeron, i quali da Liverpool facevano vela Benia. Nella notte del 30 di aprile al 1 di maggio 1792, in tempo di pace, questi capitani con genti armate s’introdussero nel forte, penetrarono senza far rumore dentro la stanza del capitano Landolphe, il quale ferito saltò dalla finestra. I nazionali soccorsero Landolp
(1) Ved. Voyage à la Côte de Guinée ou description des côtes d’Afrique, depuis le Cap Tagrin jusqu’au Cap de Lopes-Consalves, contenant ces instructions relatives à la traite des Noirs, d’aprés des Memoires authentiques; avec une carte gravée sois la direction de Brion fils, Par P. Labarthe Paris (an. XI) 1803. 8.
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viene rinfrescata dalle pioggie frequenti, dall’aria marina e dai continui equinozi: inoltre è il vero paese de’ Negri, ove non solamente sono neri gli uomini, ma pure alcune specie di animali, come il cane della Guinea che assomiglia al levriere, la cosi detta gallina de’ Negri la di cui pelle è nera. Questa diversità essenziale si è ancora osservata in altri uccelli. Il calore umido che vi regna, e ch’è tanto pernicioso all’Europeo, sembra rendere necessaria questa preservazione della natura, ed in fatti dimostra a sufficienza la traspirazione forte ed a noi dispiacevole del Negro, che la differenza della sua pelle in confronto alla nostra non consiste solamente nel colore; ma pure, e come sembra, nella costruzione di essa di separare il flogisto di cui è pregna l’atmosfera di queste contrade. Il Negro colla sua pelle sentesi assai bene in questo calore umido. I Negri vivono della caccia, della pesca, della cura del bestiame, dell’agricoltura e per lo più del commercio de’ prodotti e degli schiavi. Di questi infelici, che gli Europei impiegano nelle loro colonie americane ai lavori più penosi, se ne esportano annualmente 80000 circa. Intanto si è incominciato
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in Europa a riflettere su queste azioni inumane(1); e la Danimarca che su ambidue i lati del Rio volta nell’estensione di 50 miglia, ha possessioni sulla costa marittima della Guinea, e che annualmente esporta 2465 schiavi circa, ha dato un esempio eccellente all’Europa per mezzo di un editto in data del 6 marzo 1792, secondo il quale questo commercio terribile CHE DISONORA L’UMANITÀ deve totalmente cessare nel 1803.
(1) James Ramsey, trattamento degli schiavi negri sulle isole dello zucchero delle Indie occidentali, ed osservazioni sull’opera di Ramsey in Sprengels Beytraegen zur Voelker und Laenderkunde tom. V. pag. 1 ec. pag. 267. ec. Matthew. Notizie di Sierra Leone, ibidem tom. 9. pag. 232 ec. e pag. 259. Uber die Rechtmaessigkeit des Negerhandels nel magazzino storico di Gottinga. Vol. 2 pag. 398. La caccia de’ Negri nella corrispondenza di Schloezer quint. 27. pag. 196. quint. 25, pag. 13. A Falconbridge e Th. Clarkson osservazioni sulla natura presente del commercio di schiavi e sul pregiudizio politico di esso per l’Inghilterra: con annotazioni da Sprengel. Lipsia 1789. 8. Hollingswerth trattato de’ costumi, del regime, e dello spirito de’ popoli in Africa, unite le sue annotazioni sull’abolizione del commercio degli schiavi nelle Indie occidentali britanniche, tradotto dall’inglese. Halle 1789. 8. Ma prima di tutto è da consultarsi l’opera di Sprengel vom Ursprung des Negerhandels, Halle 1779. 8, e Selle Geschichte des Negerhandels. Halle 1790.
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Gli inglesi al contrario che quivi prendono annualmente più di 50000 schiavi, per mezzo della loro avidità di guadagno, non hanno finora ascoltato la voce della giustizia, e dell'umanità. Gli Inglesi si sono contentati finora di abolire solamente le barbarie più orride di questo vergognoso commercio, per mezzo di un atto del Parlamento del 1789 hanno ordinato, che nessun bastimento di schiavi possa caricare più di 5 negri sopra un carico di 3 tonnellate, e che sopra ciascuno di questi bastimenti siavi impiegato un esperto chirurgo. Se, durante il viaggio, di 100 negri muoiono 2 solamente, allora il capitano riceve 100 lire sterline in premio, ed il chirurgo 50; se di 100 negri muoiono 3, allora ricevono la metà del premio. Per mezzo di questo si è giunto al punto che presentemente appena muore un negro sopra 400, mentre per l’addietro morivano sempre 17 sopra 400 prima che dalle coste dell’Africa giungessero alle Indie occidentali. Questo editto ha cagionato anche a quest’infelici un migliore trattamento. Il Portogallo prende annualmente nell’Africa 16303 Negri, e li tratta più male di tutte le altre nazioni.
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Questo commercio fa vedere quanto poco i Negri siano civilizzati malgrado che abitino sotto una zona dolce e piacevole. Molte razze fra essi che non hanno occasione di vendere i loro prigionieri di guerra, li mangiano. Vi sono ancora molti stati de’ Negri civilizzati, che hanno manifatture e lavori di arte, come anche delle scuole ove la gioventù impara a leggere ed a scrivere. Quasi ciascuna nazione ha il suo proprio linguaggio.
Fra i prodotti del paese che molto si coltivano, si contano bambagia, riso, grano turco, miglio, formento, zucchero, ignami, e manioc. I datteri ed altri frutti di alberi vi sono abbondanti. Tutti gli animali selvatici e domestici dell’Africa vi abitano in quantità. È quivi la patria del PICCOLO CAPRIOLO DELLA GUINEA; particolarmente vive in queste terre la FORMICA BIANCA (Termes fatale), il di cui colore è giallastro. Egli è un insetto assai attivo nella Guinea, ed abita in non piccoli villaggi fabbricati da lei medesima con un’attività instancabile.
Questa formica della Guinea è più grande che l’indiana orientale, ma più piccola della nostra; ed il maggior numero di quelle
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che lavorano ha un quarto di pollice di lunghezza, cioè della grandezza circa de’ nostri bacherozzoli. Ciò non ostante erigono fabbriche composte d’argilla, creta ec. di forma conica, ed alte dodici piedi e più sulla superficie della terra, e spesso se ne vedono molte insieme. Il muro esterno è fortissimo, e attraversato da anditi grandi e larghi, posti in direzione obliqua, che non rare volte hanno un piede di diametro. L’interno rappresenta una volta alta. Le celle del re e della regina, de’ quali in ciascuna fabbrica trovasi solamente una coppia, sono costruire nell’interno un piede circa sopra la terra, e di gran lunga le più spaziose. Immediatamente intorno a queste sono le celle de’ lavoranti, indi sieguono le celle lunghe ove per le cure impiegatevi nascono i piccoli, e vicinissimo a queste i magazzini. In queste fabbriche si trovano scale e ponti, pe’ quali gl’insetti giungono ne’ diversi piani costruiti sopra file di archi isolati, di 2 fino a 3 piedi d’altezza(1).
(1) Una bella rappresentazione di queste case o torri vedesi nel philos. transact. vol. 71 tom I, unita ad una bella descrizione dell’economia di questi insetti. Una copia molto fedele ed istruttiva havvi in Blumenbach Abbildungen natur, histor. ec. tav. 10.
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Una Repubblica ben organizzata di questi insetti è composta di 3 classi, cioè di lavoranti, di soldati i quali non si occupano di nessuna specie di lavoro, e che sono due volte più lunghi e quattordici volte più forti di quelli, e finalmente d’insetti alati o perfetti, che servono alla propagazione; di questi se ne comporta un paio solo, e gli altri appena sono giunti alla perfezione, devono emigrare, ed allora formano stati nuovi, oppure periscono ne’ due primi giorni. L’ultima classe è talmente diversa dalle due altre, che appena si possono riguardare come appartenenti alla medesima specie. Il loro corpo è una volta più grande di quello dei guerrieri, e trenta volte più forte di quello del lavoratore. Essi sono ornati di quattro ale, svolazzano alcune ore in aria, e servono poi di cibo ad innumerabili uccelli, rettili ed altri insetti. Millioni di essi cadono nelle vicine acque, ove gli Africani li colgono, li arrostiscono come le fave di caffè, e li mangiano.
Poche coppie di questo sciame immenso sono accolte per caso da’ lavoranti, che sulla terra corrono sempre innanzi e in dietro, e sono rinchiuse nelle camere di margone o di argilla, ove non hanno nessun’altra
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occupazione che di attendere alla propagazione. I sudditi spontanei fabbricano le celle ovarie ec. di capellature di legno legate con resina. Il maggior cangiamento succede colla regina. La parte posteriore di essa a poco a poco si gonfia ad una grossezza tale, che diventa due mila volte più grosso di prima, ed allora pesa trenta mila volte più che un lavoratore comune. Per mezzo di un continuo moto ondeggiante del corpo posteriore depone essa in 24 ore 80000 uova. Queste uova, appena deposte, sono portate immediatamente da lavoratori nelle celle ovarie, che spesso sono distanti quattro o cinque piedi dalla cella della regina. In queste celle, dopo essere sortito l’insetto dall’uovo, le giovani formiche sono curate, finché possono aiutarsi da se medesime, e prender parte al lavoro comune.
Una tal repubblica di formiche produce spesso le più grandi devastazioni. Questi insetti intorno alle loro abitazioni, e fin dove possono giungere, costruiscono varie vie coperte, per procurarsi da tutte le parti il nutrimento, e gli oggetti necessari ed utili per le loro fabbriche. Essi rompono e consumano legnami, utensili e capanne, ed in
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poche settimane possono distruggere tronchi d’alberi grossissimi; e sono in ciò attivi a segno, che in due o tre anni si è veduto scomparire interamente un villaggio ch’era stato abbandonato da’ nazionali. Costoro erigono la loro fabbrica ordinariamente in 40 giorni.
È sorprendente ancora la divisione loro lavori secondo le classi, cioè, quella de’ guerrieri e de’ lavoratori. Facendosi una piccola apertura nella loro abitazione viene subito fuori uno de’ guerrieri, e gira intorno alla fabbrica, per vedere se il nemico è partito, e se è necessaria la difesa. Poco dopo sortono due o tre altri guerrieri più piccoli, seguiti da uno sciame grandissimo, e l’armata diventa sempre più numerosa, finché si continua a distruggere la loro abitazione. Diversi de’ guerrieri battono colla proposcide sulla parete esteriore della fabbrica e producono con ciò uno strepito che si sente in lontananza di quattro fino a cinque piedi. Duranti i loro attacchi combattono con un coraggio intrepidissimo, a segno che fanno retrocedere i Negri scalzi, ed anche agli Europei, quando disturbano, questi insetti, scorre il sangue lungo le calze: cessando
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di disturbarli i guerrieri si ritirano, ed i lavoratori a migliaia, pronti coll’argilla già preparata, chiudono ben presto l’apertura che si è fatta nella loro abitazione. Presso a 600 e fino a 1000 lavoratori si scopre ordinariamente un militare, che in apparenza gli sorveglia. Egli almeno non lavora, e si appoggia solamente alla parte rotta, battendo di quando in quando colla proposcide verso di essa, al che rispondono i lavoranti sibilando e raddoppiando le loro forze.
Queste abitazioni di formiche si coprono cogli anni di piota, e diventano dure a segno, che diversi uomini possono starvi sopra. Spesse volte gli Europei vi si arrampicano sopra, per procurarsi una veduta libera, che sovente è impedita dall’erba che in quelle regioni giunge all’altezza di 13 piedi(1).
(1) Smeathmann nella sua lettera al sig. Caval. Banks, inserita nel philos. Transact. vol. 71 parte I. Un estratto da ciò nel Voigt Magazz. vol. 4 quint. 3 p. 19. seg. Koenig Nachrichten von den Ostind Ziemlichgleichen Termiten, nel 4. vol. delle Beschretigungen der Berlin, Gesellsch. naturf. freunde, con una rappresentazione. Una rappresentazione ancora più complete vedesi la Blumenh. Abbildungen tav. 9.
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Fin ora si conoscono quattro specie di queste formiche nelle due Indie e nella nuova Olanda, ma quella della Guinea è la più conosciuta e la più notabile.
La Guinea è divisa in Guinea superiore e Guinea inferiore.
La Guinea superiore, o la Guinea propriamente detta, che dal fiume Sierra Leona si stende fino al Capo Lopez Gonsalva, è composta 1. della costa Malaguette, o la COSTA DEL PEPE, che gira fino al Capo des Palmas, e rinchiude le terre di Mitombo, di Sanguin, di Mesurando, di Sestos ec., ma poco le conosciamo, poiché non vi sono stabilimenti Europei; 2. della COSTA D’AVORIO che si stende fino al Capo Apollonia. Questa costa, a cagione delle montagne che alternano colle valli, e de’ frequenti villaggi e degli alti boschi che l’adornano, reca un aspetto piacevolissimo all’occhio. In mezzo a questa costa corre il fiume de Lagos, e per confine all’Oriente ha il regno Issini; 3. la COSTA D’ORO che va fino al fiume Volta, e rinchiude i regni Assiente, Akim, Akra e la Repubblica Fanthee. L’oro che forniscono questi regni è tratto dalla terra che gli abitanti raccolgono a’ piedi delle colline e presso i fiumi;
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4. la COSTA DEGLI SCHIAVI gareggia col ricco Regno di WHIDA, una delle terre più amene, più fruttifere e più popolate, e che ha l’aspetto di una grande città, le di cui strade sono giardini, ed i mercati boschi piacevoli ec. BENIN offre gli stessi piaceri, ma è malsano per gli Europei, a motivo della regione costale bassa o paludosa. DAHOMY che giace più dentro terra ha Abomy per residenza.
Le nazioni Europee che quivi hanno i loro stabilimenti sono: 1. gl’inglesi presso Sierra Leona. La colonia è stata stabilita nel 1787 da’ Negri liberi, ha 9 forti, il di cui mantenimento costa annualmente 15000 lire sterline; il capo luogo è Capo Corso (Capo-Coast)(1); 2. gli Olandesi che posseggono S. Giorgio della Mina, luogo forte con porto, forte Antonio, forte Nassau, Fiedrichsburg ed Axim; 3. i Francesi vi hanno Grand Sestre, Petit Sestre, Sestrecou, Beffa e Fort François; 4. i Danesi vi hanno quattro forti, cioè Christiansburg nella provincia Acara solto il 5° 44' di latitudine settentrionale, Friedrichsburg 8 miglia all’est distante
(1) Ved. P. E. Isert viaggio in Guinea , Coppenhagen 1788. 8.
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dal primo, Koenigstein 12 miglia all’est dal primo, e Prinzeustein 16 miglia distante da Koenigstein.
La Guinea inferiore sulla parte meridionale dell’equatore comprende: 1. il regno di LOANGO, paese sano e fruttifero, fornito riccamente di tutt’i doni della natura; ma gli abitanti non sanno profittare di questi regali; 2. CACONGO con Kingela; 3. CONGO sulla parte sud est, del fiume Zaire; nelle sue montagne si cavano eccellenti pietre, come diaspro, porfido, marmo ec., e se ne trae rame, argento e ferro in quantità. La stagione, mercè delle montagne e dell’aria marina, vi è moderata. Abitano quivi, e particolarmente nel Matamba appartenente a Congo, i Jaggas (Schaggas), Negri assai intrepidi e crudeli. Il re di Congo risiede a Pemba. Ai Portoghesi appartengono Bamba e S. Salvador. Per le cure de’ Portoghesi la chiesa romana ha fatto quivi buona riuscita ; 4. ANGOLA con Tamba (Dombo) ha alcuni fiumi, un suolo fruttifero, e ricche miniere d’oro e d’argento. Ai Portoghesi appartiene la grande e bella città Loanda; essa ha un porto ed è la sede del governatore sopra tutte le possessioni portoghesi
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di queste regioni; 5. BENGUELA apparetiene ai Portoghesi, e S. Filippo di Benguela n’è la capitale. Fra tutti gli Europei i Portoghesi hanno le possessioni più importanti nell’Africa, e molti regni su questa costa, come sulla costa orientale, pagano loro il tributo(1). Intanto non ne traggono alcun vantaggio. Essi hanno poca cura per l’ordine e la sicurezza delle colonie, come per la popolazione e pulizia di esse, ed ordinariamente affidano quivi le prime cariche a uomini, i quali, rei di delitto, sono stati esiliati dalla loro patria. Questo e la loro avarizia li hanno resi assai disprezzabili presso gli altri Europei in Africa, come anche presso gli stessi nazionali.
Alla parte orientale della Guinea superiore ed inferiore, giace l’ETIOPIA SUPERIORE o INTERNA, terra grandissima a noi sconosciuta, la quale dicesi che sia ricca in metalli nobili. Nella parte settentrionale di essa sono
(1) Prospetto delle possessioni Portoghesi in Africa, in Schel allgemeinem Journal fuer die Handlung vol. 2 quin. I. Importante è ancora, Voyage à la côte occidentale d’Afrique, fait dans les années 1786-1787 pag. L. de grand Pre, tom. I. et II.
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le alte montagne della luna, le quali hanno ricevuto questo nome dalle loro braccia settentrionali che formano un mezzo circolo, composto ciascuno di tre file di montagne. Verso il sud est, sotto il 50° di longitudine ed il 10° di latitudine meridionale, sussiste un gran mare interno chiamato il lago Maravi. I regni più occidentali che confinano colla Guinea come Mujako, Anziko, Malemba, Bembe, ed i popoli più orientali i Masseguejos, i Mano Emugi, i Dongii, i Bororos, sulla parte meridionale del lago Maravi, sono per noi nomi senza contenuto, i quali forse si cangieranno prima che ci venga fatto d’imparare a conoscere quelle regioni.
Quella parte della costa dell’Africa occidentale, che incomincia col seno di mare di Santa Maria sotto il 13° di latitudine meridionale, ci è quasi totalmente, sconosciuta. Non vi è alcuno stabilimento Europeo. I ZIMBELEAS presso il Capo Negro ci sono conosciuti di nome solamente, e la costa deserta, così chiamata la parte seguente, non promette molto per le future scoperte.
La punta meridionale dell’Africa chiamasi la terra degli Ottentotti. Anche essa,
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eccetto quella parte che posseggono gli Olandesi, ci è per la maggior parte sconosciuta(1). Dalle stesse possessioni degli Olandesi non sappiamo altro, che quanto ci hanno narrato Kolbe, ed il cauto ed instancabile naturalista Sparrmann(2). Siccome gl’Inglesi l’hanno presa il 4 di settembre 1795 ed occupata fino al cadere del 1801, sarebbe da desiderare che l’avessero esaminata più esaltamente, e comunicate le osservazioni fattevi(3). La città del Capo è l’unica città, 3000 piedi lunga ed altrettanto larga. La terra intorno è sassosa e montagnosa; e sono conosciute le montagne della Tavola, quella de’ Leoni, e l’altra del Diavolo. Una catena alta di montagne, chiamata Lupata o Spina Mundi, si estende di qua fino alle montagne della luna. Sulle cime spaziose di queste
(1) Ved. Reizen naar de Kaap de goede Hoop, Jerland en Noorwegen in de Jaren 1791 tot. 1797 door Cornelius de Jong, mer het, onder zyn bevel Staande’s Lands Fregat ranoorlog. Scipio met Platen. Haarlem 2 tom. 1802.
(2) Andrea Sparrmann viaggio al Capo di Buona Speranza al paese degli Ottentotti e de’ Caffri.
(3) Questo in parte si è fatto: ved. Barrow Travels in to the interior of Southern Africa in the years 1797. and 1798, Lond. 1802 in 4.
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catene vi sono buonissimi pascoli, misti de’ più belli fiori odoriferi, e ricchissimi di sorgenti che scorrono nelle valli. Le pianure e le valli sono a guisa delle olandesi, ed allettano l’occhio per la verdura fresca de’ prati, per le sorgenti e per gli alberi. Esse sono fruttifere a segno, che le semenze producono almeno 13 e 14 per uno, e quando è buona la stagione, e non abbondano gl’insetti, il 20 per uno. Molti vegetabili qui trapiantati dalle altre parti del mondo, in parte si sono nobilitati, come il vino, o almeno riescono eccellentemente. L’uva però non ha il gusto piacevole del vino, la polpa di essa è dura e tenace, e grossa la scorza. La rivocazione dell’editto di Nantes produsse quivi la miglior cura delle viti. Il vino del Capo, ch’abbia 10 anni, a motivo del suo fuoco, è appena bevibile. Più di due mila piante sconosciute vi sono state scoperte da SPARMANN.
THUNBERG trovandosi a Rodesand, sentì che nelle montagne rimote e quasi impraticabili si trovi una specie di arbusto, che produce diverse specie di vestiario già lavorato, per esempio, guanti come fossero della pelle più fina, berrette foderate, calzette
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di lana ec.; e siccome tutti gli abitanti confermavano lo stesso, Thunberg per mezzo di regali si cattivò l’amicizia di alcuni, che decisero di procurargli alcune mostre di questi prodotti. Scorsi diversi giorni, ritornarono gl’inviati con de’ rami di questo ammirabile arbusto. Le foglie di esso sono coperte di una specie di fodera bianca, ed assai compatta a foggia di piuma, che molto assomiglia al velluto. Queste foglie hanno diverse forme, ovali o rotonde, secondo la maggiore o minore età e maturità. Le donne sapevano maneggiarle con grande abilità, e senza molti preparativi ed incomodi fabbricarne diversi vestiari.
Anche il regno animale ha quivi molte specie particolari, e questa principalmente è la patria delle Antilope; come ANTILOPE PYGARGA, il BUBALO (antilope bubalus) ANTILOPE GNU, ANTILOPE OREAS, ANTILOPE SYLVATICA, ANTILOPE PALUDOSA: queste sono le specie più singolari descritte da Sparmann, tanto esattamente che piacevolmente; egli nota però particolarmente la rarità dell’antilope paludosa, da lui veduta nelle paludi di quella valle, ove scorre il Zwartkop (fiume di testa nera), ed ove si
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nasconde questo animale. Secondo il colore e la figura il maschio assomiglia all’antilope leucophaca. Le sue corna sono lunghe 9 fino a 12 pollici, rivolte un poco in fuori alla punta, ed anellate alla quarta parte inferiore. Dalla gola fino al petto scorre corta criniera, la qual circostanza prova ch’ell’appartiene alla specie delle capre. Però è arbitrario di porla sotto qual si voglia specie, poiché la natura non l’ha indicato. Questo animale è conosciuto in poche parti della colonia.
Oltre a queste evvi ancora il rinoceronte con due corna, una specie particolare di buffali, come anche una specie singolare di Zebro (Quagga), e probabilmente il liocorno(1).
Fra gli uccelli noteremo: 1. il SEGRETARIO, specie di aquila colle penne dorsali o colle gambe lunghe come gli uccelli delle paludi, fra i quali non può essere nulladimeno contato, poiché la sua maniera di vivere è totalmente diversa(2).
(1) Ved. Blumenbach Historische Abbildungen. quint. 6 num. 65.
(2) Ved. Sparmann viaggio al Capo di Buona Speranza ec. p. 453-457.
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2. Il MANGIATORE DI CAVALLETTE, specie di tordo della grandezza della lodola degli alberi. La testa, il petto ed il dorso sono d’un bigio pallido, il ventre ed il tronco bianchi, la coda e le ale nere; la coda è corta ed un poco divisa. Dal becco fino dietro all’occhio scorre una macchia gialla come il zolfo, e qui pel collo si stendono due striscie nude e nere. Il nido appeso a’ grandi arbusti, e che da lontano sembra grande, è costruito con diverse celle, di cui ciascuna forma un nido per sé con un’entrata particolare. Di tali celle se ne trovano 20, una vicina all’altra, ed un tetto tessuto copre l’interno. Generalmente si scoprono 5 figli per nido. Le uova sono d’un rossiccio pallido, tinte di piccole macchie nere. Questi uccelli si dirigono in quantità innumerabile dove si trovano le cavallette, la di cui enorme quantità supera l’immaginazione; e Barrou racconta di aver veduto nel distretto montagnoso chiamato Sneunberg (un miglio quadrato inglese), e vicino al Plettenberg (1800 miglia quadrate inglesi), in una larghezza di 10 miglia, su ciascun lato del fiume Seekuh (vacca marina), e per la striscia di 90 miglia, il terreno coperto
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da questi insetti in modo, che la terra a qualche distanza sembrava abbruciata e coperta di cenere bruna. Non si vedevano né cespugli né erbe. I carri di viaggio passavano in mezzo a loro. Si andava a cavallo in mezzo ad essi, ma non volavano via che quelli i quali rischiavano di essere precisamente calpestati. Appena vedevasi l’acqua nel fiume, tanti erano i bruchi morti che vi nuotavano, e che, tentando di giungere fino al giunco, erano periti(1). Ordinariamente mangiano tutto quello ch’è verde, qualche volta però scelgono, come quando arrivano in un campo di grano, il quale avenda le spine, ne levano i grani prima di mangiare le foglie ed i gambi. Se questi insetti, che ordinariamente prendono la direzione del vento, procedono di giorno, non è possibile di marciare contro la direzione che prendono. Le traccie del loro cammino si conoscono ancora chiaramente alcune settimane dopo, poiché il terreno sembra essere stato scopato. Verso il tramontare del sale lo sciame si arresta, si divide in piccoli sciami
(1) Questi bruchi, come accade negli insetti, sono più voraci, che l’insetto stesso formato.
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che si mettono intorno agli arbusti o ai formicai, e quindi sembrano sciami d’api. In questa posizione restano tranquilli fino allo spuntare del giorno, se non sono calpestati dalle greggie. Per fortuna non vengono tutti gli anni, altrimente sarebbe forza di abbandonare quelle regioni. Nel 1798 però era già il terzo anno, che guastavano quelle contrade, e vi si erano propagati in numero prodigioso. Per dieci anni di seguito non erano comparsi. La loro ultima partenza dalla colonia era assai rimarcabile. Tutti gl’insetti perfetti, per mezzo di un vento burrascoso del Nord, furono cacciati nel mare, ove sulla sponda formarono un banco di tre e fino a quattro piedi d’altezza, il quale si stese per 50 miglia inglesi, dal fiume Buschmann fino al Bika, e si assicura, che quando la massa incominciò a putrefarsi, si sia sentito la puzza fino sulla montagna della neve. Fortuna che non avevano ancora fatto l’uova, e che i bruchi partirono con essi nell’istesso tempo, prendendo la direzione verso il Nord. Alcune persone, avanti le cui case passavano questi bruchi, assicurano che la marcia abbia durato un mese. I mangiatori di cavallette
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le seguivano a migliaia, e non furono più veduti che quando le cavallette ritornarono.
I nazionali Ottentoti sono gialli come gli Europei quando hanno l’itterizia, senza però aver tinta né anche la minima parte del bianco dell’occhio; sono grandi come gli Europei, ma hanno le mani ed i piedi piccoli in confronto della loro grandezza. La parte del naso verso la fronte, come anche le nari, sono piatte. Hanno le labbra larghe come i loro vicini i Negri ed i Caffri. La testa sembra essere coperta di lana nera e leggiera come quella de’ Negri(1). La medesima specie di capelli cresce sul mento, ma parcamente. Il grembiale naturale osservato da Tachart presso le Ottentote, lo spiega Sparmann con probabilità per un grembiale fortemente legato ed unto di grasso, come il corpo sopra il quale portano due altri
(1) Thunberg assicura che gli Ottentoti, riguardo alla formazione della testa, abbiano moltissima somiglianza colle scimie, e Blumenbach dice, che il loro cranio nel suo totale si avvicini sorprendentemente al cranio dell’Orang Utang, più che qualunque cranio de’ Negri. Egualmente nasce il loro feto più peloso, ed è particolarmente nella faccia più densamente coperto di peli che presso noi.
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grembiali(1). Sul feto femminile e su’ figli appena nati, oppure sulle fanciulle di 3 in 4 anni non osservasi assolutamente nulla di quel grembiale, ed anche le ninfe non differiscono in niente da quelle delle donne Europee ben formate. Secondo Barrow questo grembiale è una prolungazione delle ninfe, che in quelle donne abitatrici della colonia, rare volte si allungano più di tre pollici; nelle bastarde però non se ne vedono, e la congiunzione con altre nazioni impedisce la disposizione a questa prolungazione. Si dice che questo fenomeno sia ancora più considerabile nelle Buschmanne in cui cresce più lungo di 5 pollici, ma in tal caso hanno appeso sicuramente delle pietre alle ninfe, come è stato assicurato de Le Vaillant a Bruynties-Hoogte. Il loro colore è d’un rosso cupo, come le pelli appese al becco del gallinaccio. Senza questa difformità forzata, forse rassomiglierebbero queste ninfe a quelle delle donne egiziane, le quali per altro impediscono il loro prolungamento col mezzo della circoncisione. L’aria d’Egitto è molto pregna di salnitro com’anche il paese degli Ottentoti.
(1) Vedi il Viaggio di Sparmann p. 176-177.
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Potrebbe dunque attribuirsi a ciò la disposizione al rilassamento ed alla dilatazione delle ninfe?
Vi sono due specie di Ottentoti, assai diversi per la loro maniera di vivere. Quelli che campano della cura del bestiame, e che fabbricano le loro capanne di minuti rami d’alberi a guisa di arnie rotonde, sono più civilizzati, e trafficano cogli Olandesi. Gli altri che vivono unicamente di caccia, che in tempo di notte non tengono appo loro alcun animale vivente, che girano pe’ boschi, che rubano ec.(1) si chiamano Buschmanni, e ne vanno a caccia gli Ottentoti pastori come delle fiere; anche i paesani Olandesi ne uccidono una gran quantità, e se li prendono vivi, sono assai inumanamente trattati, e ricompensati con colpi di bastone pe’ lavori più aspri. In questo stato di salvatichezza, e come cacciatori hanno vissuto certamente sin dal principio dell’esser loro. Ma la loro attuale situazione trista nasce unicamente dagli Europei cristiani, che danno loro la caccia per renderli schiavi.
(1) Vedi Sparmann p. 188, 189 ec.
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Eccettuato il naso assai piatto, ed i capelli corti e setolosi, i Buschmanni, come gli Ottentoti propriamente detti, rassomigliano alla forma e al colore ai Chinesi. Ne’ Buschmanni la palpebra superiore unita coll’inferiore è arcuata come ne’ Chinesi, e non forma un angolo come negli Europei, e perciò nella Colonia sono chiamati Ottentoti Chinesi. Essi rassomigliano ancora più alle antiche descrizioni degli Egiziani ed Etiopi. Il loro carattere fisico s’accorda perfettamente con quello de’ Pigmei e Trogloditi, i quali debbono aver abitato nella vicinanza del Nilo. Almeno accordasi esattamente coi Buschmanni la descrizione, che fa Diodoro Siciliano di alcune stirpi di Etiopi. Potremmo noi da ciò conchiudere, che gli Egiziani e i Chinesi formassero in principio un popolo solo, e che una delle stirpi più numerose si sia ritirata dal Nilo sempre più verso il mezzo giorno?
I Buschmanni sono assai piccoli. Barrow ha trovato, che l’uomo più alto aveva 4 piedi e 9 pollici, e la donna più alta 4 piedi e 4 pollici. La grandezza media degli uomini la calcolo a 4 piedi e 6 pollici, e quella delle femmine a 4 piedi. Il loro colore, i capelli
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e la figura dimostrano, che hanno la medesima origine degli Ottentoti.
I Buschmanni appartengono alla classe degli uomini più brutti. Il loro naso piatto, le ossa elevate delle guancie, il mento prominente ed il viso cavo, li rassomiglia molto alle scimie, lo che è ancora aumentato dagli occhi focosi che muovono continuamente. Le loro pancie pendono straordinariamente in fuori, il dorso è piegato in dentro in modo che sembrano formare la lettera S. In una donna le natiche avanzavano il dorso 5 pollici e mezzo. Le membra sono in generale proporzionate. La loro destrezza è incredibilmente grande; il saltatore delle rocce (antilope oreotragus) non li supera nel salto, e nessun cavallo li raggiunge nella pianura. Il loro temperamento è vivo ed allegro, le disposizioni più che mediocri, e rare volte sono oziosi. Il timore di essere presi da’ paesani li rinchiude di giorno nelle capanne, ma la notte, al raggio della luna ballano spesso, incominciando la sera fino alla mattina. È da maravigliarsi tanto più del loro buon umore, poiché s’acquistano il loro sostentamento con pena e pericolo. Essi non coltivano la terra, non custodiscono il bestiame,
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e la terra produce pochi viveri. Tutti i loro tesori del regno vegetabile consistono in cipolle d’iride , ed alcune radici di un gusto acuto ed amaro. Oltre di questo mangiano spesso i bruchi, le formiche e le cavallette. Gli animali salvatici sono presi da essi in diverse maniere assai destre. Se loro mancano i mezzi di sussistenza, si rivolgono verso le colonie, ove portano il terrore e lo spavento. Se possono rapire un gregge di animali ne uccidono una quantità tale, che l’aria s’impesta per la putrefazione de’ morti. La quantità degli avvoltoi che per questa ragione si radunano, servono spesso ai coloni d’indizio del luogo di loro dimora. Il resto degli animali che non uccidono, li mandano sulle rocce senza curarsi se vi possano sussistere o no. Essi mangiano in modo, che i loro ventri pendenti si gonfiano come un’otre, ed allora perdono ogni somiglianza con gli esseri umani. Per prepararsi una bevanda forte tagliano la gola ad una pecora, e versano il sangue dentro le budella piene di escrementi, indi rimescolano tutto insieme, e vi aggiungono dell’acqua, e dopo averlo mischiato lo bevono con grande avidità.
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Sembra che non si ungano il corpo fuori che quando si puliscono le mani unte di grasso. Alcuni stropicciano i capelli ed il viso, con cera rossa all’uso de’ Caffri, altri si dipingono figure nere sul viso, adoprando a quest’uopo un piccolo nocciuolo abbrucciato. L’olio che sorte dalla noce lo tengono per un rimedio contro la rigidezza delle membra. In ciascuna malattia tagliano un’articolazione del dito, ed incominciano col dito piccolo della mano sinistra, poiché credono che il male sorta col sangue.
Le coste orientali dell’Africa, eccettuati i nomi e la situazione incerta di alcuni luoghi, di promontori e d’imboccatura di fiumi, ci sono totalmente sconosciute. La costa meridionale chiamasi la COSTA DE’ KAFFERI. Il nome di Kafferi è piuttosto generico, dato da’ Maomettani agli abitanti della costa orientale dell’Africa, i quali non professano la religione maomettana, siano anche Pagani o Ebrei. Gli Europei hanno limitato questo nome agli abitanti della costa sud est dell’Africa, escludendo i Negri e gli Ottentoti.
La costa più meridionale è TIERA DO NATAL scoperta da’ Portoghesi il giorno di
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Natale. È ricca di buoni boschi e prati, di ruscelli e di fiumi. Gli abitanti si occupano dell’agricoltura e della cura del bestiame, e la terra favorisce la loro diligenza. La costa più vicina si chiama TIERA DOS FUMOS; quivi tra i fiumi Spirito Santo e Cuama (Zambezu) Sofala, giace un regno abitato da Cafferi selvaggi, che però dagli Arabi hanno adottato la circoncisione, e la celebrazione della festa del novilunio. I Portoghesi si appropriano il dominio di questa costa. La parte meridionale di essa è aspra e deserta, la settentrionale è montuosa con valli piacevoli e fruttifere. Questa terra produce molt’oro, avorio, ambra, miele e cera(1). Verso la parte settentrionale di essa giace il regno di Monomotapa paese fruttifero ben annacquato e sano(2), ove la cura del bestiame è considerabile. La canna di zucchero vi cresce salvatica, tutte le specie dei frutti d’alberi sono eccellenti; dicesi che dal
(1) Bucquoy viaggi verso le Indie (tradotti dall’Olandese, Lipsia 1771) pag. 2 ec. pag. 15 e 19 fino a 30.
(2) La miglior cosa sopra l’Africa orientale contiene il viaggio di Thomann p. 38 ec.
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Monomotapa dipendano altri 25 regni. La costa settentrionale, che sotto il nome del governo de’ fiumi di Sena (governo dos Rios de Sena) appartiene ai Portoghesi, è da noi conosciuta, come se vi abitassero delle nazioni selvaggie.
Questo governo giace lungo il gran fiume Zambese, nel quale i Portoghesi nel principio del secolo decimo sesto navigavano per l’interno dell’Africa a motivo delle miniere d’oro. Essi hanno quivi diversi posti e varie Missioni, ma appena abbiamo da loro imparato a conoscere i nomi di Sena, Zimbaco, Tete, Massapa ec., oltre di ciò indicano espressamente sulle loro carte questi paesi sotto latitudini false(1).
La costa di MOZAMBIQUE ha ricevuto questo nome da una piccola isola portoghese con un porto fortificato sotto il 15° di latitudine meridionale(2). Quattro gradi più verso il Nord di Mosambique hanno, secondo Niebuhr(3), i Portoghesi ancora uno stabilimento
(1) Bucquoys viaggi ec. p. 17, 123, 138, 139. Thomann p. 55. 58.
(2) Bucquoys viaggio alle Indie p. 133 fino 139 anche nella prefazione.
(3) Museo tedesco del 1780.
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detto Kirimbe (Quirimba), ma egli poco ha potuto dirne, ed altri non hanno potuto nemmeno nominarlo. La disgrazia del paese è l’oro. Oltre di ciò fornisce molto avorio, legno di ebano, bestie da macello e schiavi.
La costa di Zanguebar si estende al di là dell’equatore. I regni di Quiloa, Mombaza e Melinda sono le terre più abbondanti del globo. L’aria vi è piacevole; il suolo fruttifero e quasi coperto di alberi di agrumi; è fornito riccamente di animali da tiro, di selvaggi, e di volatili.
Mombaza era per lo passato una fortezza de’ portoghesi che perdettero nel 1698, e secondo Niebuhr, appartiene presentemente all’Imano di Oman. Melinda è ancora nelle loro mani. Ciononostante è quivi il commercio passivo, e si limita solamente sopra Goa e Din; ed al più è visitata da qualche navigatore portoghese alle Indie orientalı, onde prendervi i rinfreschi; in tal modo dunque sono questi contorni perduti pel mondo e pe’ Portoghesi stessi.
La costa di Ajan (Ashan) fino al Capo Guardafui è una terra sabbiosa, infruttifera, assai calda e poco abitata.
La costa di Adel dal Capo Guardafui
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fino a Babelmandeb, ha l’entrata nel seno arabico, è fruttifero, e gli abitanti fanno molto commercio.
L’isola più grande dell’Africa ed una delle più grandi del mondo, di cui però non conosciamo che le coste, è MADAGASCAR. Stendendosi essa dall’11° 30' fino al 26° di latitudine meridionale, e dal 63° fino al 73 di longitudine, è più grande che la Francia, la quale esercita un certo dominio esclusivo sopra di essa, e cercava ultimamente d’impedire qualunque altro stabilimento Europeo. Comerson dice di quest’isola, che la natura pare operare su di essa secondo leggi affatto differenti da quelle del resto della creazione; poiché a ciascun passo s’incontrano creature nuove e miracolosamente formate. Essa fornisce particolarmente zenzero, riso, animali bovini, miele e schiavi; le montagne rinchiudono molt’oro, altri metalli e pietre nobili, benché sin’ora non siasi potuto ancora cercarle.
La miglior descrizione che ne abbiamo, oltre la lodevole e conosciuta di Al Rochon(1), la quale fu pubblicata nel 1791
(1) Quest’opera è ripetuta ne’ suoi Voyages à [494] Madagascar, à Maroc et aux Indes orientles, par Alexis Rochon. Ouvrage en 3 vol. accompagné d’une carte geographique de Madagascar, d’une carte de l’Inde Orientale, d’une Vocabulaire Madagasse, de Tables astronomiques et d’une table generale des matiers. Paris an X. 1802.
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ed inserita da Forster nell’8 volume del suo magazzino, è quella di Flacourt(1). Ne’ tempi moderni è stata scoperta quest’isola da’ Portoghesi nel 1506. Gli Arabi la conoscevano da tempi assai rimoti, e le loro colonie lungo le sue coste sono antichissime(2), e su tutta l’isola domina la loro lingua, religione, e caratteri di scrittura.
Anzi era conosciuta dai Greci e dai Romani sino da’ tempi di Alessandro. Almeno quelle notizie a noi lasciate su Taprobana, dopo averle esaminate esattamente, non s’accordano con nessun’altra isola, che con Madagascar, e sotto questo aspetto si possono riunire e spiegare le notizie ch’essi ci danno su questa
(1) Etat actuel de l’Inde p. 17. Peyssonel, situation politique de la France tom. II. p. 186. M. de Flacourt relation de Madagascar. Paris 1661. 4.
(2) Boothby discovery and description of Madagascar. Lond. 1646.
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isola. Supponendo che Taprobana sia l’isola di Zeilon, dobbiamo credere che quivi siano accaduti grandissimi cangiamerti nella natura, oppure dobbiamo rigettare tutto ciò che gli antichi raccontano di Taprobana come falso e poco esatto.
Lo scrittore più antico, le di cui opere possediamo ancora, è Strabone. Secondo lui essa è grande come la Brettagna(1). Eratostene stimò la sua lunghezza di 8000 stadi, ed Onesicrito di 5000, senza che l’ultimo abbia fatta una precisa distinzione fra lunghezza e larghezza. Essi dicono che giaccia nel mare più meridionale delle Indie(2), e secondo il calcolo minimo che possa farsi, sia distante sette giorni di viaggio, e secondo il maggiore, 20 dalla punta più meridionale delle Indie presso Coniaco; che fra essa e l’India siano molte isole; che essa sia la più meridionale di tutte, e giaccia di contro all’Etiopia(3), e nell’istesso tempo 500 stadi più occidentalmente che la punta delle
(1) Lib. II. ed. Casaub. p. 89 lin. 24.
(2) Lib. XV. p. 475 lin. 19-33.
(3) Lib. XV. p. 475 lin. 22, 30, 31 lib. II. p. 49 lin. 49, 50 p. 81 lin. 54, 56.
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Indie(1). Volendo a questa distanza di longitudine dare una distanza convenevole di latitudine, sarebbe necessario di situarla profondamente nel sud, e che oltre di ciò fosse chiaro, che Taprobana giacesse più verso il mezzo giorno che le Indie(2).
Come era mai possibile di applicare questi racconti, che tutti indicano Madagascar, all’isola di Zeylon? Supponendo che Zeylon sia l’antica Taprobana, non dobbiamo noi credere che qui la figura e la situazione de’ paesi, insomma la natura del tutto siasi assai cangiata? Non giace Zeylon forse sul lato orientale di Decan? Taprobana giaceva sull’occidentale, 500 stadi più occidentale che la punta meridionale delle Indie. Era mai possibile d’impiegare 7 giorni per passare dal Capo Comorin a Zeylon? e potevano mai questi giorni prolungarsi fino a 20? Applicandolo a Madagascar, ambedue le cose sono possibili, le burrasche e le correnti vi potevano condurre uno in 7 giorni, e ritardare il cammino d’un altro fino a 20. Sussiste fra Zeylon e la terra ferma quel numero
(1) Strab. lib. II. p. 81 lin. 55 seq.
(2) Lib. II. p. 49 lin. 54, 60 p. 50 lin. I seg.
(3) Lib. XV. p. 475 lin. 19-33.
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considerabile d’isole, che Tolomeo fa montare a 1378, ed è Zeylon la più meridionale di esse? Fra Madagascar ed il Capo Comorin giace l’arcipelago delle Maldive di 12000 isole circa, ed, oltre a queste, migliaia d’altre. Se Strabone per Tabrobana intende Zeylon, perché egli, e nessuno prima di lui, incominciando da Eratostene, perché nessuno dopo di lui, né anche Tolomeo ha osservato il passaggio stretto fra la terra ferma e Zeylon? Gosselin credeva di levare questa difficoltà, e di giustificare la grandezza che gli antichi danno a Zeylon, supponendo ch’essi abbiano donato all’isola di Zeylon una gran parte di Decan, cioè tutto quello che comincia dal seno di mare Cambay(1). Ma Strabone, Plinio, Arriano, Tolomeo, Cosma, e tutti gli altri geografi greci e romani accennano il promontorio Cory come appartenente alla terra ferma. Essi conoscono la pesca delle perle sulla parte orientale di Decan. Essi descrivono molte città e popoli su d’ambedue i lati di questa punta di terra, sono da noi riconosciuti(2), e distinguono
(1) Geographie des Grecs expliquée p. 35, 134.
(2) Ved. dove si parla delle Indie.
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da ciò esattamente l’isola di Taprobana situata verso il sud ovest di questa punta. Arriano, o chiunque possa essere l’autore del la navigazione del mar Rosso, dà delle coste di questa penisola un disegno sufficientemente esatto; egli conta le città di commercio, e nomina questa PARTE MERIDIONALE delle Indie, incominciando da Barygaza, cioè dal seno di Cambay, Dachinabados, o Decan(1); egli dunque non ha certamente contato Decan unito a Taprobona, che da lui è descritta particolarmente, e come distante da questa parte meridionale delle Indie(2). Cosma nel 6 secolo dà il nome anzi di Male al nostro Malabar(3), e poi di Taprobana, da lui chiamata Silediva(4), nome che si lascia paragonare benissimo con Sarandib,
(1) Secondo lui il mezzogiorno è in Indiano chiamato Dachanos. Abados è persiano, e si trova presso molte città indiane.
(2) Arri. opp. ex recens. Blancardi tom. II. pag. 171, 176.
(3) Nella sua descrizione del mondo, lib. XI. Montfaucon Coll. nov. patrum Graec tom. II. p. 337. In greco si aggiunge ancora la parola παραλια (costa), e cosi Malabar sarebbe solamente un’abbreviazione di MALE PARALIA.
(4) Ibid. p. 336.
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usato dagli Arabi e da’ Persiani per indicare Madagascar(1). Difficilmente si proverà dunque, che qualcheduno degli antichi abbia contato le Indie meridionali nell’isola Taprobana.
Inoltre gli antichi non hanno Osservato lo stretto presso Comorin; essi lo credevano un seno di mare, ed attribuivano il seno di Colchide e di Agara(2) alla terra ferma e non all’isola di Taprobana: si attribuisce agli antichi un altro errore, cioè che abbiano creduto essere il seno di Barygada uno stretto di mare. Se essi prendevano uno stretto per un seno, la corrente dell’acqua poteva facilmente impedire che non s’inoltrassero, e conveniva alla costruzione debole delle loro navi di evitarlo; ma se la corrente dell’acqua di uno stretto non si opponeva alla navigazione, nulla poteva impedire a loro il visitare lo stretto, sperando di poter abbreviare il viaggio.
Con maggior diritto al contrario possiamo supporre, che gli antichi non conoscessero l’odierno Zeylon come un’isola, ma lo
(1) Ved. la descrizione delle isole dell’Africa di Dapper.
(2) Lib. VII. c. 1.
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riguardassero come una parte della terra ferma, e volendo andare dal Capo Comorin al Gange evitassero questo stretto per quanto era loro possibile, e giungessero prima dal detto Capo a Gate. Essi riguardavano lo stretto come un seno nel quale le onde continuamente si rompevano, ed erano contenti di poterlo evitare. Da ciò comprenderemo, perché non parlino mai di questo passaggio, perché Tolomeo pone qui due seni profondi, mettendo quello di Colchide a 123° di longitudine e 15 di latitudine, e quello di Agara tre gradi e un quarto più verso l’oriente, e 40 minuti più verso il mezzo giorno (cioè sotto il 125° di longitudine ed il 14° 20' di latitudine), e perché stende tutta la costa sì considerabilmente dall’ovest all’est, senza farla avanzare verso il sud come è necessario, e senza indicare con maggior esattezza alcuni luoghi di quanto è successo particolarmente nelle Indie.
Parmi inoltre, che volendo fare qualche ricerca sull’isola di Taprobana, convenga considerare ancora la grandezza che gli antichi le attribuiscono; essi la stendono in modo, che si dovrebbe credere che Zeylon abbia perduto una gran parte della sua estensione,
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oppure gli antichi si siano sbagliati tutti infinitamente riguardo alla sua grandezza, ove però erravano meno che in altre cose.
Il calcolo minore è quello di Strabone: l’autore più prossimo a lui Dionisio Periergete(1), che fa menzione di esso, non indica precisamente l’estensione, ma dice che sia considerabile, e ne parla varie volte.
Pomponio Mela, che visse poco dopo di lui, ed ancora nel primo secolo della nostra cronologia, è incerto di tenere Taprobana per un’isola grandissima o per un mondo nuove. Dic’egli che Ipparco l’abbia considerata come un emisfero nuovo, e siasi con ciò avvicinato alla verità, poiché nessuno ha potuto navigare intorno ad essa(2). Plinio conferma, che quest’isola sia stata creduta un’altra parte del mondo, e che solo ai tempi di Alessandro fu ritrovato essere un’isola,
(1) In orbis descript edit. Oporim. Basil. 1556 p. 285, 286 ed il commentario di Eustazio di Tessalonica pag. 87.
(2) De situ orbis 3. 7 Taprobane aut grandis admodum insula, aut prima pars orbis alterius Hipparcho dicitur: sed quia habitatur, nec quisquam circum eam ipse traditur prope vorum est.
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che aveva 7000 stadi di lunghezza e 5000 di larghezza(1); e che assomigli quasi ad un rettangolo e per lo che Dionisio(2) ed Alessando lo chiamano τετραπλευρος (di quattro lati)(3). Tolomeo le dà 15° di latitudine, cioè dal 12° 45' di latitudine settentrionale sino al 2° 45' di latitudine meridionale. Qual errore se questo avesse da valere di Zeylan che ha solamente 4° di latitudıne! Proporzionando l’estensione di Taprobana dall’est all’ovest colla latitudine che occupa, risulta una grandezza superficiale 14 volte maggiore di quella di Zeylan. Questa grandezza conviene perfettamente a Madagascar. Essa ha 15° di latitudine, e la sua punta settentrionale è 12 gradi e mezzo distante dall’equatore, però nell’emisfero meridionale(4). Agatemer, che scrisse dopo Tolomeo, crede essere Taprobana la maggiore di tutte le isole, e dà alla Gran Brettagna
(1) Plin. 37. 22 init. Taprobanam alterum orbem terrarum esse diu existimatum est. Autichthonum appellatione ec.
(2) Lib. cap.
(3) Presso Steph. Byzant de urbibus et populis, ed. Berkeseu p. 693.
(4) Ptol. Lib. VII. c. 4.
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il secondo luogo(1). È impossibile che gli antichi parlassero in tal modo di Zeylon.
Ma in che modo venivano gli antichi a Madagascar, mentre si dirigevano verso le Indie? Sicuramente per mezzo di burrasche e di violente correnti di mare, che appena potevano osservare, ed alle quali non potevano sottrarsi. In tal modo lo narra che Plinio(2), il di cui racconto mette fuori di dubbio, che la grand’isola Taprobana è da cercarsi al di là dell’equatore sull’emisfero meridionale. Sotto il dominio di Claudio, racconta che il Liberto di Annio Plocarno, che aveva preso in affitto le gabelle del mar rosso, volendo navigare intorno all’Arabia fu preso da’ venti del Nord, e dopo essere stato cacciato da essi per 15 giorni fu condotto nel porto HIPPUROS sull’isola di Taprobana. Quivi, durante un soggiorno di 6 mesi, ha informato gli abitanti de’ Romani, de’ loro principi, delle loro superiorità in forze ec.
Gli abitanti di Taprobana hanno in seguito
(1) Lib. 3. c. 8.
(2) Lib. VI, cap. 22.
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inviato quattro ambasciatori a Roma, i quali vi narrarono che l’isola avea 500 città, e la capitale 200000 anime; che in mezzo all’isola eravi un lago di 375 miglia romane (ciascuna di 1000 passi) di circuito chiamato Megisba. Plinio dice ancora, che gli ambasciatori siano stati sorpresi allo scoprire la costellazione della grand’orsa, e dello pleiadi, le quali sulla loro isola non si vedevano; ma più ancora, alloraquando videro, che le ombre non cadevano più verso il loro cielo (verso il sud), ma piuttosto verso il nord, e che il sole montava a mano sinistra, e tramontava alla destra, mentre presso loro accade il contrario.
Questi indizi mettono Taprobana, almeno la sua punta settentrionale, a 12° di latitudine meridionale, altrimenti questi ambasciatori, ch’erano della parte più settentrionale e più civilizzata dell’isola, avrebbero dovuto conoscere la grand’orsa e le pleiadi. È anche naturale, che nel 12° e più al di là della linea, voltandosi verso l’equatore, il sole monti alla dritta e tramonti alla sinistra. Questo racconto non si può applicare a Zeylon, poiché giace sull’emisfero nostro. È vero d’altronde, che gli ambasciatori
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aggiungono ancora una circostanza applicabile tanto poco a Madagascar, come a qualunque altro sito del globo, cioè che la luna nel loro paese non sia visibile che 8 giorni dopo il novilunio, e che vi resti solamente fino al 16. Questo errore può attribuirsi alla malintelligenza del loro interprete. Forse parlavano della sua elevazione retta, e dell’angolo minore che forma la sua orbita coll’orizzonte del loro paese. Forse a motivo della sorpresa, che aveva eccitato il loro racconto ingrandivano il miracolo. Intanto difficilmente avrebbero potuto inventarsi una tal bugia astronomica, se il loro paese riguardo al cielo ed al suolo non fosse stato assai diverso dal nostro. Essi dunque erano di una parte assai distante al di là della linea.
I prodotti stessi che gli antichi attribuiscono a quest’isola si veggono ancora oggidì su Madagascar, e parlano contro la supposizione che Taprobana sia l’odierno Zeylon. Tolomeo dice che produce riso, miele, zenzero, pietre nobili di ogni qualità, oro, argento, ferro ec.(1), e precisamente
(1) Ptolomaeus VII, 4 nascitur apud hos Oriza. Mel, Zingiber, Beryllus, Hyacinthus et universorum metallorum genera, auri et argenti, et aliorum etc.
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questi sono i prodotti che ancora vi nascono in quantità, e quasi senza l’aiuto degli uomini. Della cannella, prodotto principale di Zeylon, nessuno fa menzione. Al contrario ogni qualvolta Strabone nomina Taprobana la mette incontro alla regione, che produce la cannella(1).
Anche qualunque altra circostanza si accorda con Madagascar. Abita quivi un popolo diligente, che ha cura diligentemente del riso, come dice Plinio, parlando dell’isola di Taprobana. Vi sono diversi Re, il di cui potere non significa però molto, e non sono ereditari(2). Secondo Plinio è divisa in mezzo da un fiume, da Tolomeo chiamato GANGES, e che secondo lui scorre 5 gradi. Il fiume Mansiatre, che sbocca sul lato occidentale, divide l’isola in settentrionale e meridionale, e il suo nome poteva in un interprete romano, che aveva inteso nominare più il Gange che il Mansiatre, far nascere più facilmente il nome del Gange.
La catena di montagne, che secondo
(1) Lib. I, pag. 43, med. Lib. II, pag. 49. pag. 87.
(2) Plinio e Bucquey viaggio pag. 118.
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Tolomeo corre per quest’isola, chiamavası in parte Galibi e Masea, e sono nominate oggidì Encalida(1) e Hyela. Molti popoli, città e fiumi potrebbero essere confrontati anche di nome coi presenti, se qui fosse il luogo di dire, più ch’è necessario per provare, che la natura dai tempi di Tolomeo in qua non ha sofferto qui tanti cangiamenti violenti, quanti sono necessari per provare, come ordinariamente succede, che l’isola di Taprobana sia l’odierno Zeylon.
(1) Ved. Dopper pag. 3 e 18.